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Autore: Hi Ban    14/06/2020    1 recensioni
“Sai che Malfoy era un Serpeverde?” rivelò a Rose con fare concitato.
Veramente la frase che avrebbe voluto usare era qualcosa come ‘sai che Malfoy era un bastardo?’, ma non doveva perdere di vista il suo scopo e non poteva essere volgare davanti ad una bambina di sette anni – e due mesi. “Beh, anche il figlio lo sarà… credo proprio sia scritto nei geni.”
“Ah, sì? Però sia Dean Thomas che sua moglie Cecily sono Grifondoro, eppure la figlia Ava è a Tassorosso” si intromise Hermione.
“Chiaramente può capitare, ma è davvero molto raro-”
“Ci stai forse suggerendo che non è figlia loro?”
“Ma che stai dicendo? Certo che no-”
“O forse che è stata trovata sotto ad una Verza Saltellante?” lo pressò ancora la donna.
“Cosa? No!”
Perché aveva deciso di sposare una donna contro cui non sarebbe mai riuscito ad averla vinta?
Genere: Commedia, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Statisticamente
i m p o s s i b i l e

 

Rose Weasley era una bambina davvero arguta per la sua età.
Era innegabile la somiglianza con la madre: se non fosse stato per i capelli rossi, le lentiggini e gli occhi identici a quelli del padre, sarebbe stata una perfetta Hermione in miniatura. Era l’orgoglio e la gioia di ogni genitore. All’inizio, Ron era rimasto un po’ perplesso, ma alla fine aveva accettato che sua figlia se le leggeva da sé le favole della buona notte. Fortunatamente a sette anni preferiva ancora le Fiabe di Beda il Bardo, ma solo perché Hermione aveva deciso che per apprezzare appieno Storia di Hogwarts fosse necessaria un’età maggiore – nove, massimo dieci anni, aveva concluso la signora Granger-Weasley.
Era davvero molto intelligente per la sua età, inutile negarlo, ed era davvero una buona cosa. Forse, però, lo era un po’ meno l’arguzia che ogni tanto la bambina tirava fuori per rigirare le cose a suo favore – un tratto tipicamente Granger e abbondantemente influenzato dai due zii, Fred e George, con cui Rose passava molto più tempo di quanto Ron ritenesse ottimale.
A distanza di anni, infatti, Ron poteva ancora ricordare con estrema chiarezza il giorno in cui questa grande capacità intellettiva e intuitiva della figlia settenne aveva messo a rischio il suo infallibile piano per indirizzare la figlia verso quelli che lui chiamava ‘sani principi di vita’. Hermione invece era solita chiamarli infantili pregiudizi senza senso e più volte aveva rimproverato il marito per quella sua estrema fissazione, ma lei non poteva capire. Assolutamente no! Era una questione di principio, di famiglia, di sangue, di tradizione e via dicendo.
Ovviamente l’oggetto del suo astio erano i Malfoy, perché Ron tendeva ad essere rancoroso e non riusciva ad accettare quelle frasi fatte che ogni tanto gli tirava dietro Hermione, nel tentativo di scardinarlo da quell’insulsa fissazione – o così la chiamava lei.
Com’era già?
Saper perdonare?
Non cadere nel tranello dei pregiudizi?
Diffondere la cooperazione tra maghi?
Mettere il passato alle spalle?
Scardinare il male con l’unione e–
Blablabla, rispondeva Ron.
Poteva accettare tutto, ma non i Malfoy. Non avrebbe mai permesso che qualcuno di quei maghi dal sangue nero entrasse a far parte della vita anche di uno solo dei Weasley. Quel ragionamento, a maggior ragione, si rafforzava se il Weasley in questione era sua figlia. Lei non doveva assolutamente avere qualcosa a che fare con quella gente. Quando poi aveva scoperto che anche Malfoy aveva avuto un figlio e che tale progenie del furetto slavato aveva la stessa età della sua Rosie, Ron aveva compreso che il tempo era oro e che bisognava agire in fretta, battere il ferro finché caldo. Era scontato che i due avrebbero frequentato Hogwarts negli stessi anni, perciò la sua bambina doveva arrivare al castello con delle basi solide circa chi incontrare e chi no. Una piccola, infinitesimale parte di lui – che di tanto in tanto assumeva stranamente la voce di Hermione – gli ricordava che quello era lo stesso ragionamento che i Malfoy avevano usato per generazioni nei confronti dei Weasley e che era sbagliato plagiare i figli in quel modo. Ma era più forte di lui, i Malfoy li odiava proprio per il trattamento che avevano riservato alla sua famiglia, come faceva a dimenticarsene? Poi era certo che anche Draco Malfoy avrebbe educato i suoi figli seguendo i dettami di Lucius, perciò era solo giusto che anche loro mettessero dei paletti.
Era così che tentava di argomentare con la moglie, con lo scopo di farle ritrovare il lume della ragione che aveva chiaramente perso tra tutti i libri che leggeva, ma questa non sembrava smuoversi. Lui, dal canto suo, non riteneva assolutamente di essere nel torto, perciò ignorava quella dannata vocina che gli faceva notare che forse forse stava esagerando. Per lui i Malfoy erano il male sotto spoglie nemmeno molto mentite, erano la vergogna di tutto il mondo magico, un esempio da non seguire e da evitare come il vaiolo di drago. Punto. Fine del discorso.
Il suo ben congeniato piano per far capire a Rose fin da subito che c’erano alcuni individui che non andavano approcciati era partito piuttosto bene. Si poteva dire che, in pratica, già dalla più tenera età avesse cresciuto Rose tra un cucchiaio di pappetta e un cucchiaio di avvertimenti tendenziosi verso i Malfoy.
