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Autore: Ghostclimber    08/06/2020    6 recensioni
Fa male.
Questo era tutto ciò che Sakuragi riusciva a pensare.
Basta, si disse, era ora di piantarla. Dopotutto, non c'era mai stata molta speranza, tranne quella di uno sciocco.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno e buon lunedì! /pesca una pasticca dal vassoio che gentilmente Mitsui ha portato dalla regia -se volete favorire!/
Eccomi con una fic un po' tristarella, grazie a tutti voi che continuate imperterriti a darmi corda, soprattutto cipi1988 e Ste_exLagu (complimenti a tutti e due per il livello di sopportazione, siete impressionanti!)
XOXO





 

“Non c'è mai stata molta speranza...
solo quella di uno sciocco.”

-Gandalf il Bianco



 

Fa male.

Questo era tutto ciò che Sakuragi riusciva a pensare.

Bevve un sorso della grappa di riso che aveva sgraffignato dalla dispensa, appoggiandosi ad un gomito e beccheggiando sulla destra, dandosi arie da vero uomo al bancone di un bar.

Ancora un bicchiere, e forse sarebbe riuscito a dimenticare di essere solo un adolescente alle prese con la prima delusione d'amore davvero grossa; si sarebbe calato nella parte, avrebbe acceso una delle sigarette che Mito aveva dimenticato a casa sua chissà quando e avrebbe parlato del suo dolore a un immaginario barman, che l'avrebbe ascoltato strofinando un bicchiere inesistente con uno straccio fatto dello stesso tessuto dei sogni febbricitanti.

L'indomani avrebbe dovuto affrontare la madre e parlare di quella bottiglia molto meno piena del giorno precedente, ma ora lei era addormentata, stanca da una dura giornata di lavoro, e non aveva idea che a due porte di distanza suo figlio stesse cercando una sbronza che tardava ad arrivare, seduto alla scrivania a fingersi più grande di quello che era, senza sapere che non si diventa mai più grandi del primo amore.

La sua mente crudele avviò un sadico replay della scena a cui aveva assistito quello stesso pomeriggio dopo gli allenamenti: vide con chiarezza Miyagi che parlava con Ayako, lei che reagiva con stupore e febbrile eccitazione, e il suo bel viso che lo cercava tra i giocatori dello Shohoku. La vide alzare entrambi i pollici e rivolgergli un sorriso tutto denti e labbra per poi tornare a voltarsi verso Miyagi in un'onda di capelli corvini, probabilmente in cerca di ulteriori informazioni.

Sakuragi aveva pensato di rivolgersi a lei direttamente, ma non ce l'aveva fatta. Già era stata dura confessare tutto a Miyagi, dopo avergli estorto la promessa che l'avrebbe lasciato parlare senza guardarlo e senza interromperlo, e Sakuragi proprio non si vedeva a ripetere tutto ad Ayako, tanto più che lei non sarebbe mai riuscita a stare zitta e non tempestarlo di domande... proprio come aveva fatto quello stesso pomeriggio con Miyagi, in effetti.

Sakuragi si versò un altro bicchiere, prese una sigaretta dal pacchetto di Mito e uscì di soppiatto: avrebbe potuto inventarsi che aveva rovesciato la grappa facendo pulizie, adducendo come scuse la propria goffaggine e il tappo che chiudeva male, ma non avrebbe potuto trovare una giustificazione per l'odore di fumo. Si trasse dalla tasca un pacchetto di fiammiferi per il barbecue e sperò vivamente che i vicini fossero tutti già addormentati e che nessuno avrebbe potuto fare la spia: dopotutto era plausibile, era l'una e mezza di un normalissimo giovedì. Si tirò il cappuccio della felpa sulla testa per non rendersi immediatamente riconoscibile a sguardi altrui, strofinò la testa dell'enorme fiammifero e avvicinò la punta della sigaretta alla fiamma che era scaturita, poi si appoggiò con entrambi i gomiti alla ringhiera. Aspirò, soffiò fuori il fumo reprimendo un colpo di tosse e per buona misura buttò giù un sorso di grappa.

