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Autore: Nolowende    25/06/2020    2 recensioni
Gondolin cade. In molti si sacrificano per lei.
(Presenza di OC)
(La storia si basa soprattutto sui Racconti perduti, anche se accostati al canone del Silmarillion)
Genere: Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Glorfindel, Maeglin, Nuovo personaggio, Turgon
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo, Violenza
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Dura tutto pochi istanti.

Una creatura di Morgoth spunta all'improvviso, tanto che a malapena te ne accorgi. Il volto deforme ghigna, la sua spada – se così si può definire lo spuntone di metallo tagliente che regge – gocciola il sangue di coloro che hanno avuto la sfortuna di porsi sulla sua strada, forse  quello dei tuoi amici e parenti. Nel suo sguardo ci sono crudeltà e voglia di uccidere, e per un attimo tremi, nonostante il calore soffocante del fuoco che ormai avvolge tutto. Ma non dimentichi il tuo compito.

Lo scatto della creatura è rapidissimo, e altrettanto velocemente il grido di terrore del piccolo Eärendil ti giunge alle orecchie. E allora fai ciò che ti è stato detto di fare.

La spada di quell'essere entra dentro di te, e fa male, terribilmente. Se ne avessi la forza grideresti, ma ogni percezione sta già scivolando via, lasciando solo il dolore e lo sforzo di riempire i polmoni d'aria. Voronwë urla qualcosa, ma non riesci a distinguere le parole. Poi senti la lama che viene estratta dal tuo corpo, e una nuova fitta ti travolge, ma è solo un attimo, ora puoi respirare. Attraverso il velo che sta coprendo i tuoi occhi puoi vedere il figlio di Tuor, terrorizzato e coperto di sangue – il tuo – ma ancora vivo.

E sai che morire è servito a qualcosa, che sei riuscito a eseguire l'ordine del tuo signore, e non ti penti di averlo fatto, né di avere seguito lui. Lui ti dava fiducia, l'ha data a tutti voi, e guiderà i tuoi compagni verso la salvezza. Tu non potrai andare con loro, ma intanto hai fatto ciò che dovevi.

Dolce sarà il tuo sonno, Ilmion[1].

Ma un giorno l'Ala Bianca tornerà a battere.

                                                                                                ...

Fa caldo. Il fumo offusca il cielo, il fuoco è ovunque. Sei stanco, ma non puoi permetterti di fermarti, perché se lo facessi verresti ucciso.

E tu non vuoi morire.

Se morissi, perderesti ogni occasione di salvare Gondolin, e non vuoi. Questa è la tua casa, e daresti qualunque cosa per proteggerla.

Ti volti giusto in tempo per evitare un colpo diretto alla tua schiena. La tua spada apre in due la testa dell'orchetto, e il suo sangue nero copre la lama e l'elsa e ti schizza sul braccio. È gelido, come se fosse di ferro. Rabbrividisci.

Continui a uccidere qualunque nemico ti si pari davanti, illudendoti che il disperato tentativo compiuto da te e dai tuoi compagni riesca, che prima o poi riuscirete a scacciarli tutti e non sarete costretti ad andarvene. Non provi paura, ma solo rabbia. L'ira infiamma il tuo sangue, gonfia il tuo cuore, dandoti forza, ma è fredda, e ti permette di mantenere il controllo.

Non puoi permettere che vincano.

Il sangue della progenie di Morgoth continua a macchiare la tua spada, oltre che il suolo, scorrendo in un nero fiume vicino a quello rosso del vostro. Non puoi credere che sotto ci siano le strade della tua splendida città.

Continui a colpire, ancora e ancora, e pensi che forse riuscirai a farcela. Ma in un istante cambia tutto. Il dolore alla spalla arriva improvviso, e un attimo dopo senti il clangore del metallo della tua arma per terra.

Ti hanno appena strappato un braccio.

Una cascata di sangue sgorga immediatamente dal tuo corpo. Ignorando il dolore, porti la mano sinistra a coprire ciò che resta della tua spalla, e la mancanza dell'arto ti fa rabbrividire. Vacilli. Cadi. Senti la voce di Egalmoth, e ti senti frustrato per il non poterti alzare e poter ricominciare a lottare al fianco del tuo comandante.