“Fai aaaah! E dimmi, cos’è Malfoy?”
“Fufu!”
“Brava! Ecco a te questa roba molliccia che Hermione vuole spacciarti per passato di verdure, ma a me sembra moccio di troll.”
In quell’idilliaco scambio di battute, fufu stava per furetto, vocabolo che Ron le aveva fatto associare alla parola Malfoy. Inutile dire che a quell’età Rose non avesse idea di cosa fossero un furetto, un Malfoy e nemmeno un passato di verdure, ma dettagli. Forse troll sì, ma solo perché capitava spesso in quella casa che la mamma urlasse al papà ‘Sei proprio un troll, Ronald!’.
Tutto sommato, Ron era contento così. Era tutto perfetto, eccetto per qualche piccolo screzio con Hermione – piccolo screzio qui inteso come la giovane strega che lanciava fatture e, perché no, oggetti al marito perché non voleva che crescesse la loro bambina inculcandole sciocchi pregiudizi.
Un giorno, però, Hermione aveva deciso di portare Rose, la sua piccola, adorabile e fin troppo arguta Rose, con lei al Ministero e da lì le cose erano calate a picco.
Quella donna voleva rovinarlo, miseriaccia.
Lì, infatti, Rose aveva incontrato l’oggetto dell’avversione del padre e da quel momento la bambina non aveva più accettato ad occhi chiusi il parere del padre ma, come per ogni cosa e in maniera molto matura e umana, aveva iniziato a sviluppare una sua visione sulla faccenda.
Soprattutto, Rose non ci aveva messo molto a far sapere al padre di quel suo cambio di parere.
A sette anni – e due mesi – Rose aveva messo seriamente in crisi suo padre, sotto lo sguardo divertito della madre.
Pochi giorni dopo quello che per Ron era stato un incontro infausto e per cui aveva fatto sapere a Merlino la sua indignazione in maniera piuttosto colorita, Rose entrò correndo in soggiorno.
“Ehi, papà, papà!”
La bambina si era fiondata sulle sue ginocchia, accartocciando per metà la Gazzetta del Profeta che stava leggendo. Ron le sorrise, mentre con un colpo di bacchetta ridava una forma consona al suddetto quotidiano – la mira della sua Rosie era impeccabile: aveva stropicciato giusto la colonna del Quidditch. Aaah, era tutta Hermione
“Cosa c’è, tesoro?”
Adorava alla follia quando Rose mostrava tutto quell’entusiasmo, padre o non padre non poteva non amare quelle guance e paffute e quello sguardo pieno di vita. Certo, ogni tanto il motivo della sua felicità era, ad esempio, una specie di tarantola incantata che Fred le aveva regalato e che lei non vedeva l’ora di condividere con il suo adorato padre che, sfortunatamente, dopo il suo secondo anno ad Hogwarts aveva messo una croce sulla possibilità di liberarsi dalla sua aracnofobia patologica, ma lui accettava tutto. Era il suo orgoglio quello che teneva sulle sue ginocchia e per lei avrebbe davvero fatto qualsiasi cosa. Adorava la sua piccola Rose tanto da concentrare tutta la sua attenzione su di lei e non fare caso all’espressione divertita sul volto di Hermione, che se ne stava ora appoggiata allo stipite della porta.
“Devo chiederti una cosa!” esordì con un sorriso largo e con la curiosità che trapelava da tutti i pori. Ma quanto era adorabile la sua Rosie?
“Tutto quello che vuoi” le rispose, curioso di sapere cosa le interessasse tanto.
Era una bambina, ciò che interessava a quell’età poteva anche essere un’arma a doppio taglio, ma era sempre bello poter dare una risposta alla figlia, osservandone contemporaneamente lo sguardo meravigliato. Certo, un sacco di volte chiedeva cose astruse e a rispondere era Hermione, ma dettagli.
“Malfoy” dichiarò solennemente la bambina, come se per quella discussione fosse doveroso prima definire il tema e solo dopo elaborare la questione. Aveva fatto bene ad avvisare, perché ora Ron si era letteralmente gelato sulla poltrona, il sorriso bonario era diventato una smorfia scandalizzata e aveva gli occhi così spalancati da sembrare in procinto di perderli sul pavimento da un momento all’altro.
Rose non sembrò notare tutti quei dettagli, perché continuò il suo discorso.
“Tu mi dici sempre dei Malfoy, che non gli devo parlare” iniziò e dall’altra parte della stanza provenne un colpo di tosse poco discreto. Ron finalmente si accorse anche di Hermione.
Aveva il tipico sguardo da sono-queste-le-cose-che-insegni-a-tua-figlia-dopo-facciamo-i-conti. Era solo uno sguardo, ma se avesse espresso il concetto a parole avrebbe anche aggiunto che la sua scopa da corsa l’avrebbe usata solo più per pulire i pavimenti.
“B-beh, Rosie, in una certo senso… voglio dire…”
Ron dopo un paio di parole balbettate decise di rimanere in silenzio; con un sorriso a labbra strette fece cenno alla figlia di continuare. Quest’ultima lo spiazzò perché, come tipico dei bambini, pose la domanda allo stesso tempo più semplice e più difficile del mondo.
“Perché?”
Oh, per l’amore di Merlino.
Era immerso fino alle orecchie nella cacca di Thestral.
