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Autore: _Kalika_    19/06/2020    1 recensioni
*Questa Fanfiction partecipa al 3 Days of Pride 2020 indetto dal forum FairyPiece – Fanfiction&images*
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«È una persona strana perché la prima volta che l’ho vista indossava una felpa larga.» Percepì lo sguardo scettico dell’altro e iniziò a irritarsi «Non dire niente e fammi finire. Poi la seconda volta era…» La lingua gli si fermò da sola mentre gli occhi guizzavano dall’altra parte della strada, attirati da qualcosa. Un rosa fragola, un azzurro appena visibile, vestiti in un paio di jeans e una felpa. Prese Izou per un braccio e attraversò la strada di corsa. «È lui! Cioè, lei! È lì!»
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Eustass Kidd, Izou, Marco, Reiju Vinsmoke, Shachi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Gender Bender, Tematiche delicate
Capitoli:
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”Free
19 giugno: orientamenti romantici/sessuali – omosessualità
 
  Searching for our balance
 
 
«Franky si può sapere che stai facendo con quell’affare?!»
Dalla stanza adiacente il rumore della sega elettrica che da quasi mezz’ora riempiva tutta l’officina si spense all’improvviso. «Delle suuper modifiche, fratello! Vedrai, la prossima volta che uscirò in giro con la Sunny non ci sarà uomo o donna in grado di resistere al suo fascino!»
«E perché diavolo stai usando una sega? C’è gente che cerca di lavorare, qui!»
«Oh andiamo fratello, ormai ho quasi finito!»
Kidd sbuffò, tornando a concentrarsi sul motore davanti ai suoi occhi. Che potesse passare una sola giornata senza Franky che decidesse di cimentarsi in qualcuna delle sue modifiche, che sembravano avere come unico punto in comune il causare un rumore terribile, era fuori questione. E dire che credeva pure di essere stato fortunato ad essere stato accettato da Franky per lavorare in quell’officina. Adesso gli sembrava piuttosto ovvio che non era stato accettato per magnanimità del datore di lavoro, ma perché era probabilmente stato l’unico coglione in tutta Sabaody che si era offerto di lavorare con lui.
 «Dici sempre così e poi continui per ore! Dacci un taglio!»
«Ehm, scusate…?»
«Davvero, fratello, mi manca pochissimo!»
«Scusate?»
«Ma piantala! E chi è che continua a borbottare?» Eustass abbaiò in direzione di Franky prima di voltarsi verso la direzione della terza voce che si era introdotta nel litigio, trovando a guardare un ragazzo con una felpa decisamente più grande di quanto gli servisse, a causa della quale il rosso non riusciva a distinguere nessuna forma del corpo, e il cappuccio tirato sul capo.
Si era appena affacciato dalla saracinesca aperta, ed era quasi sul punto di fare retrofront quando Kidd gli si avvicinò. «Ti serve qualcosa? Chiedo scusa per Franky, è il proprietario di questo posto e pensa di poter ignorare ogni norma civica all’interno del suo regno.»
«Ehi fratello guarda che ti sento! Non è per niente super quello che dici!»
Kidd evitò di urlargli di nuovo una rispostaccia, preferendo concentrarsi sul cliente. «Allora, cos’è che vuoi sistemare?»
«Oh, niente del genere» rispose l’altro, e Kidd rimase sorpreso dalla voce tanto acuta. «Sono arrivato in città da pochi giorni e non conosco molto bene la zona. Sto cercando di raggiungere il ristorante All Blue 66 in via Aldron. Avevo le indicazioni sul cellulare ma è scarico.»
«Ah.» Kidd continuò a guardarlo, cercando di individuare dei dettagli sotto il cappuccio. Aveva gli occhi azzurri molto chiari, grandi e gentili, ma uno dei due era coperto da un ciuffo di capelli di un particolare colore rosa. Un accostamento di colori insolito – quasi quanto i suoi capelli rossi e occhi dorati, pensò fra sé e sé – che lo lasciò per qualche secondo interdetto. «Non è molto lontano» si riprese poi «devi continuare su questa strada per un centinaio di metri circa, poi arrivi a una rotatoria. Prendi la seconda uscita a destra, e via Aldron è una delle prime traverse.»
L’altro annuì mentre si guardava intorno con interesse. Si avvicinò a una moto rossa fiammante, osservandone rapito i particolari. «È una Sparking Red
Kidd avanzò qualche passo. Non capiva perché, ma desiderava abbassargli il cappuccio e vedere il suo volto. Rimase sorpreso quando l’altro lo tolse di sua spontanea volontà con un gesto automatico. I suoi capelli erano tutti dello stesso colore del ciuffo sugli occhi, rosa, ed erano giusto una corta zazzera che gli arrivava a malapena alla nuca. Ma soprattutto aveva dei lineamenti delicatissimi e una pelle candida, tanto che Kidd rimase senza fiato. Se non avesse parlato di sé al maschile, il rosso avrebbe giurato che fosse una donna. Quello si girò a guardarlo mentre Kidd realizzava che gli era stata rivolta una domanda e annuiva con un cenno secco ma confuso.
«Non sono un appassionato di moto, ma mio fratello sì e ho imparato ad apprezzare certi gioiellini» sussurrò raccontandolo più a sé stesso che a Kidd. Si chinò appena ad ammirarla meglio prima di mettersi dritto e rivolgere un sorriso gentile al rosso. Lo ringraziò, e nel giro di pochi istanti era già uscito e stava seguendo le indicazioni datagli.
«Fratello, chi era? Un cliente?»
Kidd era confuso. Confuso e accigliato. C’era qualcosa di strano in quella persona, ma non riusciva a capire cosa. E la cosa, invece di seccarlo come avrebbe fatto di solito, lo intrigava.
«Sta’ zitto e torna a fare quelle fottute modifiche!»
 
