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Autore: D a k o t a    22/06/2020    11 recensioni
In cui Sam vuole giocare con un gatto ma Dean è allergico.
[weechester - 8!Sam&12!Dean - kinda fluffy - hurt/comfort]
"C’è un gatto grigio nella sua veranda e lo sta fissando. Bobby può vedere Sam squittire di gioia ogni qualvolta l’animale gli si avvicini, mentre Dean si irrigidisce, lanciandogli occhiate in cagnesco – il che è dannatamente assurdo perché tutto ci si può aspettare ma non che, maledizione, un ragazzino di dodici anni che sente parlare di demoni a colazione e di spettri per pranzo sia intimidito da un gatto."
[Partecipa alla #6settingwritingchallenge del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart]
[Scritta in risposta all'obbligo di Loki Kinney ne "Il Giardino di EFP"]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: Kidfic | Avvertimenti: nessuno
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Cat got your tongue?


C’è un gatto grigio nella sua veranda e lo sta fissando. Bobby può vedere Sam squittire di gioia ogni qualvolta l’animale gli si avvicini, mentre Dean si irrigidisce, lanciandogli occhiate in cagnesco – il che è dannatamente assurdo perché tutto ci si può aspettare ma non che, maledizione, un ragazzino di dodici anni che sente parlare di demoni a colazione e di spettri per pranzo sia intimidito da un gatto. E va anche bene che è allergico, va bene che i gatti possono graffiare, ma lo guarda in un mix di sospetto e diffidenza che non sarebbe giustificato nemmeno se avesse davanti un leone feroce, figuriamoci un gattino indifeso.

“Mi sta guardando” afferma il più piccolo dei Winchester, riponendo un segno nell’edizione economica de “L’isola del tesoro” che sta leggendo, seduto al tavolino della veranda. “Viene spesso da queste parti, zio Bobby? ”

Sam lo guarda con tutti i suoi otto anni di curiosità, incertezze e di domande. Dean, in piedi al suo fianco, rimane a distanza e sembra irrigidirsi ancora di più, mentre l’animale si gratta con la zampa un orecchio.

“Oh, quello. Gli ho dato da mangiare una volta e non si schioda più da questo posto” risponde alla fine l’uomo, mentre il più piccolo dei Winchester continua a tendere la mano verso l’animale, indeciso sul da farsi, con la classica attitudine di chi è sempre stato poco vicino agli animali e non sa come comportarsi ma ne è tremendamente incuriosito, com’è normale per un bambino. O come sarebbe normale per un bambino.

“Sei fortunato che venga sempre qui” risponde, e Dean lo vede: c’è tutto il Sam che chiede disperatamente un cane a papà da quando ha cominciato a parlare in quella frase. “Guarda che bello, Dean”

Il maggiore per tutta risposta fa roteare gli occhi perché davvero, ci manca giusto che quella creatura a quattro zampe diventi un pretesto per rispolverare quello stupido capriccio del cane. In più, è da quando a quattro anni è andato a casa di un’amica della mamma che aveva un siamese come animale domestico che sa che insomma, i gatti lo fanno starnutire e stare male. Ma quella non è nemmeno l’unica cosa a turbarlo.

“E’ solo uno stupido gatto, Sammy” afferma, ma se ne pente quando il più piccolo abbassa lo sguardo, senza preoccuparsi di nascondere un lampo di delusione che gli fa contorcere lo stomaco in un improvviso senso di colpa, mentre Bobby segue la scena fra l’incuriosito e il perplesso – o almeno Dean crede che sia fra l’incuriosito e il perplesso, perché non è troppo convinto di riuscire a decifrare le espressioni dell’anziano cacciatore: sarebbe probabilmente ottimo a giocare a poker.

Ad ogni modo, suo fratello è – purtroppo o per fortuna – sempre stato troppo testardo per demoralizzarsi troppo in fretta: è più forte di lui, proprio non ce la fa a non avere l’ultima parola.

“Non è vero che è stupido!” ribatte allora il più piccolo dei Winchester in un moto di oltraggio, mentre il gatto grigio ronfa sonoramente. “Dean, posso giocarci?”

Quella è una cosa che Bobby ha notato nel tempo: non importa che ci sia lui o suo padre, il ragazzino chiede sempre a Dean se può fare qualcosa o se non può farla. Dannazione, è comunque un marmocchietto di otto anni appena compiuti, quindi non è che poi gli dia necessariamente retta, ma ci prova, ecco.