Ti rivolti, cercando una maniera per poterti rimettere in piedi, ma non ci riesci. Un orco approfitta della tua immobilità e la sua spada ti trapassa velocemente il cuore, ponendo fine alla tua vita. È un sollievo.

Dolce sarà il tuo sonno, Galadloth[1].

Ma un giorno l'Arcobaleno[2] tornerà a mostrarsi nel cielo.

                                                                                                ...

Avete combattuto. Avete resistito. Avete fatto di tutto pur di impedire che Gondolin cadesse.

Eppure ora siete costretti a fuggire.

Le ferite bruciano, ma è l'anima a fare male. Dentro di te, senti l'umiliazione, la rabbia, e il dolore. In troppi sono morti per difendere la vostra casa, ma non è servito a nulla. È tutto distrutto, e voi siete stati scacciati come degli intrusi.

Se fosse per te, saresti ancora lì dentro a combattere. Ma devi seguire la tua gente, e impedire che quelli che si sono salvati vengano uccisi. Puoi ancora fare questo.

Senti uno strano suono, come un sibilo, e ti volti di scatto. Non sei il solo. Anche Galdor, davanti a te, si volta, e anche il resto della gente si blocca. In qualche modo, percepisci la paura nell'aria. Un bambino scoppia in lacrime, spaventato.

Vi stanno seguendo.

Per un attimo senti il panico avvolgerti. Respiri profondamente, e ti calmi.

Non fallirai anche in questo. Nessuno di voi fallirà.

Ciò che resta del vostro esercito si prepara a una nuova battaglia, e tu con loro. Avete ancora un compito da svolgere, e stavolta non fallirete. Gondolin non è solo nella pietra e nel cristallo, non è solo nelle case e nelle fucine. Gondolin è nel cuore di chi ha vissuto per secoli fianco a fianco come un unico popolo, e che ora dovete salvare prima che sia troppo tardi.

Le città si possono ricostruire, ma le vite spezzate non possono tornare.

Perciò devi lasciarli andare, anche se non sai se potrai mai seguirli.

Te ne rendi conto solo dopo pochi minuti. Qualcosa blocca i tuoi movimenti. Una lancia nella schiena, e tutto finisce.

Dolce sarà il tuo sonno, Aeglas[1].

Ma un giorno l'Albero tornerà rigoglioso.

                                                                                       ...

Vorresti non crederci. Vorresti che tutto questo non stia davvero accadendo.

Ma non puoi ignorare le grida dei tuoi soldati quando le lance e le frecce degli orchi li colpiscono, né il contorcersi delle creature di fuoco sotto le mura. Da quassù puoi vedere l'esercito nemico. Sembra non finire mai.

Stringi i denti con rabbia. Sono troppi. Tutte le forze delle Dodici Case messe insieme non sarebbero neanche la metà di loro.

Ma non per questo decidi di scoraggiarti.

Al contrario, cerchi di riunire intorno a te quanti più soldati possibili. Incroci lo sguardo di diversi di loro. Vedi la paura, ma anche il coraggio. E la fiducia. Hanno fiducia in te.

Ma tu non sai se riuscirai a salvarli.

Tuttavia non esprimi la tua paura, non cerchi di scoraggiarli. Non puoi farlo.

Incocchi una freccia al tuo arco, e la tua voce vibra di una strana calma, una calma che non hai, mentre chiedi loro di fare lo stesso.

Le tue parole sferzano nuovamente l'aria, una pioggia di frecce si riversa giù dalle mura. Quasi tutte vanno a segno, in molti cadono, tra le fila nemiche, almeno tra gli orchi. Senti un barlume di speranza nel cuore per questa minuscola vittoria, e per un attimo esulti.

Prepari un'altra freccia, ma qualcosa ti colpisce all'improvviso. Con un urlo di dolore e sorpresa lasci la presa sulla corda, e la tua arma parte sparendo nel cielo, inutile.

