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Autore: Dalybook04    21/05/2020    1 recensioni
Francia osserva soddisfatto la sua Notre Dame.
Quando Francia rivede Romano, non riesce a non notare quanto sia diverso dal fratello.
Francia ha visto Inghilterra piangere pochissime volte, così poche da poter essere contate sulle dita di una mano.
Francia osserva Austria e la sua nuova regina.
Francia ha un ottimo intuito.
Francia è sempre stato uno parecchio ferreo nei suoi giudizi.
Al primo meeting mondiale del nuovo millennio, Francia nota diverse cose.
Francia ogni tanto osserva la sua vecchia divisa napoleonica e il suo abito da moschettiere con nostalgia.
Francia passeggia per Parigi fischiettando.
***
Un insieme di riflessioni, storielle e aneddoti per mostrare come Francia veda il resto del mondo.
_accenni Fruk, Spamano e Gerita_
Genere: Introspettivo, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Francia osserva soddisfatto la sua Notre Dame.
Quella è una vera rivoluzione! Prima San Denis, ora quella. San Denis è sorta sulle ceneri di una vecchia cattedrale. Notre Dame, invece, è nata dal nulla. Ex novo, come direbbe l'Impero Romano, se ancora fosse in piedi. E a proposito di Impero Romano...
Si volta verso il suo piccolo ospite. Entusiasta del suo nuovo acquisto, ha invitato il cugino, se così possiamo chiamarlo, dall'altra parte delle Alpi, per sbattergli in faccia la sua nuova invenzione. Veneziano è sempre stato l'artista di famiglia, insieme a Romano. Loro due sono sempre stati quelli con gli edifici migliori, le città più ricche. Romano ha Roma, o almeno l'ha avuta, insomma: la Città Eterna, che secondo Francia è ormai acqua passata. Il primo nipote dell'Impero però non si è rassegnato e cerca ancora di ricostruire un impero pari a quello del Nonno, come se ne fosse capace. C'è più o meno riuscito Carlo Magno, un altro dei gioiellini dei Franchi, anche se Impero Romano non lo è riuscito a eguagliare nessuno. Il suo Federico II(1) non ha speranze, lo sa anche lui, nonostante si rifiuti di ammetterlo. Povero, orgoglioso e ottuso Romano! Carine le sue chiese, certo, ma nelle nuove cattedrali francesi ("gotiche", le chiamavano in maniera dispregiativa, quegli ignoranti) c'è del genio, della novità, dei cambiamento, dell'innovazione. Quelle sono cattedrali belle: luminose, alte, slanciate, con le vetrate colorate e la luce che entra liberamente e riempe tutto quanto di magia.
E Veneziano? Oh, anche Veneziano sta osservando Notre Dame, con occhio critico. Di certo sta per congraturarsi, magari anche commuoversi, ammettere che le sue spoglie e semplici chiesupole non possono minimamente competere con quelle francesi, scusarsi per averle dispregiate e promettere di farne costruire di simili, anche se non altrettanto maestose per una questione di rispetto, per sostituire le sue noiose chiese francescane.
-allora? Che ne pensi?- glielo chiede, gongolando già, sicuro della sua risposta. Veneziano si prende ancora un attimo per rispondere, probabilmente accantonando il suo poco orgoglio per ammettere la sua sconfitta. Certo, il Nord Italia non è mai stato particolarmente orgoglioso (di sicuro neanche lontanamente quanto suo fratello, che pure non vede da secoli), ma in fondo un minimo di amor proprio da qualche parte deve avercelo. Per questo Francia aspetta, paziente, ridendo sotto i baffi, e gli lascia il suo tempo.
-non so, Francia- il giudizio finalmente esce dalla sua piccola boccuccia di rosa. Il biondo tende l'orecchio, pronto a sentire i complimenti arrivare. Eccoli, già sente le congratulazioni, le scuse, le... -è carina, ma mi sembra molto fredda.
Quello di certo non se lo aspetta.
-fredda?!
Il piccolo annuisce, con lo sguardo ancora fisso sull'alta struttura -ve, voglio dire, è molto bella, senza dubbio, ma...
-ma...?!- lo invoglia a continuare, sentendo la rabbia crescere. Come osa definire il suo capolavoro "freddo"?! E poi, che diamine vuol dire?!
-nel senso, ve, c'è poco contatto tra il predicatore e chi ascolta.
Oh, certo. L'Italia e i suoi ordini predicatori(2). Francia si trattiene dal roteare gli occhi.
-qui non si fanno tutte quelle prediche- replica freddo -non c'è bisogno che la genta veda, ascolti e capisca quello che si dice.
-ve, ma che senso ha pregare in chiesa se non si capisce cosa si dice?
-si può ascoltare anche senza essere vicini a chi parla. Guardare da lontano rende il tutto più sacro. Nostro Signore non è forse nell'alto dei Cieli, lontano da noi?- è soddisfatto della sua risposta, ora quello scricciolo irritante non potrà più replicare e dovrà dargli ragione.
-ve, ma noi non siamo Nostro Signore- replica quello (ma non ci sta mai zitto?), con gli occhi ancora fissi sull'edificio di fronte a loro -la vita è già brutta così, tanto vale starsi vicini.
Parole ironiche dette da una nazione divisa in signorie, città, indipendenti o meno, e in generale ben poco coesa, ma forse quelle parole sono dovute proprio a quello. Forse sono un riflesso inconscio di Veneziano, che vorrebbe poter essere chiamato Italia con il fratello al suo fianco. Francia lo intuisce e decide di non replicare. Gli fa troppa pena, quella piccola nazione ancora debole e divisa, non ha il cuore di ferirlo, anche se le parole gli solleticano la punta della lingua. Veneziano finalmente si volta a guardarlo e sorride -ma questa è una tua cattedrale, Francia. Bella è bella, indubbiamente. Ogni edificio deve riflettere la nazione a cui appartiene, no? L'importante è che piaccia a te. De gustibus...(3)
Francia annuisce di nuovo -certo- ma quelle parole innocenti lo fanno pensare a ben altro. Veneziano lo considera freddo? Lui non è freddo!
Veneziano continua a sorridergli, sereno nonostante le occhiaie che gli circondano gli occhietti vispi e attenti.
-dici così perché non assomiglia alle opere di Nonno Roma- gli esce alla fine, con lo stesso tono infantile che usa per controbattere a Inghilterra quando quello lo critica per i suoi vestiti femminili -tu e Romano continuate a essere fissati con lui.
A sentire il nome del fratello e del nonno, Veneziano curva un po' le spalle, ma si affretta a rassicurarlo.
-no, no, non è quello che intendevo. Non dico che non sia bella, solo...
-solo non è quello che farebbe Roma- fa una breve risata -per questo lo chiamate gotico. Ma Roma è morto. L'Impero non c'è più. Bisogna andare avanti- indica la cattedrale, con il volto arrossato dalla rabbia -questo è il futuro. Questa è una bellezza che neanche il tuo caro nonno avrebbe potuto eguagliare!
Il piccolo si limita a osservarlo in silenzio, con l'aria di chi non capisce o capisce ma sa che l'altro sbaglia e non vuole umiliarlo per pietà. A quell'espressione, Francia si infuria ancora di più.