҉
 
Kidd non si era mai detto amante delle tradizioni, ma doveva ammettere che c’era una tradizione, o meglio una routine, alla quale raramente si tirava indietro.
«L’avete vista la replica di Sherlock che c’era in TV ieri sera?? Ditemi di sì, ditemi di sì!»
Passare il sabato sera al Cocoyashi Cafè, a raccontarsi gli avvenimenti della settimana e smaltire lo stress accumulato a scuola e – più recentemente, anche se gli unici due coinvolti erano Kidd stesso e Shachi – al lavoro, era un’attività che si svolgeva più o meno regolarmente fin dalla fine del terzo anno di liceo, in cui il variegato gruppetto aveva avuto modo di conoscersi e legare, e che si era mantenuta anche una volta raggiunto il diploma.
«Izou ci hai già obbligato a vederlo una volta, perché dovremmo vedere anche le repliche?»
Kidd insomma non amava le tradizioni e non mancava di ripeterselo ogni volta che metteva piede in quel locale, ma in un modo o nell’altro all’uscita dal pub si ritrovava sempre con un abbozzo di sorriso sul volto, e per quando l’inizio della serata potesse sembrare disastroso, sapeva che valeva la pena prestare attenzione a quegli idioti.
«Shacchan, sai benissimo che ci sono innumerevoli motivi! Uno: ogni episodio di Sherlock va rivisto come minimo due volte, perché ci sono parallelismi e riferimenti che si possono comprendere solo riguardando tutta la serie dall’inizio; Due-»
Un ringhio risuonò dalla postazione di Kidd. «Chiudi quella bocca o te la stacco io.»
Quella sera però non era proprio in vena, pur sapendo che Izou che sclerava per l’ennesima volta su Sherlock non era affatto uno degli inizi peggiori, visto che primo in classifica svettava con prepotenza quella volta che la loro insegnante di scienze aveva preso un tavolo proprio accanto al loro e aveva anche avuto l’audacia di interrogarli, ancora non era ben chiaro se per scherzo o meno vista l’aura di perenne serietà che circondava Madame Shirley, sulla lezione spiegata in classe quel giorno stesso. Come se ne avrebbe mai avuto bisogno, di sapere la vita delle stelle di neutroni e delle giganti rosse!
«Due» stava continuando intanto Izou, sordo alle minacce e complice Shachi che non faceva niente per fermarlo «Sherlock e John sono semplicemente troppo carini per essere visti una volta sola e tre…» Si fermò un attimo aumentando l’eccitazione nella voce e scambiando uno sguardo con Shachi che poggiò il viso sulle mani a coppa ridacchiando. «…Benedict Cumberbatch è un dio e nell’episodio di ieri indossava la camicia viola del sesso!!»
«E che cos’è la camicia viola del sesso?»
«Shachi!»
«Dai, Kidd, sono curioso!»
Eustass sbuffò in risposta e si abbandonò pesantemente allo schienale della sedia, guardandosi intorno mentre con un orecchio seguiva suo malgrado la dettagliata spiegazione di Izou. Ma mentre le orecchie ascoltavano sempre con meno attenzione, i suoi occhi si spostavano invece indagatori da una parte all’altra del locale, a osservare e analizzare ogni avventore. E prima ancora di pensarlo, Kidd si accorse che stava cercando qualcuno. Anzi, non avendo una persona, un’identità a cui associare l’embrione di idea che aleggiava nella sua mente, si limitava a cercare tra la gente un preciso contrasto di colori, l’azzurro chiarissimo e il rosa fulminante che tanto lo avevano colpito.
«…solo in questo episodio ed è una visione divina, con la stoffa tesa sotto i pettorali, la vita stretta…» Si risvegliò quando Izou gli diede una gomitata nello stomaco in un potenzialmente suicida momento di complicità. «Ma insomma te ne sarai accorto anche tu quando l’hai visto per la prima volta no? Quegli occhi cangianti così intensi, gli zigomi perfetti, per non parlare della schiena e del cu-»
«Izou quante volte devo dirti che sono etero? Non passo il tempo a sbavare dietro a quegli attori del cazzo.»
«Umpf, dicono tutti così. Marco-chan, almeno tu sei d’accordo, no??» Si voltò verso il suo migliore amico seduto davanti a lui nella ben riposta speranza di un cenno d’assenso.
Ma Kidd non era interessato a sentire il breve ma accurato commento di Marco su quel Benadryl Cucumbersnatch o come si chiamava, perché la domanda che aveva in testa era un’altra. Marco? Quando era arrivato Marco?? Quanto cazzo di tempo aveva passato perso nel mondo dei sogni a guardarsi intorno??
«Kiddo-kun ma oggi ci sei o quello che sto guardando è un clone privo di coscienza che sta sostituendo il nostro amico, che ha invece deciso di abbandonarci per sempre e intraprendere un viaggio di sola andata per chissà quale esotica località balneare?»
«Che cazzo di idea?»
«Ah, sei tu. Cos’è che ti sta impedendo di goderti la serata?»
«Ce l’ho davanti agli occhi, ha un orrendo fermaglio floreale tra i capelli e non la pianta di parlare di attori e serie TV.» Ghignò appena, di nuovo padrone delle sue capacità cognitive, quando Izou sbuffò offeso incrociando le braccia al petto. «Ahah, molto divertente.»
Shachi stese le braccia sul tavolo stiracchiandosi prima di illuminarsi come colpito da un pensiero: «Senti Kidd non è che mi puoi dare un passaggio a casa? La moto si è bloccata all’ultimo e sono venuto qua con i mezzi.»
«Ma un fottuto esame per la patente è troppo complicato, eh? E poi che cazzo, lavoro in un’officina se non ve lo ricordate, potevi chiamarmi subito!» Shachi si strinse nelle spalle e Izou ridacchiò fino a che Kidd non gli abbaiò contro. «Pure tu! Pensi che mi sia scordato di tutti gli strappi che mi hai rubato negli ultimi anni? Almeno Marco ci si impegna e tra qualche mese ce l’ha pure lui un’auto, mentre voi vi accontentate di quelle carrette a due ruote!»
I tre subirono impassibili la sfuriata dell’amico. Ah, che modo strano e contorto aveva quella testaccia rossa di preoccuparsi dei suoi amici!
«Ma quindi me lo dai un passaggio?»
«No, ti lascio qua a piedi.» E meno male che col tempo avevano imparato a decifrare il suo sarcasmo. Si voltò verso Marco in un istante di complicità: «Abituati perché dal primo secondo in cui avrai la macchina verrai etichettato come taxi umano e non avrai scampo. Almeno non dovrò più sorbirmi i lamenti della principessina sul mio modo di guidare.» Indicò con la testa il moro accanto a lui e Marco stirò appena le labbra in un ghigno prima di aprirle, come a voler dire qualcosa, e poi richiuderle indeciso.
«Che c’è?»
«…»
«Dai che cazzo c’è? Lo so che vuoi dire qualcosa!»
«…mi servirebbe un passaggio martedì pomeriggio.»
 
