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Autore: Longriffiths    17/06/2020    7 recensioni
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SPIN-OFF tratto dalla storia •Morsmordre- diario di una Pupilla •
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Adesso conosceva la proiezione del suo futuro, della vita che aveva visto sua sorella maggiore, e che in ogni modo stava cercando di volgere a suo piacimento infischiandosi delle regole che la volevano piegata a suo marito.
Bellatrix aveva ragione. Ma lei non aveva tutta quella forza.
Non poteva, e non voleva sposare Rebastan.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andromeda Black, Ted Tonks | Coppie: Ted/Andromeda
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
- Questa storia fa parte della serie 'La Nobile e Antichissima casata dei Black. '
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SPIN-OFF tratto dalla storia •Morsmordre- diario di una Pupilla •

I pacchetti che ho scelto sono Manganese per l'inizio, Mercurio per la parte centrale, e Uranio per la conclusione.
Ognuno celava una frase casuale di un libro casuale, che io ho saputo dopo aver richiesto i vari elementi. Ogni prima frase all'inizio di ogni paragrafo è la citazione del libro che mi è capitata, che andava obbligatoriamente inclusa.

Manganese: 'La rilegatrice di storie perdute, Cristina Caboni.'
Mercurio: 'Orgoglio e Pregiudizio, Jane Austen.'
Uranio: 'Papà Gambalunga, Jean Webster.'

Buona lettura!

Grazie un'infinità di volte alla mia adorata Paige95 per il meraviglioso aesthetic  ----------------



{Giugno 1966; Black Manor.}

Il ciondolo d'oro brilla tra le mani della fanciulla. È il simbolo della sua casata, un cerchio con all'interno una coppia di ali. Andromeda sa che è prezioso, lo tiene sul cuore. 
È stata sua madre a donarglielo. Come il violino, come le storie che custodisce dentro di sé, e che fanno di lei una Black. 


Storie che anziché appassionarla, avevano accresciuto in lei una certa riluttanza tramutata poi in estrema curiosità verso tutto ciò che è proibito, come gli autori e i romanzi babbani, la simpatia per la diversità sociale, sino ad accendere la fiamma caratteristica del fuoco che albergava in quel nucleo familiare. La sua era alimentata dalla ribellione, contro tutte le credenze e sicurezze dei parenti.
Con il crudo esempio di suo cugino, le sarebbe dovuta passare la voglia di addentrarsi in tali sentieri, tortuosi e privi di calore, così lontani dalla consuetudine a cui era abituata. 
A farla una Black era soltanto il suo nome all'alba dei suoi quindici anni, ed il codice genetico di cui era composta.

Una Black sarebbe dovuta essere felice di ricevere in dono un simile cimelio, reso signorile apposta per lei, adattato alla sua persona aggraziata e melliflua e meno inquietante di come lo stemma sullo stendardo della loro casata era in realtà. Di come tutti i membri di quella famiglia erano in realtà. Druella si era sbarazzata dei corvi senza considerare le proteste di Cygnus II, e aveva lasciato solo i loro complessi di piumaggio intrecciati in un gioco di luci e ombre, utili a quei tanto magnifici quanto letali animali a levarsi in volo come avrebbe fatto lei di lì a poco, lasciando il nido familiare e conciliando il suo essere ormai una donna adulta, pronta a vivere con il suo sposo e crearsi una famiglia sua. 
Pura, come diceva la scritta sul ciondolo.
La matriarca di casa aveva sempre considerato quei tre corvi come le sue tre figlie. Belle da perdere il senno, furbe tanto da adattarsi a qualsiasi frangente e sviluppare le loro capacità.

A Bellatrix sarebbe piaciuto. La sua sorella maggiore era un corvo in grado di ammaliarti alla sua veduta, tanto quanto capace di straziarti l'anima con il suo gracchio non appena le si mostrava un minimo di fragilità, e beccare le carni fino all'osso senza pietà. Non certo lei. Non certo la sua sorella minore. Ma Narcissa era ancora una bambina, un arbusto la cui natura ancora sconosciuta, la linfa era ancora troppo prematura come i rami acerbi, per poterne captare l'essenza e sapere se alla fine sarebbero cresciuti su di essa rovi di spine o boccioli di perle in fiore.
Ecco, Andromeda sarebbe stata felice di quel regalo alterato per lei nella forma e nel significato, se non fosse stato una strenna in vece del suo matrimonio combinato, rispetto a un'occasione più gradita.

