Quel giorno ero arrivata prima del mio solito e dopo aver constatato
che al
solito punto di ritrovo della mia classe non ci fosse nessuno, mi ero
diretta
verso il bar. Solitamente arrivavo sempre un po’ prima per
poter parcheggiare
tranquillamente la mia macchinetta senza il rischio di trovare le
macchine
degli impiegati dei vari uffici parcheggiate anche sui posti riservati
ai
motorini e a tutti i mezzi di cilindrata cinquanta. Tuttavia quella
mattina,
stranamente, avevo deciso subito cosa mettermi e non avevo perso troppo
tempo
camminando avanti e indietro per casa senza combinare niente, riuscendo
così ad
uscire alle otto meno dieci da casa e stando alle otto in punto di
fronte
all’inquietante cancello del mio liceo.
-Scusate- Dissi a voce abbastanza alta in modo da riuscire a farmi
spazio
fra la massa di gente che si era accalcata nell’area fra il
bancone e la cassa.
Mentre aspettavo che fosse il mio turno per pagare mi guardai intorno
cercando
di scorgere qualche volto conosciuto: riconobbi qualche ragazza
dell’ultimo
anno ed una professoressa della sezione G che chiaccherava animatamente
con un
suo alunno.
-Buongiorno, Ginni!- La voce di Franco, il proprietario del bar, mi
destò
dalla mia perlustrazione del luogo. Mi voltai con un ampio sorriso e
contai
velocemente i soldi che tenevo sulla mia mano destra: un euro e trenta
giusti
giusti. –Un moretto ed un caffé, giusto?-
-Giusto- Risposi sorridente. In fondo dopo due anni passati a fare
sempre
colazione lì, ordinando le sempre stesse cose, anche lui ed
i baristi avevano
imparato a memoria i miei gusti in fatto di cibo. Posai i soldi sul
piattino e
presi lo scontrino, mettendomelo subito in tasca. Tanto non me lo
chiedevano
neanche più. Sgomitando il più elegantemente
possibile ed il meno dolorosamente
per coloro che mi circondavano, riuscii a raggiungere il bancone,
buttando
immediatamente la mia borsa a terra. Non appena Anna, la barista, mi
notò, mi
accolse con un ampissimo sorriso e mi fece segno di andare a prendere
il
moretto ed il caffé. Non passarono neanche due minuti che
stavo già consumando
tranquillamente la mia colazione. Mentre addentavo felice il moretto
assaporandone il sapore al cioccolato pensando alla giornata che mi
aspettava,
mi guardai un po’ intorno e non appena voltai la testa a
destra vidi al mio
fianco un ragazzo che non avevo probabilmente mai notato prima a scuola
avvicinarsi, posare la borsa a terra e mettere lo scontrino sul
bancone. Lo
osservai incuriosita mentre mandavo giù l’ultimo
pezzo di quella bontà
ipercalorica che avevo appena mangiato: alto, capelli mori non troppo
lunghi e
leggermente spettinati, carnagione un po’ scura e lineamenti
tranquilli, dolci
e regolari. Possibile che nella mia scuola, carente di ragazzi carini,
non si
fosse mai parlato di quel ragazzo che meritava sicuramente un posto
nella
classifica dei più desiderati? Ipotizzai che fosse uno nuovo
mentre portavo la
tazzina alle labbra per mandare giù il caffé
amarissimo. Ad un tratto lui si
girò ed incrociò il mio sguardo che gli stava
facendo una radiografia da almeno
un paio di minuti. Mentre le mie guance si coloravano probabilmente di
porpora
ed indirizzavo il mio sguardo ficcanaso sul piattino dove posavo la
tazzina,
lui sorrideva guardandomi per poi tornare a concentrarsi sul suo
cappuccino.
-Ciao, Anna!- Dissi con evidente imbarazzo nella voce mentre mi piegavo
a
raccogliere la borsa a tracolla da terra.