҉
 
Sbloccò il cellulare con un movimento fluido della mano mentre si caricava sulla spalla la borsa e usciva dall’aula. Il messaggio che aveva mandato a Vista non era ancora stato ricevuto, segno che si trovava ancora in volo, e il suo ultimo accesso su Whatsapp segnava l’una e trenta di pomeriggio. Era in perfetto orario.
Diede un’occhiata ai messaggi in arrivo: un breve scambio sul gruppo che condivideva con i suoi amici e un messaggio vocale da Kidd. Lo attivò e si portò il cellulare all’orecchio mentre camminava piano lungo i corridoi del Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere, valutando se fermarsi a prendere qualcosa al distributore automatico.
«…’rtendo adesso quindi vedi di farti trovare al parcheggio tra venti minuti. Davanti alla statua di Roger.»
Il pacchetto di cracker cadde dalla sua postazione nella macchinetta mentre si rimetteva in tasca il telefono e Marco lo raccolse con calma prima di dirigersi a passi misurati verso il luogo d’incontro. Si fermò un attimo per lasciar passare davanti a lui un gruppetto di studenti che usciva dal suo stesso Dipartimento e intanto fece vagare gli occhi sugli edifici davanti a lui, rispettivamente il Dipartimento di Lettere e quello di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo. Fissò lo sguardo su quest’ultimo, nella vana speranza di vedere nei suoi dintorni un perfetto chignon corvino e un paio di occhi profondi che avrebbero brillato nel vederlo e salutarlo. Sospirò appena, constatando che di Izou non c’era traccia, e proseguì a capo chino verso la statua di Roger.
Forse sarebbe potuto passare a salutarlo. Se ben ricordava a quell’ora Izou non aveva lezioni, quindi magari era da qualche parte che… Bum.
«Oh! Ci scusi!» Alzò lo sguardo per vedere contro chi era andato a sbattere, e si trovò davanti un gruppetto di due ragazzi e una ragazza di diversi anni più giovani.
«Scusate me, non stavo guardando dove andavo.» Rispose pacato rivolgendosi alla ragazza che sorrise appena e scosse il cellulare che teneva in mano. «Neanche noi. Stiamo cercando di raggiungere il Dipartimento di Matematica ma Google non aiuta. Per caso può dirci dov’è?»
Marco si voltò nella direzione dell’edificio, indicandolo con una mano. «Basta proseguire lungo il marciapiede dopo l’Aula Magna e svoltare due volte a destra. È davanti a quello di Fisica.»
«Ah, grazie!» La ragazza riabbassò lo sguardo pragmatica verso il cellulare ripetendo a mezza voce le indicazioni. «Ci credo che non lo trovavamo, Mont d’Or ci aveva detto il contrario.» Si allontanò di fretta seguita dagli amici borbottando divertita a mezza voce: «Punte di diamante della squadra di Giochi Matematici e ci perdiamo alla ricerca del Dipartimento. Oh sì, il Liceo Alabasta è proprio in ottime mani.»
Marco riprese a camminare con passo più spedito, e quasi l’avesse previsto, il cellulare vibrò nella sua tasca, con tutta probabilità un messaggio di Kidd che gli intimava di darsi una mossa. Raggiunse in tempo zero la statua e si guardò intorno alla ricerca della capigliatura vermiglia dell’amico. Finalmente individuò la macchina, una New World bordeaux e nera, e una ventina di passi più avanti il proprietario girato di spalle.
Lo chiamò, e gli si avvicinò quando non ricevette alcuna risposta. Il rosso sembrava particolarmente accigliato, come confuso, con gli occhi fissi su qualcosa davanti a sé. Marco seguì la direzione dello sguardo e si trovò a fissare una ragazza elegantemente vestita con una corta ma pettinata zazzera rosa e un ciuffo che le copriva uno degli occhi chiari.
«Kidd?»
Il rosso si voltò di scatto, come se si fosse accorto solo in quel momento che Marco gli era arrivato accanto. Senza cambiare di un millimetro la sua espressione guardò l’amico e poi si girò di nuovo verso la ragazza. «Sai chi è quella?»
Il biondo annuì noncurante: «È una nuova studentessa di Lingue. È qui da qualche settimana, l’ho incrociata un paio di volte a lezione. Sembra intelligente.» Raccolse tutti gli stracci di informazioni che gli era capitato di sentire negli ultimi giorni «Dicono che sia figlia di un ricco proprietario di una serie di bar o ristoranti, non ricordo. Si è appena trasferita a Sabaody con la famiglia.»
«Mh.» Kidd borbottò tra sé e sé, quasi fosse infastidito da tutte quelle informazioni che non gli quadravano. «Vabbe’, andiamo. Ho liberato il portabagagli così Vista può metterci le sue cose.»
Marco chiuse la portiera e tirò fuori il cellulare mentre Kidd metteva in moto. Il messaggio che aveva sentito prima non era affatto di Kidd, bensì di Shachi sul gruppo. Lo lesse ad alta voce: «“Scusate ragazzi ma sabato non riesco a venire al bar. Divertitevi.”»
Kidd arcuò le sopracciglia. «E non è neanche ancora passato all’officina per la moto. Chissà che sta facendo quel coglione in realtà.»
Il biondo si poggiò allo schienale e fissò gli occhi sulla strada che scorreva sul parabrezza. «E meno male che dovrebbe essere la persona più razionale e sincera.»
«Veramente siamo tutti d’accordo che il ruolo di “persona razionale e sincera” te lo aggiudichi tu. Shachi è quello che sembra più autonomo di tutti ma che in realtà scrocca passaggi all’infinito.»
Ghignarono tutti e due prima che un’ombra oscurasse gli occhi di Marco. Si girò a guardare fuori dal finestrino. «Sincero, eh…?»
 