Il rientro dal Maniero dei Lestrange fu esattamente come il viaggio d'andata; alessitimico.
Si era sentita analfabeta, emotivamente parlando.
Coprirla di lustri sfarzosi e abiti imponenti l'avevano resa imperativa e desiderabile agli occhi del fortunato rampollo e dei futuri suoceri, ma l'unico accessorio che avrebbe dovuto, che avrebbe voluto indossare e sentirsi desiderata allo stesso modo, sarebbe dovuto essere il suo sorriso d'alabastro. 
Un dettaglio importante quanto assente.
Eppure nessuno dei commensali lo aveva notato, ne prima né durante la cena d'accordo, in cui lei e Rebastan avrebbero dovuto giurarsi fedeltà e rispetto reciproco dinanzi ai genitori, prima che in un'ubicazione adibita alla cerimonia dinanzi a un Dio che tutto poteva.
Anche unire due giovani che non si erano rivolti parola fino a quel momento, pur incrociandosi molto spesso nei corridoi della scuola.
Le firme sulla pergamena erano molto più importanti degli anelli.
Un anello che circondava il dito del cuore valeva a dire amore, le firme erano un'allegoria che celava l'autenticazione della volontà a rendere al mondo magico nuovi individui puri e degni di abitare quei luoghi, a dispetto della feccia che stava insozzando le strade e la politica. Gente dal quale si sarebbe dovuta tenere lontana.
Che si amassero non era fondamentale.
Che si riproducessero tra loro soltanto, sì. 

-'Tranquilla.'- 
Bellatrix aveva esordito durante la preparazione a casa. L'unico suo appiglio alla felicità, coloro che avevano il suo stesso sangue nelle vene, anche se forse affluiva in ognuna in un modo e in un verso diverso dalle altre. Che le erano vicine sempre, per quanto diverse fossero tra loro. L'affetto che univa quelle giovani donne era immenso e intramontabile. 
E non mancavano mai di curalo affinché le unisse in eterno, affinché contro genitori imparziali, mariti scelti da terzi, gente che badava più agli interessi che al loro stato di benessere spirituale, avrebbero potuto contare sul legame fraterno che le rendeva vive, che le rendeva umane.
-'Nessuno al mondo sarebbe tanto idiota da contravvenire allo stile di vita che ti meriti. Sarai felice con lui, perché se così non fosse per qualsiasi motivo, tu inviami solo un gufo ed io non ci penserei due volte a renderti vedova. Sai quanto è importante per me che sia il fratello del mio futuro consorte?'-
-'Zero?'-
-'Molto meno di zero, sorellina.'-


Era entrata tra quelle mura come una spugna seccagna, pronta ad essere impregnata.
Ma per quanto si sforzasse di fare entrare l'acqua del buonsenso e dell'accondiscendenza nelle sue fibre porose e lasciare che le annaffiassero la coscienza, ad ogni respiro si strizzava da sola ricacciando via l'accettazione.
Non concepiva di doversi infilare in un letto freddo con qualcuno che considerava meno che un conoscente. Con qualcuno che non le riscaldava le membra partendo con l'anima da dove le mani non potevano arrivare a toccarla, mani che l'avrebbero ghermita e non carezzata. 
Non si capacitava di come potesse per obbligo di tradizione dare una sua ipotetica figlia in sposa a un uomo che non l'amava. 
Perché lei lo sapeva di non essere amata. Le iridi di Rebastan erano una lastra ghiacciata quanto il colore di esse, occhi che non avrebbe attraversato, emozioni che non avrebbe sciolto. L'eleganza e la bellezza della pietra sull'anello della proposta che aveva accettato, non avevano valore se non quello dei galeoni spesi per ottenerlo.
Soltanto quando la sera del primo settembre successivo si era seduta alla grossa tavolata dei Serpeverde, e da lontano aveva scorto un altro paia di occhi, il panico di era impossessato di lei, e come un'orda di soldati sul fronte di guerra, i suoi sentimenti erano venuti a bussare alla sua porta.
Lei, una sognatrice d'altri tempi, che predicava tutto ciò che i romanzi rosa della comunità non magica che tanto le piaceva leggere di nascosto le infondevano. 
Lei che si era sempre avvalsa dell'inequivocabile dedizione all'empatia verso tutto e tutti, condizione che la rendeva un sole sceso in terra per chiunque avesse la fortuna di fare la sua conoscenza, lei che si crogiolava nella voglia di provare ogni gioia di vivere secondo le proprie necessità.

