La
Mietitura (D1 – D4)
Ciao
a tutti!
Finalmente
eccoci qui con la
prima parte della Mietitura. Chiederei a coloro che hanno prenotato gli
altri
Tributi, e che ancora non mi hanno inviato le schede, di accelerare un
pochino
i tempi (specialmente coloro che hanno Tributi che appartengono ai
Distretti
dal 5 all’8 in quanto avrei bisogno di loro entro
lunedì).
Distretto
1
Ivory Myers| 17 anni| Eterosessuale.
Indossò
l’abito che le era stato regalato per l’occasione.
Era
di un bel color avorio, candido e adatto a rispecchiare il
suo nome. Con quel vestito e le ciocche bionde acconciate in morbide
onde,
sembrava più che mai una bambola.
Credeva
di non essere mai apparsa tanto delicata e innocente
agli occhi di qualcuno, considerò distrattamente mentre sua
madre finiva di
truccarla con sapiente maestria.
-
Ecco fatto -, decretò alla fine la madre, - sei perfetta.
–
Già,
pronta a rimediare agli errori di sua sorella.
Marble
era stata bella quanto lei, se non addirittura di più,
quando si era offerta volontaria ai Giochi di due anni prima.
Ed
ora lei era pronta a prendere il suo posto, a ripercorrere
quella stessa strada che l’avrebbe condotta dritta verso
Capitol.
Prese
un respiro profondo, imponendosi di mantenere il
controllo.
-
Mamma… -
-
Sì, tesoro? –
Accennò
con il capo in direzione del suo portagioie.
-
Puoi prendermi la collana nel primo scompartimento? –
La
donna l’assecondò, fermandosi non appena vide qual
era il
gioiello a cui faceva riferimento sua figlia.
Era
la collana di Marble, quella che aveva tenuto con sé fino
alla fine della sua giovane esistenza.
-
Tesoro… -
-
Mamma -, insistè voltandosi a fissarla in quegli occhi verdi
che aveva ereditato a sua volta, - per favore. –
Marble
era stata una macchia per la reputazione della
famiglia, che aveva prodotto una lunga serie di ex vincitori nel corso
dei
decenni passati, e l’intero Distretto si era completamente
dimenticato della
sua esistenza.
Era
stata cancellata, come se non fosse mai esistita, ma Ivory
si era rifiutata di dimenticarla anche se le era stato ordinato di
farlo.
Sua
sorella era stata la sua migliore amica, la sua unica
confidente, il suo porto sicuro. Aveva pianto tutte le sue lacrime
quando era
stata uccisa, trafitta dalla spada della ragazza del Due, penultima
vittima di
quei sanguinosi Giochi.
-
Va bene –, cedette alla fine aiutandola a indossarla, - ma
cerca di non farla vedere a tuo padre. Lo sai come la pensa. –
Accarezzò
lo smeraldo, che nell’intenzione del creatore
avrebbe dovuto rappresentare l’occhio del ciondolo a forma di
serpente.
-
Lo so. –
Ma
se lei poteva accettare di assecondarlo, rischiando di
morire a sua volta, allora suo padre avrebbe dovuto fare altrettanto
nel suo
desiderio di avere con sé un pezzo di Marble.
Fece
appena in tempo a indossare le scarpe che il bussare di
suo padre giunse alle sue orecchie.
Fece
capolino sulla soglia della sua stanza, aprendosi in un
sorriso carico d’apprezzamento quando la vide.
-
Sei splendida. Sei pronta per andare? –
Ivory
lasciò vagare il suo sguardo all’interno della
camera,
domandandosi distrattamente se e quando avrebbe potuto tornare
lì.
Era
un po’ come una di quelle vergini sacrificali pronte ad
andare al macello.
Non
c’era nulla che potesse dire o fare, ormai era troppo
tardi per tirarsi indietro.
Scacciò
via quel pensiero, sforzandosi di sembrare
impassibile, e annuì: - Sì, possiamo andare.
–
Jasper
Sterling|
18 anni| Eterosessuale.
-
Non sei costretto a farlo. –
Jasper
finì di sistemare la fine camicia di lino, poi si
voltò
verso sua sorella minore. Le rivolse un lieve cenno di sorriso, uno di
quelli
sghembi e imperscrutabili dietro i quali si rifugiava quando non voleva
mostrare al resto del mondo ciò che gli passava per la testa.