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«’nque è proprio bella questa giacca, sai?»
Kidd abbassò gli occhi su Izou che palpava critico la manica del suo giacchetto di pelle. Per la seconda volta nel giro di qualche minuto si accorse di essersi perso buona parte della frase, e si limitò ad annuire.
Izou arricciò le labbra non convinto: «Kiddo-kun ma va tutto bene?»
«Ah?» Spostò lo sguardo sulla strada, perdendosi nello sfrecciare delle macchine. «Sì che va tutto bene.»
«Sì, e io sono l’uomo più etero del mondo.»
Il rosso si girò a guardarlo storto, trovandosi a fissare un’espressione piuttosto simile alla sua. «Sono solo un po’ distratto, ma che vuoi?»
«Voglio sapere che ti è successo!» Berciò l’altro incrociando le braccia al petto «Siamo solo io  e te, giuro che non lo dico a nessuno! A meno che non sia qualcosa di divertente, allora lo dirò a tutti.»
Kidd borbottò contrariato. Ma sapeva che Izou non si sarebbe fermato fino a che non avrebbe avuto delle risposte, quindi sospirò. «È che ho incontrato una persona strana.»
«Il simile attira il simile.»
«E chiudi il becco! Volevi che ti spiegassi o no?»
«Okay, okay, parla!»
«È una persona strana perché la prima volta che l’ho vista indossava una felpa larga e una tuta.» Percepì lo sguardo scettico dell’altro e iniziò a irritarsi «Non dire niente e fammi finire. Poi la seconda volta era…» La lingua gli si fermò da sola mentre gli occhi guizzavano dall’altra parte della strada, attirati da qualcosa. Un rosa fragola, un azzurro appena visibile, vestiti in un paio di jeans e una felpa larga da uomo. Prese Izou per un braccio e iniziò ad attraversare la strada di corsa. «È lui! Cioè, lei! È lì!»
«Kidd ma che fai? Controlla almeno se passa qualche macc- Santo cielo Kidd! E non insultarlo, sei tu che ti sei buttato in mezzo alla strada!»
Ma Kidd non aveva tempo né interesse di ascoltarlo. Era impegnato a raggiungere la persona che, a una decina di metri da lui, si era accorta dell’inseguimento in atto e aveva cominciato a correre a sua volta, chissà quali pensieri in testa.
«Aspetta! Non voglio farti niente! Statti fermo porca puttana!»
«Kidd ma ti sembra il modo??»
Ma intanto il rosso aveva raggiunto l’altro, gli aveva fermato il braccio e l’aveva costretto a voltarsi. Lo osservò in viso e constatò che sì, era la stessa persona dell’officina e la stessa dell’Università.
«Non voglio farti del male. Mi chiamo Eustass Kidd.» esordì subito, ben conscio della poca credibilità delle sue parole «Tu chi sei?»
L’altro lo guardò confuso prima di rispondere: «Reiju Vinsmoke.»
«E sei un maschio o una femmina?»
 
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Izou ne aveva visti di occhi tristi, e aveva anche una certa esperienza in prima persona, ma gli sguardi smarriti che Reiju aveva lanciato loro quando avevano parlato erano davvero impressionanti. Da una parte era comprensibile – chi avrebbe gradito essere rincorso da un energumeno alto quasi due metri dai modi rozzi come quelli di Kidd? – ma in quel momento, con una tazza di cioccolata calda ben stretta tra le mani e gli occhi indagatori di Kidd e Izou puntati contro, sembrava la persona più insicura del mondo. Eppure c’era un non so che di elegante e dignitoso nei suoi movimenti che suggerivano un carattere solitamente ben più deciso.
«Quando hai detto che non sai che cosa sei…» Kidd riprese il discorso dall’esatto punto in cui l’avevano interrotto cercando di risuonare il meno scettico e scontroso possibile. «…che cosa intendevi?»
Reiju fissò la cioccolata. Perché si era fatta trascinare in quel caffè? Perché aveva accettato di parlarne con quei due estranei? Che razza di magia aveva fatto quel gigante rosso affinché sentisse di potersi fidare di lui? C’entrava il fatto che al primo incontro era sembrato sicuro Di sé e, se non gentile, perlomeno con un minimo di decenza? Doveva c’entrare sicuramente la decenza, altrimenti non c’era spiegazione. O forse il motivo era che nessuno aveva mai risposto alle sue parole con qualcosa che non fosse uno sbuffare divertito o peggio ancora un “sei solo confusa”. Quei due sconosciuti erano genuinamente interessati e, chissà, magari potevano anche dare una mano.
«Intendo dire che adesso non mi sento né maschio che femmina.»
«Guarda a me eri sembrata un uomo la prima volta con ‘sti vestiti, ma da quel che vedo le tette ce l’hai.»
Reiju lo fulminò con lo sguardo, ed era sul punto di andarsene che il moro al suo fianco tirò un potente scappellotto all’altro con addosso l’espressione più indignata che avesse mai visto. «Kidd!» Urlò infatti, attirando l’attenzione di mezzo bar. «Ma quanto puoi essere scemo?»
«Ma che vuoi? Che ho detto?»
«Reiju è chiaramente a disagio e tu te ne esci con una battuta transfobica del genere! Almeno la sai la differenza tra genere e sesso biologico??»
Kidd bloccò sul nascere la rispostaccia che stava per dargli, un po’ per non dare spettacolo un po’ per genuino interesse. No che non sapeva la differenza, perché mai avrebbe dovuta saperla?
«Il sesso biologico è quello definito alla nascita dal tuo corpo.» Cominciò a spiegare Izou, per una volta totalmente serio, alternando occhiate tra l’amico e Reiju dato che lo guardavano entrambi interessati. «Il genere invece è ciò che senti di essere dentro. Non sempre genere e sesso biologico corrispondono.» Alzò una mano a indicare pacatamente Reiju. «Reiju è una donna fisicamente, ma il suo genere non è femminile.»
«Aspetta» Lo bloccò Reiju mettendosi una mano sul petto. «Non è sempre così. Cioè, a volte sono femmina. Ora no. Ora… non so cosa sono, ma sicuramente non femmina.»
«Sei un maschio?» Chiese Kidd corrugando le sopracciglia, facendosi ancora più confuso quando Reiju scosse la testa.
«No, non credo… però sicuramente sono più maschio che femmina.»
«Che cazzo vuol dire?»
«Kidd la pianti? Sei stato tu a voler sapere tutto questo, ora lo fai parlare? Reiju come ti fa sentire quando uso il pronome maschile?» Finì la frase cambiando totalmente tono e voltandosi quasi apprensivo verso Reiju, che sgranò gli occhi e accennò un sorriso.
«È meglio» sentenziò piano mentre Izou ricambiava il sorriso e riprendeva la sua spiegazione. «Da quel poco che mi hai detto, credo che tu sia gender fluid. Cioè non hai un genere specifico e cambi durante il tempo. La definizione ti calza?»
«Direi di sì» Ma l’espressione che fece era tutto fuorché felice. Anzi era agitato, e per qualche istante i suoi occhi si fecero grandi e spaventati come se gli fosse venuto in mente un terribile pensiero. Scosse la testa e tornò a guardare i due ragazzi, ma nessun sorriso spuntò sul suo volto. «Quello che hai detto mi ha chiarito molte cose. Grazie.» Strinse i pugni, ma li rilasciò non appena si accorse che Kidd li stava guardando. «Ma questo non mi aiuta molto a capire chi… o cosa sono.»
«Eh che filosofo. Maschio o femmina o qualsiasi cosa ci sia in mezzo, mica cambi carattere. Tu sei sempre tu, no?»
«Non è così semplice» sibilò tagliente Reiju mentre Izou faceva saettare gli occhi da uno all’altro senza intervenire. «Quando cambio lo sento, e sento che il mio corpo non è giusto. E non ci tengo a indossare una gonna quando sono un maschio.»
«E allora non metterla!»
Reiju rimase in silenzio, come riflettendo se rivelare o meno troppe informazioni. Alla fine fece per alzarsi dal tavolo e andarsene con tranquillità. «Grazie, Izou.»
«A-aspetta!» Esclamò lui sporgendosi verso l’altro. «Rivediamoci! Cioè non fraintendere non ci sto provando, sono gay e pure-» bloccò la frase sul nascere, scuotendo la testa e ripartendo. «Insomma sei nuovo in città no? Se ci scambiamo i numeri puoi passare qualche serata con noi! Giuro che le altre due persone del gruppo sono molto più gentili e simpatiche di questo troll!»
«Oi bada a come parli.»
Reiju lo guardò interdetto, poi annuì. «Ti do il mio numero, scrivimi quando organizzate un’uscita.»
«Oh non c’è bisogno di organizzazione! Tutti i sabati alle otto e mezza al Cocoyashi Cafè!»
 