-Ciao, Bella!- Rispose salutandomi con la mano. –Ci vediamo
domani!-
Nonostante fosse sempre indaffarata, mi parlava sempre con una simpatia
ed una
gentilezza immensa, facendomi sentire ogni volta benvoluta al famoso
“baretto
dell’Eco”. Lanciai un’ultima occhiata al
nuovo, misterioso ragazzo che in quel
momento mi dava le spalle ed uscii, ringraziando il cielo che
l’ora di punta
era ormai passata e c’era la metà della gente.
-Ginni, Ginni, Ginni!- Una chioma di capelli biondi sembrava correre
nella
mia direzione dal parcheggio e solo quando si fermò e si
scosse, vidi il viso
della mia migliore amica, Sara.–Buongiorno! Che ore sono?- Mi
domandò con un
po’ di fiatone passandosi una mano fra i capelli per
sistemarli e stringendo
saldamento nell’altra il suo casco azzurro.
-Sono le otto e dieci- Risposi guardando l’orologio che
portavo al polso.
–Sembra che tu ti sia fatta di corsa il tragitto da casa a
qui!- Osservai
guardandola un po’ meglio senza poter evitare di ridere.
-Non ho sentito la sveglia, mi sono alzata venti minuti fa.. Non
chiedermi
come faccia ad essere qui! Sono venuta solo perché quella
folle della Marini
oggi vuole controllare le nostre parafrasi di Dante!- Respirava a
stento e la
sua espressione sembrava raccontare da sola la sua disavventura
mattutina.
-Comunque, ora che mi hai degnata della tua regale presenza, proporrei
di
andare a cercare Gianluca ed entrare.. Metti caso che oggi
-Ieri sono stata tutto, tutto il pomeriggio a copiare quella dannata
parafrasi da internet! Non finivano più quei cavolo di
versi..- Sara era fatta
così, amava lamentarsi. Era una ragazza molto sveglia,
dolce, ed anche
piuttosto intelligente, ma studiare regolarmente non faceva proprio per
lei..
Si riduceva ogni volta all’ultimo minuto e finiva sempre per
fare le cose a
metà, prendendo così voti mediocri.
-Io più che altro ho faticato a mettere insieme tutti i
fogli sparsi che
avevo disperso per casa!- Commentai senza troppo interesse per
l’argomento
mentre ci fermavamo proprio davanti alla nostra scuola, sul marciapiede
opposto. –Strano che non si veda Gianluca..- Mormorai
guardando la strada in
salita che stava alla mia destra, su cui lato destro erano parcheggiate
tutte
le macchinette e tutti i motorini. -..Eppure il motorino l’ha
già
parcheggiato!- Aggiunsi guardando il suo scooter 125 della Yamaha
sistemato
accanto ad una moto nera come la pece che faceva la sua bella figura
fra tutti
quei motorini.
-Magari è già dentro.. Entriamo dai, che non ho
voglia di colloquiare con quella
racchia!- Sara mi
tirò per un braccio facendomi attraversare, praticamente
trascinandomi, la
strada. Varcammo il cancello e salimmo i gradini, entrando
così nell’edificio
vero e proprio. Svoltammo a sinistra e prendemmo le scale, salendo al
primo
piano. Raggiunsimo la nostra classe il II E ed entrammo, trovando sei
nostri
compagni di classe impegnati a discutere animatamente
dell’ultima partita della
Roma.
-Buoongiorno!- Esordì colui che era il mio più
grande amico, più importante
anche di Sara e di tutto il resto del mondo: Gianluca. Capelli castani,
con la
frangia, portati sempre con quel poco di gel che gli donava
quell’aria un po’
sbarazzina, i vestiti firmati ma senza esagerazione ed un sorriso che
era in
grado di illuminarti la giornata più buia. Una persona
d’oro: sorridente,
ambizioso, comprensivo.. Ma c’era anche da dire che era
dannatamente,
perdutamente stronzo. Amava dare un’immagine di sé
forte, del menefreghista, ma
non appena si apriva con qualcuno perdeva subito quella stupida
maschera.
