Serie TV > The Witcher
Ricorda la storia  |      
Autore: Fauna96    09/05/2020    1 recensioni
[The Witcher]
[Geralt/Jaskier]
La storia è questa.
Quando Jaskier vede Geralt per la prima volta non ha nessuna intenzione di seguirlo per sempre. Un’avventura ai confini del mondo per ricavarne una ballata? Sicuro. Un combattimento all’ultimo sangue con un diavolo spietato? È lì apposta. Ma… ecco, non si aspetta molto più di quello. Non gli viene neanche in mente di poter condividere più di quello, più di una bevuta di commiato mentre tornano a Posada, sempre che riesca a offrire qualcosa allo strigo.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sono una persona semplice. Ho passato due mesi di quarantena a leggere fanfiction su Geralt e Jaskier e ad ascoltare The Amazing Devil, e il risultato è stato, prevedibilmente, una fanfiction su questi due col il titolo preso da New York Torch Song. So, here we are.
La mia conoscenza di The witcher si basa sulla serie, su un libro e mezzo (sono a metà del secondo) e su informazioni raccolte da internet in generale e Tumblr in particolare. Per la cronaca: c'è un piccolo omaggio a un racconto contenuto nel primo libro, Il guardiano degli innocenti, e, se ho capito bene, Lettenhove, il feudo (?) di Jaskier è in Kerak.
Ho deciso di tenere il nome di Jaskier in polacco, mentre ho usato la traduzione italiano di "strigo" per witcher... mi suonava meglio.


It’s whiter than the sun burns, it’s bright with every hum
 


La storia è questa.
Quando Jaskier vede Geralt per la prima volta non ha nessuna intenzione di seguirlo per sempre. Un’avventura ai confini del mondo per ricavarne una ballata? Sicuro. Un combattimento all’ultimo sangue con un diavolo spietato? È lì apposta. Ma… ecco, non si aspetta molto più di quello. Non gli viene neanche in mente di poter condividere più di quello, più di una bevuta di commiato mentre tornano a Posada, sempre che riesca a offrire qualcosa allo strigo.
Forse non è nemmeno un pensiero conscio, ma Jaskier sa che Geralt di Rivia, se berrà qualcosa con lui, berrà in silenzio e poi uscirà dalla sua vita altrettanto silenziosamente, e forse si incontreranno di nuovo in qualche taverna all’altro confine del mondo, e Jaskier griderà “Il Lupo Bianco di Rivia!” e si metterà a cantare la canzone ancora senza nome che sta componendo e… be’, e niente, perché le cose non vanno proprio così.
Il problema (o la fortuna? O addirittura il destino? Bah, chi se ne importa, la verità) è che Jaskier non sa tenere le mani a posto e farsi quella biondina senza prima informarsi se fosse o meno figlia unica è stata una pessima idea. L’unica soluzione che vede è nascondersi dietro qualcuno più forte e minaccioso dei minacciosi fratelli maggiori, e possibilmente senza intenzioni omicide nei suoi confronti: l’unico idoneo è Geralt, il quale, evidentemente, sta per andarsene, dato che è nelle stalle a sellare il cavallo.
«Allora» dice Jaskier, con un orecchio teso a carpire qualunque rumore poco amichevole «Dove andrai, ora?»
Geralt borbotta qualcosa in risposta.
«Meraviglioso! Anche io vado in quella direzione».
Geralt alza un sopracciglio. Jaskier sfodera il suo sorriso più sfavillante. Non è la verità, chiaro, ma non è nemmeno una bugia, dato che, fino a un minuto fa, non aveva affatto deciso dove e quando andarsene.
«Non ti farò cavalcare» lo avverte Geralt (che, tra l’altro, è un gran ipocrita, e Jaskier glielo rinfaccerà, questo).
«Nessun problema» promette Jaskier (e non lo sarà davvero, perché Roach va piano. Sospettosamente piano. Seriamente, Geralt, se vuoi fare la parte del misantropo devi sforzarti un po’ di più).
Insomma, la storia va avanti così, con Jaskier che chiacchiera e compone (oh, sarà un successo), Roach che sbuffa e Geralt che apre bocca solo una volta al calar del sole.
«Ci fermiamo qui per la notte, bardo». Qualcosa passa nei suoi occhi gialli e Jaskier si rende conto di non essersi nemmeno presentato.
