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Autore: belldreams    23/06/2020    0 recensioni
«Avevi detto che ti saresti preso cura di me». Quelle di Anakin non erano esattamente delle lagne – non era nelle sue intenzioni, non di fronte al Maestro Obi-Wan Kenobi –, ma apparivano tali. Tentò di suonare meno fastidioso, più maturo. «Avevi detto che mi avresti allenato». Si tirò la treccia (un tic nervoso sviluppato di recente), fece una faccia e rifletté tra sé e sé: Mi hai fatto tagliare i capelli, ma non osò esprimere quel pensiero ad alta voce.
{ Obi-Wan/Anakin | One shot | 9285 parole | Traduzione di Hiraeth }
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Anakin Skywalker/Darth Vader, Obi-Wan Kenobi, Padmè Amidala
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Note della traduttrice (Hiraeth): siamo nel bel mezzo della sessione estiva, ma ho fatto la scelta incosciente seguendo il mio cuore e non ho potuto resistere all’idea di tradurre una delle mie fanfiction Obikin preferite. (✿ꈍᴗꈍ)
 Se sapete l’inglese, consiglio caldamente di leggere la versione originale. Altrimenti, buona lettura!









September
di belldreams





thoughts of a dying atheist (corporalità)

Toccò a lui trasportare il cadavere di Qui-Gon.

 Non ricorda quanto tempo trascorse lì, addolorato. Forse qualche minuto, forse qualche ora. Probabilmente un lasso di tempo nel mezzo, pensa, perché quando trascinò fuori il corpo, la luce del giorno inondava ancora l’hangar di navi spaziali. In quel momento si stava tenendo un’estatica celebrazione, con glitter e urrà di esultanza e abusi di bevande alcoliche. Nessuno notò, con tutto quel baccano, le porte che si aprivano e Obi-Wan che le attraversava, le spoglie del suo Maestro sulla schiena.

 Poiché il corpo di Qui-Gon era più alto e più pesante di Obi-Wan, trasportarlo non fu un’operazione semplice. Avrebbe potuto lasciarlo lì, chiamare aiuto, ma era determinato a onorare il più possibile la sua memoria. Era quello che meritava; meritava molto di più, difatti, ma quello era un inizio. Sulle prime Obi-Wan aveva cercato di tenerlo tra le braccia, ma non gli era piaciuta la maniera con cui la testa del suo Maestro aveva dondolato di qua e di là, come se si potesse staccare da un momento all’altro.

 Il meglio che aveva potuto fare era stato sorreggere il corpo di Qui-Gon con la schiena, sistemandogli le braccia cosicché penzolassero dalle spalle di Obi-Wan, e circondargli le ginocchia con l’incavo dei suoi gomiti. Sempre con la spalla, aveva sostenuto il mento di Qui-Gon. Sollevare il cadavere e posizionarlo, dunque, era stato una vera e propria sfida. Niente sangue, grazie al cielo, dato che le spade laser sterilizzavano e arrestavano il flusso vermiglio. La difficoltà era stata nell’avere accanto al suo viso un volto che non respirava. Nell’avere a che fare con un oggetto sempre più immobile e ingombrante, una cosa molto più pesante di quanto non lo fosse stato Qui-Gon in vita.

 Si era rifiutato di usare la Forza. Obi-Wan non sapeva spiegare perché, né intendeva farlo, ma era questo che lo aveva motivato: Qui-Gon aveva perso la ragione, la sensibilità alla Forza, le emozioni, tutto quanto. Ciò che gli era rimasto era la corporalità, ed era tramite essa che Obi-Wan doveva avere la sua ultima connessione con il suo Maestro. Tramite il sudore, tramite i muscoli, tramite il contatto fisico.

 Solo grazie alla sua completa devozione era stato in grado di prendersi il tempo e fare lo sforzo ripetuto di alzare il corpo di Qui-Gon da terra e incespicare verso l’uscita.

 Non aveva avuto modo di sapere cosa lo attendesse fuori. La guerra avrebbe potuto essere ancora in corso. Obi-Wan aveva pianificato con cura dove e come nascondere il cadavere del suo Maestro, sino a quando non avrebbe portato a termine la sua missione. Avrebbe trovato un luogo dove nasconderlo anche nell’eventualità di una vittoria, per la sfortuna di Naboo, da parte della Federazione dei Mercanti. E poi avrebbe contattato l’Ordine, richiesto dei rinforzi, e avrebbe continuato il suo dovere. E avrebbe combattuto fino al completamento del suo compito o fino alla sua caduta.

 Quando raggiunse l’hangar, si bloccò, osservando silenziosamente il festival. Per la verità, non si era mai preparato a una simile evenienza. Con la perdita in battaglia del suo Maestro, l’unico risvolto sensato alla situazione era il fallimento. Eppure eccola lì, la prova del successo e della riuscita della missione.




the new exotic (falsi finali)

«Avevi detto che ti saresti preso cura di me». Quelle di Anakin non erano esattamente delle lagne – non era nelle sue intenzioni, non di fronte al Maestro Obi-Wan Kenobi –, ma apparivano tali. Tentò di suonare meno fastidioso, più maturo. «Avevi detto che mi avresti allenato». Si tirò la treccia (un tic nervoso sviluppato di recente), fece una faccia e rifletté tra sé e sé: Mi hai fatto tagliare i capelli, ma non osò esprimere quel pensiero ad alta voce.

 «Mi prenderò cura di te, come promesso». Il Maestro Obi-Wan aveva un’andatura veloce, e Anakin doveva quasi correre per rimanere al suo passo. «Non adesso, però. Ho parlato della nostra… situazione con il Maestro Yoda e il resto del Consiglio, e siamo tutti d’accordo che io… che noi abbiamo bisogno di più preparazione prima di approcciare la fase successiva».

 «Preparazione?» Anakin aveva trascorso le ultime settimane vagliando ore di insegnamenti sui principi base dello stile di vita Jedi, sulla terminologia comune, le tradizioni e la cultura, un riassunto della storia della Repubblica, e altro ancora. Era impaziente di apprendere tutto, ma con tutta franchezza, già adesso aveva l’impressione che il cervello gli stesse sgocciolando da entrambe le orecchie, e l’idea di dover studiare ulteriormente gli era sgradevole. Avrebbe preferito passare direttamente alla roba divertente, come impugnare una spada laser e pilotare.

 «Acquisire maggiore intimità con la Forza, abituarti alla gerarchia sociale dei Jedi, cose di questo tipo. Le nozioni fondamentali. Devi ancora recuperare anni di addestramento, per cui quest’anno vivrai e frequenterai le lezioni insieme agli altri novizi, e in aggiunta sarai formato individualmente e in privato. Crediamo tutti che farti acclimatare a Coruscant e all’Ordine Jedi sia per il tuo bene». Anakin si domandò perché nessuno gli avesse chiesto cosa lui stesso riteneva fosse per il suo bene. In fondo, pure lui aveva delle opinioni in proposito. «Nel frattempo, anch’io dovrò studiare».

 «Davvero? Tu?» Il Maestro Obi-Wan sembrava sapere già tutto, cos’altro doveva imparare ancora? Malgrado Anakin si sentisse in colpa per avere avuto un pensiero simile, per sopravvivere allo scontro contro Darth Maul il Maestro Obi-Wan doveva essere un combattente bravo quanto, se non migliore, di Qui-Gon. Anche Qui-Gon sembrava sapere assolutamente tutto. Ad Anakin era dispiaciuta la sua morte. Gli sarebbe piaciuto essere il suo Padawan.

 «Un Jedi» rispose con aria assente Obi-Wan, «non smette mai di imparare. Eccoci arrivati».

 Anakin guardò la porta alta diciassette metri. L’entrata al dormitorio dei novizi Jedi. Guardò il Maestro Obi-Wan, che, pur stando con la schiena perfettamente dritta, era considerevolmente più basso della porta in fronte a loro. Aveva un’espressione cauta, quasi corrucciata. Un po’ solenne. Ma Anakin aveva più familiarità con lui che con qualsiasi altra cosa qui. Lui era stato amico di Qui-Gon. Doveva essere una persona perbene. «Allora… non ci vedremo per un anno?» chiese Anakin timidamente, resistendo la tentazione di toccare la mano del Maestro Obi-Wan. Non sembrava essere il tipo che apprezzava il contatto fisico.

 «Ti verrò a trovare di tanto in tanto, naturalmente. Per assicurarmi che tu stia bene».