-Ciao, tesoro!- Dissi stampandogli un bacio sulla guancia prima di
andare a
posare la borsa sul banco che condividevo con lui, mentre Sara si
sedeva su
quello dietro che invece spartiva con Annagiulia, un’altra
nostra grande amica,
anche se non aveva lo stesso rapporto che avevamo noi tre.
-Oggi prevedo un’assenza collettiva- Dissi mentre andavo alla
porta per
affacciarmi al corridoio.
-Mannaggia alla mia stupidità!- Sbottò Matteo, un
mio compagno di classe
che sembrava un troll un po’ più carino.
–Potevo evitare di far sega(*) quattro
giorni fila per poi ridurmi il giovedì ad entrare!-
Batté un pugno sul banco
per poi tornare a discutere con Davide, un altro della sua stessa
specie della
divinità di Francesco Totti. Eravamo in tutto otto persone
su diciotto quella
mattina.. Indubbiamente quella vecchia megera avrebbe chiesto la
parafrasi,
perché spiegare non poteva secondo il regolamento
d’Istituto che voleva la
presenza di metà classe più uno
affinché il docente potesse andare avanti con
il programma.
-Arriva, arriva!- Annunciai ai miei compagni di classe precipitandomi
al
mio banco e prendendo posto affianco a Gianluca che già
aveva tirato fuori il
libro di italiano. Ci dividevamo i libri e di conseguenza non dovetti
neanche
scomodarmi di aprire la mia borsa: la penna la prendevo da lui ed era
meglio
non far vedere alla professoressa dei quaderni, in caso se ne fosse
dimenticata!
-Buongiorno, ragazzi..- Disse con la sua solita vocina frettolosa
fissando
terra e trascinando la sua borsa di pelle marrone. Quella borsa pesava
un
quintale ed era l’incubo di ogni studente del corso E essere
incaricato a
portargliela nella sua prossima classe. Tutti ci alzammo, visto che non
alzarsi
era ritenuto da lei un attacco personale, e non appena lei si sedette
noi tutti
la imitammo, guardandoci silenziosamente intorno e pregando tutti
affinché si
esaurisse un unico nostro desiderio. –Come mai oggi siete
così pochi? Io volevo
far progredire un po’ le vostre conoscenze, per Bacco!-
Borbottò aggrottando le
sopracciglia ed aprendo il registro di classe. –Facciamo
prima a segnare
solamente i presenti, oggi.. Allora, vediamo chi
c’è..- Si guardò intorno
portandosi la penna alla bocca per poi fiondarsi a scrivere.
–Chiara
Amatori..Matteo Bassotti..Valeria Guglielmino.. Davide Manili.. Giorgia
Moccia.. Veronica Paglialunga.. Sara Rossetti.. Ginevra Sforza e
Gianluca
Terenzi.. Eccoci qui!- Chiuse trionfante il registro e
continuò a segnare le
assenze sul proprio registro personale.
Ombretta Marini era considerata probabilmente la professoressa
più suonata
in tutto il Liceo Classico “Umberto Eco”. I
racconti delle sue lezioni, delle
sue battute e di tutte le sue stranezze avevano circolato per anni e
continuavano a circolare per tutti i corridoi, fra tutti gli studenti
ed i
professori ma, stranamente, non arrivavano a lei che era la diretta
interessata. Non amava seguire il programma ministeriale della propria
materia:
in realtà si permetteva di saltare spesso autori importanti
ed opere, solo
perché non sono esattamente di suo gusto. Aveva i capelli
lunghi fino le
spalle, grigi e sparati all’aria stile Einstein, vestiva
antiquata e non sempre
in un modo definibile decente. Tuttavia ciò che maggiormente
i suoi studenti
temevano erano le sue interrogazioni: era in grado di chiederti le cose
più
assurde, concentrarsi su una riga di un lunghissimo canto di Dante e
mandarti a
posto con un quattro solo per una domanda a cui non davi una risposta
pienamente soddisfacente. La donna più eccentrica del mondo.