Si era resa conto che non avrebbe mai dovuto incoraggiare Bellatrix nella direzione opposta al suo volere e spingerla ad accettare il suo matrimonio colorandolo come in realtà non era, ed estirpare da lei l'immagine che aveva sempre dipinto come qualcosa di valido solo su carta, quando era stato il suo turno. Quand'era ancora una tredicenne, e ingenuamente pensava che più tempo avessero trascorso tra loro, più si sarebbero innamorati l'uno dell'altra. Adesso comprendeva.
Adesso conosceva la proiezione del suo futuro, della vita che aveva visto sua sorella maggiore, e che in ogni modo stava cercando di volgere a suo piacimento infischiandosi delle regole che la volevano piegata a suo marito.
Bellatrix aveva ragione. Ma lei non aveva tutta quella forza. 

Non poteva, e non voleva sposare Rebastan.
Ma non lo aveva detto a nessuno. Neanche a una sola delle sue sorelle.
Avrebbe arrecato loro dolore. 
Il male patito sarebbe marcito nel suo cuore senza infettare nessuna delle persone che invece, speravano di vederla prosperare. 



{Settembre 1966; Hogwarts.}

Si svegliò, la mattina dopo, con gli stessi pensieri e riflessioni con cui aveva, alla fine, preso sonno. Non poteva ancora riaversi dalla sorpresa di ciò che era accaduto; era impossibile pensare ad altro e, non essendo assolutamente in grado di svolgere alcuna attività, subito dopo colazione decise di concedersi una passeggiata all'aria aperta.


Non aveva voglia di seguire le lezioni quel giorno, e respirare dell'aria pulita senza neanche l'inquinamento acustico delle voci dei ragazzini infervorati giovava al suo benessere come un balsamo lenitivo, per la baraonda di tormenti che si portava dietro da mesi. In quel luogo poteva evadere, lontana fisicamente da tutto ciò che le dava fastidio. Non faceva che abbassare gli occhi sulle sue mani e desiderare di gettare la promessa materiale di essere per sempre di un uomo che non voleva nel Lago Nero in pasto alla piovra, specie dal momento in cui non riusciva a dissolvere dalla sua mente lo sguardo che un certo qualcuno le aveva rivolto per tutta la sera precedente, compresi i momenti in cui si erano visti nella carrozza del treno, e si erano salutati solo col pensiero.
A lei non era sfuggita l'occhiata piccata che lui le aveva rivolto, quando si era accorto del dettaglio piccolo nella forma ma di abnorme peso per il suo petto. L'ombra nera del che aveva attagliato i loro animi era la medesima, aveva confitto nelle carni gli artigli del dispiacere, ma ciò non aveva fatto altro che incrementare il desiderio di appartenersi. Come se quell'anello fosse stato messo lì per essere tolto. E lo avevano fatto.
Fortunatamente, ne il diretto interessato né sua sorella ormai diplomata la osservavano destreggiarsi nelle camminate nervose di notte nei corridoi, verso quello che spezzava a priori tutti i giuramenti fatti e non ancora concretizzati. 
Edward Ted Tonks trovava sempre il modo di avvicinarla cogliendola di sorpresa, dal loro primo incontro l'anno precedente proprio in quel punto. Il loro ritrovo speciale. 
Con il suo permesso era entrato nel suo ordinario, ed averlo intorno e a distanza ravvicinata in ogni casella del calendario che scorreva veloce era tutto ciò di cui necessitava, diventato più un bisogno inarrestabile. Non era la sua valvola di sfogo, era semplicemente il motivo per cui trovava quella situazione assurda e insostenibile, in quanto i loro affetti erano accresciuti molto prima della sua condanna sul quale si era incisa con una piuma di Fwooper. 
Si era meravigliata di se stessa, nel momento in cui aveva fatto di testa sua. Mai avrebbe pensato di essere così indisciplinata, con tutta la compostezza che la contraddistingueva. Non era stata una questione di attimi fugaci o di prese di coscienza, lo aveva voluto con ogni principio. Alterare il destino che le era stato imposto, costruirsi un proprio fato, decidere di far parte di un mondo che rappresentava un tabù dal quale depurarsi, come se fosse una depravazione imputabile gravemente. 
Era cattiva, stava sbagliando tutto, stava infrangendo la moralità che aveva giurato di possedere e infangando i suoi avi. Ma quella trasgressione sapeva di controllo ed emancipazione, ed era il sapore più stimolante e delizioso che avesse mai avuto sulla punta della lingua, e in ogni parte del suo corpo. 