«Niente “bardo”: mi chiamo Jaskier». Geralt alza un sopracciglio e Jaskier si chiede se conosca abbastanza il dialetto di Kerak per sapere cosa significhi. Se sì, non commenta. Ma questo era scontato.
 
La storia è questa.
Si conoscono in estate e si separano in autunno inoltrato, e stavolta Jaskier è sicuro che non si rivedranno più. Jaskier va a Oxenfurt a passare l’inverno e Geralt… be’, chi lo sa, dove va Geralt. Jaskier, suo malgrado, si chiede se sia un po’ dispiaciuto anche lo strigo: insomma, non puoi salutare come se niente fosse una persona che ha ripulito intestini dai tuoi capelli e ricucito un taglio lungo quanto un avambraccio sulla tua schiena.
(«Faccio da solo, Jaskier».
«Non ci arrivi da solo, non essere stupido. Guarda che so cucire».
«Vestiti, non la carne».
«C’è poca differenza. Oh, andiamo Geralt, non ti fidi di me?»
No che non si fidava, certo. E come poteva, quando, nonostante tutto, le persone mormoravano ancora insulti al suo passaggio? E alla fin fine, Jaskier era solo uno che lo seguiva da qualche mese e…
«Sbrigati» Geralt gli aveva premuto l’ago nel palmo e gli aveva offerto la schiena).
Comunque, a Oxenfurt il vino è buono, le stanze sono calde e quando parla, le persone interagiscono (incredibile, vero?) e Dona un soldo è canticchiata un po’ da tutti, quindi le cose vanno bene.
«Julian, sul serio hai viaggiato col Macellaio di Blaviken e lui non ti ha squartato?»
Il cuore di Jaskier sprofonda fino alle scarpe. Perché non basta una canzone orecchiabile a cancellare un nome talmente… talmente orrendo e ingiusto. E perché Jaskier stesso l’ha chiamato così, quando si conoscevano solo da dieci minuti, certo, ma ciò non cambia le cose.
La verità è che queste persone, le persone non conoscono Geralt. Non sanno che quando passa nei villaggi e nelle città si copre col cappuccio per non spaventare i bambini, che quando è a corto di soldi preferisce comprare mele per Roach che pane per sé, che, quando Jaskier si è lamentato delle vesciche, ha grugnito ma poi gli ha messo in mano l’ultimo vasetto di unguento che aveva.
Jaskier sorride e beve un sorso di vino. «Non dovremmo dar peso alle voci dei contadini. Blaviken. Non sono nemmeno sicuro che sia quello, il nome. E comunque non è un macellaio. Insomma, non mi ha fatto fuori dopo un’ora di discorso sulle differenze tra epica ed epopea, lo giuro…» Tutti ridono, e Jaskier con loro. (Questa cosa dell’epica e dell’epopea è vera, comunque).
La verità è che nemmeno Jaskier sa cosa sia successo a Blaviken, ma sa tre cose: che Geralt non è crudele, sanguinario o matto; che Jaskier passerà l’inverno a cantare le lodi del Lupo Bianco; e che mai e poi mai, se avrà la fortuna di rincontrarlo, gli chiederà di Blaviken. Perché il pugno nello stomaco è stato doloroso, ma mai quanto lo sguardo negli occhi di Geralt quando qualcuno sibila “macellaio”; perciò, Jaskier farà in modo di non vedere mai più quello sguardo, semplice. E se le canzoni non funzioneranno, be’. Ha altri metodi.
 
La storia è questa.
Per un paio di primavere Jaskier può anche credere che si incontrino per caso, ma, insomma, non è stupido. Lo fa, spesso e bene, ma non lo è e non ci crede che continuino a incontrarsi per una semplice coincidenza. O meglio, che, appena la neve inizia a sciogliersi, colga voce di uno strigo che casualmente è solo a un paio di villaggi di distanza da dovunque lui abbia svernato. Per quanto gli piaccia blaterare di destino, più che altro per far innervosire Geralt, Jaskier è un bardo e dunque conosce bene la madama: sempre una carta vincente quando si tratta di cantare di amor perduto, ma nella vita reale contano decisamente di più le scelte. Ad esempio, se il visconte di Lettenhove non avesse scelto di mandare al diavolo il suo titolo, se non avesse scelto la musica e la libertà sul dovere e l’eredità… be’, suddetto visconte non si troverebbe a stringere i denti mentre uno strigo gli medica le nocche scorticate.