Oh, quant'era felice Miyagi dopo aver parlato con Ayako! Riportare la confessione di Sakuragi per chiederle un'intercessione gli aveva dato la scusa per parlarle da vicino, guardare le sue labbra, sentire il suono della sua voce, annusare il profumo dei suoi capelli... e quando aveva riportato a Sakuragi la sua disponibilità ad agire da tramite, era raggiante, ed era così bello nella sua gioia che persino la stessa Ayako l'aveva guardato in modo diverso dal solito: Sakuragi aveva colto il suo sguardo in qualche modo sorpreso mentre si voltava per cominciare l'allenamento.

Quella sigaretta, comunque, faceva schifo. Sakuragi la guardò facendo una smorfia, sperando invano di essere quasi alla fine di quella porcheria, ma invano: aveva fatto giusto un paio di tiri, non di più. Colse il proprio riflesso nella finestra di un vicino palazzo e riconobbe la propria espressione.

 

“Mi fai schifo.”

 

Il fumo uccideva, vero? Sakuragi cercò la morte aspirando un lungo tiro dalla sigaretta, poi cominciò a tossire. Con mani tremanti appoggiò il bicchiere sulla ringhiera, mentre con l'altra mano si copriva la bocca per non fare troppo rumore. Si calmò poco a poco, mentre la voce di Rukawa si insinuava di nuovo nella sua mente.

 

“Mi fai schifo.”

 

Mai, mai aveva sentito tanto disprezzo nella sua voce, neanche quando aveva intimato a Mitsui e soci di pulire la palla da basket che avevano insozzato tanto tempo prima. All'inizio, mentre da lontano guardava Ayako che lo fermava e andava a parlargli, aveva avuto l'ardire di provare una piccola scintilla di speranza: dopotutto, si andava ripetendo mentre stringeva spasmodicamente la manica della divisa di Miyagi, Rukawa non aveva ancora fatto smorfie di disgusto, stava ascoltando con attenzione quel che aveva da dirgli Ayako e non aveva quell'espressione di finto dispiacere che di solito la gente indossa quando deve declinare un offerta che, in realtà, non avrebbe mai voluto ricevere. Poi, Ayako aveva finito il suo discorso, e Rukawa era rimasto in silenzio. Da lontano, la sua espressione era indecifrabile, ma con un doloroso tuffo al cuore Sakuragi aveva visto Ayako indietreggiare, intimorita. E poi, Rukawa si era voltato e ogni speranza di mantenere un minimo di dignità era svanita. Senza nemmeno premurarsi di fare quella decina di passi che lo separavano da Sakuragi, aveva parlato ad alta voce da dove si trovava, e aveva detto precisamente tre parole.

 

“Mi fai schifo.”

 

Basta, si disse, era ora di piantarla. Di gettare via quella sigaretta, buttar giù l'ultimo sorso di grappa e andare a letto sperando che le lacrime l'avrebbero cullato fino a farlo addormentare. Dopotutto, non c'era mai stata molta speranza, tranne quella di uno sciocco.

Un idiota, anzi, per dirla come Rukawa, un idiota che dopo innumerevoli due di picche si era messo in testa che il suo amore potesse essere ricambiato. E non da una persona qualunque, no, da Rukawa Kaede! Se c'era una costante al mondo era che quando Sakuragi Hanamichi faceva una cazzata ne faceva una grossa, e questa era decisamente monumentale.

Sakuragi inghiottì l'ultimo, bruciante sorso di grappa, poi si allontanò per andare a spegnere la sigaretta nel portacenere che un vicino tabagista e ficcanaso aveva piazzato sul ballatoio per potersi accomodare lì a spiare nelle case dei vicini fumando una sigaretta dopo l'altra.

La spense con cura e la seppellì sotto alla sabbietta puzzolente, poi si voltò per tornare verso casa.

Rukawa era lì.

 

Sakuragi serrò gli occhi, poi li riaprì.

Rukawa era ancora lì.

Fissava la porta d'ingresso di casa Sakuragi, la mascella tesa dal digrignare dei denti e i pugni che si contraevano spasmodicamente.

