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Autore: Dike_Nike    12/08/2009    1 recensioni
Osservò le due figure. Le ombre lunghe sul pavimento e i mantelli a coprire interamente corpo e capo. Il ragazzo udì il frusciò della stoffa sul parquet. La sentì strisciare sinuosa. Un suono che non presagiva nulla di piacevole.
Genere: Triste, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Dike_Nike
Titolo: Just a mistake
Oggetti: Mantello – Pennello -Spada
Rating: Giallo
Genere: Fantasy – Malinconico – Sentimentale, vagamente!
Avvertimenti: One-shot – Shounen-ai
Introduzione: Lui non si apparteneva in quel momento. I suoi sentimenti era certo corrispondessero a quelli dei due sconosciuti. Il suo corpo voleva muoversi e raggiungere Yevor. Abbracciarlo e dirgli che lo amava, che lo voleva.
Note dell'Autore: Questa storia è nata in cinque diverse versioni. Questa è l’ultima e anche quella che ho deciso di proporre. Spero che la storia si comprenda dato che in poche righe ho spiegato qualcosa che è assolutamente fantasy.



 I^ classificata
 
Partecipante al contest I tre oggetti (Magical tales II^ edizione)
 
 
JUST A MISTAKE
 
 
Il ragazzo lanciò un grido acuto. Tremante si gettò fuori dalle coperte, strisciando come un miserabile fino alla parete.
Lì si fermò. Toccò la carta da parati ed i polpastrelli avvertirono il rilievo degli aeroplani decorativi.
-Cosa volete?- chiese in un urlo strozzato, gli occhi verdi sgranati e le labbra strette per impedirsi di strillare oltre.
 
La risposta dei due uomini venne attraverso il loro solenne avanzare.
Keith sussultò. Fece leva sulle gambe e sperò di indietreggiare ancora. Tentativo che dal principio sapeva essere vano.
Osservò le due figure. Le ombre lunghe sul pavimento e i mantelli a coprire interamente corpo e capo. Il ragazzo udì il frusciò della stoffa sul parquet. La sentì strisciare sinuosa. Un suono che non presagiva nulla di piacevole.
Alle loro spalle era ancora aperto il varco di luce bianca. Un ovale che Keith aveva visto comparire nel pieno della notte. Se fosse stato qualche attimo più svelto sarebbe riuscito a lasciare la stanza prima che i due incappucciati facessero la loro comparsa.
Ma era andata diversamente. I suoi sensi non erano stati tanto acuti da permettere la fuga.
 
Uno dei due uomini fece roteare qualcosa in aria con movimenti sciolti e il passaggio alle sue spalle svanì.
Keith si spinse ulteriormente contro la parete, spostandosi alla ricerca di un angolo all’apparenza più sicuro.
-Ha paura- sussurrò uno degli sconosciuti, perdendo la facciata impassibile. La schiena si flesse e il cappuccio scomparve quando l’uomo si passò una mano sul capo. Lunghi capelli ramati gli ricaddero sulle spalle. Si affrettò a legarli in una coda impeccabile, denotando una certa abitudine nel compiere quel gesto.
Keith sgranò gli occhi ed emise un rantolio strozzato, portandosi le ginocchia al petto. Un’azione infantile che fece sorridere il giovane Ricurvo. Le labbra rosee e sottili si inarcarono nell’oscurità e la testa venne inclinata appena, alla ricerca di una nuova e più interessante angolazione.
-Sei così carino- sussurrò, passandosi una mano sul mantello azzurro, come a voler sistemare le pieghe irregolari della stoffa.
Keith, nonostante il terrore, comprese che lo sguardo del ragazzo celava una vena di dolcezza inadatta alla situazione. Una parvenza di affetto paterno. Lo squadrava quasi fosse un figlio da amare e accudire. La sua creazione più bella.
Ne fu spaventato. Piegò la testa e la nascose fra le gambe. Strinse forte gli occhi alla ricerca del buio. Forse una volta riaperti quei due sarebbero svaniti dalla sua vista.