Come perché? Perché sì!, avrebbe voluto controbattere, ma dubitava che quella fosse la risposta più appropriata. Sapeva che presto le conseguenze di quella gitarella al Ministero si sarebbero fatte sentire. Hermione era sempre un passo avanti a lui, perciò non sarebbe stato neanche tanto strano ipotizzare che avesse portato la figlia sapendo che lì avrebbero incrociato alcuni dei peggiori esponenti della comunità magica.
Decise di sondare il terreno.
“In che senso, Rosie?” azzardò, ingoiando a vuoto. Per un attimo i suoi occhi balzarono su Hermione, ma subito dopo la sua attenzione tornò sulla piccola che era aggrappata alla sua maglia. I suoi occhi azzurri mandavano lampi di curiosità e di qualcosa che, solo in seguito, Ron intese essere il tipico gene Granger.
“Beh… volevo sapere perché” disse con semplicità, come se fosse scontato.
Era proprio quella genuinità tipica dei bambini che metteva in crisi ogni genitore, nessuno escluso, semplicemente perché loro ormai non sapevano più ragionare con la stessa spontaneità. Quella era una riflessione che Ron aveva meditato durante uno dei corsi babbani per genitori a cui Hermione lo aveva trascinato prima della nascita di Rose, ma che non era servito a granché; i pannolini non era mai stato capace di cambiarli e se era munito di bacchetta magica non vedeva perché fare a mano il lavoro sporco.
Dal suo angolo in fondo al soggiorno, Hermione osservava la scena con un sorriso sardonico, in attesa di vedere il suo amato marito messo ko dalla stessa figlioletta a cui tentava di inculcare quelle idee ridicole e inumane. Ovviamente c’entrava anche lei nell’improvvisa curiosità della figlia, ma era bastata una semplice considerazione per far riflettere Rose. Era davvero bello avere qualcuno così simile a sé, pensò con un sorriso. Anche lei non aveva mai smesso di porsi interrogativi su tutto.
Si sporse un altro po’ in avanti quando Ron prese a parlare, intenzionata a non perdere nessuna parola di quel dialogo che senza ombra di dubbio avrebbe riesumato spesso in futuro.
“Vedi, Rosie, devi sapere che Malfoy, beh lui- loro, in realtà tutta la famiglia, tutti quanti in quella discendenza di sporchi- oh, giusto, mi stavo perdendo” Ron si interruppe per regalare alla figlia un risolino imbarazzato. La figlia non batté ciglio, pendeva completamente dalle sue labbra e forse era pure peggio. “Comunque, dicevo, è un… un… un uomo, sì, beh, io lo definirei più una salamandra schi- schietta, Hermione, stavo per dire schietta, non guardarmi con quella faccia e metti via la bacchetta. Non hai dei libri da imparare a memoria? Dicevo, è un uomo… poco gentile, capisci?” espose infine, dopo vari giri di parole.
Era colpa di Hermione: lo agitava se continuava a guardarlo così, si sentiva le orecchie andare a fuoco. Doveva essere uno spettacolo interessante: volto pallido come Nick-Quasi-Senza-Testa e orecchie rosse. Probabilmente sarebbe finito in Animali Fantastici: Dove Trovarli come nuova, anomala e inquietante creatura magica.
“Ah. Perché?
Ok, chiaramente quella piccola spiegazione con lei non era bastata. Ron piegò leggermente la testa di lato, esitante, mentre tentava di trovare un approccio differente. Lui era un abile giocatore di scacchi magici, ma neanche tutte le sue doti in quel campo sembravano utili in quel momento.
“Mmh… il furett- Malfoy, intendevo dire Malfoy… lui e la sua famiglia…” ritentò nuovamente, ma venne interrotto da Hermione stessa, che decise di rendere il compito di Ron ancora più difficile: “Cosa c’entra la famiglia, Ronald? Vuoi forse far credere a tua figlia che fare di tutta l’erba un fascio sia una buona cosa, Ronald?” chiese con fare ingenuo, mentre insinuava il tarlo del dubbio nella figlia.
Rose gli rivolse uno sguardo perplesso e lui strinse le labbra, quasi in preda alla disperazione. Miseriaccia, sua moglie complottava contro di lui!
“Ovvio che no! Volevo solo dire che quella famiglia non gode di una buona reputazione tra i maghi e le streghe della comunità magica, ecco” asserì, certo di aver convinto sua figlia da quel punto di vista. Il parere popolare era spesso da considerarsi un buon indice di… qualcosa, certo. Lui le frasi forbite di Hermione non riusciva mai ad impararle a memoria, ma era sicuro che un paio di volte avesse detto qualcosa del genere.
La piccola, di rimando, si voltò verso la madre, come ad aspettare anche il suo parere.
Traditrice.
Giudizio che comunque non tardò ad arrivare, assolutamente.
“Sicuro? Ho sentito dire che Astoria, la moglie di Draco, è molto ben vista al San Mungo, è un’ottima medimaga. Di recente ha sperimentato anche un nuovo rimedio contro gli strappi muscolari da Schiantesimi e sembra anche molto efficace” disse con convinzione, mentre riportava una ciocca di capelli dietro l’orecchia. “Qualcosa che ha a che fare con un tipo di massaggio, credo usi gli Avvincini in qualche modo…” mormorò tra sé e sé, ma quest’ultima parte era più per se stessa che per il resto dei suoi familiari.
Ron, infatti, aveva smesso di ascoltarla molto prima.
Ah, Malfoy era diventato Draco, certo! Evitò saggiamente di farle notare quella piccolezza o la sua prossima frase, oltre ad essere l’ultima, sarebbe stata ‘e adesso io muoio’.
Rose si voltò di nuovo verso di lui.