 «Quando? Spesso?» Anakin si sentì imbarazzato non appena quelle parole gli uscirono di bocca; si stava comportando di nuovo in maniera infantile in presenza del Maestro Obi-Wan.

 «Abbastanza spesso, suppongo».

 Anakin annuì, okay. Era meglio di niente.




the new exotic (veri inizi)

Poiché l’unica cosa che possedeva erano i vestiti che aveva addosso («Il resto» gli era stato spiegato, «ti sarà dato quando ne avrai bisogno»), non aveva alcun bagaglio da disfare. Anakin avrebbe voluto averne uno. Almeno così avrebbe qualcosa da fare, invece che sedere sul suo letto e squadrare gli altri che facevano finta di non squadrarlo a loro volta. Non era ben sicuro di cosa fare. Sapeva che gli altri morivano dalla voglia di parlargli, e che forse doveva essere lui a rompere il ghiaccio. Ma qui niente era come doveva essere. I coruscantiani, i Jedi, tutti loro, erano strani forte.

 Se fosse su Tatooine, come si comporterebbe? Be’, tanto per cominciare, questo su Tatooine non sarebbe mai accaduto. Nel quartiere, tutti lo conoscevano, e lui conosceva tutti. Gli estranei erano considerati dei nuovi arrivati.

 Questa situazione non aveva alcun senso. Sarebbe ammattito stando a letto tutto il giorno. Si alzò, attraversò la stanza e si diresse in corridoio.

 Anakin si sentì seguito con lo sguardo.

 Scrutò da una parte e l’altra, decidendo dove andare. Dopo che Obi-Wan lo aveva lasciato qui, uno dei Maestri incaricati gli aveva fatto fare un giro veloce dell’area del Tempio riservata ai novizi. Se ben ricordava, dritto davanti a lui stava l’uscita (o l’entrata, a seconda del punto di vista), a destra le aule, e a sinistra le stanze divertenti, come la biblioteca e i campi di addestramento. Era il tardo pomeriggio, le lezioni erano finite, ma forse c’era ancora qualche novizio che faceva pratica con la spada laser. Anakin non ne aveva ancora una. Quindi si sarebbe limitato a guardare.

 Come poi si scoprì, in uno dei campi di addestramento c’erano sì dei novizi, ma nessuna spada laser in vista. Alcuni chiacchieravano tra loro, alcuni si allenavano, altri ancora assistevano. Almeno stava succedendo qualcosa e nessuno lo fissava. Forse qui si sarebbe potuto mischiare tra la folla, meglio di come era stato nei dormitori. Entrò furtivamente, cercando di osservare uno degli incontri senza dare nell’occhio.

 Non riconosceva lo stile di combattimento. D’altronde, lui era abituato ai semplici litigi tra criminali per le strade di Tatooine, in cui niente, tranne mani, gambe e tentacoli, era permesso. Nessuna delle formalità o delle acrobazie eseguite dai tizi davanti a lui. La mascella di Anakin cadde a terra quando uno dei novizi fece un doppio salto mortale in aria, calciando l’altro sul mento. Figo pensò. Avevano la sua età, più o meno, e già potevano fare esercizi simili. Anakin sperava di raggiungere presto quel livello.

 «Ehi» disse una voce accanto a lui. Finalmente! Si trattava di una ragazza Twi’lek, dalla pelle blu. Buffo, non credeva che anche i Twi’lek potessero essere Jedi. «Tu sei quello nuovo, giusto?»

 «Sì» rispose Anakin con entusiasmo, «sono appena arrivato. Mi chiamo Anakin Skywalker». Si accigliò quando la Twi’lek cominciò a ridere. «Che c’è di tanto spassoso?»

 «Scusa» si giustificò lei, «è il tuo accento. Non ho mai sentito nessuno parlare come te». Strano rifletté Anakin, per me siete voi quelli a parlare in modo bizzarro.

 «Io sono Aayla Secura» si presentò. «Raccontami. Tra tutti coloro che sono stati portati qui per essere addestrati, tu sei il più anziano».

 «Lo so. Quasi non mi hanno accettato».

 Aayla annuì. «Sono molto rigidi con le regole. Il limite d’età per gli umani, in genere, è di sette anni».

 Dei novizi cominciarono a radunarsi intorno a loro. Aayla proseguì con le domande. «Devi essere davvero speciale se ti hanno permesso di entrare».

 «Non proprio. Qui-Gon ha detto che ho il talento per diventare un Jedi e che aveva fiducia in me».

 «Il Maestro Jinn?» chiese Aayla. «L’hai incontrato prima che morisse?»

 «Sì, è morto poco dopo il nostro incontro. Sono andato al suo funerale».

 Lei aggrottò la fronte. «Il suo funerale è stato su Naboo. Tu provieni da lì?»

 «No, da Tatooine». Alle loro espressioni vacue, spiegò: «Sta sull’Orlo Esterno della galassia. Non fa esattamente parte della Repubblica». Tutti fecero una faccia meravigliata. «Non tutti voi siete di Coruscant, no?»

 «No», Aayla scosse il capo, «proveniamo tutti da diversi pianeti. Ma nessuno di noi viene dall’Orlo Esterno, e siamo cresciuti su Coruscant. Non siamo mai stati da nessun’altra parte. Per adesso». Aggiunse quelle parole con determinazione. «Inizieremo a viaggiare quando diventeremo Padawan».

 «Se lo diventeremo» borbottò qualcuno.

 «Non se!» esclamò Aayla. «Io diventerò una Padawan per certo! E un Cavaliere Jedi!»

 «Non tutti diventano Padawan? Perché? Che accade altrimenti?» chiese Anakin.

 «Alcuni, chissà perché, decidono che non vogliono essere Jedi. E altri non vengono scelti da nessun Maestro, e non c’è nessuno che li possa addestrare».

 «Non tutti hanno un Maestro?» Anakin sentì che le occhiate di curiosità nei suoi confronti di colpo si erano fatte leggermente ostili.

 «Tu ce l’hai, Anakin?»

 «Uhm… Il Maestro Obi-Wan ha promesso che mi addestrerà…» Si guardò in giro: nessuno accolse la notizia con calore.

 «Il Maestro Kenobi? Ma nessuno ha un Maestro prima ancora di diventare un novizio Jedi!» obiettò Aayla. «E lui non è nemmeno un Cavaliere Jedi! Non è pronto per allenare nessuno».

 E all’improvviso, Anakin si infuriò. Era stufo di venire fissato come uno scherzo della natura, ed era terribilmente stanco di quel posto. Chiuse una mano a pugno. Forse non aveva ancora imparato a fare quei bei salti mortali, ma di certo sapeva come tirare un calcio ben assestato. «Ritira quello che hai detto!»

 «Perché dovrei?» Aayla sollevò il mento, cercando di farsi cinque centimetri più alta di Anakin per apparire più grande. «È vero. Pensi di poter spuntare fuori dal nulla, senza aver ricevuto alcun addestramento e superando il limite d’età, e vantarti del fatto che un Maestro ti ha già scelto?»

 «Io non penso niente! È così e basta!»

 Anakin non era sicuro di chi avesse sferrato il primo pugno, ma l’altro ricambiò senza dubbio il favore con rapidità. Non smisero di picchiarsi fino a quando non giunse correndo un Maestro Jedi, che li separò. Anakin aveva il presentimento che avrebbero avvisato il Maestro Obi-Wan di quanto avvenuto, di come lui fosse finito in una rissa già durante il suo primo giorno al Tempio, e la cosa non lo rallegrava. Gli dispiaceva che la sua prima conversazione con qualcuno fosse andata tanto male: oggi non si era fatto alcun amico. Ma non poteva fare a meno di sentirsi orgoglioso di sé: anche senza mai essere stato addestrato, era riuscito a tenere testa ad Aayla. E lei, dopo lo zuffa, aveva preso a camminare con un’andatura zoppicante.

 Quello sì che gliel’aveva fatta vedere, a lei e a tutti gli altri novizi arroganti.




lady madonna (non inviato)

Nessuno voleva sentirlo parlare di sua madre. Alcuni dei suoi compagni di classe ridevano sotto i baffi, altri nascondevano il loro divertimento, ma tutti ritenevano ridicolo il fatto che lei gli mancasse. «Poppante» lo canzonarono una volta, e da allora Anakin smise di menzionarla. Era improbabile che i suoi insegnanti lo ascoltassero e, difatti, quando nominò sua madre, gli dissero gentilmente che era meglio che la dimenticasse. E, anche se il Maestro Obi-Wan fosse più presente, non osava sfiorare l’idea di toccare l’argomento con lui.