-Oggi cos’avevamo? Dante?- Domandò con la sua aria
stralunata. Qualcuno
annuì e lei si alzò dalla cattedra avanzando su
quegli stivali scamosciati che
portava da anni e con ancora il cappotto addosso. –Non dovevo
fare un controllo
delle parafrasi?- Domandò
senza
conoscere in realtà neanche lei la risposta. Nessuno
tuttavia osava mentirle,
perché sennò la punizione sarebbe stata ben
peggiore. Non si metteva né ad
urlare, né a fare scenate isteriche Ombretta. Lei perdeva la
fiducia, se la
legava al dito e non perdeva mai l’occasione per ricordarlo.
Mentre passava fra i primi banchi, noi altri tiravamo fuori i quaderni
di
italiano dagli zaini. Presi la borsa e la posai sulle mie ginocchia, la
aprii e
ci mancò poco che non tirassi un urlo. Probabilmente in quel
momento sembravo
uno di quei comici cartoni animati con gli occhi sparati fuori dalle
orbite e
la mandibola che toccava terra.
-Non è la mia borsa questa!- Dissi a Gianluca boccheggiando.
Inarcò un
sopracciglio, non aveva afferrato il concetto.
–Non-è-la-mia-borsa!- Scandii
nuovamente ficcando la sua testa quasi dentro di essa.
–Guarda!-
-Ho capito, ho capito..- Disse allontanandomi con le mani. –E
di chi è
diamine è allora?- Bella domanda!
-Se lo sapessi non starei qui no, che dici?- Proprio in quel momento la
trotterellante figura di Ombretta Marini si accostò al terzo
banco centrale
che, guardate un po’ il caso, era proprio il mio.
-Dove sono i quaderni, ragazzi?- Domandò fintamente cordiale
mentre in
realtà già articolava la ramanzina che ci avrebbe
fatto in caso non glieli
avessimo dati. Gianluca le passò prontamente il suo e lei si
buttò a leggere a
capofitto. Gianluca Terenzi era il suo alunno preferito, ne aveva
sempre uno di
sesso maschile. Generalmente disprezzava i maschi e li riservava un
trattamento
peggiore che alle ragazze ma con il suo cocchetto di turno cambiava
decisamente
atteggiamento: dolce, affettuosa, premurosa..quasi una mamma!
–Bravo, vedo che
resti sempre un ragazzo diligente!- In realtà non aveva
letto neanche mezza
parola di quelle parafrasi. Gianluca avrbebe potuto tranquillamente
scriverci i
testi delle canzoni dei Metallica e lei se la sarebbe bevuta senza
troppi
problemi. –Il tuo, Sforza?- Panico.
-Professoressa.. Non ci crederà, non ci credo neanche io..Ma
c’è stato uno
scambio di borse!- Lei mi fissava con gli occhi sbarrati ed era
già pronta ad
aprire la bocca per poter usare finalmente la ramanzina che si era
preparata.
Tuttavia provai a salvarmi in corner e portai sul tavolo la borsa nera,
l’aprii
e tirai fuori tutti i libri ed i quaderni che c’erano dentro.
–Non sono i libri
di questa sezione, guardi!- Escalmai mettendole ad un centimetro dal
naso il
libro di italiano del misterioso proprietario di quella borsa.
-Per quanto mi riguarda potresti aver messo su questa piccola,
divertente
scenetta per non fare le parafrasi.. Sforza, sicuramente sei una
ragazza onesta
ma in tutti questi miei anni di carriera ho imparato che fidarsi
è bene, ma non
fidarsi è meglio!- Trotterellò alla cattedra e mi
fissò sorridente mentre
prendeva la sua agendina rossa. –Annoto il tuo nome e alla
nostra prossima
lezione provvederò a controllare se adempi ai tuoi compiti,
signorina!- Detto
ciò mi lasciò completamente perdere per
continuare il proprio giro ed io
sospirai sonoramente. In fondo mi era andata anche meglio del previsto.