-
Al contrario, sorellina. Sono il membro più grande
dell’Accademia, l’ultimo ad avere raggiunto i
diciotto anni senza aver messo
piede all’interno dell’Arena. Tutti si aspettano
che sia io ad offrirmi. –
Jade
aggrottò la fronte, tormentando l’orlo del suo
abito.
-
Chi se ne frega di quello che si aspetta il Distretto? –
Era
facile per lei sollevare obiezioni.
Era
una ragazza, una di quelle femminili e delicate dal grande
talento per la moda e quasi nessuna velleità atletica;
nessuno si sarebbe mai
aspettato di vederla entrare nell’Arena per rappresentare
l’Uno. Anzi, a onor
del vero, nessuno avrebbe mai voluto vederla offrirsi come Tributo; non
era
considerata all’altezza di poter garantire
un’esibizione prestigiosa.
Jasper,
invece, era tutta un’altra storia.
Aveva
un fisico possente, una buona mira, e aveva mostrato fin
da subito una certa predisposizione atletica.
I
preparatori l’avevano puntato nel momento stesso in cui
aveva compiuto quattordici anni, ma avevano atteso pazientemente che
diventasse
abbastanza grande da poter avere un vantaggio maggiore sugli altri
Tributi.
Quella
era la sua ultima occasione, rafforzata
dall’unicità
dell’evento, ed erano mesi che veniva pressato da ogni
direzione per offrirsi.
-
Lo sai come reagisce il nostro Distretto quando viene
deluso, no? –
Cancellato,
annientato, relegato nell’ombra alla stessa
stregua di un paria. Non ci sarebbe stata più alcuna
possibilità né lavorativa
né sociale per lui. Tutti l’avrebbero evitato come
la peste, marchiato nel modo
più infame di tutti: un codardo, un debole, un disonore.
Jade
gli si avvicinò, cingendolo con le braccia sottili, e
sussurrò: - Ti prego, Jase, non andare. Non lasciarmi.
–
Sospirò,
allungando una mano ad accarezzarle i folti capelli
color cenere.
-
Non ti sto lasciando. Tornerò a casa. –
Poi
le scoccò un bacio sulla guancia e si districò
dalla sua
presa, voltandole le spalle e scendendo rapidamente i gradini della
scala a
chiocciola.
Uscì
di casa, certo che i suoi genitori fossero già arrivati
alla piazza del Campidoglio, e allungò il passo per
raggiungerli.
In
lontananza vide i ragazzi e le ragazze del Distretto,
intenti a prendere posto, e per un attimo si ritrovò a
soffermarsi sulle
espressioni rilassate che sfoggiavano. Non c’era motivo di
preoccuparsi, non
quando al loro posto si sarebbe di certo offerto qualcun altro.
Si
mise in fila, registrandosi, e poi raggiunse lo sparuto
gruppo di ragazzi della sua età.
Non
ce ne erano molti al Distretto, tra i figli degli ex
Vincitori, e la maggior parte di loro o aveva già
partecipato oppure era troppo
imbranata per poter essere candidata. Li conosceva di vista tutti,
perciò
accettò con un mezzo sorriso le pacche cameratesche che
riceveva mentre il
consueto video del Presidente veniva proiettato.
Sentì
i mormorii farsi più vivaci quando la Capitolina del
loro Distretto, una donna dagli sgargianti capelli rosa shocking, si
avvicinava
all’urna femminile.
Ne
estrasse un nome, scandendolo con la sua voce acuta: -
Candy Rogers! –
Era
una compagna di classe di sua sorella, una ragazzina dai
capelli castani e gli occhioni azzurri, che sorrise tiepidamente quando
una
mano svettò in aria.
-
Mi offro Volontaria! –
Jasper
conosceva anche lei, l’aveva vista nella classe accanto
alla sua diverse volte e altrettante nelle palestre
dell’Accademia.
La
vide avanzare verso il palco, eterea nel suo abito candido
e nelle sue sembianze delicate, e inerpicarsi sulla scaletta di legno.
Si
sistemò accanto alla Capitolina, dipingendosi sulle labbra
un sorriso privo di qualsiasi reale calore, presentandosi: - Ivory
Myers. –
La
Capitolina squittì, battendo le mani deliziata, e poi si
diresse verso l’urna maschile.