Pregò che fosse così. Che la comparsa di quegl’uomini non fosse altro che un pessimo scherzo dell’immaginazione sin troppo fervida.
-Starà piangendo?- sussurrò il Ricurvo.
Keith lo poté sentire chiaramente, seguito dal fruscio della stoffa che, strisciando sul parquet, si faceva sempre più vicino.
Il bambino implorò aiuto. Chiese perdono per gli errori commessi e si ripromise di non far arrabbiare più i suoi genitori. L’importante era che qualcuno lo tirasse fuori da quella situazione terrificante.
Fu un attimo ed il fruscio svanì, come se qualcuno avesse udito le sue suppliche e deciso di dare una mano a quel giovane impotente.
Sollevò piano il capo, gli occhi ancora chiusi e le labbra serrate.
Un’ultima preghiera, la speranza di vedere la stanza nuovamente vuota, prima di aprire gli occhi e lasciarsi avvolgere dal tenue bagliore della luce notturna.
Deglutì sonoramente e spostò lo sguardo per trovare i due uomini in piedi accanto al suo letto.
-Forse dovremmo spiegare, Leiver- sentì mormorare il Ricurvo.
L’altro emise un segno di dissenso che venne snobbato dal compagno.
Keith sentì il cigolio delle molle sotto il peso del Ricurvo. Istintivamente si schiacciò contro il muro, quasi sperasse di esserne inglobato.
-Lo vedi- continuò con gentilezza, voltandosi ad osservare il compagno che non si era ancora scomposto –Ci assomiglia così tanto. Non possiamo farlo. Forse è meglio cercare di nasconderlo agli altri e…-
-Smettila, Yevor!-
Fu la prima volta che l’uomo parlò.
Kaith si stupì di quanto la voce differisse da quella del suo compagno. Era scura e bassa. Fredda e tagliente come non ne aveva mai udite. Per quanto volesse trovarvi qualcosa di umano non ne fu in grado e quello lo spaventò più di quanto già non fosse.
Il Ricurvo lo sentì gemere e d’istinto si voltò a guardarlo. Keith poté vedere le linee del suo volto che sottolineavano stanchezza. Sembrava aver passato attimi di atroce dolore, talmente acuto da segnare il suo sguardo con profonde occhiaie e rughe d’espressione precoci.
-Smettila di dire idiozie. Quell’essere non assomiglia a nessuno, è inutile che tu ti convinca di certe sciocchezze e ne soffra- Leiver parlò con voce pacata.
Yevor sollevò lo sguardo e si piegò ulteriormente, scrutando sotto il cappuccio del mantello il volto del compagno. Sorrise tristemente e non si permise di vacillare.
-Se tu pensi sia giusto, faremo come desideri- disse.
Le molle del letto cigolarono ancora una volta, mentre il peso di Yevor veniva a mancare sul materasso.
Si sollevò in piedi, la schiena nuovamente dritta e Keith notò che superava di qualche centimetro l’altro.
-Faremo come desideri- ripeté. La voce piatta, mentre si sporgeva e sollevava le braccia per circondare le spalle di Leiver e stringerlo con forza. Affondò la testa sulla sua spalla, baciando la stoffa del mantello con le labbra. Produsse un lieve schiocco che risuonò nel silenzio e venne presto dimenticato.
-Ti amo- sussurrò.
Se Keith non fosse stato attento non lo avrebbe sentito, tanto la voce del rosso si era abbassata. Parole destinate a Leiver. Soltanto a lui.
L’altro non rispose. Non ricambiò l’abbraccio.
Fu Yevor a sollevare il braccio e a passare la mano sul suo capo, facendo scomparire anche il cappuccio di lui. I capelli corti e neri vennero intrappolati fra le dita del Ricurvo, che erano scese dietro la nuca ad accarezzare la cute sensibile.
Fu un attimo, in cui Keith perse la lucidità. Vide il Ricurvo abbassarsi appena per incontrare le labbra dell’altro. Il respiro aveva accelerato e le palpebre si erano abbassate.