-è davvero una bella cattedrale. Non rispetta a pieno il mio gusto, ma è innnegabile che sia meravigliosa. Complimenti- gli dice infine, sorridendo, e se ne va. Francia pensava che avrebbe provato soddisfazione sentendoglielo dire, invece è solo arrabbiato. Guardandolo camminare a spalle chine verso il sole calante, diretto alle Alpi per tornare a casa, e osservando la sua ombra proiettata su Notre Dame, Francia si ricorda all'improvviso che tecnicamente quello scricciolo è più vecchio di lui.
Sbuffa.
Si è sbagliato. Veneziano è molto più orgoglioso di Romano, talmente orgoglioso che lo nasconde dietro a un sorriso. Sospira, si lascia scivolare i suoi commenti (inventati sicuramente sul momento pur di non dargli ragione) addosso, sorride e riprende a guardare la sua cattedrale. Il suo gioiello. Il suo capolavoro. La sua Notre Dame.
È solo qualche secolo dopo che Francia è costretto a ripensare a quell'incontro con Veneziano.
Il Rinascimento. Quello è il nuovo capolavoro di quello scricciolo, quella è la nuova influenza mondiale, il nuovo cambiamento. Un cambiamento che affonda le radici nel passato, ne apprende i segreti e li sfrutta per creare un qualcosa di nuovo.
Francia deve ammettere di esserne ammirato. Si aspetta quasi che Veneziano lo inviti a Firenze per vantarsene, ma quello non lo fa. A quanto pare è così orgoglioso e testardo da non volersi neanche prendere una soddisfazione pur di non ammettere di essere peggiore del suo stesso fratello. Veneziano non lo invita, non gli dice nulla; eppure il francese sa che si sta godendo la sua Firenze, la sua arte, la sua vittoria, sa che è entusiasta, felice, soddisfatto di aver riportato, seppur solo artisticamente, l'Italia al centro del mondo, degno erede di Roma.
E pensare che lo derideva per i suoi legami con il passato. Di certo non si aspettava una rivoluzione così totale e completa: chi poteva immaginare che dalle ceneri dell'Impero Caduto si potesse trarre ancora qualcosa? Avrebbero dovuto ricordarsi, sciocchi, che le ceneri sono ottime per far crescere la terra. Una cosa che ha sempre stupito Francia è proprio il fatto che nei cimiteri, nei luoghi di morte, crescano così tanti fiori; eppure solo Veneziano, che è stato spesso messo in ginocchio da altre nazioni e per questo la terra è stato costretto a ingoiarla e a lavorarla per poter mangiare, ha ricollegato i due fatti e ha saputo sfruttarli per dimostrare al mondo che, anche se divisa e in ginocchio, l'Italia, da nord a sud, ha ancora tanto da offrire e non sarà mai sottomessa a nessuno.
Francia osserva ammirato Firenze, non ha resistito alla curiosità e ci è andato comunque. Voleva vedere con i suoi occhi il più grande capolavoro di Veneziano. Lo vede da lontano che parla amabilmente con un mercante. Non capisce cosa dicono, ma non gli interessa granché. Osserva la piccola nazione, sicuro di trovarla fiera, orgogliosa, sprezzante e irriverente, sicura di sé stessa, compiaciuta di tutte le attenzioni che le vengono rivolte e che, Francia deve ammetterlo, si è meritata. Lo osserva, ma non trova grandi cambiamenti in lui; è un po' più alto, con occhiaie meno pronunciate e il viso meno scarno, il sorriso sempre ampio e cordiale, ma non c'è traccia di orgoglio nella sua postura, nei suoi modi, nel suo tono di voce, solo contentezza e cordialità.
Certo che quello scricciolo, che ora gli arriva appena sopra alla cintura, è proprio un attore con i fiocchi.
Tornato a casa osserva Notre Dame, pensieroso.
"Ogni edificio deve riflettere la nazione a cui appartiene, no?"
Scaccia le parole di Veneziano dalla sua testa come mosche fastidiose e si sforza di non pensarci.
Quando secoli dopo vede il suo stesso popolo, lo stesso popolo che lui aveva incitato alla rivolta entusiasta come un bambino che fa il bagno in sangue e libertà, saccheggiare la cattedrale, sente il suo cuore infrangersi in mille pezzi(4).
"Ogni edificio deve riflettere la nazione a cui appartiene, no?"
Una cattedrale ammirata in tutto il modo fatta di luce e apparenza, distrutta dal suo stesso popolo.
Francia si forza a distogliere lo sguardo e se ne va, calciando un sassolino.
Fottuto Veneziano.
Anni dopo lo rivede. Gli sembra così piccolo, ma d'altronde Francia è seduto su un possente cavallo bianco, al fianco di Napoleone, mentre Veneziano è a terra, che li osserva curioso.
Quando rimangono soli, lo scricciolo si dice dispiaciuto per quanto successo durante la rivoluzione francese e per Notre Dame.
-era davvero una bella cattedrale, notevole e geniale- gli prende la mano guantata dal miglior tessuto tra le sue manine scarne e graffiate -è un vero peccato, ve, non oso immaginare quanto tu ci sia stato male.
Francia lo guarda con sufficienza, aspettandosi quasi di sentirlo vantarsi di come invece Firenze sia ancora in piedi. Le sue occhiaie sono ancora marcate, le guance scarne e i capelli sporchi. Era stato davvero male, constata con non curanza. Essere conquistato da altri ed essere tu stesso diviso dall'interno non deve essere piacevole.
D'un tratto realizza che non si ricorda di che colore fossero i suoi occhi. Non lo guarda dritto negli occhi da secoli, anche se non ne capisce il motivo. Solleva lo sguardo e... oh.
Non c'è altro che sincero dispiacere e sofferenza.
Forse quello troppo orgoglioso non è Veneziano, dopo tutto.

Quando Francia rivede Romano, non riesce a non notare quanto sia diverso dal fratello. È andato a trovare Spagna, ma quando ad aprirgli la porta è la colonia non riesce a non rimanere stupito. Sì, si aspettava un servitore, ma non lui. Non ha pensato al fatto che, andando a trovare l'amico, avrebbe potuto rivederlo. Se ne rende conto ora, mentre quello lo guarda scocciato intimandolo ad entrare.
-Francis!- solo Spagna e Prussia sono autorizzati a usare il suo vero nome -eccoti, finalmente. Ti prego di scusare il mio Romanito, non intendeva essere scortese.
-io intendevo esserlo, bastardo!- Romano è alto, arriva alle spalle di Francia, ben più alto del fratellino. Ha capelli e pelle più scuri, gli occhi più verdi, il fisico più scarno, lo spirito più ribelle. Porta una spada sottile al fianco, così diversa dall'enorme ascia che ha sempre dietro il suo padrone. La sua protesta però si stronca sul nascere quando Antonio gli lancia un'occhiata di ammonimento, esasperata quanto quella di un genitore e severa quanto quella di un boia davanti a un torturato che proprio non vuole confessare. Romano lancia a entrambi un'occhiata piena di veleno, ma se ne va in silenzio.