Guardai
Gianluca e cominciai ad aprire ogni singolo libro e quaderno. Non
c’era il nome
da nessuna parte, né la classe, né un diario.
Come poteva qualcuno andare in
giro senza diario!
-Non ha personalità questa persona! Ha una scrittura che
potrebbe essere
sia di una ragazza che di un ragazzo! Non ha un diario, ha i quaderni
mezzi
vuoti, i libri talmente usati che neanche a volerlo riuscirei a
distinguere una
scritta attuale da una passata.. Chi diamine è una persona
che a gennaio, con
il primo quadrimestre agli sgoccioli, ha i quaderni mezzi vuoti?- Stavo
cominciando a sfiorare l’isterismo e mentre li richiudevo uno
per uno mi
immaginavo la reazione che avrebbe avuto l’altra persona nel
momento in cui
avrebbe aperto la borsa. Maledizione.. Mi dovevo proprio comprare la
tracolla
dell’Eastpack più anonima ed irriconoscibile di
tutte? Nera, senza peluche,
senza portachiavi.. Chiavi? –Le chiavi! Gian, le chiavi!- Gli
diedi un pugno
sul braccio che lo fece sussultare. Sara fece un
“shhh” invitandoci a stare più
calmi visto che Ombretta stava controllando proprio al suo banco.
–Le chiavi
della mia macchinetta erano nella borsa..- Sussurrai posando la
tracolla a
terra. –C’era il mio portafoglio, i miei documenti,
il mio telefono, il mio
iPod.. Questo qui non ha nulla! Neanche uno straccio di libretto
scolastico!-
-Guarda il lato positivo..- Si intrommise Sara che
era stata appena abbandonata dalla professoressa che se ne stava
tornando alla
cattedra. -..L’altro ha i tuoi documenti, con su scritto il
tuo nome ed indirizzo.
Troverà sicuramente il modo di riportartela!- Quelle parole
mi fecero tanto
rincuorare che riuscii a non pensare troppo alla storia della borsa e
presi
addirittura qualche appunto sul nuovo argomento che la vecchia
spiegava.
Incredibile.. Quel giovedì si stava rivelando una giornata
davvero incredibile.
Sei ore più tardi suonava la campanella più amata
dagli studenti di tutte le classi: quella dell’ultima ora.
Non appena finì il
suo gioioso canto, gli alunni di undici intere sezioni si riversarono
nei
corridoi del liceo e cominciarono a precipitarsi verso una delle due
uscite, a
seconda di dove si trovasse la loro classe, di dove avessero
parcheggiato.
Uscii da quella principale che dava proprio sulla salita dove avevo
parcheggiato con ancora la borsa sconosciuta sulla mia spalla. Nessuno
era
venuto a reclamarla durante la ricreazione e stavo cominciando davvero
a
perdere le speranze. Magari era un ladro che aveva creato tutto
ciò per rubarmi
soldi, chiavi e tutto. Le mie preoccupazioni aumentarono: cominciavo a
ragionare come la mia folle prof di italiano.
-Ci vediamo domani!- Sara salutò me e Gianluca con
un affettuoso bacio sulla guancia ed andò verso il suo
motorino che si trovava
dalla parte opposta della piazza. Io e Gianluca invece prendemmo la
salita ed
andammo verso i nostri rispettivi mezzi di trasporto.
-Mi dispiace di non poterti dare un passaggio,
davvero.. Devo passare a prendere mia sorella a scuola..- Mi disse
sinceramente
dispiaciuto Gianluca. Scossi la testa, sapevo perfettamente che mi
avrebbe
portata sulla luna se avesse potuto.