In un tocco che non produsse suoni i due si baciarono. Yevor aveva in mano la situazione. Mordicchiava il labbro inferiore dell’altro e ci giocava con divertito interesse. Lo stringeva appena fra le sue per poi lasciarlo andare. Un tocco che nulla aveva di passionale, ma che sembrava bastare per saziare i corpi degli amanti.
Keith li guardava sgomento. Mai si sarebbe aspettato simili gesti. Aveva visto quei baci solo nei film e non ne era mai rimasto tanto colpito come in quel momento.
Era come se avvertisse i sentimenti contrastanti che invadevano mente e cuore dei due sconosciuti. Sentiva le loro emozioni. Le percepiva nel petto, come se tentassero di aprirgli la cassa toracica.
Poi una piccola sfera di luce bianca nacque dal torace di entrambi. Fluttuò nell’aria, dinnanzi allo sguardo stupefatto di Keith che non era più tanto certo di essere sveglio.
La vide avvicinarsi a lui barcollando. Si muoveva lentamente e in modo scomposto, scendendo di quota per poi risalire, fino a quando non gli fu di fronte.
Si fermò per qualche istante davanti al suo volto. Lui non smise di guardarla, neanche quando con un movimento più rapido dei precedenti andò a posarsi sulle sue labbra e scomparve.
Keith sussultò e si sollevò in piedi. Il corpo percosso da una scarica elettrica e la voglia di gridare espellendo tutta l’aria nei polmoni. Era come se fosse stato svuotato di ogni sentimento che gli appartenesse. Niente più paura o stupore, voglia di scappare e di sapere.
Lui non si apparteneva in quel momento. I suoi sentimenti era certo corrispondessero a quelli dei due sconosciuti. Il suo corpo voleva muoversi e raggiungere Yevor. Abbracciarlo e dirgli che lo amava, che lo voleva.
Ma si trattenne. Lo fece per rispetto e per timore di errare. Così si limitò ad urlare. Si prese la testa fra le mani e spinse con forza le dita sulle tempie. Voleva allontanare ogni pensiero, ogni desiderio, ogni emozione che sapeva non essere sua.
-E’ ora- disse Leiver.
Keith riuscì a sentirlo appena. Fra le urla ed il desiderio incessante di voler tornare se stesso aveva perso contatto con la realtà. In quel momento avrebbero potuto fare di lui ciò che più desideravano.
-Non voglio fargli del male.-
-Lo farai. E’ la nostra vita in cambio della sua esistenza, la decisione da prendere è più che chiara- fu la risposta tagliente, seguita dal fruscio della stoffa.
Leiver si avvicinò al ragazzino. Gli afferrò le braccia e lo costrinse a guardarlo. Fece tutto con lentezza e senza l’utilizzo della forza, sfruttando l’attuale impotenza del bambino.
-Leiver- un ultimo tentativo, mentre si accostava al compagno e con lo sguardo smeraldo gli implorava di attendere.
-Cosa vuoi ancora?-
-Spieghiamogli almeno.-
-Non sono tenuto a informarlo di nulla.-
-Ma è la sua esistenza, Leiver, gliela stiamo per portare via senza motivo.-
Si guardarono per qualche attimo. Gli occhi di uno che lasciavano trapelare un fastidio crescente, quelli dell’altro che imploravano altro tempo.
Fu un ‘Tsk’ stizzito quello che determinò la vittoria di Yevor.
Il ragazzo sorrise senza reale gioia. Un’ultima occhiata al volto pallido di Leiver per poi riportare l’attenzione sul bambino e afferrargli le mani in una presa delicata che voleva infondere un’inutile sicurezza.
-Keith- lo chiamò.
Il ragazzino non rispose. Reclinò maggiormente il capo e cercò di nasconderlo contro il petto. I corti capelli marroni ricaddero sul volto e nascosero gli occhi arrossati.
-Keith- ancora un tentativo che si perse nello scorrere del tempo.
Non ottenne risposta, Yevor, e fu costretto a parlare. Leiver non gli avrebbe dato molto altro tempo.