 Non c’era nessun altro nella vita di Anakin.

 Allora quando lei gli mancava, cioè sempre, le scriveva delle lettere che non poteva inviare. Scriveva riguardo ai pezzi di ricambio che collezionava segretamente in previsione di un futuro progetto (ancora da stabilire), riguardo agli strani modi di dire a Coruscant, riguardo ai progressi che faceva in classe. Scriveva di se stesso, ma ciò che voleva veramente era sapere come stesse lei.




when i see your heavens (oscurità)

A quell’ora di norma i bambini di dieci anni dormivano da un pezzo, ma Obi-Wan non si aspettava di trovare il suo Padawan a letto o nella sua stanza. Era passata una settimana da quando avevano cominciato ad abitare insieme, e Anakin non era rimasto in camera sua in nessuna di quelle notti. Il suo Padawan aveva sviluppato l’abitudine di dargli la buonanotte, per poi sgattaiolare dai loro alloggi e girovagare per il Tempio.

 Obi-Wan lo percepì nella Forza e lo trovò poco dopo, anche se quella era la parte facile. Era ciò che accadeva dopo che gli dava difficoltà. Avrebbe forse dovuto sgridare Anakin? Ma non gli sembrava la cosa più giusta da fare. Il ragazzino probabilmente si era ormai abituato alla vita in dormitorio, circondato dalla costante compagnia degli altri novizi Jedi, e senza di loro era irrequieto.

 Questa era una delle “fasi” di cui aveva tanto sentito parlare, e ad Anakin sarebbe passata man mano che si sarebbe adattato al suo nuovo stile di vita. Non c’era alcun bisogno di punizioni, Obi-Wan doveva solo trovarlo prima che si allontanasse troppo e finisse in città. Ancora non lo considerava pronto per esplorare Coruscant da solo.

 Stasera Anakin non era andato molto lontano. Obi-Wan lo trovò nel primo posto a portata di mano da cui si potesse vedere il cielo: il balcone del loro appartamento. Anakin sedeva sul pavimento, e abbracciava le ginocchia al petto e scrutava in su. Obi-Wan si avvicinò a lui, e si bloccò, scegliendo le parole da pronunciare. Come poi saltò fuori, fu Anakin a rompere il silenzio. «Voi non avete stelle».

 «No, di nostre personali no. I Jedi non hanno beni».

 «Ahahah» rise con voce monotona Anakin. «Non voi. Coruscant». Fece un cenno in direzione del cielo scuro.

 «È per via delle luci della città. Sono talmente luminose da oscurare le stelle».

 «Già». Anakin posò il mento sulle ginocchia, gli occhi ancora in su. «Mia mamma dice che i desideri che esprimi, una volta che si avverano, diventano stelle. Quindi le stelle sono una collezione di desideri divenuti realtà».

 «Ma tu sai che non è così, Padawan. Le stelle sono degli enormi corpi gassosi».

 «Lo so». Anakin abbassò la testa nascondendo il viso tra il petto e le ginocchia. «Ma la sua versione è meglio».

 «Anakin. Anakin. Guardami». Anakin lo fece. «Un Jedi non ha bisogno di desideri. Un Jedi può realizzare ciò che vuole».

 «Ma… Tu non hai dei desideri irrealizzabili?»

 L’immagine di un volto caro, familiare e compianto lampeggiò per un secondo nella mente di Obi-Wan. Ma lui cancellò quell’immagine con la rapidità con cui essa era comparsa. «Non vale la pena desiderare ciò che non puoi ottenere. È uno spreco di tempo e di energie».

 «Nessuno, Maestro? Proprio nessuno?»

 «Tu ne hai?»

 «Vorrei vedere mia mamma di nuovo. Vorrei essere un Jedi».

 «Ecco qua. Sono tutte cose possibili, non hai bisogno di esprimere desideri».

 Anakin sospirò, lo sguardo nuovamente in alto. «Quello di Tatooine è meglio. Il vostro cielo è deprimente».




cat (proprio come)

Silenzio. Discrezione. Ritorcere contro il nemico le proprie stesse armi. Erano tutte tecniche che Anakin aveva appreso durante il suo periodo da Padawan, ma se lui le aveva imparate da cinque mesi al massimo, questa specie aveva avuto migliaia di millenni per perfezionare la sua arte.

 Per Anakin, ora come ora, l’insidia era trovare la sua preda. I nascondigli erano molteplici, soprattutto su un terreno boscoso come questo. Che consiglio gli avrebbe dato il suo Maestro, se fosse qui? Concentrati. Be’, sì, ma va’? Direbbe anche: usa la Forza. Ecco perché Anakin odiava che il suo Maestro gli parlasse in frasi fatte. Tutte quelle parole, e nessuna di esse significava alcunché.

 Anche se, in realtà, l’ultimo suggerimento non era un’idea per niente male. Anakin chiuse gli occhi e fece del suo meglio per ignorare cinque dei suoi sensi, indirizzando tutta la sua attenzione verso il sesto. Sentiva tutt’intorno a sé la linfa delle piante: un lieve pulsare, un flusso costante di esistenza. Ma non era questo che cercava. Poteva percepire se stesso, e non molto più lontano stava la presenza familiare del suo Maestro. Ma qui, un altro cuore batteva oltre al suo, ed era…

 Lì. Proprio dietro di lui, a un paio di metri più in alto.

 Si girò ed esaminò i rami. Nonostante la loro naturale furtività, la specie della sua preda non aveva mai acquisito le caratteristiche genetiche del camaleonte. La pelliccia nera del gatto spiccava sullo sfondo marrone e verde in cui riposava. I suoi occhi, però, si mimetizzavano perfettamente. Il gatto lo fissava, senza battere le palpebre. Era snervante. Che razza di creatura non batteva le palpebre?

 Anakin avanzò un passo e fece una smorfia: le foglie morte che aveva appena pestato misero sull’attenti il gatto, la schiena arcuata. Perché non riusciva a essere più silenzioso quando importava? Ordinando con fervore a se stesso di fare silenzio questa volta, avanzò un altro passo. Il gatto si sedette sugli arti inferiori, continuando a guardarlo con un’aria sospettosa. Se solo gli facesse il favore di non muoversi…

 Per sua grande sorpresa, non si mosse. Anakin gli era a meno di un metro di distanza e il gatto era ancora lì, come se il tempo si fosse congelato. O come se il gatto fosse incollato al ramo.

 E adesso? Non poteva essere un’impresa semplice prenderlo in braccio. Non avrebbe dovuto, che so, soffiare contro di lui? O graffiargli la faccia? Qualcosa?

 «Viiieni, micio» mormorò Anakin, «vieni qui». Spalancò le braccia. Per tutta risposta, il gatto batté le palpebre, si leccò il retro della zampa, e poi con suddetta zampa cominciò a pulirsi dietro l’orecchio.

 Se non avesse avuto la certezza che non era vero, Anakin avrebbe creduto che il gatto si stesse burlando di lui.

 «Forza, micio. Vieni da me». Basta con la passività. Casualmente, come se stesse per agitare il braccio e salutare nessuno in particolare, allungò la mano verso il gatto. Oh, ora il gatto soffiava. Strizzava gli occhi, così che solo parte di essi era visibile. Be’. Lui era stanco e stufo dei giochetti mentali felini, e non esistevano metodi brevi e infallibili per risolvere la situazione. Se era destinato a essere ricoperto di graffi, era pronto ad accogliere la sua sorte.

 Anakin afferrò il gatto con una velocità tale che nessuno sarebbe stato in grado di schivarlo.

 Era ancora tutto intero. Ottimo.

 «Miao» si lamentò il gatto.

 «E tu di che ti lagni?» si lamentò a sua volta Anakin.

 «Miao» insistette il gatto. Forse non gli piaceva essere preso per la collottola. Ma tenerlo in qualsiasi altro modo gli avrebbe dato accesso al volto di Anakin, e lui voleva minimizzare il più possibile i danni. «Miaooo» pianse il gatto, contorcendosi.

 «Va bene, va bene, ho capito». Sistemò il gatto così da cullarlo tra le braccia. E fu allora che il gatto cominciò a comportarsi in modo strano. Strofinò il suo orecchio sinistro contro il bicipite di Anakin ed emise un suono rumoroso e vibrante. Quel suono sorprese Anakin al punto che rischiò di far cadere il gatto. Si innervosì ulteriormente quando il gatto, di nuovo, sfregò la propria guancia contro di lui.