-Rukawa?- soffiò Sakuragi, e il moro si voltò di scatto, con i pugni alzati, pronto a colpire.

-Rukawa, cosa ci fai qui?- l'altro non rispose, ma rimase in posa da combattimento mentre Sakuragi muoveva un esitante passo verso di lui. Il rosso posò il bicchiere sulla ringhiera e alzò le mani, come se l'altro gli stesse puntando contro una pistola: -Non voglio fare a botte, ti prego. Non qui, non adesso. Sveglierai mia madre.

-Ti sembra che me ne freghi qualcosa?- sibilò Rukawa. Sakuragi sospirò, rassegnato, e ammise: -No. A te non frega niente di niente, vero?- Rukawa si mosse fulmineo. In una frazione di secondo si era scagliato contro Sakuragi e l'aveva bloccato contro il muro, tenendolo per il collo della felpa con così tanta violenza che l'indumento si sollevò e le cuciture delle maniche cominciarono a tendersi dolorosamente sotto le ascelle di Sakuragi.

-Non fare il finto tonto, idiota.

-Ma di che cazzo stai parlando?!

-Lo sai benissimo, bastardo.- Sakuragi si spazientì. Prese il polso di Rukawa con entrambe le mani e gli conficcò i pollici nella fossetta sotto i polsi, costringendolo a mollare la presa.

-No che non lo so! E onestamente credo che tu mi abbia umiliato abbastanza quando mi hai detto che ti faccio schifo davanti a tutti. Non c'era bisogno di venire fin qui nel cuore della notte a ribadire il concetto, sei già stato abbastanza chia...

-E io, maledetto idiota? E io?

-Tu cosa? Parla potabile, per una volta nella vita!

-Io non sono stato abbastanza umiliato?- Sakuragi boccheggiò e avvertì un dolore sordo all'altezza del petto. Sapere che per Rukawa era addirittura umiliante essere amato da lui era qualcosa che non avrebbe assolutamente voluto sapere. Si chiese stancamente se sarebbe stato in grado di liberarsi dalla presa di Rukawa e andare a buttarsi sotto una macchina perché, se quello era il vero amore, il passo avanti rispetto alle sterili cottarelle di cui aveva avuto esperienza alle medie, allora era un vero schifo.

-Rukawa, non lo sa nessuno, ok? Solo Miyagi e Ayako. Sono certo che puoi vivere anche con la consapevolezza che uno schifoso idiota è innamorato di te.- Sakuragi lasciò andare il polso di Rukawa e lo oltrepassò. Lo sguardo di ira e disgusto che il moro gli aveva appena rivolto era sufficiente per fargli capire quantomeno che di dormire non c'era speranza.

-Insisti?- sibilò Rukawa, -Non ne hai avuto abbastanza?

-In effetti sì.- ribatté Sakuragi, prendendo in mano il bicchiere vuoto, -Infatti, se mi fai la cortesia di levarti dalle palle credo che vedrò di farla finita in un modo o nell'altro. Ti assicuro che sarà l'ultimo favore che ti chiedo.- Rukawa fremette di rabbia di fronte all'ostentata calma di Sakuragi, che però vacillò dopo un istante. La tentazione di porre fine a tutta quella sofferenza era tanta, e la cosa più facile sarebbe stata tagliarsi le vene nella vasca da bagno; a quel pensiero, però, ne era seguito un altro. Il pensiero della madre che, alzandosi il giorno dopo per andare al lavoro, avrebbe trovato il suo corpo ormai freddo immerso in mezzo metro di acqua tinta di rosso dal suo stesso sangue.

Aveva già trovato il marito morto sui gradini dell'ingresso due anni prima, mentre rientrava di corsa per prendere un cambio per il figlio, mandato in ospedale da un gruppo di teppisti; Sakuragi non pensava che avrebbe sopportato anche la morte del figlio.

-Non posso.- concluse ad alta voce.

-Non puoi cosa?- chiese Rukawa.

-Non posso campare sapendo di fare schifo al ragazzo che amo e non posso farla finita perché non penso che mia madre lo sopporterebbe, ok? E adesso fuori dalle palle!- Rukawa si guardò intorno, poi chiese: -Stai registrando?