“Oh, b-beh, la moglie non era Malfoy… prima era Greengrass, se non sbaglio e fa la differenza… comunque, non c’entra lei, ma Malfoy sì! E il figlio probabilmente, anche…” e lasciò cadere la frase come se la conclusione fosse ovvia. Forse doveva mandare un gufo a Harry per farsi venire a dare man forte. Poteva essere il bambino sopravvissuto e l’eroe del mondo magico, tutto quel che volevano, ma se si trattava di buttare fango – ma perché se lo meritava, eh – sui Malfoy lui c’era sempre. Forse però era un po’ meno estremista di lui e non avrebbe tirato in ballo il figlio… alla fine convenne che il gufo se lo teneva in casa e continuava la sua battaglia da sé.
“Il figlio cosa? Cosa c’entra Scorpius? Lo sapevi che ha la stessa età di Rose, tra l’altro?” ribatté con fare disinvolto la giovane strega, mentre lo sguardo non abbandonava per un attimo quello di Ron. Lo stava distruggendo psicologicamente e, se continuava così, gli avrebbe anche fatto venire un collasso fisico. E da quando sapeva anche il nome della progenie del demonio?
Tra l’altro, era ovvio che sapeva che era dello stesso anno della sua Rosie ed era esattamente per quello che doveva continuare con la sua campagna di sensibilizzazione contro tutti quelli là.
“Sì, lo so quanti anni ha Scorfanus, Malfoy non fa altro che vantare il suo principino ovunque vada” controbatté a denti stretti il ragazzo, sempre più irritato dall’intromissione della moglie in quella discussione così delicata. Se avesse potuto parlare da solo alla figlia… probabilmente le cose sarebbero andate male comunque, ma almeno non c’erano due occhi, due orecchie e un cervello fin troppo bravo nel ricordare a testimoniare quella sua débâcle.
Marito e moglie si guardarono in cagnesco per un paio di minuti per motivi completamente diversi e nel frattempo Rose continuava a far passare lo sguardo da un genitore all’altro, in attesa che qualcuno le desse dei lumi sulla faccenda ‘Malfoy’. Fu quasi tentata, a sette anni e due mesi, di alzare gli occhi al cielo, perché capitava spesso che la madre e il padre si perdessero in quelle discussioni in cui spesso il papà perdeva e la mamma raramente non glielo rinfacciava gentilmente per giorni.
Quando concluse che aveva concesso abbastanza tempo ad i due, si voltò di nuovo completamente verso il padre e esordì con un quasi spazientito: “Perciò?”
Ron strabuzzò gli occhi leggermente, ricordandosi del piccolo problema che aveva sulle ginocchia. Si morse l’interno della guancia e si stropicciò le mani sudate alla ricerca di parole decenti da usare e che avrebbero potuto cavarlo fuori da quella situazione ormai tragica.
Le sue orecchie avevano raggiunto una gradazione di rosso mai vista prima.
Cosa diceva già quel babbano in quel corso per genitori? Che i bambini erano più spigliati, perciò per ragionare con loro serviva semplicità di pensiero, genuinità e nessun ragionamento troppo complicato…
Miseriaccia, perché Merlino non compariva per affatturarlo? Perché il Ministero non annunciava proprio in quel momento il ritorno di Voldemort? Un’epidemia di vaiolo di drago. Una guerra con i babbani! Un’invasione di lepricani mannari?
Forse poteva smaterializzarsi e scappare, tornare dopo un paio di giorni, fingere che quella discussione non era mai avvenuta…
… o forse no. Forse doveva ricorrere alle armi pesanti. Roba che in confronto le nuove caccabombe di Fred e George erano un misero escremento di civetta sulla spalla.
Sorrise alla sua bambina e si mise più comodo sulla poltrona, ignorando lo sguardo incuriosito di Hermione.
“Beh, Rose, devo dirti la verità: sono certo che tu finirai a Grifondoro, non ci sono dubbi, praticamente c’è già un posto sulla panca della Sala Grande con il tuo nome inciso sopra” esordì con un gran sorriso e ne strappò uno identico e sdentato alla figlia, mentre Hermione inarcava un sopracciglio.
Stai forse cambiando discorso?, gli chiese mentalmente.
Ovvio che no, rispose lui con uno sguardo eloquente, pronto a sganciare la sua super puzzolente caccabomba.
“E sono anche certo che entrerai nella squadra di Quidditch, ci scommetto la mia Fulminis X!”
Hermione quasi imprecò per quel colpo basso di Ron; quando nominò la sua stupida scopa da corsa, che trattava con più riguardo di qualsiasi altro oggetto avessero in casa, fu quasi tentata di andare in garage, prenderla e darle fuoco.
Rose non era completamente identica alla madre; forse ne condivideva determinate caratteristiche, ma altre erano totalmente made in Weasley e per la Granger erano quasi incomprensibili. Tra queste vi era la passione per il volo e per il Quidditch, infatti il padre aveva premuto il tasto giusto.
Gli occhi di Rose si spalancarono e probabilmente nella sua mente rivide l’ultimo volo sulla scopa che avevano fatto insieme nel giardino della Tana qualche settimana prima, quando erano andati a trovare i nonni. Sia Hermione che Ron adoravano sentirla ridere di cuore mentre volava in cerchio sul prato pieno di gnomi della vecchia casa di famiglia.
Hermione però storse la bocca in una smorfia quando intese dove volesse andare a parere il marito.
“Sai che Malfoy era un Serpeverde?” rivelò a Rose con fare concitato.