-
Il Tributo maschile è… Jasper Sterling!
–
Un
silenzio incredulo si fece largo tra i ragazzi.
Non
capitava quasi mai che venisse sorteggiato il Tributo
indicato dai preparatori dell’Accademia.
Sembrava
quasi fosse un segno del destino.
Jasper
si fece avanti, notando come le telecamere catturassero
la mancanza di volontari pronti a rimpiazzarlo, e prese posto accanto
ad Ivory.
-
Un bell’applauso per questi giovani! –
*
Distretto
2
Luna
Florens|
18 anni| Eterosessuale
Luna
continuò a prepararsi, sforzandosi d’ignorare il
tremito
delle sue dita mentre finivano di chiudere l’abito che
avrebbe indossato per la
Mietitura. Aveva cercato di evitare quel momento il più
possibile e per tutti
quegli anni c’era anche riuscita. Tuttavia, quando un paio di
settimane prima i
suoi genitori le avevano chiesto di parlare, aveva subodorato che
c’era
qualcosa di affatto piacevole in agguato.
E
aveva avuto ragione.
Né
Flavinius né Elenia, il primo ex vincitore e la seconda
preparatrice dell’Accademia, avevano visto di buon occhio il
suo netto rifiuto
a prendere parte ai Giochi nelle edizioni precedenti.
Adesso,
le avevano detto, non aveva altra scelta se non quella
di offrirsi per l’edizione più prestigiosa di
tutte. Quando lei aveva provato a
ribattere, le sue proteste erano state tacitate dalla più
sconvolgente e
inaspettata delle minacce.
O
prendeva parte agli Hunger Games, portando onore alla
famiglia, oppure sarebbe stata spedita a lavorare nelle miniere; era il
lavoro
più degradante per un membro del Due, specialmente per una
che come lei aveva
già ben chiaro quali fossero le sue ambizioni. Voleva
coltivare la sua passione
per la moda e aprire un negozio d’abbigliamento. Era
un’idea che i suoi
genitori trovavano ridicola, giudicandola frivola e adatta alle
femminucce del
Distretto Uno, ma sapeva che sei lei avesse partecipato ai Giochi loro
le
avrebbero dato una mano ad aprirlo al suo ritorno.
Era
un po’ il prezzo per la conquista dell’agognata
indipendenza e la realizzazione del suo futuro.
Almeno
all’inizio. Ora era semplicemente l’unica
alternativa
possibile alle miniere. Così aveva accettato, odiando ogni
singolo istante
delle settimane seguenti, e quella mattina si era svegliata con una
fastidiosa
nausea. Tuttavia aveva fatto del suo meglio per prepararsi in modo
consono
all’evento, presentandosi al meglio, e il riflesso che lo
specchio le rimandava
diceva che c’era riuscita eccome.
Sentì
bussare alla porta, un tocco più gentile di quello
paterno, e poi vide sua madre fare la sua comparsa.
-
Dobbiamo andare, manca poco. –
-
Sono pronta – mormorò di rimando, seguendola lungo
le scale.
Era
sull’ultimo gradino quando la presa della madre si chiuse
sul suo polso, trattenendola.
-
Luna, mi raccomando, non deluderci. –
Solo
quello, nessuna raccomandazione né sostegno, non che Luna
si aspettasse qualcos’altro da lei.
Così
replicò semplicemente: - Non lo farò. –
Ares Sword| 18 anni| Eterosessuale
Ares
si fece largo, lanciando occhiatacce da una parte e
dall’altra della folla di coetanei, disperdendo in fretta
tutti quelli che
impedivano loro di raggiungere i rispettivi blocchi
d’appartenenza. Dietro di
lui venivano sua sorella e suo fratello, Enio e Cratos, entrambi
vagamente
nervosi per la Mietitura.
Si
fermò a pochi passi dalla linea che divideva il gruppo dei
ragazzi da quello delle ragazze. Poi si voltò a guardare la
sorella.
Enio
teneva i lunghi capelli castano scuro legati in una lunga
treccia, si mordeva le labbra e aveva gli occhi grigi sgranati come
quelli di
un animale colpito dai fari. Aveva solo tredici anni, troppo pochi per
pensare
di entrare nell’Arena, e tutto in lei tradiva la paura di una
possibile
estrazione.