-ti prego di scusarlo- Spagna gli sorride. Negli ultimi tempi gli fa un po' paura il sorriso di Spagna -ho pensato che magari ti avrebbe fatto piacere rivederlo. So che sei vicino a Feli e spesso vi incontrate, ma il mio Lovi è più isolato- Feli è il diminutivo di Feliciano, ovvero Veneziano. Lovi di Lovino, ovvero Romano. Francia sa che l'amico usa spesso i nomi veri delle nazioni, più per abitudine che per un reale motivo, ma c'è qualcosa di inquietante e possessivo nel modo in cui usa dei nomignoli per i due fratelli Italia, come se fosse loro amico stretto. Le "amicizie strette" con un Impero non sono mai positive, e il modo in cui continua a ripetere "il mio Romanito" lascia ben intendere il motivo. Francia sa che l'amico nell'ultimo periodo è parecchio esaltato, con la storia dell'Invincibile Armada e tutto il resto, ma forse qualcuno dovrebbe ricordargli, a lui che è tanto cattolico, che Dio è l'unico veramente invincibile -il mio Lovi è in fase di ribellione, sai come sono i ragazzi- Francia è tentato di ricordargli che il "suo Lovi" è in fase di ribellione da più o meno quando è nato, ma si limita ad annuire con un mezzo sorriso -ha sempre questa sciocca idea di rendersi indipendente...- ride, l'Impero. Ironicamente, Francia si ritrova a pensare che il destino di Romano, e di Veneziano, forse è proprio quello: restare sotto un Impero. La prima volta come centro, la seconda come schiavi, e la terza chissà. Forse un giorno i due fratelli torneranno uniti, ma ne dubita. Non con Spagna così follemente attaccato al "suo Lovi", non con Veneziano così piccolo e indifeso.
Spagna gli fa paura, ecco la verità: è folle, non c'è altro modo per definirlo. L'inquisizione spagnola? Un incubo. Quello che combina nelle sue colonie in America? Uno scempio. La sua sanità mentale? Decisamente a rischio. Antonio in fondo è un ragazzino, un ragazzino con una grande ascia che si è ritrovato con troppo potere, troppe terre e troppi nemici. Sta crollando, lo vede dalla tensione delle sue spalle, dalle rughe di preoccupazione sulla fronte, dalle mani che tremano quando non stringono un'arma. Romano è l'unica certezza che ha: Romano è il suo tesoro più grande, l'unica cosa che è certo rimarrà sempre con lui; è troppo accecato per accorgersi che quella "fase di ribellione", come la chiama lui, è ben più di una banale fase adolescenziale. Troppo cieco e disperato per notare l'odio in quegli occhi che lui trova così adorabili, per notare come Romano metta istintivamente mano alla spadina che porta al fianco ogni volta che il suo padrone si rivolge a lui, per notare come sussulti ogni volta che sente le parole "mio Lovi" o "mio Romanito". Spagna è troppo cieco, ma Francia ci vede benissimo e quel pomeriggio, osservando i comportamenti della colonia, si convince più che mai che un giorno, forse lontano o forse vicino, quel ragazzino riuscirà a liberarsi di lui.
Quando secoli dopo gli strappano via il suo giocattolo preferito, Antonio diventa una bestia. Francia lo sente strepitare e urlare da casa sua, oltre i Pirenei. Sospira.
Alla fine tutte quelle urla e quegli anni di battaglie servono a qualcosa, perché riesce a ottenere in piccola parte ciò che vuole. Romano torna in parte sotto il suo controllo. Francia lo intravede di sfuggita una sola volta, ma quel che vede basta a dargli i brividi: è lacerato in due, corre un po' da Austria un po' da Spagna, sta per crollare. Da ciò che gli racconta Spagna, il ragazzino scappa a ogni occasione propizia, si nasconde in ogni luogo possibile, disobbedisce a ogni ordine ed è praticamente ingestibile. Antonio gliene parla con il tono di una mamma esasperata, stanca ma divertita dalle ribellioni inutili del figlio. Ha ancora gli occhi ciechi, vede ciò che vuole vedere.
Quando Romano si allontana da lui per la seconda e ultima volta, di sua spontanea volontà però, Francia è lì che asciuga le sue lacrime e cerca di consolarlo, dandosi mentalmente ragione. Era inevitabile: sarebbe successo prima o poi. Antonio era solo troppo coinvolto per rendersene conto.
-dove ho sbagliato, Francis?- gli chiede, disperato come non lo aveva mai visto. Ha gli occhi rossi, le guance scavate dalle lacrime, la schiena così china che sembra piegata in due, le mani tra i capelli. Francia ignora il sangue secco che sporca i suoi guanti candidi e si limita a dargli qualche pacca sulle spalle, senza rispondere alla sua domanda. Non perché non sappia che dirgli, ma perché non saprebbe da dove cominciare. Sa che anche Antonio lo sa, glielo legge negli occhi verdi, che le lacrime hanno snebbiato e riempito di sensi di colpa. Lo sa perché da quel giorno non dice mai più "il mio Lovi", ma solo "Romano".
Francia rivede Romano molti anni dopo, quando ormai il ragazzino che ricordava è cresciuto e si è unito sotto un'unica corona con suo fratello. Lo vede per caso e lo riconosce a stento. Ora è un adulto, è evidente. Non c'è un vero motivo per cui si incontrano, semplicemente si incrociano per strada. Francia stava andando a casa di Antonio per un incontro tra amici con lo spagnolo e Prussia, quando ha visto il meridione italiano andare nella direzione opposta alla sua. Quello che ora è il Sud Italia incrocia lo sguardo con lui solo per un attimo prima di cambiare strada, ma quell'attimo basta al francese per capire fin troppe cose. Prima tra tutte, che Lovino era andato a casa di Antonio.
Ma perché? Non è più il suo padrone, non ce n'è motivo. Lo capisce perché l'italiano aveva la stessa espressione di tanti anni prima: odio misto a qualcosa che non riesce ancora oggi a capire del tutto. Quel ragazzino (perché per lui una nazione con meno di 500 anni di storia come stato indipendente è solo un ragazzino) nasconde in sé molte più cose di quante ne mostri, di quello ne è certo.
Quando arriva a casa di Spagna e gli chiede se abbia più rivisto l'ex colonia, quello si rabbuia e gli dice che non lo vedeva da oltre un secolo.
Quella sera, ripesandoci, Francia trae una conclusione.
Romano ha odiato Spagna, quello è chiaro come il sole. Ma probabilmente, una volta lontano da lui, ha cominciato a sentirne la mancanza, per cui a volte va a casa sua per cercare di parlargli, ma senza successo. In quanto nazione dell'amore, Francis può ben immaginare il motivo: Lovino è innamorato di Antonio, ma è troppo orgoglioso e segnato dal passato per ammetterlo a sé stesso e accettarlo.
Chissà quale sarebbe la reazione dei diretti interessati se gli spiegasse la sua teoria... Spagna probabilmente sclererebbe come una ragazzina, mentre Sud Italia lo prenderebbe a pugni.