-Che cosa devo registrare? La partita? Senti, sparisci. Tanto più male di così non puoi farmi.

-E piantala con questa recita! Il gioco è finito!

-Oh, ma posso sapere che diavolo stai dicendo? Vieni qui in piena notte a delirarmi in faccia, non mi lasci andare a dormire, non ti levi dalle scatole...

-Come l'hai scoperto? Te l'ha detto Ayako?

-Rukawa.- Sakuragi sospirò. L'alcool stava cominciando a far effetto, e le frasi sibilline di Rukawa non erano certo d'aiuto per dargli un quadro della situazione. -Non so. Di cosa. Stai parlando.- Rukawa lo guardò, di colpo dubbioso. Sakuragi allungò le mani, con l'intento di prenderlo per le spalle e costringerlo a spostarsi, ma Rukawa indietreggiò e il rosso mostrò i palmi.

-Scusa. Hai ragione. Non ti tocco. Ma fammi entrare in casa, adesso.

-Tu non sai niente.- disse Rukawa, meditabondo.

-No, non so niente. Non so neanche di cosa stai parlando. Adesso...

-Tu non ne avevi idea.

-Grazie per la dimostrazione della tua abilità di riformulare le frasi. Puoi levarti da...

-Tu mi ami davvero.- Sakuragi sospirò e istintivamente si buttò su una cruda ironia: -No, non ti amo, ho organizzato tutto perché mi piace umiliarmi pubblicamente e il falegname ci sta mettendo un sacco a fabbricarmi una gogna.

-Tu mi ami davvero.- ripeté Rukawa, avvicinandosi pericolosamente. Sakuragi indietreggiò. Ormai era convinto di avere a che fare con un pazzo, e forse per questo non reagì quando Rukawa lo prese per il mento, e ci mise un attimo a capire che cosa stava succedendo.

 

Le sue labbra.

Le sue labbra avevano trovato quelle di Sakuragi. Erano fredde, gelide per l'aria notturna, eppure parevano secernere un calore inebriante.

La sua lingua.

Arrogante, fiera, aggressiva, frugava nella bocca di Sakuragi come se fosse in cerca di un tesoro nascosto, toccava e leccava l'interno delle sue guance, i denti, persino le gengive, e poi tornava ad arrotolarsi alla sua, facendola propria, prendendone il possesso.

Le sue mani.

Forti, affusolate, curiose, vagavano sui vestiti di Sakuragi, cercavano di coglierne la forma del corpo da sopra alla stoffa, stringevano muscoli e percorrevano solchi come se volessero imprimerle nella sua memoria per sempre.

 

Sakuragi si sentì mancare e si staccò di colpo. Sbatté con i glutei contro la ringhiera del ballatoio, che tremò per il contraccolpo, e il bicchiere cadde in un cespuglio. Il suo cuore stava battendo ad un ritmo che presto o tardi l'avrebbe sopraffatto, rincorso dall'ossessivo pensiero “Rukawa mi ha baciato, Rukawa mi ha baciato, Rukawa mi ha baciato”.

-Scusa, io...- Sakuragi alzò gli occhi in quelli di Rukawa, che pareva ora terribilmente confuso e spaventato, -Cazzo, sto per morire.- si lasciò scivolare a terra, una mano stretta sul petto.

-Respira. Piano.- disse Rukawa a voce bassa, inginocchiandosi di fronte a lui. Gli appoggiò una mano sul ginocchio, e Sakuragi la afferrò come un uomo che sta per cadere da un burrone si aggrapperebbe ad una radice. Con pazienza, cercando di imporsi calma, Sakuragi trasse dei lunghi respiri profondi, e finalmente il suo battito cardiaco tornò al di sotto dei livelli di guardia.

-Rukawa, perché hai detto quella cosa?- chiese Sakuragi in tono lagnoso, l'alcool ormai buttato in circolo senza possibilità di redenzione, -E perché mi hai baciato, adesso? Spiegami, non capisco più niente!- ormai dimentico della propria dignità, Sakuragi si mise a piangere, un pianto vacuo e stanco come quello di un bambino malaticcio ed esausto.

