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Autore: Eternity_Hook    10/06/2020    0 recensioni
[Zetsuen no Tempest]
Per certi versi era ancora arrabbiato con lui, arrabbiato perché non gli aveva rivelato della sua relazione con Aika, la sua sorellastra, arrabbiato perché era lui.
Era lui.
Quell'impassibile, freddo, in parte strano, facile da incolpare Yoshino.
Se c'era qualcosa che Mahiro voleva vedere sempre, anche se stupidamente, quello era lui, nonostante tutto.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mahiro x Yoshino
Zetsuen no Tempest
Yaoi
Verde
Parole: 1080

~¥~

Se c'era qualcosa che Mahiro proprio non voleva vedere, quelle erano le farfalle.
Dopo lo scontro con l'albero della Genesi, con tutte quelle persone trasformate in ferro, detestava quel tipo di insetto.
Per quanto questo potesse risultare aggraziato, delicato, leggiadro, fragile e bello, aveva troppi ricordi di guerra attaccati a sé.
Certo, lui ne era uscito -quasi- illeso, ma diversa era stata la sorte della sua relazione con Yoshino.
Per certi versi era ancora arrabbiato con lui, arrabbiato perché non gli aveva rivelato della sua relazione con Aika, la sua sorellastra, arrabbiato perché era lui.
Era lui.
Quell'impassibile, freddo, in parte strano, facile da incolpare Yoshino.
Se c'era qualcosa che Mahiro voleva vedere sempre, anche se stupidamente, quello era lui, nonostante tutto.
Voleva vedere il suo sguardo luccicare, voleva assistere ai suoi sorrisi, voleva assistere a come le forcine nere tracciassero degli incroci tra la cute marrone cioccolato del coetaneo, a come gli si formassero delle rughette attorno alle palpebre quando era pensieroso.
E lo sapeva.
Sapeva che non aveva assolutamente senso di esistere, quella strana sensazione di gelosia e possessività che lo portava comunque a cercarlo per evitare che qualcun'altro si appropriasse di lui, ma non poteva farne a meno.
Pensare che il castano si trovasse a baciare un altra, o un altro, perché no, lo faceva innervosire da morire.
Per un po' aveva creduto che tale sensazione fosse basata perché era stato con sua 'sorella', dopotutto, come avrebbe potuto non crederlo.
Tutti gli avevano sempre sbattuto in faccia che lui, come se potessero capirlo loro quello che Mahiro provava davvero, era innamorato di lei e solo di lei, chi con frasi incompiute, chi con espressioni facciali corrucciate.
Eppure lui sapeva che non era così, perché avrebbe dovuto esserlo?
La giudicava come una sorella, non altro.
E per una sorella, per quanto insopportabile a volte, si sarebbe vendicato in ogni caso e sarebbe arrivato a ricercare un colpevole in ogni caso, non era un obbligo chiedere vendetta per amore passionale, bastava anche solo l'affetto fraterno per scatenare odio nei confronti degli assassini.
E la sua era stata una vendetta davvero viva e una richiesta purtroppo inutile, siccome era stata lei stessa a suicidarsi per provocare l'effetto farfalla... Ma qualcosa di più profondo della vendetta si era insinuato in lui quando aveva visto la radice di quell'albero imponente che infilzava Yoshino in pieno ventre.
Era rimasto senza fiato, senza un vero e proprio ossigeno, con la terra che pareva essergli crollata addosso come un pesante e oscuro, impossibile da sollevare, macigno mortale.
In quell'istante, quel brevissimo istante, il dolore lo aveva ucciso dentro.
All'inizio aveva creduto che fosse dovuto alla stessa sorte che gli si era abbattuta contro, uguale a quella di Yoshino.
Venir attraversato dalle origini di un albero primordiale che si era spostato da solo, perforandogli la cavità toracica, di certo quello non era qualcosa di leggero da provare.