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Kidd spense la TV, deciso ad andare a dormire dopo il meritatissimo film della serata. Era passata da poco mezzanotte e cominciava ad accusare la stanchezza dopo la lunga giornata. Non che fosse successo niente di particolare, Franky aveva fatto casini come al solito e Vista, il fratello di Marco che era passato a Sabaody per lavoro, si era unito al gruppo per un giro al centro nel pomeriggio.
Rimase un attimo immobile prima di ricordarsi che anche Reiju aveva passato la giornata con loro. Non perché si fosse dimenticato della sua presenza, ma perché si era integrata così bene – e la pensò al femminile, dato che l’ultima volta che l’aveva vista si sentiva una donna – che era quasi come ci fosse sempre stata. Però era strano, tanto strano, considerando che la conoscevano da una settimana o giù di lì. La sua prima serata al Cocoyashi era andata alla grande perché tra le sue conoscenze culinarie e il discreto interesse per i veicoli e la moda aveva conquistato tutti i membri del gruppo. Peccato che Shachi non fosse venuto, si sarebbe divertito anche lui. Se non altro era stato con loro al centro, salvo andarsene prima per “impegni urgenti” non ben definiti.
Eustass si lasciò cadere pesantemente sul letto, iniziando a infilarsi sotto le coperte. Era fine ottobre e se di giorno si stava bene, di notte cominciava a fare freddo, per non parlare delle ore di luce che diminuivano sempre di più. Sbuffò a questi pensieri – pur con essendo meno sociale di un orso, aveva sempre preferito l’estate – e lanciò un’occhiata al cellulare, che in quel momento iniziò a squillare. Gli lanciò un’occhiata di striscio prima di portarselo all’orecchio: «Iz-»
«Ciao, so che è tardi.» Di fronte a un tono talmente agitato e urgente, Kidd non riuscì neanche a commentare che il moro lo travolse con una valanga di parole. «Probabilmente dovrei dirtelo a voce, o meglio faccia a faccia, così potremmo parlarne con più tranquillità, m-ma non so quando ritroverò il coraggio.» Ridacchiò appena, il nervosismo ben presente nella voce tremante. «Anzi stavo per scrivertelo per messaggio ma, insomma s-so che ci tieni a parlare e non ti piace scrivere, e poi te lo meriti.» Kidd inarcò le sopracciglia. Non gli piaceva scrivere? Okay non era proprio un fan dei messaggi, specie se il gruppo Whatsapp era sempre sommerso di sticker e meme senza senso che avrebbero meritato di stare nel cestino piuttosto che sul pannello notifiche del suo cellulare, ma… «..'da tanto e adesso voglio dirtelo. Non serve che rispondi.»
Kidd ritornò alla realtà realizzando che Izou stava continuando a parlare e parlare nel suo orecchio. «Marco, mi piaci. Anzi. No, non mi piaci.» Izou prese un respiro profondo ma Kidd non riuscì a bloccarlo in tempo, a dirgli che aveva sbagliato destinatario. Sentì la sua voce tremare di passione e di paura mentre pronunciava quelle tre parole tutte d’un fiato. «Io ti amo. Marco io ti amo e non sai da quanto tempo.» La sua voce si spezzò e si fece più flebile ad ogni parola. «Mi dispiace di non avertelo detto prima ma non ce la facevo. L-lo so che per te non è lo stesso, insomma non sono una persona che piace alla gente, ma… m-mi sembrava giusto che lo sapessi.» Kidd restò ancora in silenzio, cercando il più velocemente possibile la frase giusta da dire per rompere l’incantesimo – perché che cazzo, poteva dire qualsiasi cosa per bloccarlo ma un po’ di tatto se lo meritava – ma i neuroni non gli si collegarono abbastanza in fretta, e smisero di lavorare del tutto quando dall’altra parte del telefono risuonò un singhiozzo seguito da quello che più che una frase era un pigolio. «Non è vero che non voglio che rispondi. Per favore dì qualcosa. Marco…? Per favore…»
Kidd si passò una mano sulla faccia, incapace di reagire prontamente. Come poteva… Cosa doveva fare? Mai come allora aveva desiderato tra le mani un fottuto manuale d’istruzioni per gestire la situazione, lui che si era sempre tanto vantato di non avere bisogno di consigli. Prese un respiro e chiamò piano il suo amico.
«Izou.»
Dall’altra parte del telefono il ragazzo sussultò e un altro singhiozzo gli sfuggì dalle labbra. «K-Kidd?»
«Izou hai chiamato il numero sbagliato.» Chiuse gli occhi mentre sentiva l’altro trattenere il respiro e, con ogni probabilità, portarsi il telefono davanti agli occhi per controllare. Un singhiozzo più ovattato e Kidd poteva quasi vederlo, rannicchiato su sé stesso con le mani a coprirsi la faccia e stringersi le spalle da solo.
«Izou va tutto bene» Provò mantenendo un tono calmo. «Adesso lo chiami e gli dici ciò che mi hai detto, che problema c’è?»
«Non va tutto bene!» Gemette fra sé e sé prima di tirare su col naso, la testa che si scuoteva spasmodica. «Non ce la faccio a ripeterlo. Kidd, per favore, fa’ come se non avessi sentito niente.»
«Che cazzo dici?» Sbottò senza pensarci, salvo pentirsene quando sentì l’altro squittire in risposta.
«N-Non so neanche perché ho iniziato la chiamata. Oh kami… oh kami, cosa ho fatto?»
Kidd sentì distintamente il respiro dell’altro farsi sempre più affannoso. «Izou, ascoltami un attimo. Non dare per scontato la risposta di-»
«Oh certo perché io sono proprio il tipo di Marco no?» Sputò nervoso senza riuscire a fermare il tremolio nella voce e nel corpo. «Anzi è stato meglio così. È… sì, è stato meglio.»
«Oi non dire stronzate! Chiama Marco!»
Izou tirò su col naso, a un passo dal crollare del tutto. «Ho paura. Ho troppa paura. Non gli piacerò mai, Kidd. N-Non posso.» Per un istante gli sembrò che fosse sul punto di iniziare a parlare a ruota libera, e Kidd si mise all’ascolto per cercare di capire cosa fare. Dei singhiozzi, un respiro tremulo, come se stesse prendendo fiato. Poi il silenzio.
«Izou?»
Aspettò ancora qualche secondo prima di abbassare il cellulare e constatare che Izou aveva riattaccato. «Ma porca puttana…» Si affrettò a ricomporre il numero del ragazzo e si riportò il cellulare all’orecchio, macinando passi e imprecazioni. La voce squillante di Izou risuonò informandolo che stava parlando con la segreteria telefonica. Uno, due, tre tentativi, poi perse le speranze. Perché non aveva già abbastanza problemi, tra Reiju sempre un po’ sperduta e Shachi che non si sapeva che avesse!
Non che stesse incolpando Izou, eh. Perché Izou ne aveva fatte di cazzate nella vita e Kidd si era premurato di rinfacciargliele tutte e pure più di una volta, ma su una cosa come quella non poteva proprio permettersi di dire niente. Perché sapeva benissimo quanto per lui fossero importanti concetti come l’amore e il trovare la persona giusta, e se aveva detto di essere innamorato di Marco… Non osava neanche immaginare come si dovesse sentire dentro.
Si afferrò il ponte del naso. Non poteva parlarne con nessuno, se non per paura di incasinare la situazione quantomeno per un minimo di rispetto. Ma l’avrebbe fatto parlare, in un modo o nell’altro.
 