 Inquieto, attento a tenerlo in equilibrio con un braccio, Anakin lo grattò dietro l’orecchio. Il numero di vibrazioni aumentò, tanto che sentiva tremare anche il suo corpo. Anakin prese quello e le sue dita intatte come un buon segno.

 «Ben fatto, Anakin» commentò Obi-Wan, avvicinandosi, «hai passato la prova a pieni voti. Proprio come mi aspettavo da te».

 «Sai, Maestro?» chiese Anakin, grattando sotto il mento del gatto. «Ti assomiglia proprio».




wish (desideri)

Nonostante non volesse averne, Obi-Wan aveva dei desideri.

 Erano annidati in lui, fuori dalla portata della sua coscienza, insieme a tutti gli altri pensieri e tutte le altre emozioni che la compagnia di Anakin aveva fatto nascere in lui. I suoi colleghi si sarebbero allarmati vedendo quanto veniva influenzato dal suo Padawan, specie alla luce di quanto poco Jedi era Anakin (sia per la sua educazione, che per le sue origini). Anche Obi-Wan a volte si preoccupava di quanto fosse cambiato per via di Anakin. Tuttavia, era questa la natura dell’ascendente che Anakin esercitava su di lui: concetti che una volta gli erano alieni adesso erano diventati parte integrale di lui.

 Ma i desideri: vorrebbe essere un Maestro bravo quanto lo era stato Qui-Gon. Vorrebbe che Anakin non provocasse tutti quei gratuiti litigi tra loro: non erano altro che lotte di potere camuffate, in cui Anakin delineava accanitamente i bordi dei suoi confini (Obi-Wan, testardamente, difendeva la sua posizione). Vorrebbe degli occasionali momenti di pace dal suo lavoro a tempo pieno come Maestro del suo Padawan.

 Ma soprattutto, vorrebbe che un giorno Anakin diventasse un grande Jedi, più grande di se stesso, più grande di Qui-Gon, più grande persino di Yoda. Ma questo non era un desiderio, quanto una certezza.




chasing the metaphysical express (ripetizioni)

«La Forza» iniziò a dire a Obi-Wan, «è strutturata in cerchi. Cerchi. Ripetizioni. Motivi. L’inizio è una fine, e la fine è un inizio. Ciò che ascende è inevitabilmente destinato a cadere. Come la vita, le galassie, le civiltà. Niente dura per sempre, eppure ci sarà sempre qualcosa pronto a prendere il suo posto».

 Con il trascorrere degli anni, Anakin aveva imparato a mascherare la sua noia, ma durante quello stesso lasso di tempo, Obi-Wan aveva imparato a interpretare il linguaggio non verbale del corpo dell’altro, ogni suo singolo tic, e sapeva che il suo Padawan stava trattenendo uno sbadiglio.

 «Parlerai in cliché stereotipati tutto il giorno?»

 «Hai mai considerato, Anakin, la possibilità che i cliché siano tali per una ragione?»

 «No, Maestro, non considero mai niente a meno che non sia tu a dirmelo». In faccia aveva stampato quel sorriso che a Obi-Wan faceva simultaneamente venire voglia di dargli una sberla e accarezzargli i capelli.

 «Senti. Dobbiamo affrontare questa lezione a prescindere da quanto noiosa la trovi. Prima finiamo questa parte, prima passiamo agli allenamenti con la spada laser. D’accordo?»

 «Sì, Maestro». La lezione ricominciò.




herr doktor (emergenza)

Era calmo, irremovibilmente calmo, anche se nelle orecchie sentiva il pulsare del sangue che pompava, anche se Anakin, che Obi-Wan sorreggeva con la schiena, diveniva sempre più freddo. Sempre più pesante, anche, come se la gravità volesse attirare il suo corpo a terra. Obi-Wan non si soffermò con la mente su tal dettaglio. Era concentrato sull’obiettivo. Puntando la sua spada laser contro un individuo di questo pianeta che sembrava essere un medico, parlò a bassa voce: «Non c’è bisogno che tu mi comprenda, quindi lo spiegherò molto chiaramente. Questo è ciò che succederà: non solo opererai Anakin, ma lo salverai».

 Le corde vocali del medico non erano fatte per il Basic Galattico, e lei gracidò con un forte accento: «Tu sei mio nemico. Non salverò il tuo compare».

 «Noi non siamo…» Anakin aveva perso coscienza chilometri fa e respirava con sempre più fatica. Non poteva perdere tempo. «Se non cominci a fare qualcosa, la userò».

 Lei occhieggiò la spada laser, poi l’espressione sul volto di Obi-Wan. «Non ho familiarità con le forme di vita a base di carbonio».

 «Sono un esperto di biologia umana, ti dirò tutto ciò che c’è da sapere». Lei fece un gesto in direzione del tavolo e, dopo aver spento la spada laser, Obi-Wan poggiò Anakin sulla superficie piana. La dottoressa srotolò le bende improvvisate che lui aveva ricavato strappando la tunica di Anakin, ora tinte di rosso. Obi-Wan si costrinse a guardare.

 Il medico indicò il punto centrale di una delle ferite da perforazione, dove un piccolo frammento di metallo aveva perforato Anakin, rimanendo incastrato nel suo corpo. «Dobbiamo rimuoverli. In quest’area ci sono degli organi vitali di cui dovrei essere al corrente?»

 Nel retro della sua testa, Obi-Wan aveva iniziato a urlare, ma lui ignorò quelle grida. «Il suo polmone destro, e fa’ attenzione al tessuto muscolare. È sensibile e Anakin ne ha bisogno».




chinatown fiction (notte fuori)

Anakin aveva difficoltà a concentrarsi, a mettere a fuoco gli oggetti intorno a sé e a focalizzarsi sui singoli pensieri. Aveva la testa leggera, come se fosse cava, e allo stesso tempo aveva la sensazione che i suoi occhi, il suo corpo, fossero pesanti, così pesanti che avrebbe voluto stendersi sul pavimento di fronte a lui. Forse così avrebbe finito per addormentarsi, e col sonno sarebbe guarito da questa letargia e da questa confusione. Ma faceva troppo caldo per dormire. Caldo per via di tutti i corpi ammassati nella stanza. Corpi che emanavano dei forti odori: profumi pungenti, robusti e piacevoli solo per le specie che li indossavano, o fetori nauseabondi che la pelle di alcune creature esalava di natura. «Maestro, fa schifo».

 «A quale adolescente non piace bere?» Obi-Wan era incredulo.

 Anakin alzò la mano destra, cercando di tenerla immobile davanti a sé. Tremava, nonostante i suoi sforzi. «È come se avessi perso il controllo».

 «Non è questo il punto?» Obi-Wan sorseggiò il suo Bacio Blu Hoth, i gomiti poggiati sul bancone del bar dietro di lui. Era difficile dirlo con le luci soffuse e con la vista sfocata, ma Anakin aveva l’impressione che gli occhi di Obi-Wan fossero mezzi chiusi e che in volto avesse qualcosa di somigliante a un sorriso. Sentì un profondo, infantile risentimento all’idea che Obi-Wan potesse trarre piacere da una tradizione tanto barbarica.

 «Fa strano. Seriamente strano».

 «A volte fa bene lasciarsi andare, mio giovane Padawan».

 «Non voglio». Anakin guardò male i cinque centimetri rimasti del suo drink. Cinque centimetri di puro inferno. Avrebbe potuto perdere i sensi ingerendo quei cinque centimetri. Peggio ancora, avrebbe potuto perdere la testa e, che so, provarci con il barista Hutt. O decidere di spogliarsi. Come faceva la gente a bere pur sapendo di questi rischi?

 «Vedilo come parte dell’addestramento» suggerì Obi-Wan. «Nell’eventualità che tu sia fatto ubriacare dai tuoi nemici e sia costretto a scappare sotto l’influenza dell’alcool».

 Anakin batté le palpebre, cercando di ragionare su quello scenario ipotetico. «È mai successo a un Jedi, Maestro?»