Eppure, il dolore lo aveva provato molto prima di essere infilzato e in maniera ancora più terribile, perché era stata una magnitudo interna al suo corpo, letale e sfregiante.
Era stato un tumulto tale che si era sentito al limite, desideroso di spegnere tutto per la sofferenza interna, per il lento e quasi immorale disgregarsi del suo animo che si rompeva ad ogni attimo di più.
L'esser portato quasi alla morte da quella stramaledetta pianta, a confronto, era stato privo di dolore, per non dire che aveva annacquato e annullato i suoi sensi distrutti dal malato senso di disperazione che, con la velocità di un rapace invisibile, si era appropriato delle sue membra scosse.
Nell'attimo in cui era stato infilzato, aveva come tratto sollievo dalla sensazione di non rimanere da solo, senza quello sguardo verde smeraldo, senza quel volto sempre disinvolto.
Quando si era svegliato nell'ospedale, per quello che era sembrato, all'inizio, il giorno dopo, aveva subito pensato al ragazzo che aveva sempre pensato di conoscere seriamente.
Aveva chiesto di lui.
Il suo cervello aveva provocato tante di quelle ipotesi sul castano, su quando avesse potuto rincontrarlo, su come.
Quello era stato ciò che aveva dato il primo colpo alla sua convinzione di vedere Yoshino solo come un amico.
Poi aveva scoperto del suo precedente fidanzamento con Aika e avrebbe preferito mille volte essere morto che sapere una cosa simile.
La gelosia, la rabbia, l'irritazione, il desiderio di colpire il castano nella maniera più forte che gli era possibile per il semplice fatto che si sentiva tradito, la delusione... Quelle sensazioni lo avevano prostrato in ginocchio e quasi sepolto con il loro peso inconfondibile, gettando massi sul suo petto martoriato.
Lo aveva picchiato solo una volta, a Yoshino, e gli era bastata a scaricare e placare buona parte dell'ira, ma in quel momento era molto, molto peggio che in precedenza.
Era arrabbiato con il castano, era arrabbiato con se stesso.
Era infuriato perché lui riusciva ad affascinare le persone con il suo atteggiamento un po' misterioso, un po' freddo, ed era infuriato con se stesso perché non si era reso capace di liberarsi da quel desiderio persistente di baciare Yoshino.
Era irato dall'aver ceduto e dall'essersi fatto abbindolare da quello sguardo per lui bellissimo e adorabile fino ad innamorarsene fin dal primo istante in cui lo aveva visto, in classe, a scuola.
Ricordava benissimo come erano diventati amici, per quanto strano forse fosse risultato sia a sé stesso che all'altro.
Ricordava perfettamente ogni istante della sua infanzia, passata insieme a quell'indecifrabile individuo.
E allo stesso tempo era triste, siccome non riusciva a comprendere come aveva fatto a essere così stupido da non capire cosa provava nei confronti del compagno.
Era come se lo avesse sempre saputo, ma non se ne fosse mai reso conto seriamente se non con i tasselli ormai ordinati del puzzle, troppo ovvii a momenti, in maniera tale che riuscivano perfino a farlo sentire stupido.
E quindi, lui lo sapeva.
Sapeva che non avrebbe dovuto sentirsi così.
Sapeva che, anche se lo osservava, non avrebbe dovuto nemmeno pensarlo, anche perché a lui, ora, sembrava piacere la principessa.
Sapeva che non avrebbe dovuto far nulla, magari limitandosi a scolare una bottiglia di alcolico per poi andare a letto, maledicendosi malamente per essere arrivato troppo tardi ad una conclusione così facile.
Ma sapeva anche che, in ogni caso, valeva la pena tentare.
Appoggiare le sue labbra a quelle del castano, nulla di più naturale e maledettamente perfetto nella sua casta e in contemporanea affamata e desiderosa richiesta di amore nei suoi confronti.
Nulla di più vero e speciale.

   
 
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