Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: alessiawriter    22/06/2020    0 recensioni
❁ Se solo potessimo
Per qualche strana ragione
Consumarci vicendevolmente
Non avrei alcun problema
A lasciarmi frantumare
Purché sia tu
Poi
A ricompormi ❁
In cui i BTS sono una gang ricercata e Yun Chang una semplice cameriera di una bakery.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kim Taehyung/ V, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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«Siamo arrivati, V».

V non rispose, semplicemente aprì la portiera e scese dall'auto, dirigendosi verso l'abitazione con una certa titubanza nella camminata che cercava in tutti i modi di nascondere. Dava proprio l'idea non sapere bene dove stesse mettendo i piedi.

Yun, vedendolo chiaramente in difficoltà, si sentì in dovere di agire. Almeno questo glielo doveva, lo aveva quasi accecato.
Lo raggiunse rapidamente, afferrandolo per il braccio e monitorando i suoi passi, mentre cercava di controllare allo stesso tempo il suo stato d'animo. Era un misto di sensi di colpa e diffidenza nei confronti di V.

Non era stata certo sua intenzione spruzzargli lo spray al peperoncino negli occhi, però una vocina alquanto fastidiosa le sussurrava che forse, almeno un po', se lo era meritato. Insomma, si erano visti soltanto due volte - entrambe in circostanze particolari -, e nessuno le poteva assicurare che oltre ad essere un membro della famosa gang BTS non fosse anche un depravato.

Yun si rese conto che avrebbe dovuto pensarci prima di accompagnarlo fino a casa; era finita dritta nella tana del lupo.

Si accostarono davanti ad una porta verniciata interamente di nero. «Prendi le chiavi», esclamò V, girandosi verso Yun, la quale gli rivolse uno sguardo confuso.

«Le braccia ti funzionano ancora bene».

V emise un verso frustrato, stringendo gli occhi offesi. «Devi contestare per forza tutto ciò che dico?».

Yun avrebbe voluto urlare che sì, sentiva la necessità di ribattere a ogni costo perché la sua agitazione glielo imponeva; invece, sospirò arrendendosi. «Dove sono?», quindi chiese.

L'espressione di V rimase impassibile, pur addolcendo la linea delle labbra. «Tasca sinistra dei pantaloni», rispose. «Davanti».

Yun deglutì. Gli lanciò un'ultima occhiata, sperando di fargli cambiare idea con un semplice sguardo, tuttavia V mantenne gli occhi serrati e non aggiunse altro. Così allungò un braccio, cercando di scontrarsi quanto meno possibile con il corpo del ragazzo, che sembrava più una statua di sale che un essere umano, e quando sentì il freddo delle chiavi non esitò ad estrarle con un unico movimento fluido. Veloce e indolore.

Yun tossì, cercando di scacciare via l'imbarazzo, e osservò curiosa il mazzo di chiavi. «Accidenti, ne hai davvero tante», esclamò sorpresa. «Qual è?».

V aprì un occhio e corrugò la fronte, come se stesse riflettendo. «Quella con l'impugnatura nera», mormorò.

Yun la inserì nella toppa e dopo due giri riuscì a spalancare la porta, venendo subito investita dal forte profumo della casa. Sapeva di nuovo e di montagna.

V non perse tempo ed entrò, lasciando le scarpe e Yun all'entrata, incurante del loro destino. Si distese sul divano del salotto e non si mosse più.

Yun rimase ferma sull'uscio, stronfinandosi i polsi come era solita fare in situazioni in cui si sentiva a disagio. Ecco, quello era l'esatto momento in cui avrebbe dovuto girare i tacchi e pregare di non rivederlo mai più; tuttavia era risaputo: non brillava per la sua furbizia.

«Vieni dentro».

V non aveva contratto neppure un muscolo, però Yun era sicura che avesse parlato. Si morse l'interno della guancia e tolse le scarpe, per poi richiudere la porta alle sue spalle. In pratica, si era condannata da sola. Era una sciocca.

V girò la testa e, come la vide immobile davanti ai piedi del divano, sorrise divertito. «Ti vedo piuttosto impacciata», osservò lentamente. «Eppure non è la prima volta che ti trovi qui», le ricordò serafico.

Yun ruotò gli occhi, mentre si sedeva sul lato del divano libero dal suo corpo, solo per il gusto di non dargli ragione, e gli lanciava uno sguardo di sfida. Era inevitabile per lei.

V si mise a sedere, ritrovandosi piuttosto inaspettatamente vicini. «Hai sempre quella scintilla negli occhi», esclamò all'improvviso, lasciandola sorpresa.

Yun corrugò le sopracciglia. «Che intendi?».

V spostò lo sguardo sulle proprie mani intrecciate, leccandosi le labbra. «Come se tu non avessi paura di me. Eppure sai bene quello di cui io e i miei compagni siamo capaci».

«Lo hai detto tu stesso», sussurrò Yun in risposta. «Se mi avessi voluto morta, a quest'ora lo sarei da un pezzo».

V le rivolse un sorriso freddo, mentre si sporgeva fino ad arrivare al suo orecchio. «Ciò non significa che io non possa decidere di toglierti di mezzo in qualsiasi momento», mormorò con voce tagliente, facendola rabbrividire.

Ma questa volta, Yun non cedette alle sue provocazioni. «Avanti allora», ribatté, mentre si protendeva in avanti per fronteggiarlo. «Niente ti impedisce di farlo».

Le dita di V corsero sul suo viso, tracciando una linea invisibile che congiungeva lo zigomo fino alle labbra rosee, da cui non riusciva a staccare gli occhi. Sembrava incantato.
Si calò in avanti, ad un soffio da quel frutto prelibato, ma non si spinse oltre; si sfioravano.