“Non adesso” risponde prontamente il maggiore dei Winchester.

Bobby inarca le sopracciglia in una muta domanda che viene esplicitata presto da Sam.

“Perché no?” chiede il bambino, con un tono leggermente indispettito. I suoi occhi si spostano, enormi e sorpresi, su Dean che ha le labbra corrucciate in una smorfia fra il disgustato e il preoccupato. Sam invece è calmo, quel pomeriggio, di quella tranquillità che non è serenità e non può esserlo ma che deriva dal non sentirsi di essere stato, per una volta, abbandonato insieme a suo fratello in qualche motel sperduto nel mondo.

“Perché lo devo lavare” risponde, parandosi davanti al gatto con quella che, agli occhi di Sam, è una normalissima bottiglietta d’acqua. “Potrebbe avere le zecche”

Poi succedono due cose: Sam inspiegabilmente se la beve, mentre lo zio Bobby – persino con quell’aria da giocatore da poker – non riesce a mascherare l’occhiata di sorpresa e orrore di chi ha capito, di chi ha visto l’allerta che irrigidisce i muscoli di Dean abbastanza volte per sapere.

“Fermati subito se non vuoi che il bagno lo faccia a te, ragazzino” grugnisce allora, puntandogli un dito contro.

E oh, Bobby non sarà papà ma agli occhi di un Dean dodicenne è ancora abbastanza intimidatorio, quindi rimette il tappo alla bottiglietta di acqua santa e lo guarda, indispettito, perché davvero, come fa a fidarsi tanto da lasciarlo avvicinare a suo fratello? Potrebbe essere una trappola, un mutaforma, un famiglio, un -

“I gatti possono essere pericolosi, zio Bobby” risponde, senza indietreggiare di un centimetro, e c’è tutto un mondo nel modo in cui dice “pericoloso”, c’è tutto quello strazio che quell’idiota di suo padre non ha saputo risparmiargli, ed è tutto così troppo da rendere l’obiezione di Sam quasi un sollievo, una boccata d’aria fresca.

“Non mi avvicinerò con gli occhi, Dean. Promesso” ribatte allora il più piccolo dei Winchester. “Posso giocarci?”

Sam è pieno di un’eccitazione che sembra fargli fremere la pelle stessa e che non sa come trattenere, che gli riempie la voce e che gli fa ammassare le parole nella gola - “Posso-giocarci-Dean?”.

“Certo” interviene alla fine il cacciatore, ignorando l’occhiata di fuoco del maggiore dei Winchester. “Ma stai attento e fai piano, dannazione . I gatti non sono giocattoli, hanno bisogno di spazio”

Poi rivolge uno sguardo di vago rimprovero all’esemplare di fratello maggiore dodicenne in ansia che ha davanti, scuotendo la testa; è che è difficile rapportarsi con i suoi dodici anni, che a volte gli sembrano sessanta e altre invece sembrano sei.

“Entra in casa, idiota” borbotta, spingendo con una delicatezza un po’ ruvida Dean verso l’ingresso.

 

***

Bobby ne è convinto dal principio: il problema non è Dean, il problema è John Winchester. Il problema è la sua vita di episodi troppo accesi, che sono diventati aneddoti che al dannato ragazzino piace raccontare, e Bobby finisce sempre per ascoltarlo senza trattenersi talvolta dall’alzare gli occhi al cielo, ma permettendogli comunque di trascinarlo con la sua voce in un mondo di cui è già parte, di cui anche Dean si sente già parte, seppur in maniera dolorosa e insostenibile - anche se non lo ammetterebbe mai. Si tratta di un mondo in cui persino un maledetto felino diventa una potenziale minaccia.

“Come ti è venuto in mente di lasciarlo da solo con quella cosa? Come sappiamo che non è un demone?” comincia ed indica suo fratello, al di là del vetro della finestra. “Un famiglio? Un mutaforma? Se gli succede qualcosa...”

L’anziano cacciatore lo lascia andare avanti ancora un po’, prima di stancarsi di sentire il ragazzino enumerare tutte le specie possibili ed immaginabili di mostri che possono assumere la forma di un dannato gatto.