Non era più in grado di distinguere cos'era immorale e cos'era consono. Ogni incontro occulto per quanto bene le facesse era una sottrazione alla propensione di condurre un'esistenza priva di preoccupazioni alcune, ma i punti di vista di Andromeda erano vari, e aveva appreso a sue spese che il giusto e il facile non camminavano parallelamente, neanche si sfioravano a vicenda.
Quella vicinanza avrebbe presto cambiato la sua natura rendendola prigioniera dell'insicurezza, fino a quando qualcosa non si sarebbe risvegliato mettendo la parola fine a quelle inutili premure, ed insegnandole che se qualcosa valeva la pena di essere ottenuto lottando, niente e nessuno sarebbe riuscito a frapporsi fra lei e i suoi obiettivi.
Divisa tra due fuochi, camminava su carboni incendiati. Senza sapere se ad arrecarle più danno sarebbe stato il fatto che non sentiva di dover arrestare la corsa finendo per rendersi conto troppo tardi, quando ormai la pelle si sarebbe irreparabilmente consumata di aver commesso un grave errore, o il fatto che l'idea di una simile fine non le rendeva la voglia di stare con quel ragazzo meno allettante che stare con lui su un letto di petali di rose. 
Aveva sete di libertà, di ascoltare solo ciò che le giovava indipendentemente dalla paura, dall'allarme interiore che le scattava quando erano troppo vicini. 
Ma quando ritornava a casa durante le vacanze ed incontrava il suo promesso, la nausea era così forte da non lasciare spazio ad altre plausibili spiegazioni se non il desiderio di andare via il più lontano possibile da quell'uomo, non riuscendo neanche più a far finta che la sua presenza non la facesse sentire come immersa in un mare di Dissennatori.

Più passava il tempo, più capiva di essersi infilata in un bel guaio dal quale poteva uscire soltanto in un modo, e che un altro non sarebbe stato compatibile con lei mai più.
In una strada che aveva percorso e che doveva espletare. 
Non importava quanto le sarebbe costata cara. 
Lo sforzo che sapeva di dover compiere sarebbe stato assai più grande delle due guerre che di lì a poco avrebbero devastato la comunità magica, qualunque cosa avesse deciso.
L'unica cosa che sapeva era che doveva muoversi.
Non avrebbe vissuto in quel modo.
Guardandosi allo specchio e odiandosi per tutti i rimpianti, per l'incapacità di dire basta, per essersi fatta ammanettare quando aveva il potere di evadere. Non avrebbe portato in grembo un essere che avrebbe assorbito oltre alla sua linfa vitale anche tutto l'odio che covava verso il padre che lo aveva generato con lei. Sarebbe stato lo stesso un bambino impuro in quel caso, colmo solo del suo rancore.
Non avrebbe fatto di se stessa la vittima dei suoi fallimenti come persona, come donna. Non avrebbe accettato uno stile di vita che non sentiva suo.
Doveva solo trovare la forza di concentrarsi su quelle convinzioni, farle proprie, inglobarle, e far si che non fossero solo scatti di qualche momento di esasperazione sovrastati poi dalla sensazione di dover seguire le orme di tutte quelle persone che avevano abbassato la testa e fatto quelle scelte prima di lei, senza successo. Perché lei non stava scegliendo di sposarsi.
Lo stava subendo.
Scrisse rotoli e rotoli di pergamena da recapitare alle persone più importanti della sua vita, raccomandando loro di leggerle solo in una precisa circostanza. Aveva aperto loro la sua anima, sperando di essere compresa, sperando anche un pochino in fondo, che non avrebbero mai dovuto scorrere quelle righe.
Se lo avessero fatto, probabilmente quelle sarebbero state le uniche cosa che sarebbero rimaste solo di lei oltre ai ricordi.