 «Non che io sappia, ma non significa che non possa succedere. Non vuoi finire il tuo Wookie Peloso?»




loneliness and desire (fissazione)

Inevitabilmente, i suoi pensieri tornavano a Padmé. Erano incatenati a quel punto fisso e condannati a girare in tondo, ripercorrendo di continuo gli stessi passi. Non c’era niente di nuovo e non ce ne sarebbe mai stato, ma per quanto gli piacesse l’idea di esplorare nuovi territori, non riusciva a evadere da quel circuito chiuso.

 Aveva difficoltà a immaginarla con chiarezza, non ricordava le ovvietà. Quanto lunghi erano i suoi capelli, erano ricci naturali o avevano quell’aspetto per via di tutti i trattamenti di bellezza di cui faceva uso lei? Avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione quando ne aveva avuto la possibilità, e l’avrebbe fatto, se solo avesse saputo. Era convinto che l’avrebbe finalmente scacciata dalla sua mente, se solo fosse riuscito a ricostruire fedelmente nella sua testa l’immagine di lei. Ma non ne era capace.

 Invece Padmé lo perseguitava, sotto forma di mezza figura, di mezzo concetto.

 Quando non pensava a lei, i suoi pensieri volgevano verso l’altra metà del cerchio, Anakin. Obi-Wan vedeva Anakin con una limpidezza frustrante. Lo conosceva bene, dopo averlo osservato per anni. Non esisteva un gesto suo che non avesse memorizzato, un’espressione di Anakin che la sua mente non fosse immediatamente in grado di evocare. Eppure, malgrado la vastità della sua biblioteca mentale su Anakin, c’era un’espressione che Obi-Wan non sapeva catalogare: il desiderio che si spandeva sul viso di Anakin ogni qualvolta l’argomento era Padmé. E questo lo irritava. Lo irritava sapere che era così che Anakin si sentiva e, peggio, che si sentiva in quel modo intorno a Padmé, senza che lui fosse in grado di impedirlo. Perché eccolo qua, che si avviava nella direzione opposta, alla ricerca di un pianeta che non era nemmeno negli archivi. Senza Anakin. Che adesso era con Padmé. I pensieri di Obi-Wan completarono il cerchio e iniziarono un altro giro.




what we had i cannot even say (non sono affari tuoi)

Il Maestro che andava a salutare l’apprendista dopo il suo atterraggio; i Jedi non amavano il contatto fisico, eppure loro due si abbracciarono. Ne avevano affrontate di cotte e di crude ed era bello rivedersi interi, che avessero o meno degli arti di metallo.

 La sua prima parola fu: «Visto?»

 «Vedere cosa? Te? Ma naturale, mi sei davanti».

 «Visto, ho completato una missione da solo, malgrado i tuoi dubbi».

 «E hai trascinato di pianeta in pianeta la persona che avresti dovuto proteggere, mettendo a repentaglio la sua vita numerose volte».

 Infastidito – l’unica cosa che Anakin avrebbe voluto sentirsi dire era un semplice: “Congratulazioni, ben fatto” dal suo Maestro –, ribatté: «La mia missione non si è conclusa in un’operazione di salvataggio da parte dell’Ordine dei Jedi e di un esercito di cloni per soccorrermi». Si pentì di aver pronunciato quelle parole non appena esse gli uscirono di bocca, e attese i rimproveri di Obi-Wan.

 Invece che sgridarlo, Obi-Wan reagì annuendo lentamente.

 I due cominciarono a camminare verso l’edificio, lasciandosi alle spalle la pista d’atterraggio. C’erano così tante cose che avrebbero voluto dirsi, eppure nessuno dei due voleva parlare. Anakin era restio, e all’improvviso Obi-Wan si sentì esausto, pensando a quanto disastrosamente era andata l’ultima battaglia Jedi e a quanto ancora li attendeva. Ma doveva chiederlo. «Cosa ci facevi su Tatooine?»

 Anakin rispose subito, come se si aspettasse una domanda simile. «Niente».

 «Sì, ovvio, niente. Con “niente” ti riferisci a tua madre?» Silenzio. E una rabbia che fino a un attimo prima era stata trattenuta. «Ne deduco che non sta bene».

 «Non sono affari tuoi» replicò difensivo. Obi-Wan avrebbe voluto insistere: sì, lo sono, sta interferendo con il tuo addestramento, con la tua mente.




arrangement in black and gold (prova)

Picchietti le dita, una ad una, ed esse si contraggono, come se ci fosse davvero un muscolo che le muove. Le chiudi a pugno, le stringi, e ti rendi conto che non sono gelide. Emanano un calore meccanico, lo stesso che percepisci quando poggi le mani su una tastiera, lo stesso propagato dagli schermi navigando nell’Holonet. Stringi più forte, prendi nota del sussulto appena percettibile di Anakin (per la sorpresa o per il dolore?). I bordi dei pezzi di metallo ti tagliano la pelle, e quasi ti fa male. Ma le tue mani sono troppo callose perché tu possa provare davvero dolore. Molli la presa.

 «Fin qui tutto bene. Non somiglia proprio a una mano…»

 «Fa il suo lavoro». Anakin ti afferra il polso, e te lo stringe altrettanto forte. Più forte.




a winter morning like any other (guerra)

Obi-Wan inspirò profondamente, inalando quello che gli sembrò essere puro ghiaccio, ed esalò, guardando la nebbia che uscì dalla sua bocca. Era un po’ un sollievo poter vedere la manifestazione fisica della sua esistenza. «Vieni, Anakin, mi è stato comunicato che le nostre truppe a nord stanno venendo massacrate. Se ci sbrighiamo, potremo salvare centinaia di soldati».

 Anakin rabbrividì, cercando di accumulare quanto più calore possibile. «E impedire che congeliamo a morte. Adesso una bella battaglia farebbe proprio comodo!»

 «Non voler morire è una ragione ridicola per combattere» lo riprese Obi-Wan.

 Si lasciarono dietro i cadaveri.




fourth avenue cafe (civiltà)

«Non ricordo di averti dato il permesso di prendermi le patatine» commentò asciutto Obi-Wan.

 «Non me l’hai dato» rispose Anakin; le parole erano confuse, visto che aveva la bocca piena. «Ma pensi che, dopo aver trascorso tutti quei mesi nella natura comportandomi come un selvaggio, mi rimanga un minimo di civiltà? Là fuori è un mondo dove il pesce grosso mangia quello più piccolo!»

 «Dove gli umani mangiano gli insetti, vorrai dire». Obi-Wan rabbrividì. «Grazie per avermelo ricordato».

 «Oh, andiamo, non è stato così terribile. Sei tu che sei inguaribilmente difficile».

 «Io ho gusti. È una cosa diversa».

 «Infatti erano gustosi! Croccanti con un ripieno cremoso, tipo». Anakin si approfittò della distrazione di Obi-Wan, che era lì lì per vomitare, e gli rubò una grossa forchettata di patatine.

 «Che diamine, Anakin, se tanto vuoi mangiare patatine, ti ordino una porzione tua».

 «Nah, hanno un sapore migliore se sono tue».

 «Ma davvero?»

 «È scientificamente provato: il cibo rubato è mille volte meglio».

 «Be’, se lo dice la scienza», Obi-Wan sorrise, «allora ci credo». Senza nemmeno guardare il piatto di Anakin, fece lievitare a sé il suo hamburger mezzo mangiato.

 «Ehi!» L’hamburger, che fino a quel momento aveva viaggiato con gioia a mezz’aria, si bloccò. «Non è giusto usare la Forza».

 «Vale lo stesso per te, vecchio mio». Entrambi fissarono intenti l’hamburger galleggiante, che cominciò a oscillare.

 «E tutto quello che mi hai inculcato sull’uso improprio della Forza?»

 «Non è improprio se, usandola, ti impartisco un’importante lezione». Obi-Wan scrutò negli occhi Anakin, che alzò un sopracciglio. L’hamburger volò verso la finestra dietro la testa di Obi-Wan, dove andò a sfracellarsi. I pezzi iniziarono a scendere giù per la parete, imbrattandola. Anakin guardò Obi-Wan a bocca aperta.

 «Kenobi! Skywalker!» La voce di Dex tuonò da dietro il bancone. «Forse questo non sarà il locale più sofisticato della galassia, ma abbiate rispetto! Ho un ristorante da mandare avanti!»