҉
 
Scese dall’autobus con passo malfermo, sistemandosi il borsone sulle spalle. Dio, quant’era ridicolo.
Camminò in direzione del familiare palazzo, ripassando nella mente più e più volte ciò che doveva dire. Non era tanto difficile, in realtà. Si scostò una ciocca di capelli dalla fronte e rimase fermo come uno stoccafisso davanti al citofono, adocchiando in pochi istanti la targhetta vecchia di pochi anni nella seconda colonna della lista di inquilini. Marco Newgate.
Chiuse gli occhi, sospirò, tranquillizzò il respiro, poi premette sul pulsante del citofono. Pochi secondi e la lucetta lampeggiò, segno che la telecamera era entrata in funzione. «Ciao Marco. Scusa se non ti ho avvisato.» Sentì che la voce stava per rompersi ma continuò. «Posso salire?»
«Certo», accompagnato dal rumore della porta che si apriva. Salì i tre piani di scale senza fiatare, con ritmo sostenuto, ma gli sembrò un’eternità. Ad ogni passo voleva soltanto girarsi indietro, scappare e non tornare più, ma ne aveva bisogno. Se non di Marco, perlomeno di aiuto.
Lo trovò appoggiato allo stipite della porta, l’espressione calma eppure interrogativa sul volto, una felpa e dei pantaloncini addosso. «Shachi» lo chiamò quando raggiunse il pianerottolo.
Il rosso prese un grosso respiro e lo guardò negli occhi, deciso a spiegare tutto in un’unica frase: «Il Logue Bar ha chiuso e mia sorella è andata a vivere dal suo ragazzo. Non so dove andare.»
Marco sgranò appena gli occhi e mosse un passo verso di lui, ma l’altro invece indietreggiò. Non poteva costringerlo così ad ospitarlo. Santo cielo, ma perché non l’aveva chiamato prima? Perché mai aveva pensato che andare di persona all’ultimo minuto fosse una buona idea? «P-Però avrei dovuto avvisarti, mi dispiace. Va bene se non vuoi che resto.» Prima ancora che potesse allontanarsi di un altro centimetro il biondo lo raggiunse e gli prese la borsa, mettendogli poi la mano sulla nuca per confortarlo e avvicinarlo a sé. «Non dirlo neanche per scherzo, Shachi. Puoi restare quanto vuoi.»
Shachi si lasciò poggiare la fronte sulla spalla di Marco in silenzio. Non se lo meritava, non se lo meritava per niente. Ma la premura quasi imprevedibile di Marco gli scaldava il cuore. Per un attimo gli occhi si fecero lucidi. Odiava tutta quella situazione. «Mi dispiace di non avervi detto niente prima. Pensavo di riuscire a sistemare tutto. Grazie. Grazie davvero…» Il biondo lo strinse ancora qualche istante prima di posargli una mano sulla spalla.
«Almeno adesso so cosa c’era che non andava.» Sussurrò pacato mentre i due entravano in casa e il biondo iniziava a spostare i cuscini dal divano. «È per questo motivo che hai saltato le ultime serate al Cocoyashi?»
Shachi annuì. «Sì… Io e Ikkaku stiamo cercando lavoro da quasi un mese senza successo. Lavoravamo entrambi al Logue quindi siamo rimasti fregati. Ho… ho cercato di evitare qualsiasi spesa superflua, ma l’affitto era comunque un problema. Alla fine Ikkaku è andata dal ragazzo, e io… eccomi qua.»
«Potevi dircelo prima» Non un rimprovero, ma una constatazione.
«Lo so, ma pensavo di cavarmela!» La voce gli tremò lievemente, ma ormai stava digerendo le emozioni una dopo l’altra. «Ho anche chiesto aiuto a mio padre e mi ha dato un po’ di soldi. Non guardarmi così, non è che avessi altra scelta! Speravo di riuscire a farmeli bastare fino a che non avrei trovato un altro lavoro, ma sono finiti e non vuole aiutarmi oltre.»
Bevve tutto d’un fiato il bicchiere d’acqua che Marco gli aveva offerto, poi si strofinò la faccia energeticamente. «Ma ora basta lamentarsi! Mi metto subito a cercare un lavoro, così mi schiodo il prima possibile! Sarò invisibile, tutto ciò di cui ho bisogno è un tetto sulla testa.»
Marco lo guardò serio, ben sapendo che qualsiasi parola non avrebbe avuto alcun effetto. Invece indicò pratico il divano con una mano. «Ti dispiace se questa notte dormi qui? Con un po’ di olio di gomito entro domani riusciamo a ripulire la seconda stanza, ma penso che ora sia tutta impolverata.»
«Non c’è problema. Anzi, mi metto a preparare la cena così mi rendo utile.»
Marco annuì, poi un pensiero lo colpì. «La moto è davvero rotta?»
Shachi si mordicchiò il labbro. Non gli sfuggiva proprio nulla, eh. «Non volevo venderla, quindi la noleggio ad alcuni ex compagni di scuola. Così non sto proprio al verde.»
«Bella pensata. Ma domani ci vieni lo stesso al Cocoyashi, e racconti tutto. Va bene?»
 