Francia però di certo non immagina che Romano ne sia perfettamente consapevole e lo abbia accettato da tempo. C'è un motivo se l'Italia è il secondo in classifica come paese dell'amore. Certo, l'italiano è parecchio orgoglioso, ma non è stupido e sa che negare l'evidenza non porta a niente. Non ha il coraggio di bussare alla sua porta; per dirgli cosa, poi? Mi manchi? Ti amo? Neanche sotto tortura! Per ora si limita a osservarlo da lontano, notando le differenza dal passato, l'espressione più rilassata, gli occhi meno folli che gli fanno tirare un sospiro di sollievo. Romano sa che suo fratello sa, ma non chiederà aiuto. Semplicemente è convinto che con il tempo passerà, ignorando il fatto che, sotto tutto quel odio, una cotta per Spagna l'aveva sempre avuta e non l'ha ancora superata.
Non passerà mai, ma Lovino non ha il coraggio di ammetterlo e affrontare le conseguenze.
La verità è questa, ma Francis cosa ne può sapere?

Francia ha visto Inghilterra piangere pochissime volte, così poche da poter essere contate sulle dita di una mano. Ma ritrovarselo in lacrime davanti alla porta di casa durante la guerra tra lui e la sua ex colonia proprio non se lo aspettava. Non da Arthur, che è così orgoglioso, e non dopo che lui stesso ha aiutato America a liberarsi. Eppure per qualche motivo se lo ritrova lì.
Si aspetta di tutto: che lo insulti, che lo aggredisca, che lo picchi, che gli urli addosso il peggio del peggio o che persino lo ringrazi per avergli tolto dai piedi una simile peste. Sono nemici e sempre lo sono stati: tra loro funziona così e così ha sempre funzionato.
Di certo non si aspetta che lo abbracci e scoppi in lacrime tra le sue braccia.
Per un attimo è convinto che sia tutto un trucco per accoltellarlo di nascosto ma, quando sente Arthur singhiozzare contro il suo orecchio, istintivamente lo stringe a sé, cercando di calmarlo.
-ti odio- singhiozza Inghilterra -odio te, odio quell'ingrato e odio il tuo maledetto Lafayette- tira su con il naso -l'ho sempre trattato bene, sono stato come un padre per lui. Perché mi ha abbandonato, eh? Perché?! Non gli ho fatto niente!
E allora Francia capisce perché l'inglese sia venuto da lui: perché è l'ultima cosa che ancora ha un senso. America lo ha abbandonato, Canada ha dato fuoco alla Casa Bianca(5). Lui è rimasto l'unico coerente, l'ultima ancora a cui aggrapparsi ora che il mondo sembra capovolto e niente è come doveva essere, neanche Arthur stesso. Così lascia ricadere le braccia lungo i fianchi, lasciandolo piangere abbracciato a lui, senza rassicurarlo. Il suo istinto gli dice di farlo, ma non è ciò di cui ha bisogno Arthur. Non Inghilterra, attenzione, ma Arthur.
-ti odio anch'io- gli risponde solo, quasi come una dichiarazione d'amore. Anche perché all'altra domanda anche qui non sa da dove cominciare. Lui di certo capisce gli ideali di libertà, li aveva praticamente inventati lui, quindi tende ad empatizzare con le colonie.
-è per il tè- Arthur continua a stringerlo, bagnandogli la camicia costosa di lacrime -se voleva che gli abbassassi la tassa sul tè bastava dirlo. In qualche modo avrei convinto George(6). Non serviva fare una guerra per del fottuto tè, cazzo!
Sentire Inghilterra imprecare sul tè è una cosa singolare, non c'è che dire. Come fa a spiegargli che il tè non è stato altro che la così detta "goccia che fa traboccare il vaso"? Il problema con gli Imperi è proprio questo: si fanno prendere dalle manie di grandezza e non si rendono conto che ciò che hanno conquistato non è altro che un prestito forzato. Le nazioni che hanno conquistato sono proprio questo: nazioni. Ciò che li rende nazioni è proprio la loro storia, la loro cultura e la loro indipendenza. Nessuna colonia rimarrà tale per sempre: o si libererà o morirà. Era inevitabile che anche America si separasse, lui è solo stato tra i primi a farlo. Anche Canada lo farà, Francia ne è certo. Anche Veneziano e Romano avranno la loro Italia unita, un giorno, è inevitabile. Ma gli Imperi se ne dimenticano e si convincono che le loro colonie siano loro.
Anche Francia se ne dimenticherà, ma quella sera, lasciandosi stringere da Arthur, ne è più cosciente che mai.

Francia osserva Austria e la sua nuova regina. Maria Antonietta, così si chiama; è una ragazzina, gli fa quasi pena. Sembra perdersi in quell'abito così sfarzoso e ricco. Le bacia la mano. Ora lei sarà la sua regina. Una regina austriaca.
Lancia un'occhiata ad Austria, impassibile e impeccabile come sempre. Nessuno la accetterà. Una regina straniera? La odieranno. La giovane regina dovrà darsi da fare per piacere a qualcuno. Avrà anche una corona sulla testa e un esercito ai suoi piedi, ma non significa che il popolo le obbedirà.
Francia tossisce in un fazzoletto, sporcandolo di sangue. Lo mette via in fretta, senza farsi vedere.
Il suo popolo non ce la fa più. La gente ha fame. La gente muore ogni giorno, da sempre la gente muore ogni giorno, è il ciclo della vita, ma osservando l'abito della regina si chiede con astio quanti francesi si potrebbero salvare con un millesimo del costo di quel vestito. Migliaia, probabilmente. Nell'ultimo periodo si è fatto più freddo, più cinico nei confronti delle autorità e più attento nei confronti dei suoi cittadini. Indossa anche lui abiti ricchi ed elaborati, ma cerca di aiutare come può i francesi.
Sorride freddamente alla giovane regnante e ringrazia la nazione per averla accompagnata fin lì. Augura una buona permanenza a Maria Antonietta e che l'unione con Austria sia prospera e vantaggiosa per entrambi. Mentalmente però la odia già.
Quella regina così giovane e viziata è troppo superficiale. Troppo ingenua. Troppo egocentrica. Non ha mai visto nulla al di fuori della sua reggia dorata, non sa nulla della povertà e non le interessa scoprirlo. Quella mano morbida che Francia sta stringendo non ha mai conosciuto altro che morbida seta e cibo abbondante. Ricchezza, vestiti ampi e bellissimi, dolci e vino.
Francis sente in sé il cambiamento. Lo sa, sa che sta per succedere qualcosa, qualcosa di grosso. Quando una nazione cambia significa che la mentalità del suo popolo sta cambiando e non è mai una cosa positiva. Certo, il cambiamento è il cambiamento. Un cambiamento può essere negativo o meno, ma quando si parla di nazioni non è mai positivo. Muore sempre qualcuno. Francis non riesce a considerare la morte di un suo cittadino come una cosa positiva, per quanto quello possa esserselo meritato. Per lui è come veder morire un figlio.
Ne sta perdendo tanti di figli negli ultimi tempi.
Dicono che i cani sentano i terremoti prima. Be', Francia sente che sta succedendo qualcosa prima ancora che succeda. Sente la rabbia torcergli le viscere, avvolgersi intorno al suo cuore e stritolarglielo. Sente il dolore e la fame dei suoi figli come se fossero suoi. Sente la disperazione dei francesi soffocarlo.
Si sente una bomba sul punto di esplodere e sa che il suo popolo è messo anche peggio.
