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Autore: Atomo    14/08/2009    3 recensioni
...e quando tutto ebbe termine nessuna carezza, nessuna pietà e nessun pentimento. Non c'è speranza per chi ha abbandonato se stesso.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una sensazione spiacevole quella che mi correva lungo il braccio.

Era come essere toccati da qualcosa di viscido.

Era come avere il braccio immerso nelle scure e putride acque dello Stige.

Avrei voluto essere ovunque tranne che lì.

Provavo disgusto verso la mia debolezza, verso quel lato del mio carattere che mi portava a voler sempre accontentare gli altri, verso colui che ne aveva tratto vantaggio, verso quel preciso momento, verso quella precisa sensazione di sporco che piano piano entrava a far parte di me. Mi sentivo usata, usata e sporca. Debole e insudiciata da quella mano che mi accarezzava lasciva il braccio.

Non mi vendevo; non lo avrei mai fatto nonostante il mio amor proprio fosse più volte finito calpestato e ignorato. Non lo avrei fatto perché, in fondo, il mio orgoglio me lo avrebbe impedito. Non lo avrei fatto perché mi sarei disprezzata più di quanto non stessi facendo in quel momento. C'erano attimi, però, in cui accontentare gli altri era come vendersi, come pagare per il tempo che loro erano disposti a passare con me. Erano attimi orrendi di un'esistenza pateticamente vuota; desolatamente attaccata a quei pochi frammenti di vita che rubavo agli altri.

Con deliberata lentezza scostai il braccio senza fare gesti bruschi, sapevo quanto poteva essere forte la stretta di quella mano, sapevo che avrebbe potuto impedirmi di allontanarmi se avesse voluto e non era la sua rabbia ciò che volevo affrontare. Alzai lo sguardo fino ad incontrare i suoi occhi, occhi che un tempo amavo, veneravo quasi. Occhi magnetici, dolci, cattivi...dispotici. Scelsi le parole con accuratezza evitando ciò che avrebbe potuto irritarlo o offenderlo. Le pronunciai con voce bassa e calcolata senza inclinazioni particolari.

Per un attimo mi cullai nella vana gloria di una vittoria senza perdite, senza compromessi e senza discussioni. Capii di aver sbagliato qualcosa quando rialzai lo sguardo, involontariamente abbassato, sul suo viso. La fitta al braccio mi colse impreparata. Un dolore pungente, penetrante, che aveva il sapore della sconfitta e dell'abuso. Lo vidi sorridere compiaciuto nel momento in cui sobbalzai. Un sorriso sghembo che metteva in risalto quel suo aspetto da ragazzo ribelle.

Se avessi potuto mi sarei messa a piangere.

Sentii il sapore amaro della bile raggiungere la bocca e provai forte l'impulso di strattonare il braccio, di gridare, di lasciarmi andare alla frenesia isterica che provavo. Volevo piangere e ridere e piangere ancora. Fino allo sfinimento, fino ad esserne stordita, fino a non avere più voce né lacrime...fino alla fine.

Non volevo quel frammento di vita. Mi lacerava l'anima.

Pregai che finisse in fretta. E come ogni preghiera che rivolgevo a quel nulla che i cristiani chiamano Dio i miei desideri risuonarono vuoti in quel nulla che chiamavo inferno. E giacquero rotti sul pavimento sporco delle speranze infrante...

Fu come ricadere nel baratro della disperazione, anche se forse non ne ero mai uscita veramente. La mia esistenza correva su di un sottile filo di seta logorato e consunto dal trascorrere implacabile della vita.

E nel delirio del dolore e della desolazione tremai quando sentii la fredda lama della lucidità fendere l'irreale sensazione di quiete che mi aveva pervasa rigettandomi tra le braccia di un'agonia violenta e distruttiva. Fui cullata dal dolore e dall'angoscia fino allo stordimento e quando tutto ebbe termine nessuna carezza, nessuna pietà e nessun pentimento.

Non c'è speranza per chi ha abbandonato se stesso.

  
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