 
҉
 
Kidd era fermo davanti alla porta del frigo, indeciso su cosa mangiare per cena. Alternava gli occhi svogliato dal prosciutto preconfezionato al formaggio mezzo aperto e allo sportello chiuso del freezer, in cui sapeva esserci un hamburger surgelato. Non che avesse molta fame, in realtà. Tutti i problemi del gruppo, nascosti sotto la superficie da chissà quanto tempo, erano venuti a galla nel giro di una settimana, e alcuni restavano ancora segreti. A Kidd passava l’appetito solo a pensarci.
Non che si desse la colpa di alcunché, visto che sia per quanto riguardava Izou sia per Shachi non c’entrava proprio un cazzo, però ecco, se non avesse avuto i paraocchi forse si sarebbe anche potuto accorgere prima di ciò che turbava i suoi amici. Sbuffò mentre optava per un panino al prosciutto e appoggiava al ripiano della cucina per prepararlo. Che poi porca puttana, due dei suoi quattro amici erano praticamente nella merda, un altro era emotivamente instabile, e lui se ne stava lì a tagliare in due un panino!
Sollevò un sopracciglio mentre realizzava il pensiero appena fatto. No, davvero, non c’era proprio niente di male nel voler mangiare. Non che potesse fare altro in quel momento, comunque.
Però restava il fatto che avrebbe voluto poter fare di più. Con Izou soprattutto, che non si faceva sentire da una settimana. E lui che l’aveva pure coperto, inventandosi al momento una balla che potesse almeno giustificare la sua assenza al Cocoyashi! E il bastardo manco a ricambiare la sua premura, non si era degnato di rispondere alle sue telefonate né di farsi vivo quando, in un preoccupato quanto idiota momento di follia, era passato sotto casa sua e aveva sprecato non sapeva quanti minuti a premere ripetutamente sul citofono.
Ma che pensava di fare, rintanandosi in casa e uscendo solo per l’Università? Credeva che così si sarebbe magicamente risolto tutto da solo? Gli avrebbe dato solo altri tre giorni, si disse fra sé e sé mentre addentava il panino, poi sarebbe tornato a casa sua e l’avrebbe portato fuori, volente o nolente. Se pensava che sarebbe bastata una porta chiusa a farlo desistere, si sbagliava di grosso.
Per non parlare di Shachi, poi. Non aveva mai avuto una situazione economica particolarmente agiata, neanche da bambino, e anzi si riteneva fortunato ad aver potuto finire il liceo. L’Università però a quel punto non era mai stata neanche un’opzione, visto che non appena aveva raggiunto la maggiore età, il padre – se padre si poteva definire, quel Doflamingo, visto come aveva sempre ignorato Shachi e la sorella – li aveva praticamente cacciati di casa, impaziente di godersi la pensione senza doversi occupare dei figli.
Shachi non aveva mai dato un quadro troppo preciso della sua situazione familiare e a Kidd andava benissimo così, fintanto che poteva comunque fornirgli il suo appoggio in qualunque situazione, come si erano promessi anni e anni prima. Eppure aveva nascosto loro un problema che lo tormentava da chissà quanto.
Non era arrabbiato, non direttamente almeno, ma non poteva fare a meno di sentirsi una merda per non aver dato neanche una mano in tutta quella spinosa situazione. La cosa gli ribolliva dentro malignamente, e non bastava uno stupido panino a distrarlo da tutto. Forse doveva parlarne con Marco, anche se non era sicuro di riuscire a nascondere del tutto l’argomento Izou o, nel caso in cui ne parlassero, di omettere qualche particolare che avrebbe fottuto Izou o lui stesso. Forse Reiju era l’opzione migliore. Non che fosse un membro esterno del gruppo, ormai si era integrato quasi totalmente e la prova definitiva era la sua presenza nel gruppo Whatsapp – come non l’avesse abbandonato dopo i primi 100 messaggi a raffica era un mistero – ma forse aveva ancora una visione abbastanza imparziale da permettergli di parlare senza farsi influenzare da una parte o dall’altra.
Ah, ma perché mai avrebbe dovuto infastidire Reiju solo per parlare a vanvera di tutti quegli stupidi pensieri? Mica era uno psicoterapeuta! Eppure a conti fatti l’idea di confidarcisi gli era venuta quasi spontanea, e qualcosa nella mente scattò facendogli ricordare che nelle settimane scorse ci si era confidato, e pure tanto. Che fosse per affinità o altro, non poteva negare che le sue conversazioni con Reiju fossero state molte più di quanto si era aspettato.
Perché la verità era che Reiju era interessante, estremamente interessante agli occhi di Kidd. Raramente riusciva a capire a fondo di cosa parlasse quando si riferiva alle disavventure dovute al suo genere, ma era interessante. Era bello vedere come si facesse strada giorno dopo giorno nonostante quell’insidioso problema che Kidd faticava a inquadrare, ma che lo faceva sembrare ogni giorno diverso, sempre con nuovi tratti e nuova forza. Era interessante vedere come a poco a poco Reiju si fosse aperto con Kidd, parlando della sua vita, della scuola, del lavoro del padre e dei fratelli, e come ultima cosa della chiusura mentale del padre, principale ostacolo alla sua libera espressione. Se all’Università, e in qualunque altro luogo in cui sarebbe potuta essere vista da un membro della sua famiglia, indossava solo gonne e vestitini, era perché il padre non accettava il suo vestirsi maschile. Davvero, avrebbero dovuto fare una gara al padre peggiore, lui e Doflamingo. Chissà chi avrebbe vinto.