Geralt ha una strana espressione che Jaskier non riesce a leggere del tutto, nonostante si ritenga ormai piuttosto esperto nel leggere movimenti impercettibili di sopracciglia (non è colpa sua se è così che Geralt esprime i suoi sentimenti: si è dovuto adattare). È simile all’espressione che aveva quando Jaskier ha accoltellato uno degli stupidi mercenari che hanno pensato fosse divertente derubare e pestare l’animaletto dello strigo («Geralt, credevi davvero che girassi disarmato?» Credevi davvero che al figlio di un nobile non venisse insegnato ad uccidere? E sì, Jaskier sa che Geralt sa o quantomeno intuisce, ma non ha mai chiesto e questo… potrebbe essere semplice indifferenza, ma Jaskier vi legge una certa gentilezza dietro. Ma Geralt è gentile, che Geralt lo riconosca o no, e Jaskier sta divagando di nuovo).
«Jaskier. Devi smetterla. Non importa».
Jaskier lo fissa. «Certo che importa! Hanno criticato la mia arte, Geralt, se fosse facile lo farebbero tutti, anche tu-»
«Non era la tua musica che hanno criticato».
Jaskier stringe le labbra. Perché la storia è questa: se arrivi a conoscere bene una persona, così bene che sai cosa mangia a colazione (uova. Un sacco di uova), così bene che riconosci i suoi passi dal modo in cui risuonano sul legno delle scale e, mezzo addormentato, ti sposti verso il lato del letto contro il muro perché Geralt è paranoico e vuole sempre dormire tra te e la porta… ecco, tendi a scordare un piccolo particolare: che ci sono buone probabilità che anche l’altra persona ti conosca altrettanto bene.
E Geralt sa che Jaskier non farebbe mai a pugni perché a qualcuno non è piaciuta l’esibizione e gli ha tirato un cavolo marcio (è successo, sì. Poco piacevole, ma sono i rischi del mestiere). Jaskier, in generale, non potrebbe definirsi una persona violenta: anche se ha un pugnale nascosto nello stivale e sa dove colpire, preferisce… evitare, ecco. Per svariati ragioni (di cui non parlano), una delle quali è che è decisamente più vantaggioso fare la parte del debole, del bardo buono solo a cantare e parlare. E, attenzione, non è una finta: Jaskier è così, sceglierà sempre di usare le parole per tirarsi fuori da una situazione spinosa, o semplicemente insultare chiunque pretenda di conoscere la musica e poi non sa nemmeno mettere in fila due note (sì, Marx, è riferito a te). Jaskier è un accademico e, come se non bastasse, è cresciuto in una corte: potrebbe usare le parole più dolci e soavi di questo mondo per insultare un generale nilfgaardiano, e quello lo ringrazierebbe e gli offrirebbe la cena.
Tuttavia, ci sono persone particolarmente tenaci nel persistere nelle loro opinioni sbagliate sugli strighi, con cui le parole, cantate o sbraitate, servono a ben poco. Senza contare che, quando ha sentito “Pensavo che le bestie non fossero ammesse qui”, Jaskier ha visto solo rosso.
Il risultato è stato prevedibile: due nasi rotti e svariate altre contusioni (opera sua), nocche scorticate e mascella dolorante e forse qualche costola incrinata (sue), e l’ennesima notte di piedi gelati. Oh, e Geralt che lo guarda con quell’espressione che gli spezza il cuore, perché… ma certo, perché è colpevole, cazzo. È l’espressione del “non avresti dovuto, queste cose succedono tutte le volte” e “è colpa mia, cazzo”.
«Stronzate» sbotta Jaskier, stringendo (piano) le dita di Geralt. «Importa. A me, perché nessuno dovrebbe parlare così di te. Di chiunque, in realtà, ma tu…» Tu che sei più umano di molta altra gente, di quegli idioti che non ti hanno mai visto tremare per le pozioni e il veleno e non ti hanno mai visto appena sveglio, oppure quando cerchi di non ridere, ma la bocca ti si storce tutta e gli occhi… Per una volta, Jaskier si ritrova le parole impigliate in gola e non riesce a tirarle fuori. Geralt continua a guardarlo, ma ora i suoi occhi sono meno colpevoli e più… morbidi. Jaskier non sa come faccia, ma ogni tanto gli occhi di Geralt diventano così insopportabilmente affettuosi e, cazzo, chiunque abbia detto che gli strighi non provano sentimenti era un fottuto idiota, e a Jaskier piacerebbe fargli un discorsetto, e, no, Jaskier, non farlo. Sarebbe davvero meglio per entrambi, davvero… e niente, sta baciando Geralt.