Veramente la frase che avrebbe voluto usare era qualcosa come ‘sai che Malfoy era un bastardo?’, ma non doveva perdere di vista il suo scopo e non poteva essere volgare davanti ad una bambina di sette anni – e due mesi. “Beh, anche il figlio lo sarà… credo proprio sia scritto nei geni.”
“Ah, sì? Però sia Dean Thomas che sua moglie Cecily sono Grifondoro, eppure la figlia Ava è a Tassorosso” si intromise Hermione.
“Chiaramente può capitare, ma è davvero molto raro-”
“Ci stai forse suggerendo che non è figlia loro?”
“Ma che stai dicendo? Certo che no-”
“O forse che è stata trovata sotto ad una Verza Saltellante?” lo pressò ancora la donna.
“Cosa? No!”
Perché aveva deciso di sposare una donna contro cui non sarebbe mai riuscito ad averla vinta?
“Hermione, tesoro, io e Rose staremmo parlando se non ti dispiace” detto ciò la scacciò con la mano e riportò l’attenzione sulla bambina, ignorando quella bisbetica della moglie.
“Davvero?” chiese allora Rose, che era stata costretta a trattenere il suo entusiasmo a causa del continuo battibeccare dei due genitori.
“Senza ombra di dubbio!”
Quella era di certo una cosa a cui Rose poteva credere; aveva potuto constatare lei stessa che tutti i Weasley, dal primo all’ultimo, erano finiti nella casa rosso-oro, perciò logicamente doveva essere un fattore genetico. Chiaramente crescendo avrebbe rivalutato quella convinzione, ma per il momento aveva senso.
Hermione a quel puntò sbuffò seccata e se ne andò in cucina, borbottando qualcosa come ‘stupido Ronald’, ma il suddetto idiota non se ne curò molto. Conosceva Hermione e aveva imparato come farsi perdonare. In caso contrario era certo che avrebbe trovato un divano di fortuna su cui passare le prossime notti in attesa che cessassero i tentati omicidi notturni.
“E ti dirò di più” aggiunse Ron, avvicinandosi con fare cospiratore alla figlia. “Probabilmente anche Scor- il figlio del fure- santo Merlino, il figlio di Malfoy entrerà nella squadra di Quidditch della sua Casa!”
Rose sgranò gli occhi, completamente presa da quella discussione.
“Il punto è che devi sapere che tra Serpeverde e Grifondoro c’è sempre rivalità, c’è sempre stata e sempre ci sarà, è quasi una tradizione. È una cosa seria. Possiamo noi semplici maghi spezzarla?” chiese retoricamente, mentre Rose scuoteva la testa rossa in senso di diniego con foga.
Le tradizioni andavano portate avanti, lei lo sapeva bene. C’erano un sacco di tradizioni Weasley che la nonna le insegnava ogni volta che andavano alla Tana e non bisognava interromperle perché ognuna raccontava un pezzo della storia di quella famiglia. O almeno così diceva Molly Weasley.
“Che cosa hai capito fino a qui, Rosie?” chiese allora Ron, con sguardo attento, desideroso di ottenere dalla figlia le risposte che cercava.
“Io divento una Grifondoro perché è nei geni. Scorpius diventa un Serpeverde perché è nei geni. Io entro nella squadra di Quidditch perché sono brava. Scorpius entra nella squadra di Quidditch perché… perché?”
“Ah, sì, perché il padre era nella squadra di Quidditch” si affrettò ad aggiungere.
“Aaah. Allora Scorpius entra perché il padre era nella squadra quando andava a scuola. Sempre per i geni?”
“Certo, tesoro” rispose con dolcezza, certo di aver sentito la moglie borbottare un crucio a voce non molto bassa. Ma era sola in cucina, perciò il massimo che poteva fare era torturare il frigorifero.
“Comunque, l’importante in tutto questo è che bisogna rispettare le tradizioni! Sono un tassello fondamentale della tua futura esperienza scolastica, a Hogwarts queste cose sono importanti. Non puoi e non devi allearti con il nemico, Rosie, perché lui sarà Serpeverde e tu Grifondoro!” disse infervorato, gli occhi azzurri spiritati e facendosi prendere forse un po’ troppo dal suo stesso discorso. Una parte di sé gli diceva di uscire per andare a cercare un Serpeverde da disarcionare dalla scopa. Forse dopo andava a farsi una bella tazza di tè con un goccio di quella buona acquavite di zucca che Hagrid produceva e gli mandava ogni anno.
“Tu vuoi rompere delle tradizioni secolari, Rose?” le domandò con serietà.
“No!” saltò su lei, concordando con quanto detto dal padre.
“Hai capito perché devi stare alla larga dai Malfoy?”
“Perché Grifondoro e Serpeverde non sono amici!” espose con la solita semplicità di una bambina di sette anni – e due mesi.
Entrambi sorrisero soddisfatti.
Toccare il tasto rivalità e il tasto Quidditch era stata la cosa migliore da fare, si era assicurato una vittoria certa. Anche Hermione lo aveva capito, perché vagava per la casa borbottando improperi a destra e a manca. Fortuna che quella sera era il turno di Ron di cucinare o quella donna con un coltello in mano era più pericolosa di un Mangiamorte in un raptus omicida.
“Eccoti allora spiegato il tuo perché” concluse con una soddisfazione che non provava dai tempi della Umbridge che veniva aggredita dai centauri.
Ora era davvero statisticamente impossibile che le cose andassero per il verso sbagliato.