E Kidd, non poteva non ammetterlo almeno a sé stesso, a sua volta si era ritrovato più e più volte a raccontargli del lavoro, di quel deficiente di Franky, dei suoi anni passati al liceo. Così non si sorprese neanche quando si accorse di aver preso in mano il cellulare, sul punto di aprire la rubrica e cercare il nome di Reiju. Ma bastò un’occhiata all’orario per desistere dall’intento. Magari in quel momento stava mangiando, o studiando, e in ogni caso non aveva senso disturbarlo per una cazzata del genere che avrebbe potuto benissimo aspettare qualche giorno. Quindi fu con estrema sorpresa che riabbassò gli occhi verso il cellulare per accorgersi che lo schermo si stava illuminando, segno di una chiamata in arrivo.
«Pronto, Reiju?»
«Ciao, Kidd» sussurrava quasi, probabilmente nel tentativo di suonare tranquillo, ma il tono agitato e triste allertò il rosso fin da subito. «Scusa se ti chiamo ora. Sei impegnato?»
«No, affatto» rispose prudente.
«Meno male. Avevo voglia di chiacchierare.» Sembrò sussultare appena mentre si sentivano in lontananza voci di persone che urlavano, ma riprese a parlare con voce incerta. Sembrava che si stesse sforzando al massimo per sorridere. «Come stai?»
«Bene. Tu?»
«Mh. Penso che potrebbe andare meglio.» Fece una piccola pausa in cui Kidd poté di nuovo ascoltare le voci ovattate. «Sono un po’ stanco, confuso.. » Il rosso lo sentì irrigidirsi mentre dei passi rimbombavano.
«Ma va tutto bene? Chi è che urla?»
«Oh sì tranquillo, va tutto bene.» Mentiva, eccome se mentiva, ma Kidd non sapeva come tirargli fuori la verità. Però i passi si facevano sempre più vicini, sempre più minacciosi, e Reiju continuava a parlare del più e del meno. «…le lezioni sono impegnative, per quanto sia un bravo studente mi è difficile abituarmi.» E adesso Kidd poteva sentire distintamente una voce maschile urlargli contro, intimargli di smetterla parlare così, di stare zitta.
«Reiju che sta succedendo?»
«Ma niente, ti dico che sono solo stanco. Sono dispiaciuto di disturbarti a quest’ora, ma-» e adesso Kidd ne era sicuro, stava insistendo volontariamente a usare pronomi maschili, con tono ostinato, una determinazione e una sicurezza che il rosso non poteva fare a meno di ammirare. E intanto l’altra voce aumentava e sovrastava quella di Reiju. «’arla finita con questa storia! Sei una donna, e resti una donna! Che cosa ti serve per capirlo?»
«Oi, chi è che ti sta urlando contro?»
«Padre, sto parlando con un amic- Spegni subito quel telefono e stammi a sentire! Ma chi ti credi di essere, a prendere in giro la tua famiglia comportandoti così?»
E Kidd sentì qualcosa ribollirgli dentro come fuoco mentre sentiva la voce di Reiju lamentarsi, come fosse stato spintonato, e la voce del padre farsi più lontana. «…’are zitta! …’mportarti bene!» Ebbe la visione del telefono che veniva lanciato via e istintivamente strinse il suo cellulare. Provò ancora a chiamare il suo nome ma non rispose nessuno.
«-on farmi usare le maniere forti e piantala subito con questa scenata!»
«Reiju! Che cazzo sta succedendo?!»
Ancora qualche urlo irato, Reiju in sottofondo che cercava di rispondere, poi la chiamata si interruppe, lasciando un silenzio troppo invadente. «Ma porca puttana! Reiju!» Kidd si alzò di scatto rovesciando la sedia e si precipitò verso la porta, le chiavi della macchina già in mano. Tremava di rabbia. Tutto in lui gli urlava di sbrigarsi, di correre, perché Reiju non l’aveva chiamato così a caso.
Il rumore assordante dei passi che si confondevano al fiato grosso furono tutto ciò che sentì mentre raggiungeva l’auto. Adesso iniziavano i guai, se lo sentiva.
 





***Angolo dell’autrice***
Ehilà! Pur sapendo che sarebbe potuta venire meglio, sono molto soddisfatta di questa storia. Ho cominciato a scriverla qualcosa come due settimane fa, cosa assolutamente rara per me che di solito scrivo tutto all’ultimo, e così ho avuto un po’ di tempo per modificare le cose, specialmente tagliare parti che per quanto carine, di fatto non servivano a niente.
A che serve la scena in cui Marco incontra i ragazzi dei Giochi Matematici, vi chiederete voi? Assolutamente a niente, ma un mio compagno della squadra di Matematica fa di cognome Montedoro e, accorgendomi del fatto che c’è un personaggio di nome Mont d’Or in One Piece, ho voluto fare un piccolo e stupido gioco di parole che capiranno soltanto in dieci e che, per quanto inutile, non avrei mai potuto aggiungere in qualche altra storia. Parlando della storia in sé, è divisa in due capitoli, e domani pubblicherò il secondo, così avrò scritto qualcosa per i 3Dyas of Pride sia per la giornata dedicata agli orientamenti che per le identità di genere.
È la prima volta che scrivo una Kidd/Reiju, devo dire che sono una coppia niente male. Beh, non ho altro da dire, spero solo che questo primo capitolo vi sia piaciuto!
Kalika
   
 
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