Qualsiasi cosa ti abbia colpito, brucia. Terribilmente. Perdi l'equilibrio, cadi.

Ti accorgi a malapena delle fiamme che ti stanno divorando e del dardo quasi carbonizzato che si è piantato nel tuo ventre. Il dolore del fuoco ti sta accecando, non riesci quasi a vedere nulla che non sia interrotto dalle scure ombre della morte.

Diventerai cenere prima ancora di toccare terra, e lo sai. Ma prima che la tua mente venga del tutto distrutta, ti chiedi se le tue azioni saranno vane o meno.

Dolce sarà il tuo sonno, Duilin.

Ma un giorno la Rondine tornerà a librarsi leggera.

                                                                                          ...

Non senti nulla. Non ti accorgi di nulla. Solo dell'ira che sembra volerti bruciare, ardente come le fiamme di una fucina, come il fuoco di Morgoth.

L'unica cosa che vuoi è gettarti a testa bassa contro i nemici, ma sai che non ce la farai mai, che è un suicidio. Eppure il desiderio di farlo rimane, brilla nei tuoi occhi cupi mentre fissi il sangue che macchia le tue armi. Quello di quegli esseri, ma anche quello dei tuoi compagni. Li hai visti morire di fianco a te, e ogni volta che anche solo una goccia del loro sangue ti bagnava l'orrore e la rabbia, e forse anche il senso di colpa per il non essere riuscito a proteggerli anche se sapevi fin dall'inizio che sarebbero morti, si sono accresciuti fino a diventare una tortura, una lama acuminata che ti uccideva lentamente. Ma non hai potuto fare nulla.

Un fremito di collera ti attraversa violentemente al ricordo. Guardi i cadaveri radunati intorno a te, amici e nemici, e la visione dei visi freddi e morti dei tuoi soldati, dei loro occhi svuotati – occhi che fino a pochi minuti fa erano pieni di coraggio e determinazione – ti infiamma nuovamente, abbattendosi ancora una volta sulla tua anima. Né i Balrog che ti guardano minacciosi, né le ferite del tuo corpo potranno fermarti.

Devi continuare a lottare. Devi vendicare i caduti, e lo farai. E ognuna di queste macchine, di questi meri strumenti del Nero Nemico creati per distruggere i sogni di chi è libero cui strapperai la vita sarà una nuova nota nel canto di speranza di Gondolin.

Lotterai ancora. Lo farai per chi deve continuare a vivere.

Ripensi a tutti i morti. Ripensi ai tuoi coraggiosi, valorosissimi uomini, che tu hai mandato incontro alla fine.

Ed è senza paura, mentre il grido della tua anima si fa quello del tuo corpo, che ti lanci contro il primo demone.

La frusta affonda nella tua pelle lasciandovi dei segni, gli artigli ti lacerano ripetutamente, ma tu continui a colpire finché non senti più nulla, poiché già non esisti più.

Dolce sarà il tuo sonno, Rog.

Ma un giorno il Martello d'Ira tornerà a colpire il Male.

                                                                                             ...

Non pensavi che sarebbe finita così.

Non credevi che ti saresti trovato a morire in questo modo, rintanato in un angolo come il peggiore dei codardi.

Ma sta accadendo.

Sai già che non uscirai vivo di qui. Gli orchi si stanno riversando qui a centinaia, anche se uccidessi quelli che ti stanno assalendo ti dovresti confrontare con gli altri. Sei troppo stanco per riuscirci.

Quelli che erano con te sono già tutti morti, e tra non molto li raggiungerai. Percepisci vividamente il sangue che scende, caldo e lento, dai punti in cui il ferro ti ha squarciato la pelle, il tuo stesso respiro, pesante e affannoso, il senso di oppressione datoti dalla fredda pietra alle tue spalle e dalle numerose creature che ti stanno di fronte, ghignando mentre ti spezzano lentamente.

Il pensiero di morire qui ti angoscia, ma non desideri fermarti.

Resisterai. Resisterai fino alla fine, portando con te quanti più avversari puoi prima di volare nelle aule di Mandos.

Per quanto sia inutile, non puoi fare altro.