{Dicembre 1968; Black Manor.}

Questa è una sorta di nostalgia gioiosa, perché fra poco saremo insieme. Ora ci apparteniamo veramente e profondamente: non è una finzione, è tutto vero. Non è strano che finalmente io possa appartenere a qualcuno? È così dolce, così dolce. E non lascerò mai che tu sia infelice, neanche per un solo istante. 
Tuo, per ora e per sempre, 
E; Ted T. 
P.S. questa e la mia prima lettera d'amore che io abbia mai scritto. E non è strano che io abbia saputo come scriverla?



Ted non dava segni di resa.
Era riluttante quanto lei all'idea della data che stava arrivando, quella in cui si sarebbero persi per sempre come avevano constatato di dover fare il giorno del diploma.
Andromeda gli aveva intimato di starle lontano e non cercarla più, ma lui non aveva mai mancato di farle trovare un gufo appollaiato alla sua finestra ogni mattina. E anche se non riceveva risposta, continuava a chiederle indirettamente di fidarsi di lui.
Di smettere di accontentare gli altri e pensare un po' a sé, anche se voleva dire stare senza di lui alla fine dei conti. Avrebbe vissuto bene anche sapendola lontana, ma contenta.
Molte erano le cose che avevano condiviso nascosti al resto del mondo, le promesse che si erano fatti, e che potevano giungere alla realizzazione solo se, e nel momento in cui lei avrebbe mosso la pedina che avrebbe dato scacco matto alla faccenda intera.
Si erano già donati l'uno all'altra in ogni sfumatura possibile del termine, e mai si era sentita tanto a posto con l'universo intero come quando la pelle nuda sfiorava quella del biondo, come quando il loro sudore si mescolava, come quando le loro bocche si incontravano nel più casto dei tocchi carnali.

Poteva nasconderlo agli alri ma non a se stessa, Andromeda moriva dalla voglia di stare alla luce del giorno e mostrarsi nel suo sorriso più gaio e tanto faticosamente trovato, in mezzo a una vita di imposizioni, forzature, anche se le compariva solo quando era a meno di un metro di distanza da un nato babbano. 
Da una delle persone che i suoi ideali le avevano insegnato di diffidare, da una delle persone che i seguaci del mago Oscuro a cui tutta la sua famiglia dava appoggio, uccidevano.
Sua sorella compresa. Anzi, in primis, anche se lei non lo sapeva ancora.
Era una bomba ormai il cui timer volgeva alla scadenza, più passava il tempo e più ogni particella del suo essere tirava per essere sottoposta a un nuovo scenario, in cui non esistevano bugie e rappresentazioni alterate della vita.
Era stanca di stare in una platea a osservarsi sopravvivere su un palco, recitando un ruolo che non le apparteneva, con l'unica colpa di essere nata con auspici diversi, con una mente diversa. Con un cuore meno tollerante e una pazienza che scarseggiava. 

Lesse e rilesse quella dichiarazione, fonte di forza, di convinzione, quell'inchiostro era intriso di sincerità, di aspettative, di sogni da cangiare in relatività. 
Perché comunque, in ogni caso, lei sapeva che avrebbe perso tutti gli altri scegliendone uno solo. Ted nel suo interno però, pesava esattamente come il resto. 
Ma aveva una possibilità, e intendeva giocarsela per conto proprio, pronta a sentire la violenza di mille aghi nel suo cuore.