“Dannazione, Dean!” lo riprende poi, in un moto di insormontabile stizza. “Smettila di piagnucolare. Credi davvero che farei avvicinare tuo fratello ad un demone? Non sei così idiota da crederci. Quel gatto è solo un fottuto gatto affamato, quindi dacci un taglio”

Il ragazzino distoglie lo sguardo dalla finestra per un solo momento, per il tempo di rivolgere all’anziano cacciatore un ulteriore sguardo incerto che non ha più la violenza delle accuse di prima, ma ha racchiuso in sé tutta la sua preoccupazione da fratello maggiore e quel bisogno muto di rassicurazioni che, per orgoglio o per non sentirsi un peso, non esplicita comunque mai – o forse semplicemente non per non sentirsi un peso e non per orgoglio, ma perché quell’idiota di suo padre ha cercato di insegnargli a dodici anni che è così che si deve comportare un uomo.

“E’ entrato in garage una volta, di notte. Ha passato le linee di sale” afferma alla fine, esasperato, sperando che questa volta basti a calmarlo. “ Sai cosa significa. Adesso hai finito di piagnucolare o sei ancora convinto che abbia dato tuo fratello in pasto a una belva feroce, idiota?”

A quel punto, Dean posa i suoi occhi chiari e colpevoli su di lui, apparendo per la prima volta più rilassato.

“Zio Bobby? Io non volevo...” inizia e l’uomo sente, come sempre da quando il maggiore dei Winchester è entrato nella sua vita, il desiderio di dirgli di smetterla – maledizione! -, che ha altro da fare oltre a farsi ossessionare dalle sue marachelle che non sono nemmeno marachelle.

“Non volevi cosa? Tentare di fare il fratello maggiore super duro, ma sembrare mamma chioccia?” grugnisce poi in uno sbuffo, reagendo poi con una mezza carezza fra i capelli al suo sorriso un po’ incerto.

Per tutta risposta, il bambino starnutisce, e Bobby si ricorda che beh, il gatto non potrà certo ucciderlo, ma Dean deve comunque stare attento – e ne è consapevole, perché lo sente mormorare qualcosa di simile a “Stupidi gatti”.

“Devo fare una telefonata. Va’ da tuo fratello” gli dice alla fine, prima che il bambino possa rispondere. “Non far entrare il gatto in casa e cerca di non accarezzarlo, ti può comunque fare male”

Dean per tutta risposta alza gli occhi al cielo, perché davvero, che bisogno c’è di quell’avvertimento? Non è mica Sammy.

“Come se io volessi accarezzarlo” borbotta per tutta risposta.

 

***

In un primo momento, seduto davanti a Sam nel tavolino della veranda, Dean osserva l’animale a distanza, con la diffidenza di prima, quasi quello stia per aggredire suo fratello e saltargli alla gola, invece di star ronfando mentre il più piccolo lo accarezza. Ad un certo punto, con un balzo, l’animale scende dal tavolo, avvicinandosi alle sue gambe, cosa che non può non farlo reagire con uno starnuto.

“Va’via, stupido gatto” lo ammonisce, scattando indietro con la sedia.

Il micio reagisce con un miagolio indignato. Sam lancia a suo fratello un’occhiata di rimprovero, scattando in piedi e prendendo il gatto in braccio.

“Smettila di chiamarlo stupido” ribatte, prima di iniziare a parlare con quel tono che Sam ha sempre e che a Dean sembra stia ripetendo a memoria una lezione di scienze. “Jim non è stupido. Lo sai che i gatti sono gli animali domestici più intelligenti? Possono procacciarsi il cibo da soli”

Ecco, più che la lezioncina di scienze, quello che lo colpisce è quel Jim; non che sia poi una sorpresa che Sam abbia deciso di chiamare il gatto come uno dei protagonisti del libro che sta leggendo, ma il fatto che abbia già un nome è il preludio di un litigio con papà, ne è sicuro. Fa per rispondergli, ma per un attimo ne esce solo un altro leggero starnuto.

“Questo gatto non si procura da mangiare da solo, Sammy. Aspetta solo che lo zio Bobby gli dia del cibo, quindi è stupido” ribatte, alzando un sopracciglio.

Jim - o qualunque sia lo stupido nome che Sam gli ha dato - non sembra però così impressionato da quel piccolo sfogo di rabbia, tanto che comincia di nuovo a riattaccarglisi alle gambe e a fare le fusa. Non sarà stato un demone, ma non è che è proprio convinto che non sia una creatura malvagia.