Ma non serve a niente. Sono troppi per te. Una fredda lama si posa sulla tua gola, ed è solo un lunghissimo attimo prima che il tuo tempo si laceri tra il momento in cui eri vivo e quello in cui non lo sei più.

Ma almeno hai resistito fino all'ultimo.

Dolce sarà il tuo sonno, Penlod.

Ma un giorno il Pilastro e la Torre di Neve torneranno a svettare imponenti verso il cielo.

                                                                                    ...

Lo percepisci quasi subito.

L'odore del fumo.

Lo riconosci, vicino, troppo, così come troppo vicino è il calore del fuoco. Sta arrivando. Il tuo tremito spaventato diventa incontrollabile, ma hai paura di alzarti.

E non solo. Hai paura di ogni cosa. Hai paura del fuoco, hai paura dei mostri là fuori, hai paura di lottare...

Eppure gli altri riescono a controllare la propria paura. Probabilmente in centinaia staranno morendo pur di impedire alla progenie di Morgoth di avanzare. E tu, invece?

Tu sei rannicchiato nel tuo letto tremando terrorizzato, come il codardo che sei.

Una parte di te ti rimprovera per la tua condotta, per il tuo essere così pavido, ma l'altra, schiacciata dal timore, ti impedisce di fare qualunque cosa che non sia attendere la morte, per mano del fuoco o del ferro.

Silenziosamente lodi i tuoi soldati per il loro valore, per il non aver seguito il tuo esempio. Li invidi. Ti piacerebbe essere come loro, capace di combattere per la salvezza del vostro popolo.

E invece non hai neanche il coraggio di alzarti e salvarti, magari trovando la morte nella gloria e nel valore, piuttosto che intrappolato nella tua stessa dimora. Questa morte è destinata agli indifesi, non a coloro che dovrebbero essere a respingere gli assalitori per impedire la caduta della vostra città.

Le fiamme si avvicinano ancora di più, divorano la porta e il pavimento, risalgono la stoffa delle coperte, e tu attendi che ti mordano, impotente.

E mentre la prima scintilla ti brucia la pelle, mentre il fuoco si impadronisce finalmente di te, lacrime di pentimento ti sgorgano dagli occhi, perché tu amavi Gondolin, e avresti voluto avere il coraggio di salvarla.

Dolce sarà il tuo sonno, Salgant.

Ma un giorno l'Arpa tornerà a suonare e a celebrare le gesta dei Gondolindrim.

                                                                                        ...

Le fresche gocce che ti scorrono sul viso sono un sollievo. La nebbia che avvolgeva i tuoi occhi e la tua mente si dirada, permettendoti di tornare lucido. Il marmo della Fonte e delle strade è ruvido sotto di te, e ti lascia ritrovare il contatto con la realtà.

La forza torna ad attraversarti il corpo, scorrendo lenta ma costante. È poca – sei stanco, e debole – ma sufficiente a rimetterti in piedi. Le tue gambe tremano appena per lo sforzo di recuperare l'equilibrio.

Per quanto tempo sei stato incosciente?

Non importa. Ora sei di nuovo pronto.

Il braccio sinistro pulsa dolorosamente, e non trovi più il tuo scudo. Da questo punto di vista, sei senza protezione. Con la coscienza è tornato anche il dolore dei tagli, e ti pare che la tua testa sia sul punto di esplodere.

Cerchi di ignorare tali sensazioni, concentrandoti su Gothmog davanti a te. Il Balrog ruggisce, la sua frusta sibila disegnando scie di scintille, come un nastro di fiamma.

Nonostante tu sappia che le probabilità di vincere sono troppo scarse, gli corri incontro, sfidandolo. Ti muovi rapido, leggero, e cerchi un punto debole in quell'enorme bestia coperta di fuoco. Riesci a colpirlo alcune volte, ed esulti quando senti i suoi grugniti di dolore. Pensi quasi che alla fine vincerai.

Ma lui sembra instancabile, e la sua frusta continua a sfiorarti pericolosamente. Ti sfugge un gemito quando il calore ustionante ti raggiunge il braccio ferito. I tuoi colpi iniziano a farsi meno precisi, la sua figura più sfuocata. Ti senti come se dovessi crollare da un momento all'altro.