Con un sospiro di sollievo, dopo che Rose se ne fu andata, riprese a leggere la Gazzetta. Mmh, i Falmouth Falcons stavano andando proprio bene in quella stagione…
 
***
 
Dopo quel giorno, le cose erano decisamente cambiate; la questione ‘Malfoy’ non era più stata ripresa dal padre, se non in casi di necessità. Dopo le domande della figlia aveva ritenuto più saggio evitare di riportare la sua attenzione su argomenti che l’avevano già messo in difficoltà; ormai la sua bambina stava crescendo e non era più tanto semplice rigirarsi la verità a modo suo.
Infatti, nel momento in cui in Rose era passata dalla fase di comprensione a quella di comprensione, analisi del problema e sviluppo dell’astuzia – fase tipicamente Granger, nessun altro bambino ce l’aveva – la sua intenzione di inculcare alla figlia l’avversione per i Malfoy era sfumata. Quando lei aveva voluto sapere proprio perché fosse necessario evitare quella famiglia, lui si era salvato all’ultimo con la storia delle tradizioni e del Quidditch. A pensarci, poi, non era neanche una cosa falsa: c’era davvero una rivalità centenaria tra quelle due Case. Perfino Harry si era detto tentato di riciclare la stessa storia con i suoi figli, fino a che Ginny non gli aveva scagliato una simpatica Fattura Schiaffeggiante per, a sua detta, ‘non doversi nemmeno sporcare le mani con un imbecille così. Perché diamine ti ho sposato?’.
Nemmeno Rose aveva tirato fuori nuovamente l’argomento e Ron aveva davvero finito per dimenticarsi della marea di idiozie che le aveva rifilato quel giorno. In pieno stile Ronald, avrebbe voluto aggiungere Hermione, perché il marito funzionava esattamente così: stressava e sfiniva le persone su un qualsivoglia argomento, facendolo uscire dalle orecchie del suo povero interlocutore, per poi non ricordarsi nemmeno quale fosse il tema di tanta agitazione.
Da allora erano passati quasi svariati anni, era giunta anche la lettera di Hogwarts e Rose era prontamente andata ad occupare il suo posto nella Scuola di Magia e Stregoneria. Aveva reso tutti orgogliosi di lei e, com’era ovvio, al secondo anno era entrata nella squadra di Quidditch. A Hermione i bei voti e a Ron le vittorie in quello sport: non potevano chiedere di meglio.
Rose era arrivata al suo quinto anno e tutto procedeva per il meglio; ottima studentessa, bei voti, capelli crespi persino più della madre. Una frana in Storia della magia – tutto suo padre – e un’ottima studentessa in Incantesimi; negata in Divinazione, ma sorprendentemente arguta in Pozioni.
E di Scorpius Hyperion Malfoy non era mai stato fatto il nome una sola volta in cinque lunghi anni. L’unica volta in cui era stato nominato un furetto era stato al quarto anno di Rose, quando la ragazza aveva trasfigurato in maniera impeccabile la sua matassa di lana bianca nel mammifero carnivoro tanto odiato dal padre.
Tutto perfetto, se lo ripeteva spesso Ron, ma era evidente che aveva parlato troppo in fretta. Infatti, in un giorno di metà luglio, a metà tra il quinto e il sesto anno di Rose, ricevette la più grande batosta della sua vita.
Era nuovamente seduto sulla stessa poltrona a leggere la Gazzetta del Profeta – la pagina del Quidditch, ovvio – quando Rose entrò praticamente correndo e si fiondò davanti a lui. Spostò con foga il giornale facendogli fare una fine quasi peggiore di quello di molti anni prima.
“Ehi, papà, papà!”  esordì la ragazza con entusiasmo, ignorando la fine che aveva fatto fare al quotidiano.
Ron ebbe un vago flash della famosa giornata di tanti anni prima e un brivido gli corse lungo la schiena.
“Cosa c’è, tesoro?” chiese con una certa circospezione, ma senza perdere il sorriso per sua figlia.
Anche l’ultima volta aveva risposto così?
Forse faceva ancora in tempo a scappare.
“Posso chiederti una cosa? Una sola, ma devo proprio chiedertela!” farfugliò e Ron intuì che la faccenda la emozionava parecchio. Solitamente quando era agitata o entusiasmata diceva cose sconnesse senza nemmeno accorgersene.
Non poté fare a meno di notare che nei suoi occhi brillava una luce strana che gli era familiare perché l’aveva vista parecchie volte in quelli scuri della moglie.
Hermione aveva quello stesso scintillio negli occhi quando non voleva realmente sapere qualcosa, ma piuttosto quando era interessata a confermare la sua ipotesi, perché sapeva già di avere ragione.
“Certo” acconsentì, il sorriso un po’ incrinato e la vaga sensazione che di lì a poco sarebbe successo qualcosa di spiacevole.
Al contrario, il sorriso di Rose si allargò. La giovane si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchia, con fare anche piuttosto agitato.
Hermione due, la vendetta, con qualche lentiggine in più e i capelli rossi.
“Ti ricordi la discussione di qualche anno fa? Eravamo in questa stessa stanza, tu stavi leggendo il giornale e io sono entrata per chiederti se potessi dirmi perché-”
“Sì, Rosie, me lo ricordo” Ron interruppe la figlia a denti stretti, perché davvero se la ricordava fin troppo bene quella giornata e voleva ridurre la tortura al minimo indispensabile. Era stata la giornata più sfiancante della sua vita e Hermione non aveva apprezzato per nulla la sua vittoria last minute.
Ingoiò a vuoto, sperando che fosse venuta lì solo per fargli sapere che quella volta le aveva dato un ottimo insegnamento di vita e non lo avrebbe mai dimenticato.