“Ti sta facendo le fusa” osserva Sam, senza mai staccare la mano dal dorso dell’animale. “Credo che tu gli piaccia, Dean. Fagli una carezza”

Per inciso, quella è l’ultima cosa che vorrebbe fare: gli pizzicano gli occhi, sta starnutendo e ha la sensazione di un prurito intenso alle gambe, laddove il gatto si è strusciato. Il problema è che Sam sembra così entusiasta e dubita che si ricordi di quella sua allergia, viste le poche volte in cui hanno avuto modo di essere a contatto con gli animali e di parlarne. Ad ogni modo, suo fratello non è che gli dia proprio la possibilità di scegliere se allontanarsi o mandare al diavolo sia lui che il gatto, perché glielo appoggia sulle gambe, provocando un nuovo attacco di tosse. Cede, accarezzando il pelo grigio dell’animale, che risponde chiudendo gli occhi e rilassandosi.

“Contento adesso, Sammy?” risponde, prima di esplodere in un altro starnuto.

Sam però corruga la fronte, per tutta risposta. Ha otto anni, ma è sempre stato un bambino sveglio, un ottimo osservatore. Sa leggere bene le persone e quel continuo starnutire di Dean non gli è certo passato inosservato. D’altra parte, il gatto, ancora in braccio a lui, non sembra preoccupato e continua a godersi le coccole.

“No. Hai gli occhi rossi, Dean” risponde invece, mosso da una nuova preoccupazione.

Davanti a quella chiara e ovvia constatazione, il maggiore dei Winchester non può che reagire sbuffando profondamente perché ne è perfettamente consapevole e grazie tante davvero a te e a quella bestiola, Sammy.

Il gatto nel frattempo si accoccola meglio su di lui.

“Grazie per avermelo fatto notare, Capitan Ovvio” lo riprende inevitabilmente, sfregandosi gli occhi con una mano. “L’allergia al pelo di gatto ti fa questo solitamente”

Sam per un attimo – un lungo attimo - vorrebbe ribattere che comunque a scienze gli hanno spiegato che non si è allergici al pelo di gatto, ma alle sostanze che rilasciano i gatti leccandosi il pelo, ma Dean gli sembra troppo nervoso per fare quella precisazione, quindi si affretta ad allontanare il gatto da lui e a prenderlo in braccio, per evitare che i suoi occhi si irritino ulteriormente. Non fa in tempo ad avvicinarsi però, perché la porta di casa si apre di scatto mentre sta per afferrare l’animale.

“Cosa state combinando voi due idioti?” li riprende, per poi lanciare un’occhiata ai pantaloni neri di Dean su cui i peli grigio chiaro dell’animale spiccano irrimediabilmente, ma la sua attenzione è ben presto catturata dai suoi occhi arrossati. “Maledizione, ragazzino, menomale che avevi detto che non ti interessava accarezzarlo!”

Il bambino guarda in basso a quelle parole, e il cacciatore è abbastanza sicuro che lo stia facendo più per nascondergli gli effetti dell’allergia, che perché si sia davvero risentito per quel rimprovero.

“E’ colpa mia, zio Bobby” dice il più piccolo dei Winchester, prendendo in braccio il gatto e appoggiandolo per terra, allontanandolo finalmente da Dean. “Non sapevo che Dean fosse allergico ai gatti e gliel’ho messo in braccio”

Sam, con tutti i suoi otto anni, lo guarda negli occhi e alza lo sguardo con quel coraggio e quella determinazione che – Bobby ne è sicuro – il più piccolo dei Winchester non ha imparato da suo padre, ma da Dean, che invece dietro di lui sembra sul punto di soffocare per trattenere uno starnuto.

“Perché non glielo hai detto, Dean?” chiede allora al maggiore dei Winchester, che per tutta risposta starnutisce, permettendogli finalmente di notare ulteriormente l’irritazione intorno alle sue iridi verdissime. “Adesso entrate dentro casa, tutti e due

Un leggero rossore copre le guance di Dean. Nasconde gli occhi sotto le ciglia chiare, quando si gira verso Sam per dire qualcosa sul fatto che gli dispiaccia di aver rovinato la giornata e che non è colpa sua. Bobby è quasi sul punto di voltarsi nuovamente verso di lui, dall’uscio di casa, e dirgli che quella non è una punizione, ma Dean si ripulisce la gola con un colpo di tosse imbarazzato e trae un respiro che sembra allargargli l’intera cassa toracica, prima di batterlo sul tempo.

“Non hai intenzione di farmi davvero il bagno, vero? Perché io non te lo lascerò fare” chiede ad un certo punto, strofinandosi gli occhi.