E capisci che la tua speranza nella vittoria è solo un'illusione, che non riuscirai mai a sconfiggerlo.

A meno che tu non trovi il modo di sconfiggerlo con un unico colpo.

Un'idea prende velocemente strada nella tua mente. Raccogli tutte le tue forze e ti lanci su di lui, quasi sorprendendoti quando cade sotto di te.

Le acque della Fonte vi accolgono. Non hai neanche il tempo di prendere un respiro, ma non ti importa. Vuoi solo vincere, vuoi che l'esistenza di Gothmog smetta di contaminare Arda.

Quando ci riesci, ti senti soddisfatto.

Ma la soddisfazione non dura. Continui ad affondare, l'aria ti manca sempre di più, ma non hai la forza di risalire. E capisci quanto crudele sia lo scherzo che la sorte ti ha destinato, eppure ti sorprendi a pensare che nonostante tutto è bello morire qui, protetto dall'acqua.

Dolce sarà il tuo sonno, Ecthelion figlio di Lalwen[3].

Ma un giorno la Fonte tornerà a zampillare gioiosa.

                                                                                                   ...

Pensavi che nonostante tutto ti saresti salvato.

Sei sopravvissuto alla battaglia tra le mura di Gondolin, sei riuscito a fuggire. Ma non andrai più avanti di così.

Saranno gli altri a salvarsi, ad andarsene. Non tu.

Mentre guardi gli altri superstiti – coloro con cui forse in futuro avresti ricordato questo giorno funesto, i bambini che avresti osservato crescere e gli adulti ai cui figli avresti raccontato di Gondolin – fuggire verso la salvezza, rimani lì, fronteggiando l'ennesimo demone, l'ennesima trappola di Morgoth.

Non ti curi della stanchezza, del sangue che ti gocciola da un graffio alla testa andandosi a perdere in delicate gocce rosse nella ragnatela d'oro dei tuoi capelli, del baratro che ti attenderebbe in caso tu facessi solo un passo falso. Ti importa solo di lui, di quello che sarà il tuo uccisore o la tua vittima.

Senti di odiare lui e tutti gli orrori di Angband. Ricordi tutti i morti che ti sei lasciato alle spalle quando sei uscito dalle mura. Tra quei cadaveri c'erano donne e bambini, c'erano molti valorosi che conoscevi e rispettavi, c'erano persone che non avrebbero mai dovuto conoscere la guerra, o che erano già state troppo segnate da essa per riviverla.

Desideri vendicare tutti quei morti, ma sai che non puoi. Ma puoi invece salvare i vivi.

La tua spada e la sua frusta si intrecciano, incrociandosi, i colpi che sferrate vengono schivati o vanno a segno, e nessuno dei due riesce a vincere sull'altro. Ti senti esasperato dallo stallo, ma non puoi fare altro.

Controlli la furia, continui a lottare. I ricordi dei giorni felici in Gondolin, con le persone a te più care – ora la maggior parte di loro è morta – continuano a scorrerti nella mente, donandoti un motivo per aumentare la forza nei tuoi movimenti.

Ma poi la furia della battaglia si accresce, e non riesci a trovare uno spiraglio che ti permetta la vittoria. Senti le sferzate ustionanti della sua arma sul tuo corpo, ma non permetti al dolore di sconvolgerti, nemmeno per un istante.

Non ti accorgi di essere troppo vicino all'orlo del baratro quando lo attacchi, trafiggendolo, e lo guardi crollare. Ti accorgi che entrambi state cadendo solo quando senti l'aria sibilare veloce intorno a te.

Consapevole che il tuo tempo sta finendo, continui a menare colpi, mentre le sue fiamme iniziano ad avvolgerti, e il dolore bruciante, indescrivibile, con loro. Ma tu non gridi, non ti agiti, puoi solo sperare che il tuo sacrificio sia utile.

Poi arrivano il gelo, il buio, il nulla. Ma non sarà per sempre.