Osserva i banchetti, le cerimonie, i vestiti sontuosi di Maria Antonietta, con disgusto. Che mangino le brioches, dice. Non hanno il pane, allora mangino le brioches. Oh, povera, sciocca, austriaca Maria Antonietta.
Quando vede la sua testa venire tagliata da un boia non può dire di essere dispiaciuto o sorpreso. Un po' pena gliela faceva, quella fanciulla persa tra gli agi, ma lui rappresenta il suo popolo e il suo popolo ha fame. Lascerà ad Austria il compito di piangerla. Quando decapitano re e nobili francesi si concede di versare una lacrima per loro. Una sola però. Tutti i suoi altri figli sono lì, gioiosi, che urlano e acclamano per avere giustizia e pane.
Libertè
Egalitè
Fraternitè
Che parole meravigliose.

Francia ha un ottimo intuito. Si aspettava la sua rivoluzione. Si aspettava l'indipendenza di America. Si aspettava l'allontanamento di Romano. Va bene, l'inquisizione spagnola non se l'aspettava, ma in fondo nessuno si era aspettato l'inquisizione spagnola.
Ma vedere quello scapestrato di Prussia con un marmocchio a carico? Quello è un qualcosa che proprio non si aspettava.
Quel bambino lo incuriosisce. Germania lo chiamano. Allemagne. Sembra così serio, freddo, preciso, il contrario del fratello maggiore. Francia lo osserva, cercando di intuire cosa prevede il futuro per quel piccoletto che ora gli restituisce lo sguardo, limitatamente incuriosito dal suo atteggiamento.
-ti piace il mio fratellino, eh?- Prussia è orgoglioso, fiero del suo nuovo acquisto che ha strappato alla custodia di Austria. Ogni vittoria su Austria è motivo per lui di particolare orgoglio.
Francia guarda il bambino dritto negli occhi azzurri, che lo stanno studiando con precisione chirurgica. Deglutisce e si sforza di sorridere. Non gli piace quel bambino, lo mette in soggezione.
-è molto... tranquillo- certo, anche il suo petit Canada era molto tranquillo, ma almeno lui sorrideva.
-kesesesese, tutto merito mio! Sono un magnifico educatore.
Francia ha i suoi dubbi, ma li tiene per sé. Quella giovane nazione lo spaventa. Ha la sensazione che il futuro gli riserverà grandi cose. Terribili, ma grandi. Quel ragazzino è troppo freddo, troppo apatico. Gli ricorda quei ragazzini nordici vicini a Inghilterra. Gli dà una sensazione simile: come se il gelo delle sue terre gli fosse entrato anche nel cuore. Riporta lo sguardo su Prussia. Rimane un secondo stupito, per qualche strano motivo, di quanto siano bianchi i suoi capelli. Sembrano fatti di neve, come quelli di un vecchio. I vecchi non vivono mai a lungo.
Scaccia via questo pensiero con un sorriso -è carino. Cos'è, una tua colonia?
-io sono Germania- interviene il piccoletto -sono uno stato indipendente. Sarò una grande nazione.
Fa un po' ridere sentire un bambino dire queste cose con aria così seria e sicura di sé, ma per qualche motivo Francia non esita a crederci.
Quel piccoletto porterà guai, se lo sente.
A volte odia il suo intuito, soprattutto quando ha ragione.

Francia è sempre stato uno parecchio ferreo nei suoi giudizi. Nonostante questo, è disposto a dei compromessi. Per quanto possa odiare Angleterre, è disposto a cambiare opinione su di lui (forse), anche ad allearsi con lui, in caso di estremo (molto estremo) bisogno. Deve ammettere che il suo eterno nemico lo conosce meglio di quanto lui conosca sé stesso e viceversa, lo riconosce. Secoli di rivalità portano a questo, alla fin fine. Per odiare qualcuno devi conoscerlo, per evidenziare meglio punti deboli, difetti e cattive abitudini e argomentare per bene il tuo odio. Raramente cambiava opinione su qualcuno, ma a volte succedeva.
Austria però gli è sempre stato, per usare un francesismo, sul cazzo.
Certo, a volte si è alleato con lui contro Inghilterra, ma dopo la morte di Maria Antonietta... be', non è che siano andati esattamente d'amore e d'accordo. Per questo, quando sente degli eventi di Sarajevo, gli vengono i brividi. Da decenni l'Europa è in tensione, lo sanno tutti. Sembra sempre che stia per esplodere qualcosa e quell'attentato è un fiammifero acceso in un deposito di armi da fuoco difettose. Da lì alla Prima Guerra Mondiale è tutto più veloce di quanto sembri.
La guerra è orribile, non la si può descrivere in altro modo.
Quando Veneziano e Romano cambiano fazione non può dire di non esserselo aspettato. Gli fanno pena, quella è la loro prima guerra insieme. Sono entrambi adulti adesso, ma così magrolini e deboli che gli sembrano ancora dei bambini. Veneziano è ancora diviso, gli manca il Trentino. Quando poi non gli danno ciò che avevano promesso, nel vedere il bambino che aveva visto crescere piangere così forte Francia si sente un verme. Romano li guarda con un odio visibile negli occhi verdognoli, mentre porta via il fratello rassicurandolo a bassa voce in quel italiano ancora un po' estraneo sulla sua lingua.
Quando rivede Germania gli vengono i brividi; è debole, si vede. La guerra che doveva essere veloce è stata devastante per tutti, soprattutto per lui e suo fratello. Però gli fa anche paura. Ora il tedesco è alto, forte, muscoloso, ancora freddo e ancora inflessibile, così diverso esternamente e così simile internamente a quel bambino di tanti anni prima. Francia ha paura di lui. Inghilterra, impassibile, sorride divertito e sprezzante nel vederlo, sicuro e gongolante nella sua vittoria. Gli fa strano, a Francia, vedere quel sorrisetto di superiorità rivolto a qualcuno che non sia lui. Con la solita allegria entusiasta, America legge la serie di sanzioni imposte ai due fratelli tedeschi. Francia si sforza di non guardare Prussia, che lo guarda arrabbiato, confuso, ferito e soprattutto stanco. La maggior parte di quelle sanzioni gliele ha imposte lui, per guadagnarci qualcosa certo, ma anche per paura. Germania lo spaventa, lo spaventa ciò che potrebbe diventare. Meglio tenerlo buono e indifeso per un po'.
Quando lo vede di nuovo, Germania sta superando la sua linea maginot come se niente fosse, di nuovo forte, con Prussia al suo fianco e una svastica al braccio. Lo conquistano senza problemi e Francia si ritrova diviso in due. Ripensa a Veneziano e Romano e non può che chiedersi come siano riusciti a resistere per tanti secoli divisi in tanti piccoli pezzi, lui che sta soffrendo solo per un confine solo. Si sente ancora di più un verme, avrebbero proprio dovuto dargli ciò che si meritavano. Ora Veneziano, camicia nera e Duce al fianco, li odia abbastanza da intervenire contro di loro. Francia intravede Romano solo una volta, ma proprio non riesce a leggere ciò che nasconde dietro i suoi occhi. Può solo immaginare come si senta, con una dittatura in corso, suo fratello esaltato per tutte quelle morti e il suo vecchio padrone, che era stato per secoli il suo punto fermo nonostante quanto lo odi e ami, in ginocchio dopo Guernica e la dittatura franchista. Dovunque si volti vede rovina e distruzione: da un lato i nazisti, dall'altro i francesi favorevoli ai nazisti. Onestamente non sa chi sia peggio. Quando vede sbarcare Inghilterra in Normandia quasi si mette a piangere per il sollievo. Gli corre incontro e lo abbraccia, perché non ce la fa più e il sollievo è troppo grande per ragionare.