L’anziano cacciatore non si volta verso di lui ed è piuttosto contento del fatto che gli stia dando le spalle e non possa vederlo in quel momento, perché altrimenti si accorgerebbe del mezzo sorriso che non ha potuto fare meno di balenargli sulle labbra, ricordando il modo in cui l’aveva minacciato poco prima, nel caso avesse cercato davvero di esorcizzare il gatto.

“No, idiota.” gli risponde, alzando gli occhi al cielo. “Pensi davvero che io ci tenga a lavarti? Andiamo a vedere se ho qualcosa per quegli occhi, forza, datti una mossa”

Dean soffoca una protesta che si tramuta ben presto in un piccolo sorriso carico di imbarazzo, mentre Sam è alla prese con un quesito esistenziale e sta stringendo ancora Jim, con fare protettivo.

“Sam, il gatto resta fuori” grugnisce Bobby, senza nemmeno voltarsi, tanto da far chiedere al più piccolo se abbia gli occhi anche dietro alla schiena. E quando l’uomo si volta per vedere Sammy lasciare il gatto per terra, seppur con un sospiro, non si sorprende neppure un po’ davanti all’ennesima rassicurazione di Dean - “Sta’ tranquillo, Sammy. Potrai giocarci di nuovo più tardi.”

***

Bobby ha una grande casa, un’officina sperduta nel nulla, due marmocchi che ama come se fossero i suoi ed un sacco di abitudini che ha adottato per garantirgli un margine di normalità che è stato spazzato via da una vita bastarda e da un padre troppo impegnato ad assicurarsi che vivessero per preoccuparsi davvero di come vivessero. Una di queste abitudini è assegnare sempre a Sam e a Dean la stessa stanza quando dormono a casa sua, che è una cosa di cui Sam gli è grato e che nemmeno Dean disdegna, anche se finisce per rispondergli che un letto è uguale ad un altro e che non gli interessa - “Solamente i bambini si fissano con queste cose, una stanza vale l’altra. Se vuoi io posso dormire sul divano” “Se lo dici di nuovo, ti faccio dormire in cantina, idiota”. L’anziano cacciatore sa perfettamente che ci sono cose di cui Dean, che conosce il peso dell’essere abbastanza grande per essere lasciato da parte, non ammetterà mai di essere felice, ma sa che lo è, e in fondo gli basta solamente che sappia esattamente dove andare quando gli dice di cambiarsi i vestiti, di sedersi sul suo letto e aspettare, mentre cerca un collirio alla camomilla che plachi almeno un po’ l’irritazione.

“Andiamo, non ho bisogno di una medicina” cerca di convincerlo, scattando in piedi nel vederlo rientrare con il collirio, mentre Sam interrompe la lettura del suo libro, tenendo il segno con le dita e seguendo la scena.

Lo zio Bobby ha sempre avuto quel modo di guardarlo che un po’ lo intimidisce: è come se riuscisse a scrutargli dentro l’anima, come se non si accontentasse di una bugia detta per non far preoccupare nessuno.

“Non ho intenzione di restituirti a tuo padre con un occhio solo, ragazzino, quindi siediti sul letto e sta’ fermo” replica in maniera abbastanza asciutta, in modo che lo ascolti.

Il bambino arriccia il naso, non vedendo altra alternativa che sedersi sul letto e arrendersi davanti a quelle inutili cure – insomma non è davvero come se gli stessero per cadere gli occhi. Bobby approfitta di quella resa per avvicinarsi.

“Come i Ciclopi, zio Bobby?” chiede dall’altro letto Sam.

Per un attimo, Bobby si concentra sul volto di Dean: si perde a pensare che, dannazione, assomiglia a suo padre in maniera incredibile, ma i lineamenti di sua madre, che aveva visto in alcune fotografie, avevano migliorato quelli più duri di John Winchester. Non può non vedere lo sforzo delle sue palpebre che tremano, mentre cerca di non chiudere gli occhi, fino a quando quell’esemplare di dodicenne difficile non sbuffa nuovamente e si lascia andare ad una smorfia, davanti a quella domanda di Sam.

“Te l’ho già detto che tutti quei libri ti fanno male, Sammy” borbotta, scuotendo la testa.

Bobby impiega un attimo per sorridere a quello scambio di battute fra i due fratelli, che è come un balsamo sulle ferite altrui e sulle proprie. Poi torna ad occuparsi di Dean.