Dolce sarà il tuo sonno, Glorfindel figlio di Findis[3].

Ma un giorno il Fiore Dorato tornerà a sbocciare.

                                                                                                ...

Ulmo ti aveva avvertito. Eri stato avvisato che un giorno sarebbe accaduto.

Eppure tu continui a essere quasi incredulo.

La tua Gondolin. La tua dimora, il luogo in cui forse la tua vita è stata più felice, se si esclude Tirion, e quello a cui il tuo cuore è più legato.

Ora è caduta, persa per sempre. Così tanti uomini coraggiosi hanno perso la vita per difenderla, così tante donne e così tanti bambini vi sono morti, uccisi da malvagi esseri senza cuore. E i Valar non faranno nulla per aiutarvi.

E anche tu morirai, lo sai.

Vorresti che se ne andassero tutti. I tuoi sudditi. La tua famiglia. I tuoi uomini, che radunati intorno alla tua alta prigione – un carcere in cui ti sei chiuso da solo, intenzionato a non fuggire – tentano ancora di difenderti, morendo inutilmente.

Rimarrai qui. Non risponderai alle suppliche della tua gente. Non è compito tuo guidarli.

Sapevi che sarebbe finita così, e perciò sai già quale sarà il tuo destino. E, proprio per questo, non temi la morte.

Se Gondolin deve cadere, perirai con lei.

Ma questo non significa che Morgoth vincerà. Altri combatteranno ancora, altri verseranno il loro sangue perché i sopravvissuti possano vivere felici in una terra libera dal male.

Senti la rabbia per la morte che la rovina della tua città ha portato con sé, l'amarezza nel pensare che la fine – la tua e quella di troppe persone – è dovuta a colui che hai cresciuto come un figlio e in cui, fino a qualche tempo fa, riuscivi a rivedere tua sorella, ma in fondo al tuo animo c'è solo una tranquilla pace.

Tuo padre, i tuoi fratelli e la tua sposa ti attendono, là a Mandos, ma la tua stirpe non si spezzerà. In qualche modo sai che Idril, la tua piccola Idril, ora è salva, Tuor, l'uomo di cui più ti fidi, è con lei, e insieme a loro il bambino che è la speranza degli Eldar e degli Edain. Puoi affidare a loro la salvezza del tuo popolo, e andartene senza rimpianti.

Ed è allora, mentre colpisci il suolo, che smetti di pensare.

Dolce sarà il tuo sonno, Turgon figlio di Fingolfin.

Ma un giorno il Re tornerà, tornerete tutti, e sarete felici.

                                                                                                   ...

Ti malediranno nei secoli. Ti chiameranno assassino, traditore.

Non ti importa.

Loro non sanno.

C'è il bagliore della collera, negli occhi di Tuor – l'uomo che è riuscito a portarti via più di quanto non ti fosse già stato strappato. I suoi colpi sono furiosi ma precisi, alcuni sono già andati a segno. Il tuo braccio, nel punto in cui la sua spada è penetrata, sanguina e ti fa male, ma più che altro è il fuoco della rabbia nella tua anima a bruciare.

Non avrebbe dovuto ostacolarti. Non di nuovo.

Oltre all'ira, i suoi occhi contengono il disprezzo, ora non più celato, come quello che hai visto nello sguardo di colei che bramavi, e che lui ti ha tolto. Ma lui non sa. Nessuno, tra questo popolo lucente e spietato, sa.

Loro se ne stavano tranquilli nelle loro case, senza conoscere il tuo sangue che colava sulla pietra di Angband ogni volta che il ferro del Signore Oscuro si abbatteva sul tuo corpo[4], la paura che hai provato durante la prigionia, il modo in cui l'oscurità di quel luogo amplificava quella del tuo cuore, portandolo più vicino a una pazzia cui il dolore ti aveva già destinato. Senza conoscere il sollievo che ti ha riempito quando quello che avrebbe potuto essere il tuo assassino ti ha dato l'occasione di vendicarti e spazzare via questo dolore, di estrarre le spine che erano state conficcate nel profondo del tuo essere.