Quando scopre com'è la situazione in Italia per poco non sviene. Partigiani da una parte, nazisti dall'altra; è tutto così incasinato che non capisce come riescano a reggere i due fratelli Italia. Il 25 aprile si liberano. Una città dopo l'altra, pezzo dopo pezzo, piano piano si liberano del tutto.
Quando Germania crolla, Francia cerca di provare compassione per lui, ma non ci riesce. Hanno sofferto tutti, il mondo intero, per colpa di quel baffetto maledetto. Lo dividono da suo fratello e Francia prova pena per Gilbert, che ormai non è più Prussia ma solo Est Germania, solo soletto con Russia. Solo quando il muro crolla Francia realizza all'improvviso che tutta quella situazione era stata anche colpa sua, che per paura aveva ridotto i tedeschi allo stremo, e realizza che verme sia stato. Forse si era meritato tutto quello.
Ma la storia alla fine la scrivono i vincitori, no?

Al primo meeting mondiale del nuovo millennio, Francia nota diverse cose.
Nota per esempio che Germania si sta riprendendo dalla caduta del muro, che Nord Italia continua ad abbracciarlo e a chiedergli scusa, che Giappone li osserva interessato, con un blocchetto per gli appunti nascosto sotto il tavolo; nota che America guarda dispiaciuto il giapponese e furioso Russia, che ricambia l'astio; nota che Sud Italia guarda ovunque tranne che verso Spagna, il quale guarda solo lui e cerca in tutti i modi di attirare la sua attenzione; nota anche che Prussia è seduto vicino al fratello, con diverse bende un po' su tutto il corpo, e che non riesce a guardare Russia senza tremare terrorizzato; nota che Inghilterra continua ad osservarlo e che lui è quello che continua a saltargli all'occhio, ma nessuna delle due cose lo stupisce: dopo secoli di odio, come potrebbero non notarsi continuamente a vicenda?
Nota che bene o male si stanno riprendendo tutti, stanno meglio rispetto agli anni della guerra, quello è certo. La vicinanza di Nord Italia, Germania e Giappone a dirla tutta un po' lo preoccupa, ma sa bene che nessuno lì dentro vuole una guerra, tranne forse America e Russia, che però non la combatteranno da loro.
Ne hanno tutti abbastanza del sangue.
Certo, guerre ce ne sono. Quelle ci sono sempre state, ma ce ne sono anche di nuove, senza armi fisiche. Hanno tutti visto troppa morte per volerne ancora.
America lo stupisce. Quello è ancora un ragazzino, ma un ragazzino vero; entrambi i fratelli Italia sono ben più grandi, più saggi, più vecchi di tutti loro europei a dirla tutta, tranne Grecia forse, che però dorme la maggior parte del tempo, dando appunto prova di grande saggezza.
America, ma anche Canada, un po' tutti gli stati nel Nuovo Continente in realtà, sono più inesperti, ma America...
America è un ragazzino esaltato che non combatte sul suo territorio dai tempi della sua guerra civile. Non ricorda se non molto vagamente cosa voglia dire sentire soldati stranieri su di te, sentire la tua gente morirti addosso, le bombe caderti in testa, vedere le tue terre devastate, finire diviso in due, tre, mille parti, tutte di altri. Le sue guerre America le combatte lontano, sono guerre anestetizzate. Per questo l'11 settembre lo ferisce così tanto.
Quando cominciano gli attentati anche in Europa, loro ne sono meno colpiti. Non perché siano tragedie meno grandi, ma perché, dopo due guerre mondiali e centinaia di battaglie e bombardamenti, sono più abituati.
America è un ragazzino esaltato dal potere che si ritrova e innamorato fin troppo della democrazia, che non fa altro che intervenire nei conflitti altrui, e Francia mentirebbe se dicesse che non gli è grato per questo, in fondo le due grandi guerre le hanno vinte solo grazie a lui, ma quel ragazzino non si rende conto che ci sono dei limiti fino a quando non li supera: le due atomiche bionde ne sono l'esempio lampante, e sì che Giappone un santo non lo è e non lo è mai stato, ma una cosa del genere non se la merita nessuno, nessuno, neanche il peggior mostro. Francia sa che quelle due bombe sono state uno schiaffo in viso per lo statunitense, uno schiaffo forte per tutto il mondo in realtà, per mostrare a tutti che ci sono dei limiti che bisogna stare attenti a non superare. La guerra fredda è stata fredda per questo: non perché quei due non volessero farsi la guerra (oooh, non vedevano l'ora di saltarsi addosso, si sapeva, glielo si leggeva in faccia) ma perché il terrore di superare il Limite li aveva bloccati. Tra Russia e America c'è un isolotta sul mare che il Limite lo conosce parecchio bene, il suo articolo 9(7) ne è la prova. Giappone l'ha conosciuta bene la guerra, l'ha anche persa, si è lasciato andare parecchio, di brutalità ne ha commesse anche lui, ma quando ha sbattuto contro il Limite e America gli ha rifilato l'articolo 9, perché quasi sicuramente è stato lui a darglielo, il nipponico della guerra si è proprio stancato. Non ha un esercito ufficiale, anche se in pratica ce l'ha eccome ma solo a scopo difensivo. Kiku è totalmente contro a ogni forma di guerra e contrasto. Certo è che, con Cina e Corea del Nord vicini, non può dormire sonni particolarmente tranquilli.

Francia ogni tanto osserva la sua vecchia divisa napoleonica e il suo abito da moschettiere con nostalgia. Tutte le sue divise militari, anche una vecchia e pesante armatura usata quando era un cavaliere, sono appese in un armadio in soffitta. A volte ne indossa alcune, per rivivere un po' i ricordi passati, quando il Limite era ben lontano e poteva divertirsi di più. Prende il suo fioretto, la sua tenuta da moschettiere e rivive i vecchi duelli, agita con eleganza la spada e combatte contro un nemico morto da secoli, ma che nella sua testa è vivo e reale.