-
Qualcuna si offrirà nel caso in cui venissi estratta. Anche
se la probabilità che esca proprio tu è davvero
molto bassa -, la assicurò
chinandosi a guardarla dritta negli occhi, - perciò
raggiungi le tue compagne e
ricordati di respirare. Andrà tutto bene. –
Enio
tentennò, poi si alzò in punta di piedi e gli
gettò le
braccia al collo.
Se
il padre avesse visto una scena del genere sarebbe andato
su tutte le furie. Perse li aveva cresciuti insegnando loro che la
paura era un
sentimento da dimenticare; meglio un figlio morto che un vigliacco,
ribadiva
loro in continuazione, quando impartiva lezioni con la sua ferrea
disciplina.
Non
era un uomo facile, Perse Sword, e tutto il Distretto lo
sapeva. Si diceva che usasse il pugno di ferro con i figli e con la
moglie, ma
nessuno aveva mai osato pronunciare ad alta voce la parola violenza o
abusi. Si
diceva anche che Ares fosse quello che più di ogni altro
aveva assaggiato la
sua furia, frapponendosi spesso tra lui e il resto della famiglia, ma
anche di
questo nessuno parlava.
Si
dicevano tante cose, tra un pettegolezzo e l’altro, ma mai
nessuno aveva mosso un dito.
Se
facevi finta che tutto andasse bene, che la normalità
albergasse nella vita perfetta delle famiglie degli ex vincitori, dopo
un po’
si finiva per crederci.
Ares
strinse a sua volta la sorella, rifilandole una ruvida
carezza sul capo prima di lasciarla andare, poi tornò
indietro insieme al
fratello.
Cratos
aveva quindici anni, di lì a qualche mese ne avrebbe
compiuti sedici, e stava crescendo a vista d’occhio. Guardava
ad Ares come a un
modello, un padre che gli sarebbe piaciuto avere, e l’idea di
poterlo perdere
lo distruggeva. Tuttavia reggeva il colpo meglio di Enio, almeno
all’apparenza,
perciò non disse nulla quando Ares lo prese da parte.
Sapeva
già cosa gli avrebbe detto, lo aveva capito dal modo in
cui si era allenato incessantemente negli ultimi mesi.
L’unico
modo per sfuggire al controllo del padre, per
permettere a tutta la famiglia di vivere con dignità e onore
lontani dalla
violenza di Perse, era essere certo di guadagnare quanto bastava per
poterli
mantenere. Nessuno al Distretto lo avrebbe aiutato, rischiando di
attirare le
ire dell’ex vincitore, perciò la strada per fare
tanti soldi nel minor tempo
possibile era una sola: vincere i Giochi.
-
Devi proteggere mamma ed Enio. Sei pronto a farlo? –
Cratos
si limitò a scrutarlo negli occhi grigi, annuendo
risolutamente, mentre la voce del Presidente risuonava durante la messa
in onda
del video.
-
Sì, lo farò. –
Ares
lo tirò a sé, stringendolo in un breve abbraccio
virile,
e gli rifilò una pacca sulla spalla: - Bene, da oggi contano
su di te. –
-
Ares… -
-
Sì? –
-
Cerca di non farti ammazzare… okay? –
Gli
scompigliò le ciocche castane. – Fila dai tuoi
compagni,
piccoletto, e lascia che di questo mi preoccupi io. –
Cratos
annuì, raggiungendo gli amici, proprio mentre la
Capitolina annunciava il nome della ragazza.
Era
una sedicenne, che fece per avanzare verso il palco, ma
venne bloccata da una voce che si levò dall’ultima
fila.
Era
una delle diciottenni del Distretto e aveva lunghi capelli
scuri, che incorniciavano un volto attraente.
Si
fece avanti, raggiungendo la Capitolina, e si limitò a
proferire il suo nome: - Luna Florens. –
Se
la Capitolina si era aspettata che Luna dicesse qualcosa,
magari professasse il suo desiderio di rendere onore al Distretto,
rimase
disattesa perché la ragazza non pronunciò una
singola parola.
Così,
alquanto perplessa, la donna si diresse all’urna
maschile.
Infilò
una mano all’interno e indugiò per qualche
istante,
alla ricerca del foglietto prescelto. Fu allora che Ares si fece
avanti, deciso
a offrirsi prima di chiunque altro, e alzò un braccio
muscoloso e tatuato a
mezz’aria.