-Tranquillo, ho mandato un messaggio a mamma
avvertendola che siccome lei stava a lavoro andavo con
l’autobus da nonna e
restavo a pranzo da lei!- Risposi osservandolo mentre si metteva il
casco e
saliva sullo scooter. Certo che Gianluca meritava tutto il titolo del
più
desiderato della scuola. Aveva un bel fisico asciutto e scolpito,
vestiva in
quel modo perfetto che oscillava fra il firmato ed il casual senza mai
prevalere da un lato, era simpatico, socievole ed intelligente.. Anche
se
l’intelligenza non era mai un fattore che veniva considerato
dalle ragazze al
momento di valutare una loro nuova preda.
-Ciao, Ginni!- Mi disse mandandomi un bacio
lontano ed allontanandosi a gran velocità. Mi fermai
lì a guardare sconsolata
la mia macchinetta parcheggiata qualche metro più in
là mentre mi stringevo di
più nel mio cappotto. I miei lunghi capelli rossicci
ondeggiavano mossi dal
freddo vento invernale e mi sentivo che la sciarpona che mi ero avvolta
intorno
al collo non avrebbe protetto le mie povere corde vocali e che il
giorno dopo
probabilmente sarei sembrata un travestito della Colombo (*).
-Si, papà.. Guarda non so chi diamine sia!
Stamattina sono andato alla partita di pallavolo con la scuola,
sì, e quando ho
aperto la borsa per prendere la tuta.. non era la mia!- Ero
già sul punto
d’andarmene quando a quelle parole scattai come un radar. Il
proprietario della
lucente moto nera che era stata parcheggiata vicino a quella di
Gianluca era
anche il proprietario della famosa borsa? Non lo vedevo in faccia in
quanto
stava sistemando qualcosa nel sottosella, forse il bloccadischi.
-Sì,sì.. ci sono i documenti e tutto.. Non credo
di averla mai vista a scuola!- Ma come non mi aveva mai vista! Dove
viveva il
ragazzo? Conoscevo quasi tutti in quel liceo essendo stata per tutti e
quattro
gli anni rappresentante di classe e passando le mie ricreazioni in
cortile a
conversare con tutti quelli che mi capitano a tiro.
–Vabbè dai ci vediamo a
casa ..Sì, sì, avevo tutto nelle tasche per
fortuna. A tra poco!- Attaccò e
dopo aver sistemato il cellulare in tasca prese il casco e se lo
rigirò fra le
mani.
-Hey, aspetta!- Urlai facendolo voltare di scatto.
–Credo che tu abbia la mia borsa..- Aggiunsi a voce un
po’ più bassa. Lo
sconosciuto si tolse il casco e rimasi un attimo allibita: era il
ragazzo di
quella mattina al bar. Certo che non mi aveva mai vista.. Io non avevo
mai
visto lui, pensavo addirittura che fosse uno nuovo. Lui
inarcò un attimo il
sopracciglio e poi sorrise, sfoggiando uno dei sorrisi più
belli che avessi mai
avuto l’opportunità di vedere.
-Credo proprio di sì!- Disse tirando fuori dalla
tasca della giacca il mio libretto. –In questa foto sembri
una ragazzina di
dieci anni con la varicella!- Commentò ridacchiando la mia
foto. Strabuzzai gli
occhi e con uno scatto felino gli strappai di mano il pezzo di carta e
lo
strinsi al petto, non prima di aver buttato un occhio
sull’orribile foto.
-Ok che sembro che io abbia dieci anni e non
diciassette.. Ma non ho la varicella! Sono tante, tante lentiggini.. Le
ho
anche ora..- Provai a giustificarmi un po’ imbarazzata. In
fondo era proprio un
bel ragazzo, lui, e sentirmi fare certi commenti sulla foto non mi
faceva stare
proprio a mio agio. Lui mi guardò intensamente per poi
annuire.
-In effetti sei proprio piena zeppa di
lentiggini!- Osservò per poi avvicinarsi a me e posare
accanto ai miei piedi la
mia borsa. –E sei anche un po’ secchiona.. Cosa ci
fai con dieci versi del
Purgatorio parafrasati con tanto ordine e diligenza?- Questo era
decisamente
troppo!
