Cara Mia,
ricordi quando i federali mi portaron via?
Vedevo il tuo volto piangente mentre sedevi a terra nel parco,
sentivi riempirsi nel tuo cuore quel varco.
Non dimentico quando io pianista squattrinato scesi dalla nave
e sentii nell'aria il profumo della Grande Mela così soave.
Lavoravo in una fabbrica di morte
con nostalgia e dolore per la mia sorte.
Ti vidi la prima volta su una panchina a Central Park
mentre leggevi e la brezza dell'Oceano accarezzava il tuo viso,
mi accennasti a malappena qualche sorriso
e ti avvicinasti curiosa e con il cuore che iniziava a battere improvviso.
Scambiammo qualche parola e qualche opinione
tu giovane benestante di Albany e io emigrato con appena i soldi per la pensione,
entrambi appassionati di jazz e pieni di speranza
nei figli che avremmo potuto avere e avrebbero appreso la buona creanza.
Eravamo così diversi e così uguali
e insieme pieni di fiducia nella libertà e sotto il riparo delle sue ali.
Ero talmente triste di non poterti offrire niente
che per te diventai rapinatore di banche e delinquente.
Adesso non posso più suonare il piano insieme a te ma solo dimenticarti
perchè domani sarò costretto dal fuoco dei fucili a lasciarti.
Qui in prigione ho avuto tempo per pensarti
ma adesso a te conviene di me scordarti.
Se solo penso a quando scesi da quel battello
e portavo il vestito ricavato dalle tende,
mi viene di riflettere sulla storia di me povero pivello
e di te bella ragazza costretta a guardare noi con le bende.