 «Scusa, Dex» dissero all’unisono i due Jedi.




to aurora, not to hurry (scuse)

Incolpava lo stress da combattimento. Alcune settimane prima, in reazione all’incompetenza crescente dimostrata dalle truppe di cloni, era stata inviata a loro una relazione che illustrava gli svariati effetti psicologici e mentali che la guerra esercitava sulla specie homo sapiens, e come curarne i sintomi. All’epoca si era limitato a scorrere il rapporto con una rapida occhiata, credendo che si trattasse di spazzatura per dilettanti, ma adesso, mentre trascorreva la terza notte di fila sveglio, concluse che non vi era nessun’altra spiegazione. Doveva trattarsi di una reazione allo stress da combattimento, o disturbo da stress post-traumatico, o qualsiasi altro termine da psichiatra volessero schiaffare addosso ai soldati che erano impazziti.

 Era l’unica cosa che aveva senso, anche se Obi-Wan non ricordava affatto se “guardare per ore e ore il tuo partner dormire” fosse uno dei sintomi listati.




the observed observer (gara di sguardi)

«Mi stai fissando di nuovo».

 Obi-Wan alzò lo sguardo dalla mappa che stava studiando. Su essa erano posizionati dei pezzi di plastica di varia forma, contraddistinti da due colori. Le forme rappresentavano i diversi tipi di unità di battaglia, e i colori indicavano i due schieramenti: il rosso dei separatisti, e il blu della Repubblica. «Che dici? Negli ultimi quindici minuti non ho staccato gli occhi dalla mappa». Era vero: aveva lavorato sulle tattiche da usare l’indomani sin da quando erano tornati alla loro tenda ruzzolando.

 «Non adesso. O almeno, non mi stai fissando-fissando».

 «Anakin». Obi-Wan seppellì la faccia tra le mani. Anakin notò, per la prima volta, quanto lunghi fossero diventati i capelli di Obi-Wan. Le sue ciocche frontali, quando gli coprivano il viso, gli arrivavano al naso. E non perché non avessero a disposizione i mezzi per tagliarli. Gli strumenti affilati abbondavano e, se proprio necessario, si poteva ricorrere alle spade laser. «Da’ un senso alle tue parole. Niente giochetti».

 «Non mi sto prendendo gioco di te». Adesso che prestava attenzione, vide anche quanto grassi erano i capelli di Obi-Wan. Avvertì che anche i suoi erano molto grassi. Avrebbe fatto un giro fuori la prossima volta che sarebbe piovuto, era la cosa più vicina a una doccia su cui poteva mettere le mani. «Esistono molteplici modi per fissare qualcuno senza guardarlo direttamente, come attraverso la Forza, è tutto il giorno che sento che mi cerchi. E non mi fissi adesso, ma prima lo stavi facendo. Con la coda dell’occhio».

 Obi-Wan incrociò le braccia. «Innanzitutto, ti ho cercato attraverso la Forza per assicurarmi che la tua testa e altre parti del tuo corpo non fossero saltate in aria. Che tu mi creda o no, mi piace sapere che stai bene, e in quei momenti non eri nel mio campo visivo. Secondo, non ho idea di cosa tu stia parlando. Sei paranoico». Detto questo, Obi-Wan tornò alla sua mappa, la ruga tra le sopracciglia che si fece più profonda.

 Non è vero, pensò Anakin, petulante. Solo perché non era ben capace di spiegarlo, non significava che non fosse vero. Non aveva alcuna prova concreta da sfoggiare, ma aveva la netta sensazione che Obi-Wan lo fissasse furtivamente da tempo. Sapeva com’era quando Obi-Wan lo guardava. In fondo, era quello che faceva sin da quando era diventato il suo Maestro e insegnante: guardare e giudicare. Aveva continuato a guardarlo anche dopo che Anakin era stato fatto cavaliere; le vecchie abitudini erano dure a morire. Adesso aveva tantissimi impegni a cui rivolgere la sua attenzione, e difatti aveva cominciato a lasciare che Anakin se la cavasse da solo. Ora, però, gli occhi di Obi-Wan erano tornati su di lui. Non apertamente, come prima, ma come un segreto: quando Anakin si voltava, trovava sempre Obi-Wan già girato in un’altra direzione.

 Si toccò i capelli e gli dispiacque per Obi-Wan. Anakin non era un bel vedere, questi giorni.




almost gothic (senza cura)

Aveva impiegato talmente tanto tempo a riconoscerlo per quel che era che oramai, come un cancro, si era diffuso in tutto il suo corpo. Non erano state risparmiate una singola vena, un singolo nervo o un singolo organo; il suo essere strimpellava, cantava con la malattia. Gli aveva invaso il corpo, infettando prima una cellula e poi le altre. Era stato cieco al suo assalto e, nel momento in cui fu colpito dallo shock della consapevolezza, non riuscì a respirare.

 Amava Anakin. Era innamorato di Anakin Skywalker.

 Anakin, presente durante il suo istante di epifania, notò che c’era qualcosa che non andava. «Cosa? Ho ancora dell’olio in faccia?» Si strofinò vigorosamente la guancia destra, spalmandosi accidentalmente in viso l’olio sulle dita.

 «No» riuscì a esalare Obi-Wan, nonostante gli mancasse il respiro. Senza che lui la sollecitasse, una fantasia iniziò a proiettare nella sua mente, una che aveva avuto migliaia di volte senza che se ne fosse accorto: lui che baciava Anakin, Anakin che ricambiava il bacio e che non protestava quando Obi-Wan lo faceva distendere sulla schiena. «Niente. Non dimenticarti di controllare i cavi multiconnettivi».




here we are (primo sorgere dell’alba)

L’alba giungeva presto su questo pianeta, solo alcune ore dopo il calare della notte. Ore che Obi-Wan aveva trascorso sveglio, perdendosi in Anakin all’inizio, e fissando il buio poi. Anakin si era addormentato a un certo punto nel mezzo, e Obi-Wan lo aveva stretto a sé, grato ma in ansia per quel calore.

 Anakin si era da tempo fatto più alto, più muscoloso del suo Maestro, eppure adesso sembrava piccolo, ricurvo in una posizione fetale, sbavando leggermente sulla spalla di Obi-Wan. Solo un’illusione rifletté Obi-Wan, tracciando con un dito la curva del viso di Anakin, passando il pollice sulle sue labbra per strofinargli via la saliva.

 «Be’» sospirò Obi-Wan, «eccoci qua».




a secret unlit room (segreto a tutte le parti coinvolte)

Anakin aveva creduto che il suo matrimonio con Padmé fosse una questione della massima segretezza, ma non era niente in confronto all’attuale storiella che aveva con Obi-Wan. Con Padmé, almeno, entrambi ammettevano di essere innamorati. Nessun altro poteva sapere di loro due, ma erano sulla stessa barca. Con Obi-Wan, nessuno poteva venirlo a sapere, punto e basta. Nemmeno loro due, i diretti interessati che andavano a letto con l’altro. Come se fosse possibile! Come se potessero nascondere i fatti sotto un tappeto, pulirsi la polvere dalle mani e proseguire per le loro strade, fischiettando un innocente motivetto. Anakin la riteneva una pazzia e cercò di dirlo a Obi-Wan, ma lui non poteva soffrire alcun riferimento a loro due che facevano sesso se non durante l’atto, e parlare di come non parlassero non era qualcosa che Anakin voleva fare se, be’, poteva fare sesso.

 Obi-Wan non faceva mai il primo passo; tale compito spettava sempre ad Anakin. Se non avesse trascorso anni decifrando Obi-Wan senza l’aiuto di un dizionario, Anakin non avrebbe mai capito il significato dei suoi segnali, Ti voglio, o Ti salterei addosso se solo non fossi un pignolo moralista represso, o il più discreto Potrebbe sembrare che io stia cercando di sedurti, ma l’unica cosa che voglio adesso in realtà è crollare nel mio sacco a pelo e perdere i sensi finché non sarà di nuovo ora di malmenare i nemici. Ormai Anakin era un esperto del linguaggio del corpo e non verbale di Obi-Wan, cosa che facilitava la loro relazione sessuale.

 Anzi, per la verità, era una gigantesca seccatura tentare di capire esattamente cosa volesse, pensasse e intendesse Obi-Wan. Se non fosse valso a niente, Anakin avrebbe evitato il disturbo. Ma ne valeva la pena. Con il corpo di Obi-Wan accanto al suo, Anakin si liberava della tensione che aveva soffocato dentro di sé senza che se ne fosse accorto. Non solo; con lui, Anakin dimenticava la guerra. No, il contrario, perché in un certo senso Obi-Wan era la sua personificazione. Non poteva guardare Obi-Wan senza pensare alla guerra. Anakin poteva avvistarla nelle ferite fresche (lividi, bruciature, tagli) e nelle persistenti cicatrici di Obi-Wan. Poteva odorarla nel carburante delle navi e nella muffa dei vestiti sporchi. Poteva percepirla persino mentre le sue dita sfioravano le costole pronunciate di Obi-Wan. Quando era con lui, Anakin non poteva dimenticare la guerra per un singolo secondo, eppure la cosa, per qualche motivo, faceva parte della sua attrattiva.