Ma qualcosa gli diceva che non si trattava di quello.
“Bene” esultò e poi continuo: “allora puoi chiarirmi qualche dubbio!”
Ron avrebbe tanto voluto dirle che piuttosto che affrontare la discussione che stavano per imbastire si sarebbe chiuso in una stanza con un ragno e quello diceva tutto. No, dopo anni e anni la sua avversione per i ragni non era migliorata. Giusto qualche anno prima aveva fatto saltare un muro con un Incantesimo Polverizzante per liberarsi di un innocente ragnetto.
“Dimmi pure” la incitò, con il tono di voce non propriamente fermo e salito di qualche ottava. Rose non parve notare il finto entusiasmo del padre o, se ci fece caso, lo ignorò totalmente.
“Tu mi avevi detto che i Malfoy vanno evitati per la rivalità tra i Serpeverde e i Grifondoro… sai, per la tradizione e tutto il resto” la ragazza riassunse in due secondi tutto il ragionamento che Ron, anni prima, ci aveva messo ore per costruire.
“S-sì, una cosa del genere…”
Ron avrebbe volute buttarsi giù dalla finestra per scampare alla prossima considerazione o domanda della figlia, però era al piano terra, perciò non sarebbe fuggito molto lontano. Era talmente tanto nel panico che non parve ricordarsi che era un mago capace di smaterializzarsi e che, all’evenienza, era anche scopa-munito.
Oooh, miseriaccia, dove voleva arrivare?
“Se non vado errata, è per questo che io, in teoria, non potevo parlare con Scor– ehm, Malfoy” si corresse immediatamente, mentre il padre le scoccava uno sguardo sospettoso.
Oh, no. No, no, no. La conversazione si stava velocemente trasformando in un incubo peggiore di quello che aveva fatto una volta in cui era rimasto chiuso nel seminterrato di Piton. Con Piton.
‘Scor’ cosa? Lo stava davvero per chiamare per nome? Tentò, invano, di autoconvincersi che una volta terminata la parola sarebbe stata scorfano e non Scorpius.
Scorbutico, scorpenide, scorza.
Tutto ma non quel nome.
La voce gli era morta in gola, perciò si limitò ad annuire, sotto lo sguardo ora un po’ esitante della figlia.
“Ecco, allora, metti caso che… non so… per assurdo io non fossi a Grifondoro, il problema non sussisterebbe, giusto?” chiese, mentre Ron si trovava costretto ad assentire nuovamente con un gesto del capo.
In realtà avrebbe voluto dire che no, non c’era assolutamente niente di giusto. Avrebbe tanto voluto alzarsi in piedi, magari facendo uscire qualche scintilla dalla bacchetta per enfatizzare il tutto, e dire che sì, i problemi c’erano, perché lui restava un Malfoy! Chiunque – uomo, animale, oggetto che fosse – che portava il nome Malfoy era incriminabile e tanto bastava.
Però il ragionamento che lei, a distanza di anni, gli aveva ritorto contro aveva senso, perciò non aveva nulla a cui appigliarsi. Non era più la sua bambina di sette anni a cui si potevano raccontare verità leggermente più raffazzonate.
E poi lui aveva bisogno di termini semplici per poter ragionare, che parole usava? Sussisterebbe? Sembrava uscita da una di quelle rappresentazioni babbane sugli avvocati che sua madre aveva iniziato a guardare su quell’aggeggio sempre babbano che suo padre aveva portato alla Tana e che avevano imparato ad usare grazie ai genitori di Hermione. Tevelisione si chiamava?
Rose continuò: “Case diverse uguale nessuna rivalità, ergo nessuna tradizione infranta, nessuna complicazioni dal punto di vista… personale?” chiese ancora, sondando il terreno con calma, mentre Ron ancora tentava di capire a quale noto mago defunto appellarsi.
“B-beh… N-no, direi di no, loro… i Malfoy… se non sei a Grifondoro… il problema non…” biascicò in maniera intontita, rifiutandosi di accettare quel che stava succedendo. Stava diventando difficile ignorare la sua voce interiore che, presa dal panico, stava urlando come un tifoso irlandese alla Coppa del Mondo di Quidditch cose senza senso.
Rose sbatté le palpebre perplessa, ma poi tornò a sorridere. Anzi, il sorriso era perfino più raggiante di prima.
“Beh, allora…” iniziò la ragazza, con l’euforia che trapelava anche dalle lentiggini.
No, no, non può essere vero.
“Non credo avrai problemi se ti faccio conoscere una persona, papà!” disse entusiasta, per poi voltarsi e raggiungere la porta con passo cadenzato per andare a chiamare qualcuno.
Sapeva chi avrebbe varcato la soglia della porta del soggiorno ed era certo che non avrebbe retto.
Sarebbe morto sul colpo.
“Papà, ti presento Scorpius!”
Detto ciò, un giovane biondo e dinoccolato fece la sua comparsa nel soggiorno.
Era la copia sputata del padre, ma proprio sputata sputata. La somiglianza era allucinante, come le allucinazioni che avrebbe tanto voluto poter vantare in quel momento.
Cosa ci faceva un Malfoy in casa sua? Che scherzo era quello? Che cosa stava succedendo? Di lì a poco si sarebbe sparsa la voce che i folletti della Gringott avevano iniziato a non chiudere più a chiave le camere blindate della banca.
Tutto era fuori controllo.
Ron non resse e si accasciò sul divano, inerme.