-Ma non ti sarai fatto un po’ troppo i fatti miei?
Oggi la professoressa ci controllava i quaderni e.. E sempre meglio dei
tuoi!
Ma dai! Non c’è uno straccio di nome da nessuna
parte, hai una scrittura
ambigua ed i tuoi quaderni potrebbero anche non esserci visto
l’uso che ne
fai!- Obiettai cocciuta ma anche un po’ divertita da quella
situazione.
-Anche tu non hai tardato ad aprire tutto,
Ginevra.- Bene, mi chiamava anche per nome il ragazzo! Aveva un bel
sorriso
certamente, ma era estremamente beffardo e sghembo. I suoi occhi
castani
sembravano ridere in continuazione di me ed io non sapevo se il tutto
mi desse
fastidio, mi stesse indifferente o simpatico. Gli passai la borsa e
presi la
mia, aprendola e sorridendo felice. Afferrai le chiavi della
macchinetta ed il
cellulare: dovevo avvertire mia madre del fatto che non aveva una
figlia
completamente deficiente ed andare subito da nonna, che mi stava
già
aspettando.
-Io ora devo andare!- Dissi infine con un sorriso
che probabilmente si allargava su tutto il mio volto. –E
siccome tu conosci il
mio nome, potrei sapere il tuo?- Domandai curiosa guardandolo negli
occhi.
-Emanuele.- Rispose molto semplicemente mentre si
metteva la borsa in spalla e riprendeva il casco nero come la sua moto.
–Ci si
vede a scuola allora- Aggiunse sedendosi sulla yamaha.
-Sì, ci si vede!- Mi voltai e mi incamminai verso
il mio adoratissimo mezzo di trasporto e, quando ne ero ormai a due
passi mi
voltai e vidi Emanuele ancora impegnato con il casco in un mano ed il
cellulare
nell’altro.
-Io non ti ho rubato la tuta, eh!- Dissi a voce
alta. Lui alzò lo sguardo e mi sorrise, scoppiando poi
proprio a ridere.
-Non c’era. Un giornò ti racconterò!-
Lasciandomi
con quella sottospecie di promessa si infilò il casco,
abbassò la visiera e
infilò il cellulare nella borsa. Fece retromarcia e poi con
una sonora sgommata
si allontanò. Lo seguii con lo sguardo mentre aprivo la
portiera e mi sedevo in
macchina. Posai la borsa sul sedile affianco al mio e tirai fuori un
attimo le
mie cose: il mio quaderno di italiano, i miei libri di storia e latino,
ed
infine il mio diario. Lo sfogliai qualche secondo per poi notare sulla
seconda
pagina un post-it giallo con su scritto:
“Complimenti
per i gusti musicali! E.”
Sorrisi
leggendo quella calligrafia anonima,
chiusi poi il diario e partii in fretta diretta a casa di mia nonna.
Probabilmente non mi immaginavo nemmeno che quello scambio avrebbe
cambiato il
resto del mio anno scolastico.
(*) Il moretto è un cornetto la cui pasta è fatta completamente di cioccolato ed anche al suo interno ne è riempito.
(*) La Colombo è la strada che porta dal Colosseo ad Ostia e di notte è solita essere frequentata da prostitute e travestiti.
Questa è la prima fanfiction originale che scrivo ed è ambientata in tutti posti da me conosciuti. Il mio liceo non si chiama Umberto Eco, ma la piazzetta, il baretto e tutti i luoghi descritti sono realmente esistenti. Per i personaggi mi sono ispirata a ragazzi e ragazze che frequentano la mia scuola oppure a persone di fuori che conosco. La mia prof di italiano è la famosa Ombretta, anche se non si chiama così! Spero che questa FF vi piaccia, anche se so che far appassionare le persone con una originale non è sempre facile. Tuttavia mi piace questa storia ed ho intenzione di portarla avanti!
Un bacione,
Silvia.