“Sta’ fermo e tieni gli occhi aperti, Dean” lo ammonisce, mentre una goccia di collirio cade inevitabilmente sulla trapunta primaverile.

Il bambino gli rivolge un’espressione di scuse, prima di sforzarsi di nuovo di tenere gli occhi aperti anche se, dannazione, è difficile farlo quando sembra che ti stia piovendo negli occhi. Tre gocce per occhio dopo era già finita.

“Finito, adesso?” chiede alla fine il bambino, esasperato.

Bobby alza gli occhi al cielo, mentre Sam esplode in un classico “Visto-Dean?-Non-ti-ha-fatto niente”. Dean ha molti pregi, ma è sempre stato impaziente e iperdrammatico, niente da fare, non avrebbe mai spesso di piagnucolare.

“Sì. E sappi che è stata una tortura anche per me” borbotta, appoggiando il collirio sul comodino; ma davvero, si pente di quella frase non appena un’ombra di colpa copre gli occhietti del maggiore dei Winchester.

“Mi dispiace per oggi” mormora ad un certo punto, con la sincerità di chi si aspetta un rimprovero perché non ha seguito bene gli ordini, piuttosto che un collirio che plachi un’irritazione. “Non volevo giocarci anche io, ma Sammy si stava divertendo e…”

Bobby lo può vedere: si interrompe perché Sam è appena dietro di lui e non vuole, non vuole, non vuole che senta che erano giorni?mesi? anni? che non lo vedeva giocare così e che non voleva rovinargli la giornata con una stupida allergia.

“Quindi non mi hai ascoltato quando ti ho detto di non avvicinarti” conclude alla fine, sforzandosi di tenere un’espressione neutra, per studiare ancora un po’ le sue reazioni.

“Lo dirai a papà?” gli chiede, abbassando gli occhi sulle coperte.

L’anziano cacciatore sbuffa. Sa benissimo che il problema non è che abbia paura di un rimprovero di suo padre, quanto che abbia il terrore di deluderlo e in fondo, l’ha tenuto sulle spine già abbastanza.

“Per chi mi hai preso?” gli chiede alla fine, in un borbottio che tradisce una chiara irritazione. “Ti sembro il tirapiedi di John Winchester, per caso?”

Gli angoli della bocca del ragazzino si sollevano istintivamente in un sorriso piccolo, timido e complice; e oh, per un istante a Bobby non importa niente del fatto che Dean tenda ad inorridire davanti alle manifestazioni d’affetto più palesi, quindi se lo tira in un abbraccio. E per ogni volta in cui John non c’era stato, quando aveva perso la prima parola di Sam perché era a caccia, quando aveva perso l’ottavo compleanno di Dean, perché era a caccia, per tutte quelle mancanze, Bobby non può non provare ad esserci in quel breve, lungo momento – e poco importa che Dean in un primo momento si irrigidisca, preso in contropiede.

Se però Dean ad un certo punto non può fare a meno di allontanarsi - anche solo perché ha una reputazione da mantenere -, c’è un altro piccolo Winchester che non è poi così restio alle manifestazioni di affetto fisico.

“Zio Bobby, posso venire anche io?” chiede quello, dall’altro lato della stanza.

Per un istante, il più piccolo dei Winchester si ritrova addosso gli occhi dello zio e di suo fratello ed è solo guardando la maglietta e i jeans coperti da peli grigi che Bobby si ricorda di aver mandato solo Dean a cambiarsi. Dannazione, non può certo lasciarlo avvicinare a suo fratello così.

“Assolutamente no. Fila a cambiarti, Sam” grugnisce, avviandosi per uscire dalla stanza, ma non senza lasciare il più piccolo privo di una carezza.

NDA.
Scritta per la #6settingwritingchallenge del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanfiction e Fanart su immagine-prompt di Marica Heather-Chan. Okay, questa non è Kintsugi - sì, sono fermamente convinta che Kintsugi sia la mia migliore storia in questo fandom, ma magari sbaglio -, però in un altro gruppo mi era stato dato come obbligo di scrivere qualcosa che non avesse un retrogusto TROPPO dolceamaro e giuro MI SONO SFORZATA per adempiere a questo obbligo, ci ho provato, anche se oh, è andata così. E niente, spero non faccia schifo (?) In più, come disclaimer, nessun gattino è stato esorcizzato per scrivere questa storia. 
Spero di non aver fatto casino con le caratterizzazioni, cosa a cui tengo tantissimo a prescindere del genere. 

 

   
 
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