-
Mi offro Volontario! –
Questa
volta la Capitolina non parve affatto contrariata dal
suo comportamento, anzi cominciò a sciorinare una serie di
commenti del tutto
inutili su quanto fosse bello avere un giovane così
coraggioso e pronto a
difendere l’onore del Distretto.
Ares
non aveva mai sentito tante idiozie tutte in una volta
sola, pensò mentre saliva la rampa che lo condusse sul
palco, ma una volta
tanto tenne i commenti sarcastici per sé.
Si
limitò a fermarsi davanti al microfono, presentandosi: -
Ares Sword. –
Poi
si accostò alla sua compagna di Distretto.
La
vide rivolgergli un sorriso lieve, incerto, al quale si
ritrovò a rispondere a sua volta. A quanto sembrava nemmeno
lei era la classica
Favorita affamata di gloria, considerò, e forse sarebbe
potuta anche essere una
persona con cui avrebbe potuto andare d’accordo.
*
Distretto
3
Allison
Frost|
17 anni| Bisessuale
Allison
avanzò lungo il sentiero in ciottolato, diretta verso
il desk delle registrazioni in vista dell’inizio della
Mietitura, consapevole
delle occhiate sdegnose che attirava il suo passaggio. Fino ad un anno
prima
nessuno l’avrebbe mai guardata in quel modo, lei che con il
suo bell’aspetto e
i suoi modi aveva conquistato ogni singolo abitante del Tre, ma le cose
erano
irrimediabilmente cambiate.
La
bella orfana, che tante lacrime aveva strappato ai suoi
concittadini quando era rimasta da sola, era ormai alla stessa stregua
di un
paria da quando la sua relazione con una dei Pacificatori era venuta
allo
scoperto. La sua dolce metà era stata punita per tradimento,
venendo
giustiziata in pubblica piazza, e lei era stata marchiata con
l’infame nomea di
traditrice e familiarizzatrice con gli scagnozzi di Capitol.
Nessuno
avrebbe pianto lacrime per lei, se fosse stata
estratta, di questo era ben consapevole.
E
per un folle attimo, mentre l’ago le penetrava la pelle e
una goccia di sangue cadeva sul lettore elettronico, si
ritrovò a pensare che
non le importava poi così tanto. Ormai era sola, non
c’era più nessuno al mondo
che tenesse a lei o che fosse disposto a starle vicino,
perciò che senso aveva
continuare a cercare di tornare alla vita prima di tutto quel disastro?
Sospirò,
avvicinandosi al blocco delle ragazze del suo anno,
ignorando le risatine e i commenti salaci di alcune delle sue compagne
di
scuola. Non valeva nemmeno la pena di stare ad ascoltare quelle vipere.
Checché
ne dicessero i suoi concittadini, la sua relazione non era stata
motivata da
questioni futili e materiali o dalla volontà di ottenere
favori e privilegi; si
era semplicemente innamorata, così come avevano fatto
centinaia di migliaia di
persone prima di lei, e la sua unica colpa era stata quella di aver
scelto un
membro dei Pacificatori.
Rimase
composta, lasciando che i suoi pensieri si perdessero
mentre vedeva scorrere le immagini del filmato spedito dal Presidente
Snow.
Edwyn
London|
Distretto 3| 16 anni| Bisessuale
Il
cervello di Edwyn stava macinando probabilità, percentuali
e numeri vari a una velocità folle, del tutto incurante
delle parole che
venivano proclamate dal video messaggio. Del resto ormai lo conosceva a
memoria
e, di volta in volta, lo trovava sempre più assurdo e
grottesco.
Il
Distretto Tre aveva cinque ex vincitori, dei quali solo tre
avevano dei figli maschi in età da Giochi.
La
probabilità che venisse estratto era altissima, molto
più
di quanto non fosse mai stata nelle edizioni precedenti,
considerò serrando i
pugni lungo i fianchi e imponendosi di mantenere il respiro regolare.
Ci
mancava soltanto che si lasciasse prendere da una delle sue crisi
d’asma, poi
sì che sarebbe stato nei guai.
-
Cari concittadini, procediamo all’estrazione della ragazza
che rappresenterà il Distretto in questa gloriosa edizione
della memoria! –
C’erano
solo due scelte possibili: Minerva Brown e Allison
Frost.
