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Autore: NIKELMANN    02/07/2020    0 recensioni
Vivi in un universo dove un pazzo con una cabina si oppone a uomini malvagi. Dove a causa sua, i mostri hanno paura di uscire da sotto al letto. Dove è più importante la grandezza del tuo cuore, che la potenza del tuo fucile. Ma non tutti gli universi sono così fortunati. Contempla adesso un universo dove la malvagità ha la strada spianata, dove i mostri invadono le strade e chiediti dove, se un posto esiste, in questo universo si possa trovare la speranza. Queste sono le cronache di mondi oscuri e dimenticati, eppure sappi che sono le cronache di un universo giusto: the Right World!
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Charan-jeni si stava dirigendo in cambusa con la ciotola ancora quasi piena di zuppa. La preoccupava molto: quando un uomo è l’unica speranza che hai di poter salvare gli ultimi della tua specie, assicurarti che non muoia di fame è una priorità.

«Ancora non mangia?»

Charan sussultò appena alla voce, immersa com’era nei propri pensieri. Kalilla la fissava, seduta in modo scomposto e quasi volgare sul sedile di un’auto che usavano come poltrona. Kalilla era stata una ragazza bellissima, dal fisico atletico e asciutto e lunghi capelli scuri con riflessi violacei che spiccavano sulla sua pelle ambrata. Anche adesso, la sua bellezza era tanto forte da superare i segni della guerra, la cicatrice che le attraversava il volto da dove una volta c’era un occhio fino al labbro superiore e il moncherino al posto della mano sinistra. Charan rispose alla domanda scuotendo la testa. Kalilla sospirò e allungò la mano sana facendo un gesto, per indicare che avrebbe volentieri mangiato lei la brodaglia. Ormai ci facevano quasi affidamento. Appoggiò la ciotola nell’incavo del ginocchio, la gamba destra accavallata sopra la sinistra, rimbeccando tra un boccone e l’altro

«Sei sicura che ci possa aiutare? Non mi piace giudicare dalle apparenze, ma non mi sembra proprio un grande guerriero!»
Charan esitò. Non le piaceva parlare. Non le piaceva quasi più nulla, in realtà. Le radiazioni delle armi Dalek avevano devastato Rea, il suo pianeta. Lei amava stare a contatto con la natura, fare servizi fotografici sulle specie animali che stavano ripopolando le aree verdi, ora campi di cenere. Godersi la luce rifratta dalla Luna Minore quando passava davanti al Sole e creava giochi di iride nel cielo, prima che questo venisse oscurato dalle flotte Dalek. E le piaceva cantare.

Charan annuì abbassando lo sguardo. Lo alzò per vedere la reazione della compagna di sventura, che era decisamente scettica. Così si fece coraggio e portò il dispositivo alla propria gola

«LUI LI HA GIÀ AFFRONTATI. IL DOTTORE HA SCONFITTO I DALEK E LO PUÒ FARE ANCORA.»

Fu colta da uno spasmo al ventre mentre parlava: era semplice paura. Quella voce metallica, artificiale e così disumana. La voce di un Dalek. Ora anche la sua voce.

Una scheggia di metallo vagante le aveva lacerato la gola, mancando la carotide di pochissimo. È stato il Dottore a trovarla e a salvarle la vita, mentre lei lottava per riuscire a respirare senza riempirsi i polmoni del proprio sangue. Non sapeva bene come avesse fatto, si era trascinato verso di lei e aveva allungato una mano sulla sua ferita. Lei entrava e usciva dalla incoscienza, ricordava solo calore e luce. Poi il suo impulso ormonale era entrato in azione e in quel momento di forza si è trovata a sollevare di peso il dottore e scappare con lui. L’aveva sorpreso. Su Rea lo sanno tutti, ma l’impulso ormonale non è una cosa comune al resto della vita nell’universo. Quando un reano è in punto di morte, un organo apposta inonda il flusso sanguigno di ormoni che lo spingono a reagire. Anche un forte shock emotivo può causarlo. A lei era successo prima solo quando suo padre era morto. Non senti più il dolore, la fatica, diventi molto più forte e veloce, ma è difficile restare lucidi, solitamente si agisce di istinto. Non saprebbe dire quanto aveva corso portando in braccio il dottore. L’avrebbe potuto stabilire se fosse stata familiare con il luogo, ma conosceva Zanthar, la città in cui si era rifugiata con altre centinaia di profughi, solo dalle cartoline del Museo del Vascello, ora purtroppo raso al suolo. Quando si era ripresa si trovava in un posto completamente diverso e completamente simile a quello che avevano lasciato: rovine. Aveva abbassato lo sguardo sul dottore e aveva gridato di orrore. O meglio, aveva cercato di gridare, ma era uscito solo uno strano verso gutturale dalla sua bocca. Si trovò a fare mente locale della situazione, mentre i ricordi dell’esperienza quasi mortale le tornavano a poco a poco: il danno alla gola l’aveva resa muta e l’uomo che aveva trascinato in salvo era probabilmente morto di dissanguamento. L’esplosione che a lei era costata la voce a lui doveva essere costata molto di più: aveva perso entrambe le gambe, troncato all’altezza della vita. Era incredibile che fosse riuscito a salvarla in quelle condizioni. I suoi pensieri vennero però interrotti da uno spostamento d’aria, accompagnato dal fruscio di un reattore Dalek. Si rannicchiò in mezzo alle macerie e spalancò gli occhi, cercando di individuarlo nel buio della notte, aiutata solo dalla luce della Luna Maggiore.