-Pensavo che fosse uno scherzo. Ayako sa che...- Rukawa deglutì e si passò la lingua sulle labbra, -Ayako sa che mi piaci. Pensavo che le fosse sfuggito e che tu avessi deciso di prendermi in giro.

-No. No, mai. L'hanno fatto a me, una volta, non lo farei neanche al mio peggior nemico.

-Io sono il tuo peggior nemico.

-Sì, e anche il ragazzo di cui sono innamorato.- la stanchezza nella voce di Sakuragi era così densa che Rukawa se ne sentì quasi contagiato. Si sedette tra le sue gambe, si appoggiò al suo petto e lo abbracciò, appoggiando la testa nell'incavo della sua spalla.

Sakuragi non protestò né cercò di divincolarsi, ma rimase semplicemente lì, senza alzare nemmeno le braccia, solo a respirare e a cercare invano di smettere di piangere; Rukawa sentiva le sue lacrime cadere dal suo mento sulle proprie guance e percorrerle, come se fosse lui e non Sakuragi a piangere. Alzò un braccio e gli accarezzò la mandibola con delicatezza.

Dopo un po', si accorse che Sakuragi si era lasciato andare ad un sonno superficiale, e lo scosse: la notte non era terribilmente fredda, ma restando fuori gli sarebbe di certo venuto un raffreddore. Sakuragi aprì gli occhi, lucidi e stanchi e tristi, e quando Rukawa lo sollevò di peso per farlo alzare non oppose resistenza. Con il suo braccio sulle spalle, lo accompagnò verso la porta su cui c'era scritto il suo cognome e varcò la soglia; si tolse le scarpe premendo la punta di un piede contro il tallone dell'altro poi chiese a voce bassissima: -Qual è camera tua?

-Prima porta a sinistra.- rispose Sakuragi. Rukawa si spaventò: la sua voce era così flebile, così roca, sembrava l'ultimo soffio di una persona morente. Lo aiutò a spogliarsi con mani tremanti, sempre più terrorizzato per la mancanza di reazioni dell'altro, poi lo aiutò a distendersi nel futon. Quando fece per rialzarsi, però, Sakuragi gli ghermì le braccia e disse in tono vago e sognante: -No, per favore, almeno questo sogno fallo finire bene.- Rukawa ragionò, poi si spogliò e si sdraiò al fianco di Sakuragi; le braccia dell'altro gli circondarono la vita. Con mani tremanti, allungò un braccio e prese il cellulare per mandare un messaggio alla madre: inventò una baggianata su un amico in grave difficoltà che l'aveva chiamato nel cuore della notte, aggiunse delle scuse per essere sgattaiolato via senza avvertire e disse che sarebbe rimasto a dormire dall'amico, poi si rassegnò a passare una notte insonne tra le braccia del ragazzo che amava.

Una fitta di dolore gli attraversò il petto al pensiero della sofferenza che gli aveva causato involontariamente, e mentre pensava a come avrebbe potuto farsi perdonare si addormentò.

 

Sakuragi si svegliò in un letto insolitamente caldo e sorrise.

Le sue narici erano piene del profumo di Rukawa, ma non era una novità: aveva fatto in modo di scambiare la sua felpa della squadra con la propria e aveva preso l'abitudine di metterla sul cuscino per fingere di addormentarsi abbracciato a lui.

Poi ricordò.

Ricordò quella brutta frase di Rukawa, il dolore, la grappa di riso, la sigaretta... e dopo, dopo doveva essere rientrato in casa e il suo stupido cervello gli aveva rifilato un sogno confuso su Rukawa che era in realtà innamorato di lui ma credeva che Ayako lo stesse prendendo in giro.

Certo.

Qualcuno avrebbe dovuto scriverci una storiella, si disse.

Un improvviso male allo stomaco lo colpì, come sempre gli succedeva quando era nervoso, e Sakuragi cercò di mettersi in posizione fetale per farlo passare: di solito funzionava.

Ma non quella volta.

Quella volta, le ginocchia di Sakuragi si arrestarono contro qualcosa.

