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Autore: Pudentilla Mc Moany    10/08/2009    2 recensioni
Era opinione diffusa che Umino Iruka fosse una persona pacata, gentile e affidabile. [...] Hatake Kakashi, però, ben di rado prestava orecchio alle opinioni correnti; in cuor suo si limitava a considerare quella bontà di Iruka fastidiosa, al limite stucchevole. In cuor suo, sentiva che tutta quella solidarietà melensa non avrebbe portato nulla di buono. E un giorno tiepido di primavera, in missione con lui, trovò che le sue ipotesi erano fondate. Pairing: Kakashi/Iruka, accenni di Sasuke/Naruto
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Iruka Umino, Kakashi Hatake
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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mindlessselfindulgence DISCLAIMER: I personaggi di Naruto non sono miei, appartengono a Masashi Kishimoto, a Shonen Jump e a compagnia bella; la presente fanfiction è un’opera di fantasia prodotta senza scopo di lucro, ed è sorprendente quanto le cose siano intercambiabili.
Se fossi Kishimoto Sensei state certe che a quest’ora me ne starei a sollazzarmi ad Acapulco bevendo un Margarita, altrochè.

La fanfiction si ambienta dopo un ipotetico ritorno di Sasuke a Konoha,  e l’happy ending che ne consegue. Naruto è Hokage, Kurenai ha partorito il suo pargoletto, Shikamaru ha sconfitto il cancro ai polmoni e Sasuke ha vinto il premio di vendicatore dell’anno contro Paperinik e Batman. Fate conto che tutto vada bene, che Il Villaggio della Foglia sia piacevole come quello dei Puffi e che un giorno di primavera,  per qualche orribile scherzo del destino, a Kakashi sia stata affidata una missione di tipo A con Iruka compagno di squadra.
E’ d’obbligo ringraziare  FUYU, luce dei miei occhi, parasole nelle avversità, amatissima, blablabla, che mi ha aiutata nella stesura della trama, corretta quando scrivevo spropositi, e betata amorevolmente.
Luv iu, sis! <3          

A friendly hand
Capitolo primo: Mindless self indulgence
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Era opinione diffusa che Umino Iruka fosse una persona pacata, gentile e affidabile.  Era piacevole e aveva un sorriso dolce, e c’era qualcosa, nel suo sguardo, che parlava di una fiducia infinita, della disponibilità generosa di vedere del buono in tutti, guizzante in barlumi dorati di occhiate fuggevoli.
Era opinione altrettanto diffusa che proprio questa fiducia innata e irragionevole fosse il miglior pregio di un ninja altrimenti mediocre, ciò che lo rendeva il maestro perfetto.
Hatake Kakashi, però, ben di rado prestava orecchio alle opinioni correnti; in cuor suo si limitava a considerare quella  bontà di Iruka fastidiosa, al limite stucchevole. In cuor suo, sentiva che tutta quella solidarietà melensa non avrebbe portato nulla di buono. E un giorno tiepido di primavera, in missione con lui, trovò che le sue ipotesi erano fondate.



- Arrenditi.
Camminava piano verso il Nukenin, i lineamenti stirati in un sorriso tremulo. Aveva perso di vista Hatake e Yamato, e in un certo modo distorto -il modo distorto di un candore idiota-, pensò che forse-forse era un’occasione. Un’occasione per salvare il Ninja traditore dai suoi compagni di squadra, fermamente risoluti a un’uccisione rapida.
- Credevo che lo scopo della missione fosse riportarmi alla Foglia vivo o morto, Iruka..
La voce raschiata del Traditore gli sferzò le orecchie insieme a un sibilo sfuggente; un frusciò di aria e foglie secche dietro di sé, e se lo sentì alle spalle.
- ..E’ questo il tuo problema, Maestro. Proprio non capisci.
Uno scatto di dita sul Kunai che portava alla coscia; si mosse rapidissimo, gli occhi puntati negli occhi del ninja. Pensò che se non l’aveva ucciso nella frazione di secondo in cui aveva abbassato la guardia, se aveva preferito sibilargli sul collo una frase amara e smozzicata.. Pensò che c’era speranza.
- Capisco cosa?
Prese tempo, l’impugnatura dell’arma stretta nella mano sudata. Un suo passo avanti ne provocò uno indietro, speculare, dell’altro ninja.
- Che alcuni di noi non vogliono essere redenti. I bravi ragazzi come te non capiscono MAI.
Le spalle contro la corteccia nodosa di un albero, in trappola e ferito, l’avversario parlava pacato, e gli chiedeva la morte. Fu allora che Iruka scattò in avanti, in un balzo rapido, inchiodandolo, la lama del kunai contro la sua gola.
Era la rabbia del giusto deluso nei suoi propositi; era la caparbia del buono disposto a riportarlo a casa a tutti i costi, minacce comprese. Era, infine, la sensazione pungente, alla bocca dello stomaco, che il dono che gli offriva -il dono della vita, il dono del perdono- fosse stato nettamente rifiutato, e quanto peggio, sbeffeggiato.
- Sono ottuso e sentimentale, che vuoi farci..
Strinse gli occhi e si prese un istante -un solo istante- per meditare sul da farsi. La risata del nukenin lo informò dell’errore appena commesso. Un attimo, e un tremolìo di aria smossa davanti a lui; doveva essere una tecnica di mimetizzazione, messa in atto in tempo record.
Ci fu un momento di panico, poi un sibilo e un bruciore feroce al braccio sinistro. Ci fu un rantolo e un ringhio, e non si sapeva di chi fosse l’uno, di chi l’altro. Ci fu un Kunai lanciato -da Iruka- e un fendente cieco. Ci fu una colluttazione breve, e l’ansia, e la rabbia di una speranza disillusa. La consapevolezza di dover uccidere il nukenin -vita tua mors mea, e tutti gli apparati del caso- lo colpì come un fiotto bilioso di odio verso se stesso. Pensò che se non si fosse distratto, forse avrebbe potuto salvarlo.
Foglie smosse e aria tremula lo informarono della seconda tecnica della mimetizzazione appena avvenuta sotto il suo naso. Sentì la morsa allo stomaco di un terrore mortale, e la lama dell’avversario che feriva l’aria, in un coagulo di sensazioni dolorose sullo sfondo del bruciore persistente della ferita al braccio.
Gli rombarono le orecchie, in quello che sentì distintamente come il momento della fine.
E poi chiuse gli occhi, che furono attraversati da un’ombra, e quando li riaprì aveva davanti il cadavere del nemico, e un bagliore di argento vivo .
Fu un istante di sollievo e una vergogna cocente, e poi non ci fu più tempo di pensare e non ci fu più tempo di provare nient’altro che non fosse una paura ben diversa, quando Kakashi gli cadde ai piedi, e aveva una lama che gli trapassava la spalla e i vestiti sporchi di sangue e le labbra bluastre.
Un desiderio tutto nuovo di morire lo colse impreparato, mentre apriva il kit medico con mani tremanti pregando che Yamato si sbrigasse.






  
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