 Anche baciarlo era bello. Solo baciandolo aveva avuto l’impressione di averlo conosciuto realmente. Per tutti questi anni, lo aveva visto come una persona distaccata, calma, concentrata sull’obiettivo. Qualità che scomparivano quando le loro bocche si univano. Vi erano morsi, lingue e labbra, in una maniera tale che Anakin credeva che a momenti sarebbe stato divorato. L’uomo che era il suo Maestro pareva venire sostituito da qualcun altro: lo stesso aspetto, una personalità diversa. Un secondo vantaggio che traeva baciandolo era che, quando la bocca di Obi-Wan era occupata, Anakin non correva alcun pericolo di essere rimproverato.

 Ma ciò che Anakin amava davvero del sesso con Obi-Wan era la possibilità di poterlo toccare. Non ne aveva mai abbastanza. Voleva sentire il peso di Obi-Wan su di sé, voleva inchiodarlo sotto il suo corpo, voleva che stessero sdraiati fianco a fianco con le gambe intrecciate. Voleva tutto, fintantoché la pelle nuda di uno sfiorava quella dell’altro. E se tutto quel toccare portava ad abbracci, baci e carezze, esse erano ben accette; e se come loro conseguenza ad Anakin e a Obi-Wan veniva duro, tanto meglio. Gli orgasmi erano secondari, un piacevole effetto collaterale.




on friendship (definizione)

«Amici» dici con determinazione, malgrado il tuo cuore martelli. Non sei abituato alla paura, non ti senti a tuo agio nella sua stretta; quand’è stata l’ultima volta che sei stato sua vittima? Oh, sì: quando l’uomo davanti a te, colui che non ti crede, stava perdendo coscienza per via di diverse emorragie e non avevi le risorse per salvarlo.

 «Amici» ripete lui, con un punto di domanda quasi implicito alla fine della frase. Poi chiude la breve distanza tra voi due, ti morde il lobo dell’orecchio, lo lecca. La scossa va dall’orecchio direttamente verso il tuo membro, facendotelo venire più duro di quanto non lo sia già. Non gemi; foss’anche solo per dignità, perché potreste scopare adesso, in questo preciso istante, proprio contro questo muro.

 Un Jedi può percepire queste cose. La paura. L’eccitazione.

 «D’accordo, sei stato molto chiaro. Cos’è che saremmo, allora?»

 «Non lo so, ma amici no di certo».




your eyes closed (vecchi fantasmi)

Quando i loro fiati cominciarono a tranquillizzarsi, gli chiese: «L’hai mai fatto con Qui-Gon?»

 Continuando a respirare profondamente, Obi-Wan abbassò le palpebre. «Le domande che mi fai, Anakin». Era sdraiato sulla schiena, le braccia indolenzite; Anakin era al suo fianco, la testa tenuta sollevata dalla sua mano meccanica.

 «L’avete fatto?» L’altra mano, quella umana, carezzò piano, ritmicamente, il petto di Obi-Wan. Questo gesto e il coito appena avuto li calmò.

 «No. Mai. Neanche una volta».

 «Ma lo avresti voluto».

 «Dobbiamo per forza parlarne?»

 «Per favore, Obi-Wan». Anakin lo chiamava raramente per nome, sebbene Obi-Wan avesse cercato di convincerlo a fare diversamente (Anakin che gemeva “Maestro” lo metteva a disagio). Dire “Obi-Wan” era il suo modo per ricordargli che voleva parità nella loro relazione. Tale parità consisteva nel non sentirsi dire dall’altro di stare zitto o di comportarsi bene. (Naturalmente, Anakin ascoltava la sua richiesta solo quando gli faceva comodo). «È da tempo che me lo chiedo».

 Obi-Wan aprì gli occhi. Fissò il soffitto. Per qualche ragione, non riusciva a sopportare l’idea di incrociare lo sguardo di Anakin. «Sì, l’ho voluto».

 «Raccontami».

 «Anakin…»

 «Voglio comprendere. Aiutami a farlo».

 Cosa voleva comprendere? Il rapporto tra ex Maestro e Padawan? Il suo passato? Accidenti a lui, pensò Obi-Wan, accidenti a lui per aver detto “Aiutami”. «Non… non ricordo bene. Non ho tenuto un diario. E non ho ponderato granché l’argomento». Dei frammenti di ricordi emersero con spontaneità: il cuore in gola quando osservava Qui-Gon compiere le incombenze quotidiane, come leggere l’HoloNews o spazzolarsi i denti. Come si sentisse invaso da quel sentimento con sempre maggiore frequenza man mano che passava il tempo. Svegliarsi una notte da un sogno particolarmente vivido ed erotico. Essere incapace di affrontare il suo Maestro il giorno dopo. «Provavo attrazione per lui. Tutto qui».

 «E lui ne era al corrente?» Anakin non gli chiese: Glielo hai mai confessato?

 «Non so». A volte avrebbe potuto giurare che Qui-Gon gli avesse rivolto certe occhiate di benevola compassione, ma poteva anche benissimo essere stato opera della sua coscienza sporca. Altre volte aveva pensato che Qui-Gon avesse avuto una considerazione eccessiva per il suo corpo, per i suoi spazi. «Forse». Sentì Anakin carezzargli la guancia sinistra, permise a se stesso di crogiolarsi nel conforto carpito da quel contatto. «Suppongo che non abbia più importanza».

 «Ci risiamo, tu che fingi di essere di pietra». Il tono della voce di Anakin era difficile da interpretare. Mezzo divertito? Bacchettone? Deluso? Pareva danzare tra questi tre umori senza toccare nessuno di essi in particolare. «Dovresti essere più onesto con te stesso».

 Per la prima volta dal momento in cui Anakin era rotolato giù dal suo corpo, Obi-Wan fu in grado di guardarlo dritto negli occhi. «Per l’esattezza, quando hai iniziato a farmi tu la predica?»

 Provò una strana soddisfazione al fastidio scritto sul volto di Anakin.




being as of yet but a girl (giustificazione)

«Di’ qualcosa, Padmé».

 «Non riesco a pensare a nulla». Seduta sul divano, si spostò di qualche centimetro a lato, così da interrompere il contatto fisico con Anakin.

 «Allora fa’ qualcosa! Strilla. Urlami contro. Colpiscimi» suggerì Anakin.

 «Che senso avrebbe? Io sono solo io e tu continuerai a farti scopare da Kenobi».

 «Non è come sembra. Non parlare così».

 «Oh, scusami, forse ho interpretato male il discorso che hai appena fatto sulla tresca che hai con Obi-Wan».

 «Non è una tresca! Non lo pensi sul serio, vero? È te che amo».

 «Vuoi davvero farmi credere che non lo ami? Ma ti ascolti quando parli? “Obi-Wan mi ha detto che era fiero di come mi sono comportato oggi alla riunione con il Consiglio!” “Ho paura che Obi-Wan sia di nuovo arrabbiato con me, cosa posso fare?” “Obi-Wan ha raccontato un aneddoto divertentissimo a pranzo!” “I pompini di Obi-Wan sono i migliori!” Parli solo di lui. Fai i salti mortali pur di ottenere la sua approvazione!»

 «Padmé!» esclamò Anakin, shockato.

 «Non fare il sorpreso con me».

 «Non avrei detto niente se avessi saputo che ti saresti infuriata a tal punto!»

 Padmé si alzò, riducendo gli occhi a due fessure. «Cosa?»

 Anche Anakin si levò in piedi, ma invece che fronteggiare Padmé eclissandola con la propria statura, cominciò a camminare avanti e indietro, girandosi con veemenza ogni qualvolta raggiungeva i confini tracciati da una linea invisibile. «Non fa nessuna differenza, lo sai che non ne fa alcuna. Tu sei mia moglie, Padmé. Sei l’amore della mia vita». Di colpo si bloccò e toccò una ciocca dei capelli di Padmé, carezzandola con i polpastrelli. Prima era stato sul punto di urlare, ma adesso sussurrava. «Perché non lo capisci?»