Minerva
era una ragazza di quindici anni, dall’incredibile QI
e l’indole tendenzialmente introversa. Tutti al Tre
sostenevano che un genio
come il suo si fosse riscontrato nell’ultimo periodo solo nel
celeberrimo
Beetee Latier.
Allison
aveva diciassette anni, la reputazione macchiata da un’onta
terribile, e viveva ormai ai margini della società del Tre.
Non
c’era alcun dubbio su chi tutti sperassero che venisse
estratta.
-
Allison Frost, fatti avanti! –
A
Edwyn parve quasi di sentire l’intero Distretto sospirare
sollevato. Qualcosa d’inaccettabile, pensò di
riflesso, perché ai suoi occhi
quella povera ragazza non aveva fatto assolutamente nulla di male. Che
colpa ne
aveva se amava uno dei Pacificatori? Non si poteva scegliere chi amare
e di
certo…
Il
filo dei suoi pensieri venne interrotto dalla voce acuta
della Capitolina, che teneva stretto tra le mani il foglietto con il
nome del
Tributo maschile.
Maledizione,
sospirò, si era distratto un’altra volta. Sua
madre lo diceva sempre che tendeva a perdere di concentrazione.
-
Ha chiamato te -, gli sussurrò Andrew Forbes dandogli di
gomito, - mi dispiace. –
Lui.
Si
era distratto e la Capitolina aveva estratto proprio lui.
Era
una situazione a dir poco grottesca, considerò mentre le
sue gambe si muovevano in avanti quasi fosse un automa, e se fosse
capitato a
qualcun altro probabilmente sarebbe anche riuscito a vedere
l’ironia della
situazione.
Tuttavia
in quel momento l’unica cosa che il suo cervello
elaborava chiaramente era una: le sue probabilità erano
oltremodo scarse.
*
Distretto
4
Noelle
Vermillion|
18 anni| Eterosessuale
Noelle
si tormentò nervosamente una lunga ciocca di capelli
castano chiaro, attorcigliandola attorno alle dita per poi lasciarla
nuovamente
andare. Stava andando incontro al suo destino, uno che a lungo aveva
rifuggito
e che solo alla fine si era rassegnata ad abbracciare. Dopotutto essere
la
figlia di un ex vincitore, specialmente uno come Max Vermillion, le
aveva
offerto una vita di privilegi e benestare che in moltissimi le avevano
invidiato. Con esse era giunta anche una popolarità non
indifferente, ma al
contempo la necessità di mantenere alta la reputazione della
famiglia e di
scendere a compromessi pur di assecondare i desideri paterni.
A
Max non era infatti bastato che anni prima il suo
primogenito, Shade, avesse vinto i Giochi. No, era fermamente convinto
che
anche Noelle dovesse dimostrare di non essere un disonore o uno spreco
di tempo
per la sua famiglia.
Dal
canto suo, Noelle si era sempre categoricamente rifiutata,
ma un’edizione della memoria era quanto di più
unico potesse esserci e sapeva
già che suo padre non le avrebbe permesso di farla franca se
fosse rimasta nell’ombra
anche quell’anno.
Doveva
offrirsi e doveva vincere, se non altro per cancellare
quell’espressione insofferente dal volto di suo fratello e
quella sdegnosa che
suo padre le rivolgeva ogni volta che riteneva che le sue aspettative
fossero
state disattese.
Quel
giorno sarebbe cambiato tutto, decise uscendo dalla porta
di casa e dirigendosi verso la piazza.
Con
la coda dell’occhio, vide che dall’altro lato del
villaggio dei Vincitori anche la famiglia Odair stava facendo
altrettanto. Si
soffermò appena sul volto di Flyn, l’unico della
sua famiglia ad essere ancora
in età da Giochi, e dal modo corrucciato che aveva ne
dedusse che non sarebbe
stato di certo un volontario.
Non
che qualcuno gli avesse messo pressioni a riguardo, di
questo Noelle era certa, perché gli Odair non avevano mai
spinto nessuno dei
loro primi due figli ad offrirsi, troppo scossi da tutto ciò
che Capitol aveva
fatto loro.
Provò
una lieve invidia a quel pensiero, all’idea di una
famiglia pronta ad accettare i suoi figli per quello che erano senza
alcun
pregiudizio. La scacciò in fretta, continuando a camminare,
perché non era
certo quello il momento di fantasticare su come sarebbe potuta andare
la sua
vita se fosse nata da genitori diversi.