“Papà…?” chiese allarmata Rose. Un attimo dopo nella stanza entrò anche Hermione
“Ah, non preoccuparti, Rosie, è normale, sarebbe successo di sicuro" la informò con gentilezza, mentre si avvicinava a Ron e gli sventolava una mano davanti alla faccia.
Nessuna reazione.
“E perché non me lo hai detto? Avrei rimandato, avrei…” farfugliò, ma venne gentilmente interrotta dalla madre.
“Sarebbe successa la stessa cosa anche tra trent’anni, Rose” le fece presente.
In quel momento, una piccola parte del cervello di Ron parve tornare in vita. Probabilmente dipendeva anche dal fatto che la voce isterica aveva smesso di urlare, lasciandogli la possibilità di ragionare come Merlino comandava.
All’improvviso, infatti, venne colto da un’illuminazione. Era un imbecille. Da quando la figlia era entrata nella stanza era andato talmente tanto nel panico da dimenticare anche le cose più basilari. Dopo si sarebbe preso a calci in testa da solo per non averci pensato prima – perché era davvero ridicolo non ricordarsi in che Casa era stata smistata la figlia quando era una delle sue più grandi fonti di orgoglio –, ma per il momento doveva agire.
“UN ATTIMO! Fermi o vi impastoio tutti dalla testa ai piedi! Rose, tu sei Grifondoro! Il mio ragionamento ha ancora senso, perciò tu! Fuori da casa mia!” sbraitò all’indirizzo del ragazzo che ora lo osservava a metà tra lo sconcertato e l’intimorito. Suo padre effettivamente ogni tanto aveva accennato al fatto che buona parte dei Weasley erano fuori di testa.
Ron balzò in piedi e puntò la bacchetta contro Scorpius.
“Signor Weasley, la bacchetta… è al contrario” gli fece presente in maniera incerta, sperando non si schiantasse accidentalmente. Non aveva molta esperienza nell’incontrare i padri delle sue ragazze – Rose era la prima –, ma era certo portare Ron Weasley al San Mungo il giorno del loro primo incontro non era esattamente di buon auspicio.
“Ah, è anche arrogante! Tutto suo padre” borbottò in risposta prima di girare la bacchetta per non puntarla contro di sé.
“Comunque Rose è Grifondoro” ripeté poi, come se tre quarti del vicinato non avessero già sentito la prima volta. “Ho vinto io! Posso sbatterti fuori a calci nel–”
“Ron, Scorpius è un Corvonero” lo interruppe Hermione, per metà scocciata da quel teatrino messo su dal marito e per metà soddisfatta – erano anni che aspettava quel momento.
Gli occhi dell’uomo passarono da completamente animati e vittoriosi a vitrei e totalmente privi di espressione.
“Cosa? No, impossibile. Deve essere per forza Serpeverde.”
“A meno che tu non sia il Cappello Parlante, Ronald, chiudi il becco e smettila di renderti ridicolo.”
Hermione uno, Ron meno quindici, così si chiudeva quella partita lunga quasi dieci anni.
Era punto e a capo. Di nuovo. Era stato battuto al suo stesso gioco. Sua figlia poteva anche essere Grifondoro, ma Ron non aveva mai neanche preso in considerazione la possibilità che il figlio di quella serpe di Malfoy potesse essere qualcosa di diverso da, beh, una serpe.
Ron non si prese nemmeno la briga di chiudere la bocca a si lasciò nuovamente cadere sul divano con un tonfo sordo.
“Lo vedi quel ragazzo, Ronald? È Scorpius Malfoy. Lo vedrai molto spesso, perché Rose lo vedrà molto spesso e noi vedremo molto spesso Rose. Tutto chiaro? E ora smettila di piagnucolare, non hanno detto che si devono sposare… ancora” aggiunse, ma a voce non abbastanza bassa da sfuggire alle orecchie dell’uomo.
Ron era ormai in stato catatonico, l’unica cosa che lo distingueva dalle piante di Malva Notturna in giardino era il miseriaccia che ogni tanto usciva dalla sua bocca.
Hermione sospirò esasperata.
“Ron? Ronald?”
La donna alzò gli occhi al cielo e si chiese se fosse ancora possibile far annullare i voti magici che aveva fatto quando lo aveva sposato. Poi si rivolse a Rose e Scorpius: “Che ne dite di andare a farvi una passeggiata, ragazzi? Io devo sistemare Ron e credo che avrò bisogno anche dell’aiuto di Harry, forse di una delle Burrobirre speciali di Ginny…” aggiunse pensierosa, mentre si passava una mano tra capelli, ma sul volto aveva un’espressione soddisfatta.
La vocina interiore di Ron ancora blaterava qualcosa, fievole e afflitta.
Statisticamente impossibile… statisticamente impossibile… certo… Corvonero… oh, Merlino.

 

[Questa storia ha la bellezza di 9 anni ed era nata come una drabble: questo ci insegna che lasciare i file nelle cartelle dove sono nascosti sarebbe la cosa migliore da fare e che io non so mantenere le misure. Non è niente di molto originale, la lotta Weasley-Malfoy è fin troppo famosa, ma dopo averla ritrovata (ho troppo tempo tra le mani, lo so) e averla aggiustata mi era sembrata abbastanza carina da farle vedere la luce del sole. Lo so, in realtà è una finta Rose/Scorpius perché beh, Rose e Scorpius assieme ci sono sì e no per venti righe, se non di meno, perciò chiedo venia!
Ammetto tra l'altro di non essere molto brava a descrivere i personaggi come Ron una volta diventati adulti, trovo sia più semplice scriverci su quando sono ancora a scuola, ma spero comunque di non averlo stravolto troppo!] 
  
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