-Keith, sai che noi siamo viaggiatori del tempo? Siamo coloro che determinano il susseguirsi degli eventi, che regolano passato e futuro- disse tutto d’un fiato. Non era certo che il ragazzino avesse capito, né, tantomeno, che stesse seguendo il suo discorso –Siamo venuti qui per te. Perché siamo stati io e Leiver a crearti facendo qualcosa che non dovevamo-
Il bambino mugugnò, segno che stava ascoltando e che forse voleva sapere qualcosa in più.
Yevor sorrise mestamente e aumentò la stretta alle gracili mani.
-Sei come nostro figlio. Solo un figlio che non doveva esserci. Sei nato in questa forma circa duemila ore fa, quando io e Leiver abbiamo…- Yevor si fermò. Guardò la testolina castana di Keith e decise di cambiare strada –Insomma, io e Leiver ci siamo voluti un po’ troppo bene ed i sentimenti non sono ammessi per noi viaggiatori del tempo. Abbiamo commesso un peccato che ci è costato la tua nascita. Hai preso questa forma e assunto ricordi che non ti appartengono. Tu non saresti dovuto esistere, Keith-
Nel pronunciare quelle parole un groppo gli ostruì la gola, si sentì soffocare perché lui non vedeva quel bambino come uno sbaglio. Pensare che dal suo amore per Leiver era nato qualcosa di tanto grazioso non poteva che renderlo felice.
-Keith- ripeté quel nome come una nenia. Non vi impresse sentimento nel farlo. Si limitò ad un suono meccanico, più roco di quanto avrebbe voluto essere –Dobbiamo ucciderti-
Il bambino non si mosse. Non sollevò il volto. Non parlò, non subito almeno.
Quella situazione aveva dell’incredibile. Era assurdo pensare che quello non fosse uno scherzo di pessimo gusto. Nessuno gli aveva mai parlato di viaggiatori del tempo, quelli erano esseri che vivevano solo nella sua fantasia e in quella di milioni di altre persone.
-La sfera di luce bianca…?- riuscì a sussurrare. Se doveva morire sul serio a causa di qualcosa che andava oltre l’umana comprensione, lo avrebbe fatto dopo che tutto sarebbe stato spiegato correttamente.
-Quella era la passione- rispose Yevor incerto, mentre spostava le mani ad afferrare il bambino sotto le ascelle per sollevarlo –Ogni volta che io e Leiver ci tocchiamo pensando ad un sentimento che va oltre la reciproca indifferenza una piccola parte del nostro io si stacca dal corpo e si aggiunge al tuo. Tu sei un agglomerato di luci bianche, un insieme di desideri carnali inappropriati- riuscì a dire, posando il corpo di Keith sul letto e lasciandolo immobile.
-Tienilo fermo- ordinò Leiver, mentre da sotto il mantello estraeva un pennello dalla punta sottile e lo posava sulla fronte di Keith.
Il ragazzino chiuse gli occhi e strinse forte le palpebre. Respirò profondamente e si disse che quello era un sogno, un sogno assurdo che la mattina sarebbe scomparso.
-Mi dispiace- fu il sussurro di Yevor.
Il pennello tracciò delle linee scure sul suo volto. Dei segni creati apparentemente a caso, con una fluidità di movimenti che aveva qualcosa di magico.
Leiver sollevò con grazia il pennello dal volto niveo del bambino. Non si lasciò sfuggire alcun sospiro o gemito di tristezza.
-Devi colpire fra gli occhi, così lui svanirà senza conseguenze per entrambi-
Keith tremò appena, immobilizzato dalle braccia di Yevor. Le lacrime salirono agli occhi e non riuscì a trattenerle. Con la vista appannata osservò la figura austera e giovanile di Leiver. Il pennello che teneva in mano gli pareva uno strumento di estrema tortura. Come sarebbe potuto essere altrimenti? Dopotutto avrebbe determinato la sua morte.
-Perché? Perché?- chiese con voce strozzata. Ora osservava Yevor, il cui volto era deformato da una tristezza dilaniante che mal celava nelle guance scarne e nelle labbra grinzose.