Raggiunse
il Campidoglio, registrandosi e unendosi alle sue
compagne. Attese febbrilmente che il discorso giungesse al termine e,
prima
ancora che la Capitolina potesse avvicinarsi all’urna
femminile, fece svettare
in alto il braccio.
-
Mi offro Volontaria! –
La
donna la invitò a raggiungerla sul palco e, nel farlo,
Noelle si sforzò d’indossare
quell’espressione risoluta e determinata che aveva
visto sfoggiare da tutti gli altri tributi volontari che avevano
partecipato ai
Giochi nel corso degli anni. Si fermò davanti al microfono,
pronunciando
chiaramente il suo nome: - Noelle Vermillion. –
Poi
prese posto al centro del palco e attese pazientemente che
la Capitolina procedesse alla mietitura del suo compagno, sforzandosi
di non
incrociare nemmeno per sbaglio lo sguardo di suo padre. Era infatti
certa che,
guardandolo, quella maschera che aveva creato si sarebbe sgretolata in
mille
pezzi.
Flyn Odair| 17 anni| Bisessuale
Il
fatto che Noelle si fosse offerta come volontaria non lo
spiazzò tanto quanto altri dei suoi compagni. Era vero che
la ragazza non aveva
mai mostrato un sincero interesse per i Giochi, ma i suoi genitori gli
avevano
raccontato quanto bastava di Max Vermillion da sapere che non le
avrebbe mai
permesso di lasciarsi sfuggire un’occasione come quella. Non
faceva un segreto
del fatto che gli dispiacesse per lei.
Noelle
non era male, una volta che si evitava di soffermarsi
sulla facciata che mostrava pubblicamente e ci si concentrava sui
piccoli
dettagli che lasciava trasparire, e Flyn doveva ammettere di essere
sinceramente colpito dalla singolarità del suo modo
d’agire. Aveva dimostrato
una grande tempra già solo riuscendo a vivere per tutti
quegli anni in
compagnia di una famiglia come la sua, considerò,
perciò doveva esserci molto
più in lei di quanto in realtà non apparisse.
La
voce della Capitolina interruppe il flusso dei suoi
pensieri.
Parlava
lentamente, come se si stesse aspettando di vedere
qualche ragazzo offrirsi in modo tempestivo come aveva fatto Noelle; ma
quando
fu chiaro a tutti che nessuno si sarebbe offerto, ebbe un cambio
d’andamento
repentino e velocizzò l’ingresso della sua mano
all’interno dell’urna.
Scelse
il primo foglietto che incontrò le sue lunghe unghie
laccate di verde acido. Lo srotolò teatralmente,
avvicinandosi al microfono, e
asserì: - Flyn Odair! –
L’urlo
di sua madre, nel palchetto riservato agli ex
vincitori, lo spinse a voltarsi nella sua direzione. La vide portarsi
le mani
tra i capelli, il volto rigato dalle lacrime, mentre urlava con quanto
fiato
aveva nei polmoni. I suoi fratelli la sorressero, scortandola via dal
palco,
mentre suo padre rimase al suo posto.
Anche
lui aveva il volto segnato dal dolore e dalla
preoccupazione, ma lo fissava come se volesse infondergli la sua
vicinanza in
quel momento spaventoso. Così ricambiò il suo
sguardo, poi si fece largo tra i
suoi compagni e marciò dritto verso il palco. Lo fece
guardando dritto davanti
a sé, mentre le urla di sua madre gli giungevano ovattate a
causa della
lontananza.
Si
sistemò accanto a Noelle, sforzandosi di mettere da parte
quella morsa allo stomaco e la sensazione di essere prossimo a svenire
da un
momento all’altro; ammiccò all’indirizzo
della telecamera, che si soffermava
per offrire un primo piano dei due tributi del Quattro, poi
cercò la mano di
Noelle e la strinse, intrecciando le dita alle sue.
La
sentì irrigidirsi appena, ma non interruppe il contatto.
Fece svettare le loro mani giunte verso l’alto, continuando a
sorridere,
riscuotendo l’applauso caloroso dei loro concittadini. Se
proprio dovevano
andare incontro alla morte allora tanto valeva cercare di catturare
l’attenzione
e il favore di possibili sponsor fin dal principio.