Sa che sotto sotto lo fanno tutti. Sa che anche Inghilterra ogni tanto rispolvera i suoi abiti da pirata, i suoi cappelli a tesa larga, la sua benda sull'occhio, lo sa perché, una volta in cui è andato a trovarlo a casa sua, ha visto nel suo armadio una parte dedicata alle vecchie divise, tutte lavate, stirate e inamidate. Sa che anche Spagna rivive i momenti dell'Invincibile Armada, gliel'ha detto lui stesso, ma che lo fa rigorosamente nascosto in soffitta, dove tiene ancora la sua enorme ascia e dove Romano, che a volte lo va a trovare, non le vedrà mai. Sa che anche Prussia ricorda con nostalgia i secoli passati, quando era l'Ordine dei Cavalieri Teutonici. Sa che tutti loro sono nostalgici, forse la nostalgia è uno dei tratti caratteristici delle nazioni, insieme all'immortalità. Spesso si chiede di cosa abbiano nostalgia gli altri: Veneziano e Romano, per esempio, ripensano spesso ai tempi in cui erano con Nonno Roma, al Rinascimento e alle repubbliche marinare, oltre che alla battaglia sul Piave; Giappone ai samurai, infatti continua ad allenarsi per non perdere la sua abilità; Russia alla rivoluzione comunista, al suo popolo che prendeva finalmente il controllo. Francia lo può capire, è lo stesso che prova lui ripensando alla sua, di rivoluzione: c'è un gusto particolare nel vedere i tuoi cittadini, i tuoi figli, insorgere tutti insieme, scaternarsi in piazza, ribellarsi, proprio per quello, ogni volta che vede una manifestazione a Parigi, gli vengono i brividi, in senso positivo, e non può fare a meno di ripensare a tanti secoli prima, quando per quelle strade c'erano le teste decapitate, tagliate lì, in piazza. Non può dire che gli manchino, certo, eppure quell'unità, quella forza, quella sensazione di invincibilità... be', quella gli manca sì. Tuttavia, per ovvi motivi, spera vivamente che non ci sia mai più il bisogno di altre rivoluzioni.
Potrà anche provare nostalgia, ma tutto quel sangue non lo vuole rivedere più.

Francia passeggia per Parigi fischiettando.
L'aria della sera si mischia al fumo della sua sigaretta, mentre la luna riflette il suo profilo sulla Senna. Saluta un anziano signore che porta a passeggio il suo cane, sorride intenerito vedendo una coppietta che cammina mano nella mano e gli torna improvvisamente in mente che è da tempo che non sente più Arthur, forse dovrebbe chiamarlo per sapere come sta. Bah, ci penserà domani, ora è una serata troppo tranquilla per ascoltare le urla infuriate di quell'inglese scont...
Cade in ginocchio, con il cuore che brucia come se stesse andando a fuoco. Ma non è il suo cuore a bruciare, bensì, come scopre quando solleva lo sguardo, Notre Dame.
La sua Notre Dame, il suo orgoglio, la sua cattedrale... tutto in fumo.
Non si accorge di star urlando finché non sente la gola fare male. Piange, piange, ma quelle lacrime non bastano a spegnere l'incendio, a quello ci pensano i pompieri corsi sul posto. Francis non può fare altro che stare a guardare.
La sigaretta gli cade dalle labbra e non può non guardarla con odio e spegnerla sotto la scarpa, promettendosi di non fumare mai più nulla in tutta la sua esistenza. Odia il fuoco. Il fuoco distrugge. Ha distrutto la sua Jeanne, ora sta distruggendo la sua cattedrale. Cos'altro distruggerà? Quante altre volte dovrà sentire il suo cuore spezzarsi per via delle fiamme? Singhiozza e si prende il viso tra le mani.
Alla fine è Inghilterra stesso a chiamarlo, quella sera, per sapere come sta. Non è l'unico a cercare di contattarlo, ma Francia ignora lo squillo insistente del telefono e si rifugia sotto le coperte, senza muoversi di un centimetro per tutta la notte. Si addormenta molto tardi, più per sfinimento che per altro. Non riusciva a chiudere gli occhi per più di pochi secondi; ogni volta che lo faceva vedeva, invece delle sue palpebre chiuse, fiamme, fiamme ovunque, fuoco, incendi. Gli sembrava di essere finito all'Inferno e forse se l'era anche meritato.
Il mattino seguente si sveglia al trillo insistente del campanello. Quando apre, un biondo dalle sopracciglia grottesche entra in casa sua senza neanche lasciargli il tempo di invitarlo a farlo e lo incenerisce con lo sguardo.
-si può sapere perché non rispondi e sei del tutto sparito?!
-bonjour, Angleterre- non risponde a tono, non ne ha la forza. Si limita a osservarlo, stanco, con due occhiaie gigantesche e gli occhi rossi.
-non fare il finto tonto, fottuta rana- incrocia le braccia al petto e abbassa lo sguardo, improvvisamente a disagio -ho saputo di quello che è successo.
-penso lo abbiano saputo tutti. Sono già arrivate diverse donazioni, in qualche modo ce la caveremo.
-non sono qui per sapere come se la caverà la Francia, idiota, sono qui per Francis. Quella cattedrale per te era più di un simbolo, non credere che non lo sappia.
-e quindi?- è distrutto, troppo distrutto per litigare con lui.
-e... e quindi ero... cioé sì ero... insomma...- arrossisce, senza riuscire a guardarlo in faccia -preoccupato, ecco.
Francis non risponde. Si limita a guardarlo, aspettando che dica qualcos'altro. Arthur non dice niente; però, rosso come uno dei colori delle loro bandiere, lo abbraccia. Allora il francese crolla, di nuovo, e scoppia ancora in lacrime, stretto a lui; crolla del tutto, gli cedono persino le ginocchia e finisce a terra, seguito dall'altro, e per una volta se ne frega del suo orgoglio o dei pantaloni che sicuramente si rovineranno: piange e basta, tra le braccia del suo peggior nemico, quello che dovrebbe odiarlo e che invece si è preoccupato tanto da venire a cercarlo a casa sua, dall'altra parte della Manica. Per secoli è stato contento, in realtà, di quel canale che li tiene lontani ("non potrei sopportare la sua vista tutti i giorni, mon Dieu!") e se non ci fosse stato probabilmente si sarebbero saltati alla gola il triplo delle volte, ma ora comincia a odiare quella striscia d'acqua. Non perché voglia passare più tempo con lui, ma...
Oh, putain(8), è troppo stanco per mentirsi ancora e quell'abbraccio è troppo confortevole per rovinarlo con qualche scusa.
Singhiozza sulla spalla di Inghilterra e lo stringe a sé, aggrappandosi a lui come se fosse l'ultimo appoggio prima della caduta più rovinosa della sua lunga esistenza. Arthur lo stringe, gli accarezza timoroso la schiena con la punta delle dita di una mano, mentre l'altra indugia sul suo fianco. Dopo un po' gli sussurra qualche parola di conforto all'orecchio, o almeno ci prova, per farlo stare meglio; è tenero in effetti, così impacciato, gli scalda un po' il cuore.
Si ricorda, in un flash improvviso, di quella volta, durante la Prima Guerra Mondiale, in cui era riuscito a farlo ridere, ma ridere sul serio, di cuore; era notte e faceva freddo, si stavano tenendo compagnia davanti a qualcosa da bere per scaldarsi, troppo brilli e stanchi persino per litigare, quando all'improvviso lui aveva detto qualcosa che, per qualche miracolo, aveva fatto ridere l'inglese. Non ricorda quasi nulla di quella serata, se non quel momento, quella risata spontanea e solare che... oh.
Gli viene quasi da ridere. E lui sarebbe il paese dell'amore? Ci ha messo davvero così tanti secoli a capire l'ovvio? Doveva crollare un monumento di centinaia di anni per fargli capire che è innamorato di Angleterre?