 «Oh, Ani…» Lei gli circondò le spalle con le braccia. «È esattamente per questo che mi devi dire tutto. Perché siamo sposati». Tenendo ancora un braccio intorno alla sua spalla, con l’altro gli prese la mano e gliela chiuse a pugno, la ciocca di capelli intrecciata con le loro dita. Gli baciò le nocche, le labbra che premettero sulla pelle di lui e sui suoi stessi capelli. «Noi siamo tutt’uno».

 Alzando la mano, Anakin baciò lo stesso punto baciato da lei. «Ed è per questo che non fa alcuna differenza se vado a letto con Obi-Wan».

 Lei scosse la testa. «Non posso credere che non lo ami».

 «Okay, lo amo, ma come…»

 «Se dici “come un padre”, sarò schifata, sappilo». Padmé non riuscì a nascondere un leggero sorriso. Anakin ridacchiò.

 «Non come un padre. Ma lui è parte della mia vita. Sono cresciuto con lui e adesso combattiamo insieme in questa guerra. E quando siamo là fuori, nel mezzo del nulla, mi sento impazzire, Padmé. Non faccio che uccidere e uccidere e uccidere… È per una buona causa, ma a volte ho la sensazione di non starci più con la testa, sai? E anche Obi-Wan combatte, è proprio là accanto a me. In realtà, di solito, è a lui che la guerra aggrava di più. E quindi lui è lì, e io sono lì, e… basta. Lui c’è. Tu no».

 Padmé poggiò la testa sul petto di Anakin, ascoltando attentamente il battito del suo cuore. «Lui condivide una parte di te che non conoscerò mai».

 «È una parte di me che non ti voglio mostrare».

 «Io voglio vedere ogni cosa di te, Ani».

 «Non essere gelosa, Padmé. Ti racconto tutto».

 «Lo so». Ecco, ecco il suo cuore che batteva. Lei chiuse gli occhi. «Lo so».




a guise of gentle words (imbarazzo)

«Senatrice Amidala». Le rivolse un cenno. «Che piacere incontrarvi per caso».

 «Il piacere è mio, Generale Kenobi» rispose Padmé con un sorriso tirato. «Sono lieta di vedervi tornare tutto d’un pezzo».

 «Il mio sollievo è analogo».

 Seguì un silenzio imbarazzante.

 «Ho sentito che avete trascorso gli ultimi mesi nell’Orlo Esterno» proseguì lei offrendo un argomento di conversazione, «insieme al Generale Skywalker».

 «Sì, precisamente. In questo momento non sarei qui se non fosse per lui, mi ha coperto le spalle».

 «Ma non mi dite». Padmé continuava a sorridere, ma la sua voce era tagliente. «Suppongo che gli abbiate coperto le spalle a vostra volta».

 Obi-Wan si sentì distintamente a disagio. «È quello che fanno i Jedi, Senatrice».

 «Davvero encomiabile. Ora, se mi scusate, Generale, finirò per arrivare tardi se indugio oltre».

 «Scusatemi se vi ho trattenuta».

 «Niente affatto, Generale. Vi auguro buona salute».

 «Altrettanto».




exeunt omnes (va’)

«Devo andare». Anakin aveva quasi un’aria dispiaciuta.

 Obi-Wan aveva saputo sin dall’inizio che lo avrebbe annunciato, proprio come sapeva da chi sarebbe andato. Annuì. «Va’, allora».

 Un qualcosa nel viso di Anakin si contorse, come se fosse deluso dalla risposta di Obi-Wan. «Maestro, io…»

 «A volte il silenzio è sufficiente».

 Anakin non concordava, e il suo silenzio era risentito. Ma almeno accettava le sue parole. Obi-Wan lo osservò raccogliere i propri abiti dalla pila disordinata e vestirsi. A differenza della cura che aveva impiegato prima spogliandosi per Obi-Wan, ora era veloce, meccanico. Teneva gli occhi bassi, e fu solo quando si mise il guanto sinistro che lo guardò. Obi-Wan capì che stava soppesando l’idea di dargli un ultimo bacio; no, non l’ultimo, il primo di una nuova serie. «Va’» ripeté Obi-Wan. «Non sei voluto altrove?»

 «Giusto» disse Anakin. «D’accordo. Ti vedrò più tardi, immagino».

 «Domani, in realtà. Dobbiamo redigere il rapporto della missione».

 «Oh, già. Okay. Ci vediamo».

 «Buonanotte, Anakin».

 Più di qualsiasi altra cosa, in quell’istante Obi-Wan provò sollievo. Dormì un sonno profondo come non gli capitava da mesi.




dante in hell (immortalità)

Quando diventi Darth Vader, ti abitui il più possibile alla vita in gabbia. La cosa, per te, è motivo di orgoglio. Non puoi morire. Qualunque altro normale essere umano verrebbe a mancare perdendo tutto quel sangue, e se non a causa delle emorragie, allora perirebbe per via delle fiamme che divorano, strato per strato, la pelle e i nervi e i muscoli. Ma tu sei speciale, tu sei forte. Non moriresti, ed è per questo che sei qui, in questa armatura. Sei fisicamente inabilitato. E con questo? La tua connessione al Lato Oscuro della Forza ti ha reso più potente di qualsiasi altro essere nella galassia, più potente del tuo attuale e unico Maestro. Potresti detronizzarlo se lo volessi, scegli semplicemente di non farlo. Il potere appartiene a te, tu che puoi uccidere con il solo pensiero. L’immortalità e il controllo sulla morte, questo è il potere, e il potere è l’unica cosa di cui hai bisogno.




scenes from the life of a double monster (diniego)

«Alto due metri e mezzo…»

 «Nero come il peccato…»

 «Non respira da solo, è una macchina…»

 «Uccide tutto ciò che incontra…»

 «Tu credi che sia umano?»

 A Obi-Wan in questo momento sarebbe passata per la mente la frase “Maledetti idioti civettuoli”, se solo non fosse stato così ubriaco da non riuscire ad articolare un singolo pensiero. Scosse la testa e tentò di bere l’ennesimo sorso da un bicchiere già vuoto.










Note:
 ✯ Thoughts of a Dying Atheist è il titolo di una canzone dei Muse.
 ✯ Lady Madonna è il titolo di una canzone dei Beatles.
 ✯ When I see your heavens è una citazione al verso dei Salmi 8:3: “Quando io veggo i tuoi cieli, che sono opera delle tue dita; La luna e le stelle che tu hai disposte; Io dico: Che cosa è l’uomo, che tu ne abbi memoria?”
 ✯ Chasing the Metaphysical Express è il nome di una delle tracce della colonna sonora di Hong Kong Express, film di Wong Kar-wai uscito nel 1994.
 ✯ Per quanto riguarda Herr Doktor, non sono riuscita a trovare di preciso il riferimento del titolo; purtroppo, esistono diverse canzoni tedesche e un film francese dallo stesso nome.
 ✯ Arrangement in Black and Gold è il nome di un quadro del pittore americano James Abbott Mcneill, realizzato tra il 1831 e il 1832.
 ✯ The Fourth Avenue Cafe è il titolo di una canzone del gruppo giapponese L’Arc~en~Ciel.
 ✯ Mi è stato difficile trovare il riferimento di To Aurora, Not to Hurry. Correggetemi pure se sbaglio, ma credo che sia una citazione a Le metamorfosi di Ovidio e, più nello specifico, alla traduzione di Christopher Marlowe, drammaturgo, poeta e traduttore inglese vissuto nel Cinquecento.
 ✯ The Observed Observer è il titolo di una poesia del poeta inglese Alan Gould.
 ✯ Almost Gothic è il titolo di una canzone del gruppo americano Steely Dan.
 ✯ Credo che il titolo On Friendship si riferisca o all’omonima poesia del poeta libanese Kahlil Gibran, vissuto a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, o all’omonimo saggio filosofico del professore greco Alexander Nehamas.
 ✯ Exeunt omnes significa “Escono tutti” in latino e, nella terminologia teatrale, è il comando usato per indicare a tutti gli attori di lasciare il palcoscenico.
 ✯ Dante in Hell è il titolo di un quadro del pittore francese Jean-Hippolyte Flandrin, realizzato nel 1835.
 ✯ Scenes From the Life of a Double Monster è il titolo di una storia breve dello scrittore russo Vladimir Nabokov, meglio noto per il romanzo Lolita.

   
 
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