Le sue pupille non si adattavano bene al buio, ma cercava di pazientare il tempo che serviva per riuscire a distinguere i contorni delle macerie. Non ci volle molto, ma non riusciva a vedere il Dalek che era sicura di avere sentito. Finché non lo sentì vicinissimo a lei, separata solo da un mucchio di mattoni rotti

«USCITE ALLO SCOPERTO! VOI DOVETE ESSERE STERMINATI! STERMINATI!»

Si ritrasse all’indietro, allontanandosi. Era sicura che avrebbe urlato se avesse ancora potuto farlo. Sentiva il Dalek avanzare. Si mise a sedere dietro un cubo in granito, forse il piedistallo di una statua, non poteva esserne sicura. Il Dalek avanzava, avanzava. Era quasi passato oltre, ma poi si fermò. Quando lo vide ruotare lo sguardo nella sua direzione, si appiattì. L’aveva vista? No, o sarebbe già morta. Improvvisamente capì: era il suo respiro. Anche se non poteva parlare, il suo respiro affannoso stava tradendo la sua posizione. Qualcosa le coprì improvvisamente la bocca: era l’uomo che aveva portato con sé, si era trascinato verso di lei e le aveva tappato la bocca. Era ancora vivo?! Com’era possibile?! Lo guardò sul volto, anche questo segnato dall’esplosione. Teneva il dito indice posto sopra la bocca, invitando al silenzio. Lei annuì freneticamente e gli scostò delicatamente la mano, costringendosi a rallentare il respiro.

Era strano, però. Possibile che il Dalek non li vedesse? Che i suoi sensori fossero stati danneggiati durante la giornata di combattimenti? Poteva osare sperare che riprendesse il volo? No. Con somma disperazione di Charan, lentamente il Dalek si avvicinò verso di loro, come se potesse vederli.

«STERMINARE! STERMINARE!»

Si riferiva a loro? Era impossibile dirlo. In tutte le cose in cui erano superiori ai reani, come armamenti e numero, la varietà di vocabolario non era tra queste. Forse era un invito a uscire per farsi ammazzare meglio, rivolto a caso tra chi si potesse nascondere tra le macerie e non proprio a loro. Che cosa poteva fare? Se avesse corso sarebbe stata solo un altro bersaglio. Non aveva modo di combattere e sicuramente non era il suo territorio. Sentiva una tale paura che era sicura che sarebbe andata di nuovo in impulso ormonale, se non ne avesse avuto uno poco tempo prima. Istintivamente fece l’unica cosa che poteva fare: abbassò la mano e strinse quella del dottore, che ricambiò con una stretta decisa, che faceva del suo meglio per essere di conforto. Poi un piccolo rumore sordo e SBAAANG! Una fiammata illuminò la notte: una granata esplosa contro al Dalek! Qualcuno lo stava combattendo!

Il Dalek si girò come se non fosse successo nulla, ma le sporadiche scintille che sprizzavano dal lato sinistro della grata sotto la testa illuminavano uno squarcio. Le parve di vedere qualcosa di viscido muoversi al suo interno, ma poteva essere uno scherzo delle ombre.

«ATTACCO NEMICO! ATTACCO NEMICO! STERMINARE! STERMINARE!!!»

«Ma stai zitto!» una voce femminile rispose dalle tenebre. Il Dalek parve capire la direzione e sparò verso l’alto. Una silhouette saltò giù dal pezzo di tetto su cui si nascondeva, rotolando a terra per assorbire la caduta, brandendo… un gavettone? Sì, era un palloncino pieno di liquido, che scagliò verso al Dalek. Quest’ultimo si prese un secondo per rispondere

«IL TUO ATTACCO CORROSIVO È INEFFICACE! ANCHE AL NOSTRO STADIO NATURALE, L’ACIDO NON CI BRUCIA!»

«Ah, sì, è anche un acido…» la silhouette stava in guardia, pronta a schivare un nuovo attacco, che non si fece attendere. Mentre si lanciava all’indietro per schivare il laser, però, il Dalek prese a bruciare di un fuoco azzurro. Charan immaginava che la ragazza avrebbe continuato la sua smargiasseria spiegando che è principalmente usato come combustibile per le auto, ma invece gridava di dolore tenendosi il volto. Le grida del Dalek erano però molto più terrificanti. Passò dal chiamare aiuto declamando di stare andando a fuoco a grida inconsulte che si spensero come un vecchio nastro magnetico. Non il suono di un essere vivente, non la morte di un essere vivente. Una macchina che si spegne.