 
La storia è questa.
Non è che Jaskier non abbia mai pensato di baciare Geralt, ma sono pensieri… mmm, aleatori, fatti quando beve un po’ troppo. O quando sta per addormentarsi e Geralt è già appisolato con la fronte contro la spalla di Jaskier o… ok, ci ha pensato. Un ragionevole numero di volte. Ma sono cose che succedono, insomma, Jaskier è consapevole di innamorarsi costantemente e di chiunque. Anche se con Geralt è diverso, per una miriade di ragioni, tra le quali una delle più importanti è che Geralt non è interessato. Forse. Probabilmente.
Però, be’, non l’ha spinto via, e la mano che Jaskier stringe ancora sta tremando impercettibilmente…
Jaskier fa un balzo indietro. «Scusa!» grida quasi. «Ti chiedo scusa, non avrei dovuto, non…» Geralt continua a guardarlo con gli occhi spalancati. Non accenna a spostarsi.
Come al solito, toccherà a Jaskier portare avanti la necessaria conversazione, perché Geralt è incapace di esprimere a parole le sue emozioni, e per questo genere di discorso persino Jaskier, che si ritiene ormai fluente nei grugniti di strigo, avrà bisogno di parole concrete, comprensibili…
Oh.
È vero che si conoscono bene. Troppo bene. A tal punto che le parole non servono, lo sguardo di Geralt è terribilmente aperto e vulnerabile perché Jaskier non sappia leggervi dentro. Cioè, spera di leggere correttamente, cribbio, ed è per questo che le parole sono importanti, sono…
«Jaskier» sotto il tono affettuoso (per gli dei, Geralt affettuoso. Cioè, esplicitamente affettuoso) si sente una nota di familiare esasperazione. «Smettila di discutere con te stesso. Hai fatto un centinaio di espressioni nel giro di un minuto».
«Almeno qualcuno sa essere comunicativo» rimbecca Jaskier, ma senza reale irritazione. Non riuscirebbe ad arrabbiarsi neppure se lo volesse, in questo momento. Geralt preme la fronte sulla sua.
«Geralt… lo sapevi?»
Geralt lo guarda. «Non lo… sapevo. Ma so cosa fai, come ti comporti. Conosco te».
Il cuore di Jaskier sembra essere troppo grande per il suo petto. Il calore di Geralt è familiare quanto il peso del suo liuto sulle spalle, quanto gli sbuffi di Roach, quanto una vecchia melodia che conosci da sempre e di cui, quando ci pensi non ricordi le parole, ma quanto la canti, la sai alla perfezione.
«E tu conosci me» mormora Geralt e Jaskier sente un sorriso gioioso irrompergli sulle labbra.
«Ma certo che ti conosco».
 
La storia è questa.
Quando Jaskier vede Geralt per la prima volta, non sa un sacco di cose. Non sa che Geralt parla più con il suo cavallo che con chiunque altro, non sa che è capace di divorare in una volta quello che Jaskier mangerebbe in tre cene; non sa che è gentile con i bambini e delicato quando cura le ferite; non sa che parla nel sonno anche quando non ha incubi e che non gli interessa se quando dividete lo stesso letto (o pagliericcio o porzione di terra meno dura) gli dormi addosso perché emana calore come una dannatissima stufa; forse, gli fa anche un po’ piacere. Jaskier non sa che saranno più i giorni passati con lui che i giorni senza di lui, e quei giorni, be’, non valgono molto la pena. Ci vorranno anni perché sappia tutte queste cose, e anche altre, molte altre, e ce ne saranno alcune che magari non saprà mai.
Come il fatto che Geralt di Rivia, quando quel dannato bardo chiacchierone finalmente si presenta (non che a Geralt importi: al prossimo villaggio, ognuno per la sua strada), pensi “Un ranuncolo”. Perché, in effetti, Geralt di Rivia conosce perfettamente il dialetto di Kerak.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > The Witcher / Vai alla pagina dell'autore: Fauna96