Certo che loro due sono proprio una coppia di idioti, sono davvero fatti l'uno per l'altro; due ottusi orgogliosi che giudicano gli altri e poi non vedono la punta del proprio naso. C'era voluta una guerra mondiale e diversi bicchieri di troppo per far ridere l'inglese e far innamorare Francis un po' di più e c'è voluto un incendio e un disastro per farli finire l'uno tra le braccia dell'altro. Cosa ci vorrà per farli baciare? Una pandemia?
Dieu, eppure a ripensarci era così ovvio, lo avevano davvero capito tutti, da America che una volta, quando ancora era una colonia e un bambino, aveva chiamato Francia "mum" e aveva chiesto loro dove tenessero le fedi, ad Austria che, vedendoli seduti vicini a una riunione, una volta tanto senza litigare, aveva fatto loro le congratulazioni credendo si fossero fidanzati ufficialmente. C'era arrivato Austria. Austria.
Che stupidi, davvero.
A pensarci bene, Francia non riesce a trovare il momento in cui doveva essere cominciato; forse risale persino a quando erano bambini e l'inglese (così basso e così adorabile) lo prendeva in giro per i suoi abiti femminili (una cosa stupida tra l'altro, visto che il suo stesso fratello va sempre in giro con una gonna. Com'è che lo chiama? Kilt?) o chi lo sa; l'odio tra loro c'è sempre stato, ma forse la trasformazione nel suo opposto è stata una cosa così lenta e graduale che non se ne sono mai accorti fino a ora, anche se i segnali ci sono sempre stati e, God(9), come hanno fatto a non capirlo? Con quei sorrisi, quei flirt sempre meno provocatori e sempre più reali, le alleanze sempre più facili da fare e le guerre usate sempre di più come scusa per rivedersi. Cielo, Francia si era letteralmente gettato tra le braccia dell'altro quando era sbarcato in Normandia e, per quanto abbia poi dato la colpa al sollievo, non può negare che lì affianco ci fosse anche Canada, che sarebbe dovuto essere sicuramente la scelta più ovvia; così come Inghilterra non può nascondere quanto si fosse imbestialito (roba da terrorizzare persino Scozia) una volta saputa dell'invasione tedesca in Francia, e la scusa del "solo io posso attaccarlo!" diventa poco credibile se ci aggiungi la stretta al cuore durante lo sbarco nel pensare che "God, di sicuro correrà da Canada piangendo come un bambino" e la sorpresa fin troppo piacevole quando invece quella rana aveva abbracciato lui; diventa invece ovvio quanto fosse una scusa idiota campata per aria se si vede la foto del loro abbraccio scattata da America, in cui è chiaro che c'era qualcosa di più in maniera così palese che nessuno dei due ha mai voluto vederla, con altre due scuse fin troppo stupide a cui nessuno, tanto meno i due diretti interessati, ha mai minimamente creduto.
All'improvviso diventa tutto così ovvio e chiaro che entrambi si danno mentalmente dei cretini.
-Arthùr...- lo chiama per nome, gli trema quasi la voce. Tira su con il naso e si sforza di non riprendere a piangere.
-sì?
-rimani con me?- è una domanda molto generica in realtà. Potrebbe voler dire "solo oggi pomeriggio" o "finché non mi sarò ripreso" o ancora, perché no?, "per sempre". Gli esce qualcosa tra un singhiozzo e un mugolio e, se non stesse così male, probabilmente se ne vergognerebbe parecchio.
Sta di fatto che neanche Francis stesso sa cosa intenda dire, però vuole che l'altro rimanga lì e lo abbracci, che sia solo per un giorno o per l'eternità. E chissà, magari tra un insulto e l'altro potrebbe scapparci anche qualche bacio...
Non ha mai notato quanto sembrino morbide le labbra di Arthur, in effetti, ma ora non riesce più a distogliere lo sguardo.
-okay, ma non montarti la testa.
-merci, mon amour!- e il soprannome gli esce così spontaneo che non se ne vergogna neppure, perché dovrebbe? Che c'è di imbarazzante nell'amore?
L'inglese però arrossisce, ma cerca di nasconderlo con qualche insulto a mezza voce. Francis ridacchia, è così prevedibile in certe cose.
Incatena lo sguardo a quelle iridi di puro smeraldo e si ritrova a spostare l'attenzione da lì alla sua bocca, così invitante che sembra chiamarlo. Da lì a un bacio è tutto più rapido e lento di quanto Francis abbia immaginato, ma finalmente quando chiude gli occhi vede solo il buio. Quello è un bacio che non sapeva neanche di volere fino a qualche minuto prima, ma ad un tratto gli sembra di averlo aspettato per una vita; non bacia male, l'inglese, anche se ha le labbra screpolate per tutte le volte che se le morde per il nervosismo. Di solito i baci di Francis sono ben più passionali di così (non per niente i baci "alla francese" li ha inventati lui), ma quello è stranamente tranquillo, come se, dopo tutte le litigate e le guerre, una volta tanto fossero concordi sul fare le cose con calma. Quando si allontanano, Francis sorride un po'.
Oh, se solo non ci fosse la Manica a dividerli sempre!




1) Federico II fu un sovrano del Regno di Sicilia, l'unico regno vero e proprio presente in Italia all'epoca. Fece costruire diversi edifici nel Meridione, per esempio Castel del Monte. Il sogno di ricostruire l'Impero Romano era molto frequente all'epoca e coinvolse diversi sovrani, tra cui appunto Carlo Magno e Federico II.
2) In Italia il gotico era ben diverso da quello francese, questo perché in Italia c'erano ordini di preti che predicavano e quindi avevano bisogno di uno spazio più raccolto per poter coinvolgere più persone e permettere a tutti di ascoltare e capire. Inoltre l'ordine francescano, influente soprattutto nel centro della penisola, promuoveva la semplicità, di conseguenza l'arte era ben diversa dalle ricche cattedrali francesi, dove era esaltato il bello e la ricchezza.
3) De gustibus non est desputandum, ovvero non si discute sui gusti, un detto latino simile a quello dei giorni nostri "i gusti sono i gusti".
4) Durante la rivoluzione francese furono saccheggiate diverse cattedrali, tra cui la stessa Notre Dame.
5) I canadesi diedero fuoco alla Casa Bianca durante la guerra ango-americana, nel 1814.
6) King George III. Chi conosce Hamilton se ne ricorderà sicuramente (https://youtu.be/joN-e7dxw-4 facciamoci due risate che ce n'è bisogno)
7) L'articolo 9 è un articolo della costituzione giapponese, particolarmente noto perché proibisce in ogni modo la guerra e toglie al Giappone il suo esercito, se non a scopo difensivo (c'è un video molto interessante a riguardo https://youtu.be/O2huxzpQzAw)
8) Penso significhi puttana, ma online ho letto che è un'esclamazione come il nostro "cazzo!". Se fosse sbagliato, informatemi e provvederò a correggere.
9) Anche se è superfluo scriverlo, significa Dio in inglese. L'uso della lingua di Inghilterra è voluto perché questa riflessione la fanno entrambi contemporaneamente. Ho usato una parola inglese per renderlo più chiaro, ma lo specifico anche qui.
   
 
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