Finalmente Charan si mosse dal proprio nascondiglio, correndo incontro alla ragazza per andare ad aiutarla, ma quella scappò via nella notte, senza vederla. Charan cercò di gridare per attirare l’attenzione. Naturalmente non emise alcun suono. Improvvisamente la notte si fece ancora più buia: il terrore che aveva provato l’aveva riempita di nuovo di energie, ma attingendo a risorse che non aveva. Si inginocchiò puntando i palmi delle mani a terra, cercando di sforzarsi di riprendere fiato, ma fu inutile e perse conoscenza.

Quando riprese i sensi era il chiarore dell’alba. Si rese immediatamente conto di dove si trovava e scattò carponi, guardando attorno per vedere se era sicuro.

«Oh. Ti sei svegliata.»

Era l’uomo che aveva salvato il giorno prima, incredibilmente ancora vivo. Anzi, si sarebbe detto che non avesse riposato quella notte, perché invece sembrava aver apportato diverse modifiche al Dalek distrutto nello scontro del giorno precedente: gli aveva asportato l’intera struttura superiore, dalle armi in giù, lasciando soltanto il tronco di cono irregolare coperto di semisfere. Inizialmente non comprese, ma mettendolo a fuoco si rese conto che la stava usando come una sedia a rotelle. L’uomo armeggiò all’interno del carro armato e si spostò fluidamente verso di lei, per poi porgerle la mano

«Vieni, alzati. Ti devo la vita, come ti chiami?»

Lei provò a rispondere, ma niente: aveva completamente perso l’uso della voce. Così accennò un sorriso triste e indicò la propria gola. L’uomo socchiuse gli occhi

«Certo, temevo in uno sviluppo del genere. Per fortuna ho potuto recuperare questo dal Dalek distrutto.»

Le porse un piccolo dispositivo saldato alla bell’è meglio che da quel momento sarebbe diventato la sua nuova voce. Seguendo il gesto dell’uomo lo appoggiò alla gola e provò nuovamente a parlare

«IOO SONO CHAAARAN-JAAANI»

Rabbrividì sentendo la voce di un Dalek invece della propria, ma qualcosa la stupì nello sguardo dell’uomo

«Hai detto Sarah Jane?!»

«CHARAN. CHARAN-JANI.» lo corresse. L’uomo scosse lentamente la testa

«Ma certo. Scusa, mi ricordi una mia vecchia amica» sorrise «Io sono il dottore»

Lei ci pensò un attimo, per poi riportare la macchinetta alla gola

«DOTTORE CHI?»

 
Il pezzo di Dalek non poteva volare a detta del dottore, ma aggrapparsi dietro e muoversi levitando a pochi centimetri dal terreno era meglio che camminare. Viaggiarono insieme per giorni, muovendosi principalmente di notte. Trovarono Kalilla quando aveva perso la mano e temevano che fosse già morta, ma le cure del dottore riuscirono a stabilizzarla. Quando si riprese scoprirono che era lei la figura che li aveva salvati qualche notte prima. Kalilla faceva parte di una cellula di resistenza formatasi tra i civili, Rea non aveva guerre da secoli e c’erano pochi soldati veri e propri. La sua cellula era stata annientata, ma il loro covo era rimasto segreto e si erano trasferiti lì. Kalilla si era ammalata per l’infezione, ma aveva risposto molto bene agli antibiotici che avevano trovato tra le poche scorte di medicinali. Quando si fu completamente ripresa cominciò a girare di notte a cercare altri superstiti, mentre il dottore si era chiuso in una stanza a lavorare a qualcosa. Dopo qualche giorno aveva trovato una coppia di ragazzini che si erano chiusi in uno scantinato e li aveva portati con sé al rifugio. Quello che non riusciva mai a trovare erano provviste e Charan temeva che sarebbero bastate per un mese scarso.

La vera novità era arrivata quando Kalilla aveva trovato un comunicatore radio. Dal momento che non dipendeva dai satelliti, avrebbero potuto trasmettere qualcosa, chiamare aiuto, ma non volevano essere rintracciati dai Dalek. Il dottore era stato molto chiaro: i Dalek sono molto, molto intelligenti e sarebbero stati in grado di comprendere qualsiasi codice. Quello che non capivano, si rese conto Charan dalle sue conversazioni con il dottore, erano le emozioni e questo le aveva dato un’idea. Aveva cominciato a trasmettere musica, prendendo dalle canzoni sul proprio telefonino. Aveva creato una lunga playlist che avrebbe comunicato un messaggio semplice: aiuto. Così mandava in onda una canzone che parlava di un amore finito, seguita da una sulla celebrazione della diversità. Silenzio. Una canzone che parlava di una ragazza conosciuta durante l’infanzia e ora persa di vista, una canzone che parlava di morte. Silenzio. E così via. Triste allegra, triste triste. Punto linea, punto punto: A, I. Certo era un modo molto lungo di comunicare, ma avevano tempo.
   
 
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