Yun sentì il sangue fluirle più rapidamente alle guance. Non si aspettava una mossa del genere dal suo avversario, a dire il vero aveva agito di impulso pungolandolo ancora. Così, quando si ritrovò il suo viso a pochi millimetri dal proprio, perse completamente tutta l'audacia che fino ad allora l'aveva animata.

Pressò le mani sulle sue spalle e voltò il viso, interrompendo quel gioco di sguardi e provocazioni. «Io dovrei tornare a casa», se ne uscì in fine, mormorando.

V non batté neanche ciglio, mentre le studiava meticolosamente il viso. «Ti chiamo un taxi», esclamò, quindi alzandosi e afferrando il cellulare.

Yun ritornò velocemente in sé a quelle parole. «Non c'è bisogno», balbettò. «Prenderò un autobus».

V sollevò un sopracciglio, scettico. «Fai troppo affidamento sullo spray al peperoncino, è pericoloso a quest'ora prendere l'autobus».

Yun incrociò le braccia al petto. «Con te ha funzionato però», replicò piccata. «La verità è che non posso permettermi un taxi. Ho già affrontato troppe spese per questo mese, non posso spendere soldi per ogni piccolezza».

V alzò le spalle. «Pago io allora».

Yun scosse la testa immediatamente. «Non esiste», rispose categorica.

Lo sguardo di V si assottigliò in modo quasi impercettibile, mentre si allontanava con il telefono all'orecchio borbottando: «Non smette un attimo di rompere i coglioni».

Come lo sentì discutere con un altro interlocutore dall'altro capo del telefono, lo inseguì, alzandosi sulle punte per riuscire ad afferrarlo e porre fine alla conversazione. «Perché si deve fare quello che vuoi tu in ogni caso?», esclamò esasperata.

V, dopo aver raggiunto il suo scopo, chiuse la chiamata e le rivolse un sorriso trionfante, ma non aggiunse nient'altro; aveva già vinto. La osservò mettere il broncio e sistemarsi gli occhiali dalla montatura fine sul naso.

«Taehyung» gli scappò dalla bocca, e quando ricevette un'occhiata curiosa si affrettò a spiegare: «È il mio vero nome».

.:••:.

V masticò rumorosamente la gomma da masticare, gonfiando e scoppiando ogni tanto dei palloncini. Non stava veramente ascoltando la conversazione, era piuttosto distratto e disattento senza un motivo particolare; come quando si vorrebbe essere da tutt'altra parte e poiché non si può allora per ripicca si cerca di essere il più invisibile possibile.

Chiuse gli occhi, i quali ormai erano completamente guariti, reclinando il capo verso la spalliera del divano. Avrebbe dato qualsiasi pur di poter lasciare quel locale e mettere fine a quello strazio, ma purtroppo doveva attendere con pazienza che l'incontro venisse ufficialmente proclamato concluso.

«Tu che ne pensi, V?».

Dannazione. V non si mosse dalla sua posizione, attingendo a tutto il suo charme, e si portò l'indice al labbro con aria pensosa. «A me va bene tutto», disse infine, dando comunque l'impressione di aver riflettuto molto.

Monster inarcò un sopracciglio, alzandosi in piedi. «Allora paghi tu per tutti noi».

V si ridestò di colpo. «L'ultima volta ho pagato io», disse, portandosi una mano al petto. «Ora è il turno di Jungkook».

Il diretto interessato gli rivolse uno sguardo furbo, mentre infilava un braccio nella giacca di pelle nera. «Hai detto che ti andava bene tutto».

Fece per protestare, ma la mano di Monster poggiata improvvisamente sulla sua spalla sedò ogni suo tentativo. «La prossima volta ascolta le nostre discussioni», esclamò serio. «Così eviterai di combinare cazzate come l'ultima volta».

V strinse i denti, ma non aggiunse altro. Sapeva che il suo riferimento a Yun e a quell'episodio non era per niente casuale, anche perché la notizia che l'aveva lasciata andare liberamente era ancora fresca e difficilmente digeribile. Aveva incontrato subito la disapprovazione di tutti, in special modo del loro leader Monster, il quale si era offerto immediatamente di riparare al suo errore.

V si era opposto ancora una volta. Il motivo per lui era chiaro, non poteva lasciare che un innocente pagasse per i suoi sbagli - per quanto possa essere seccante quella ragazza. Avrebbe dovuto fare più attenzione prima di sparare a quell'uomo, controllare che non vi fosse nessuno nei paraggi. Tuttavia, aveva dato per scontato che a quell'ora non ci fosse nessuno e quindi aveva commesso quell'imperdonabile errore, neanche fosse uno stupido principiante.

Non voleva avere altri fantasmi a tormentargli i sogni, la mente e la vita; il fatto che Yun fosse capitata per caso sul suo cammino non lo autorizzava a farla fuori, anche se i suoi compagni non la pensavano allo stesso modo. Pazienza, gli disse, il problema era solo suo.
Se c'era la possibilità di finire nella merda, gli risposero, allora il problema riguardava tutti.

Quando finalmente rimase da solo, si fece portare un ultimo drink: un bicchiere colmo fino al limite di tequila che tracannò prontamente in un solo sorso. Si asciugò le labbra con il dorso della mano e si guardò attorno, individuando una ragazza che al centro della pista si muoveva in modo seducente. Una nuova preda.

Si morse il labbro inferiore cominciando a fissarla, prima da lontano; poi, come lei si accorse del suo sguardo insistente e allora sorrise maliziosamente, incitandolo con l'indice della mano a raggiungerla, da più vicino. Tanto vicino.

Un'ultima occhiata all'orologio. Sì, era decisamente giunta l'ora. «Diamo un senso a questa serata».

 

  
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