L'aria del Natale non avrebbe reso la ragione dei Black più affabile.
Nessuno avrebbe accettato non tanto il diniego alle nozze, quanto la ragione che era alla base di esso. Anche se avesse detto di volersi sposare per amore, prima o poi avrebbe dovuto compiere quel passo con chi aveva scelto, e sarebbe stata rinnegata comunque.
Non c'erano vie d'uscita, alternative, deviazioni da percorrere per comparare l'utile al dilettevole. Avrebbe guadagnato e perso allo stesso tempo, e non sapeva se ciò che avrebbe ottenuto fosse abbastanza forte da compensare il vuoto.
Aveva passato una vita intera a soddisfare e assentire a ciò che volevano gli altri, e lo aveva fatto di malavoglia, spegnendosi di volta in volta un po' di più, voltando le spalle al suo vero io. Ciò che aveva fatto era fingere e disobbedire, perché quando faceva ciò che voleva, allora stava come qualsiasi diciassettenne sarebbe dovuto essere. 
E non voleva sentirsi come una sporca ladruncola, offuscando la vista di chi le era attorno. 
La sensazione di impotenza era costrittiva. Si sentiva nelle grazie letali di un boa, soffocata e inerme. Annaspava per avere aria, l'ossigeno che trovava solo con Ted. 
Le faceva male lasciarsi tutto alle spalle, dare un tale dispiacere alle persone che l'avevano messa al mondo e cresciuta con rispetto, ma sentiva di doverselo. Proprio per dare prova di che meraviglioso lavoro avessero fatto con lei.
Nessuno l'avrebbe mai seguita, perché preoccuparsi quindi di farlo di rimando.

Per quanto tenessero gli uni agli altri, nessuno sarebbe rimasto davvero al suo fianco per la vita intera se non se stessa, come dalla nascita sino alla dipartita, accettando qualsiasi scelta. Quegli ultimi due anni le avevano insegnato solo a potersi fidare del suo istinto.

Il cognome era condiviso da molti, e identificava il rango di appartenenza. Ma anche nelle tribù ogni uomo o donna aveva un nome distinto. Il nome era da sempre una cosa personale, che descriveva chi fosse ogni persona e la presentava al prossimo, distinguendola da tutti gli altri. Gente alla quale la bruna si sentiva in ogni caso inerte.
Ed ora era arrivato il momento di scegliere chi essere. 
Andromeda, un'intera costellazione, che signoreggia sugli uomini, o una Black. 
Il cognome poteva cambiare.
Lei invece no.

Aveva scritto una lettera in risposta affermativa a quelle moine con la mano tremante lasciandosi travolgere dall'afflusso di adrenalina che l'aveva pervasa, e si era persino tolta dalla mente la formalità di firmarsi dopo una lettera, un gesto tanto naturale quanto meccanico per tutte le volte che lei invece a differenza di Ted, aveva scritto.
Il ragazzo la aspettava l'indomani mattina a Londra.

Bellatrix, già moglie era nel suo maniero. 
Narcissa, stava trascorrendo quei giorni nella dimora degli zii Orion e Walburga, insieme al coetaneo Regulus, anch'egli privo della presenza e perciò, del calore dell'affetto di suo fratello come lo sarebbe stata lei dopo la pazzia che stava per attuare.
A loro due andarono i suoi pensieri. 
Sperava solo che Bellatrix non sarebbe venuta a cercarla per punirla.
Che Narcissa la perdonasse.
La discussione con i genitori la mattina del ventitré era stata irruenta e animatamente attiva.
Si era letteralmente buttata nel discorso senza prepararselo, perché il sonno le era mancato così tanto quelle settimane che ormai non ragionava più lucidamente. Aveva abbandonato le sue camere, scendendo le scale di quella che era stata la sua protezione e la sua gabbia al contempo per anni. Con sé, solo la sua fonte di magia accuratamente riposta nella tasca del mantello, e le poche cose materiali a cui teneva tra cui una foto che ritraeva le consanguinee in uno dei momenti più felici della loro vita, in un bauletto incantato apposta per contenere ciò che voleva tenere con sé. Si era dovuta spiegare in fretta e molto chiaramente, quando i genitori le avevano chiesto una spiegazione a quella veduta, credendo la loro figlia fuori di senno. 