La tortura è stata solo l'ennesima spina, ma anche la meno dolorosa. Perché il motore sono stati loro, che hanno permesso a tua madre di morire per una legge che in seguito non è stata più rispettata[5]. Sono stati loro, che pur accettando la tua presenza non ti hanno mai amato, seguendoti con diffidenza come se aspettassero da un momento all'altro che tu permettessi al buio della tua anima di prendere il sopravvento e distruggerli - come sta succedendo ora.

Non possono sapere quanto tremende fossero le ferite che queste spine ti infliggevano al cuore facendogli piangere sangue e buio.

Ma la spina che ti ha trafitto era quella del fiore più bello di tutti.

Amavi Idril, la desideravi come se dalla sua luce dipendesse la tua vita, e volevi solo vedere nei suoi occhi lo stesso amore che sentivi. Invece percepivi in lei paura e sospetto, e mentre nel tuo sguardo l'amore si mutava in ossessione nel suo si aggiungeva lento il dispregio.

Hai pregato per trovare pace attraverso di lei, aspettando, soffrendo, impazzendo.

E invece è arrivato lui, e tutto è crollato.

La gente di Gondolin non conosce le tue grida interiori mentre la disperazione, la rabbia e l'odio ti prendevano, non conosce le tue lacrime nascoste quando hai visto che lui nel cuore di Idril aveva preso il posto che sarebbe dovuto essere tuo.

E ora, avresti potuto vincere. Avresti potuto finalmente ottenere ciò che ti spettava.

Ma ancora una volta, Tuor ha rovinato tutto.

L'oscurità ti avvolge e ti porta verso la fine, mentre le ultime parole di tuo padre riecheggiano nella tua mente. Era una profezia, ora te ne rendi conto, e si è avverata.

Amara sarà la tua caduta, Maeglin figlio di Eöl.

Ma nessuno di loro potrà mai veramente capire.

 

 

 

 

 

 

Note dell'autrice

Nonostante generalmente preferisca usare i nomi Quenya, in questo racconto ho usato unicamente i nomi Sindarin. Questa storia è un mio personale omaggio a quello che considero il più bel racconto che Tolkien abbia mai scritto, e per questo ho preferito usare la lingua utilizzata nei libri.  Tuttavia, ho lasciato il Quenya nel titolo per motivi di preferenza personale.

[1]: dal momento che Tuor, Egalmoth e Galdor sopravvivono alla caduta di Gondolin, avevo bisogno di alcuni sostituti. Ilmion, Galadloth e Aeglas sono stati inventati a questo scopo. Mi dispiace per loro, ma ho dovuto.

[2]: in alcune edizioni dei Racconti Perduti (inclusa la mia) "House of the Heavenly Arc" viene tradotto con "Casa dell'Arcobaleno"

[3]: Findis e Lalwen (o Irime, in Quenya) sono le due figlie di Indis e Finwe, che non compaiono nel Silmarillion. Secondo un mio personale headcanon, sono rispettivamente le madri di Glorfindel e Ecthelion (il che li renderebbe cugini e parte della casa di Finwe, e spiegherebbe i capelli biondi di Glorfindel). Ho pensato di includere questa mia teoria nel racconto.

[4]: dal Silmarillion non si comprende bene - secondo me, poi magari sbaglio io - se Maeglin dopo essere stato portato in Angband sia stato torturato o solo minacciato, ma io propendo per la prima ipotesi. O almeno, conoscendo Morgoth, è probabile.

[5]: dopo essere stati a Gondolin, a Hurin e Huor fu permesso di lasciare la città. Questo viene detto essere uno dei motivi per cui Maeglin non li prende troppo in simpatia (oltre al fatto che sono Uomini, ovviamente), perché Aredhel era morta a causa del rifiuto di Turgon di permettere a Eol di tornare a Nan Elmoth.

Il concetto della "spina" nell'ultimo paragrafo è un omaggio a "Thorn" dei Blind Guardian, sebbene non abbia fatto citazioni dirette dalla canzone.

Alla fine non ho ripreso il tema delle Dodici Case, per concludere in maniera - a parer mio - più efficace.

 

   
 
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