Aprì gli occhi e vide una testa di capelli neri e lisci. Si infrangevano sul cuscino come riccioli disegnati distrattamente al telefono, e recavano la stessa forza primordiale del caos di quegli scarabocchi, che per qualche motivo Sakuragi aveva sempre amato.

-Rukawa?- soffiò. La figura di fronte a lui si mosse e si rivoltò. E sì, il viso nascosto dietro a quei capelli era proprio quello di Kaede Rukawa, anche se Sakuragi non aveva la minima idea di come potesse essere possibile.

-Mpf...- soffiò Rukawa, stiracchiandosi, poi i suoi occhi di cobalto si aprirono e misero a fuoco Sakuragi: -Buongiorno.- disse la sua voce calda e bassa.

-Cosa... come...- biascicò Sakuragi.

-Ieri sera. Non ti ricordi?- sussurrò Rukawa. La sua espressione era strana, sembrava quasi in imbarazzo. Mai quanto Sakuragi, di questo il rosso era certo.

-Non... non era un sogno?- chiese.

-No. Ricominciamo?- propose Rukawa.

-Io...- Sakuragi si sentì arrossire, poi accadde l'impossibile: Rukawa si sporse in avanti e gli diede un rapido bacio a fior di labbra. Sakuragi rimase ad occhi chiusi, e poco dopo si riaddormentò.

Il suo sonno fu superficiale: sentiva delle voci provenire dalla stanza a fianco, poi una porta che si apriva e si chiudeva, poi sua madre lo chiamò: -Hana... svegliati, sono quasi le dieci. E tu devi mettere in ordine questo porcilaio, altrimenti oggi pomeriggio non ti faccio uscire con Kaede.

-Eh?!- sbottò Sakuragi, scattando sull'attenti.

-Hana, figlio mio, ma le prendi le vitamine che ti do al mattino o le sputi appena mi giro? Il tuo amico, Kaede, quello che è rimasto a dormire stanotte.

-Aspetta, mamma, stop, frena, cosa?

-Ti ricordi, spero, che stanotte è venuto qui un tuo amico perché aveva problemi a casa?

-Ehm, qualcosa del genere.- ribatté Sakuragi.

-Ha detto che non ha voluto svegliarti perché dormivi troppo bene, e mi ha chiesto di ricordarti che oggi avete appuntamento al parco. Ma prima devi mettere in ordine la tua stanza, altrimenti non ti faccio uscire per un mese, altro che! Forza, su, alzarsi! Marsch!- la madre di Sakuragi uscì dalla stanza, lasciando il figlio a chiedersi in che diavolo di casino di mondi paralleli si fosse andato a ficcare e come.

Sakuragi si alzò dal futon, andò in bagno e orinò per qualcosa come tre ore, poi andò in cucina e si versò una tazza di tè. Non aveva fame, quindi se la portò in camera per berla con calma, magari leggendo un fumetto.

Quando rientrò, vide che sulla scrivania c'era un foglio piegato con scritto il suo nome in una calligrafia elegante e armoniosa.

 

“Ciao Hanamichi.

Quando ti sei svegliato stamattina sembravi molto confuso e ancora molto stanco, quindi ti lascio dormire. Mi dispiace aver pensato che tu volessi prendermi in giro, ti ho fatto star male e vorrei non averlo mai fatto.

Se la tua proposta di uscire è ancora valida, ti aspetto al parco oggi alle quattro, di fianco alle altalene. Io ci sarò in ogni caso, ma se non vorrai venire lo capirò.

Comunque tuo,

Kaede”

 

Di colpo, Sakuragi realizzò che non aveva sognato: Rukawa era andato da lui nel cuore della notte e al loro solito modo impetuoso avevano capito di essere vittime di un brutto equivoco.

Sorrise alla calligrafia di Rukawa, poi guardò l'orologio: tra poco più di cinque ore l'avrebbe visto.

Ricordò di aver pensato di non aver mai avuto molta speranza, tranne quella di uno sciocco... e si rese conto che a volte la speranza di uno sciocco è tutto ciò che serve.

   
 
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