Aveva affrontato i due pilastri della famiglia a viso aperto e senza maschere, privandosi delle mezze misure che forse avrebbero reso un po' più sopportabile l'idea, mettendo da parte le buone maniere senza perdere mai l'eleganza, in un connubio di irruenza e flemma. Per quanto aveva cercato di non cedere alla commozione, si era accasciata alla devastazione di qualcosa a cui in realtà era pronta. Ma per quanto avesse già visto nei meandri scuri della sua cognizione, come poteva essere davvero convinta di poter far fronte al dire addio alla sua famiglia, a sentirsi dire che mai e poi mai avrebbero accettato in quelle mura e accanto a qualcuno che portava il loro stemma al collo e nel sangue, il marciume della magia.
Le lacrime bruciavano come un veleno corrosivo sulle sue gote, la gola pizzicava talmente tanto da quanto aveva urlato che non ricordava quand'era stata l'ultima volta che respirare le aveva fatto così male. Forse solo quando aveva realizzato che da quel momento in poi non avrebbe avuto più nessuno con sé. Neanche le sue sorelle.
-'Andromeda, se esci da quella porta non ci entrerai più, mai più.'-

Così aveva fatto, stringendosi nel suo mantello da viaggio e lasciando quella villa, accusando i genitori di tenere di più alla notorietà che alle loro figlie, tutte. Attraversò la città per congiungersi con il suo innamorato, senza aspettarsi di essere in qualche modo contrastata da qualcuno o di essere seguita quantomeno per discutere in modo più civile, specie se si contava il legame che intercorreva tra lei e le persone che l'avevano letterlamente già rinnegata. Se li immaginava, nell'atto di ridurre a una macchia informe e scura il suo volto dall'albero genealogico dipinto alla parete madre. Più raggiungeva la destinazione, più si sentiva ardere allo stesso modo dello stendardo. Si strappò il ciondolo dal collo, lasciandolo in un mucchio di neve in un angolo della strada che non aveva ancora identificato, persa nell'arrancare della sua andatura, con la vista offuscata ancora da qualche cristallo di sale, ed il vento che le tagliava le guance dove le scie bagnate si stavano seccando.
Quando lo vide in lontananza, l'istinto di correre per ancorarsi in una stretta al suo corpo fu più forte di tutto il resto. Ted la cullava rischiarandole i malumori in un modo che aveva sempre adorato, ogni volta che riceveva quelle attenzioni. 
Ogni volta che la guardava come se fosse la più bella delle creazioni al mondo, la più preziosa delle gemme. Ogni volta che la infiammava di passione, che le raccoglieva i capelli per intrecciarli e ripeterle che sarebbe potuto morire accarezzando quelle onde simmetriche e disegnate da un'entità soprannaturale, che non poteva che arrendersi dinanzi a tanta bellezza che non si meritava. Davanti a tanta dedizione, alla sua audacia. Non era certo di meritarsi quella creatura, ma sapeva una cosa; era molto fortunato ad averla con sé e per niente al mondo l'avrebbe lasciata.
Si guardarono sorridendosi teneramente, e in un bacio coinvolgente come poche cose al mondo, Ted asciugò le ciglia brune della sua futura moglie tamponando anche tutte le preoccupazioni perché non gravassero più sulle sue sole spalle, sapendo quanto quel gesto le fosse costato, e preparandosi a portarla in una casa che l'avrebbe accolta per com'era e per come sarebbe voluta essere di lì all'unità temporale che andava fino all'eternità della loro unione. In un abbraccio si impegnò a proteggerla e darle tutto quello che meritava, tenendo fede alle parole di quegli anni passati e futuri.

Lei era una Serpeverde, perché oltre all'immenso coraggio che la accomunava al cugino che nonostante tutto aveva sempre affiancato, ancor più forte era l'ambizione, quella di vivere una vita vera. 
Una vita che a pegno della sua insubordinazione, alla fine, le avrebbe portato via sia suo marito che sua figlia. Ma lei non avrebbe mai rinnegato niente.

 
   
 
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