-Mi dispiace. Se si accorgessero di ciò che abbiamo fatto, se ti trovassero…- fece una lunga pausa, scandita da respiri profondi e singhiozzi trattenuti –noi saremmo condannati alla morte-.
Keith scoppiò in lacrime. Non trattenne oltre il dolore e la tristezza provati. Una sofferenza che solo in quel momento, compreso che per lui non c’era speranza, aveva deciso di farsi viva in ogni sua diabolica sfaccettatura. Lui aveva sentito l’amore di Yevor. Aveva sentito l’amore di Leiver. E aveva compreso. Compreso che entrambi mettevano al primo posto sempre l’altro. Se ucciderlo significava salvarsi lo avrebbero fatto per il bene del loro amore.
-Ci dispiace- gemette Yevor, mentre lasciava che le mani di Leiver andassero a stringere le sue braccia, trattenendolo.
Lo vide muoversi lentamente, afferrare il pennello che il compagno aveva lasciato sul letto e stringerlo fra le mani con una forza che avrebbe spezzato in due del legno comune.
Fece scorrere i polpastrelli sulle setole, scendendo poi a sfiorare l’impugnatura laccata che si illuminò, tramutandosi.
Al posto del pennello era comparsa una spada di luce rossa. Non sembrava avere consistenza e Keith si chiese se avrebbe potuto nuocergli davvero.
La risposta arrivò seguita da un dolore dilaniante. Dalla sensazione del corpo che viene squarciato in due.
Un urlo strozzato e pochi istanti, inadatti per comprendere che la fine era arrivata davvero.
Yevor strozzò in gola un gemito di puro orrore, mentre uccideva colui che considerava suo figlio. La lama rossa attraversò il volto del bambino, colpendolo precisamente in mezzo agli occhi. Affondò fino a quando questi non urlò e scomparve dalla sua vista. Un insieme di sfere luminose che tornarono ai loro originari possessori.
-E’ per il tuo bene- urlò rivolto ad un impassibile Leiver che sembrava non aver risentito affatto della perdita.
Si chiese cosa amasse tanto in quell’uomo dall’aria impassibile e sguardo feroce.
Non ebbe tempo di trovare risposta. Gli occhi di Leiver lo richiamarono. Un nero così lucente e profondo che implorava perdono, una richiesta che Yevor sarebbe riuscito ad esaudire sin troppo facilmente.
Il pensiero che con quel gesto ogni cosa era conclusa gli fece male più della morte di Keith stesso. Non dovevano più baciarsi, fare l’amore, sfiorarsi altrimenti un nuovo bambino sarebbe nato e Yevor sarebbe stato costretto ad ucciderlo ancora una volta.
Guardò il letto vuoto e si pulì le guance da lacrime troppo umane.
-Andiamo a casa- furono le ultime parole di Leiver che sfilò il pennello dalle mani dell’altro e lo utilizzò per tracciare un cerchio nell’aria. Il varco di luce che li aveva portati in quella stanza si era riaperto, decretando la definitiva conclusione di quell’esperienza dilaniante.
Leiver vi saltò dentro. Non si fermò a guardare Yevor e non indugiò pensando a Keith. Voleva dimenticare. Cancellare tutto ciò che era stato e continuare il suo lavoro. Regolare il tempo, era nato per quello e si ripromise che nulla lo avrebbe più distratto dal portare a termine quella mansione.
Né Yevor.
Né suo figlio.
 
***
Note dell’autrice: Questa storia ha raggiunto risultati che non mi aspettavo. E’ la prima, dopo tanto tempo, che richiede l’utilizzo delle mie energie psichiche per giungere alla fine in maniera decente (che non ritengo, tuttavia soddisfacente).
Essendo il primo contest con più di 2 partecipanti a cui mi iscrivo, avevo già preso in considerazione l’idea di raggiungere una posizione inferiore. E’ stata davvero una sorpresa quella ricevuta, soprattutto conoscendo l’abilità di scrittura delle altre partecipanti che stimo moltissimo.
Grazie a Niobe88 per aver indetto il contest e a chi è riuscito a raggiungere la fine di questa assurda storia. Grazie di cuore.
Dike
  
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