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Autore: Kim WinterNight    04/07/2020    7 recensioni
Martin fissa lo schermo del computer in preda allo sconforto. Si prende la testa tra le mani e sospira, mentre un moto di rabbia si fa largo nel suo petto. [...]
«Ciao Martin, sono Savannah Matthews, la madre di Sean. Credevo che tu fossi l’istruttore giusto per mio figlio, era sempre felice di andare in piscina. L’altro giorno però ti ho visto baciare un uomo al parco, ed era anche cieco! Ci sono rimasta davvero male, non pensavo fossi così, mi hai molto deluso. Non permetterò che mio figlio continui a frequentare le tue lezioni, non voglio che diventi come te! Non ho niente contro quelli così, ma dovrebbero farvi curare prima di permettervi di fare un lavoro come questo, a contatto con i bambini innocenti! Spero non me ne vorrai, sono sicura che capirai le preoccupazioni di una madre e non te la prenderai.»
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Martin&Joe'
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Just to be who I am






Martin fissa lo schermo del computer in preda allo sconforto. Si prende la testa tra le mani e sospira, mentre un moto di rabbia si fa largo nel suo petto.
Non riesce a credere a quello che ha appena letto e si sente completamente disorientato e confuso; vorrebbe che Joe fosse con lui, ma il suo ragazzo è impegnato come insegnante al corso di braille e non rientrerà prima di un paio d’ore.
Non sa come comportarsi, non riesce a credere che Sean Matthews non sarà più un suo allievo in piscina. Quel ragazzino di undici anni è davvero bravo, insegnargli l’arte del nuoto è sempre stato un vero piacere.
Martin lascia scorrere gli occhi sulle parole che la madre di Sean gli ha scritto in un messaggio privato su facebook e il cuore gli si frantuma per l’ennesima volta.

Ciao Martin, sono Savannah Matthews, la madre di Sean. Credevo che tu fossi l’istruttore giusto per mio figlio, era sempre felice di andare in piscina. L’altro giorno però ti ho visto baciare un uomo al parco, ed era anche cieco! Ci sono rimasta davvero male, non pensavo fossi così, mi hai molto deluso. Non permetterò che mio figlio continui a frequentare le tue lezioni, non voglio che diventi come te! Non ho niente contro quelli così, ma dovrebbero farvi curare prima di permettervi di fare un lavoro come questo, a contatto con i bambini innocenti! Spero non me ne vorrai, sono sicura che capirai le preoccupazioni di una madre e non te la prenderai.

Martin si alza, è stravolto dalla rabbia. Vorrebbe spaccare tutto quello che ha intorno, ma poi si ricorda che non può incasinare l’appartamento e disorientare Joe.
Crolla sul divano e lancia un grido di frustrazione, mentre gli occhi pizzicano e la stanza gli vortica attorno. Cerca di calmarsi, non vuole perdere completamente il controllo; posa lo sguardo sul tavolo tondo su cui ha abbandonato il portatile e sorride appena: quando lui e Joe l’hanno scelto, si sono detti che fosse meglio evitare di comprarne uno rettangolare o quadrato, almeno Joe non avrebbe avuto problemi con gli spigoli.
Poi sposta gli occhi sulle pareti tappezzate di fotografie, qualche quadro e alcuni disegni fatti dai bambini che prendono lezioni da lui in piscina; gli si stringe lo stomaco nel riconoscere il lupo che Sean Matthews ha disegnato e gli ha regalato un paio di settimane prima, avverte l’impulso di strappare via tutto e deve fare leva su se stesso per evitarlo.
Si sfrega il volto con una mano e pensa di chiamare Joe, poi si ricorda che non può disturbarlo durante la lezione e ci rinuncia.
Scuote il capo, ma subito dopo il viso sereno e rassicurante di Ben si fa strada tra i suoi pensieri.
Recupera il cellulare dalla tasca della felpa e cerca in fretta il numero del suo vecchio amico: lui sicuramente sa cosa fare, l’ha sempre saputo.
Fa partire la telefonata e imposta il vivavoce, sistemandosi meglio sul divano in tessuto azzurro.
«Ehi, amico!» esordisce poco dopo Ben in tono allegro.
«Ehi… ti disturbo?»
«No, mi hai beccato in pausa, che tempismo!» esclama il ragazzo dai capelli rossi. «Ma cos’è quella voce? Che succede? Stai bene, vero? Joe sta bene?»
Martin sospira. «Stiamo bene, tranquillo. Solo… è successa una cosa.»
«Spara.»
Martin sente distintamente un accendino scattare all’altro capo del telefono, segno che Ben si è appena acceso una sigaretta. Si passa la mano tra i capelli e gli viene in mente che sia lui che Joe dovrebbero decisamente smettere di fumare.
Poi comincia a raccontare tutto all’amico, l’unica persona con cui si sia mai sentito libero di esprimersi senza imbarazzo. Ben lo conosce perfettamente, sa come prenderlo e cosa consigliargli.
Alla fine lo sente sbuffare attraverso il cellulare. «Che donna di merda, perché non si dà fuoco?»
«Io non ho fatto niente a Sean, cazzo. Io…»
«Martin, calmati. Non devi neanche pensare che sia colpa tua. È lei che ha dei problemi. Dovrebbero farvi curare prima di lasciarvi a contatto con i bambini innocenti… ma vaffanculo!» sbraita Ben.
«Come faccio a dirlo a Joe?» mormora Martin.
«Senti, amico: non devi permettere a questa gente di farti sentire in colpa per quello che sei, ne abbiamo già parlato tantissime volte. A Joe lo dici e basta, lui si accorgerà che c’è qualcosa che non va, non puoi mentirgli.»
Martin sorride lievemente. «Mi scoprirebbe subito» concorda.
«Se fossi in te spaccherei la faccia a quella donna solo perché ha detto che Joe è anche cieco! E allora?»
A Martin si appanna per un attimo la vista. Non riesce a sopportare di aver ricevuto un messaggio come quello, non può credere che al mondo esista ancora tanta gente con dei pregiudizi tanto ridicoli.
Ben sbuffa e si accende un’altra sigaretta. «Mi rimangono solo due minuti di pausa. Senti, non puoi prenderla a pugni, quindi non ti resta che fregartene. Certe persone non hanno ricevuto il cervello al momento della nascita.»
«Ha offeso Joe, non so se posso passarci sopra» ribatte Martin adirato.
«Se non ci fossero mille miglia a separarci, correrei lì e affronterei con te quell’essere immondo. Povero suo figlio, spero che la mandi al diavolo molto presto!» Ben fa una pausa e scoppia a ridere. «Ti immagini se Sean scoprisse di essere gay? Sarebbe stupendo, le spezzerebbe il cuore! Ah no, aspetta… dimenticavo che non ha un cuore!»
L’allegria del suo amico contagia anche lui, così Martin scoppia a ridere a sua volta. «Giusto, e sarebbe capace di incolpare me se suo figlio si ammalasse» ironizza con amarezza.
«Senti, lasciala perdere. Che si fotta. Tu continua per la tua strada, che cazzo te ne frega? Tu non fai niente di male. Pensa soltanto a te e Joe, chiaro?»
«Quanto amo i tuoi consigli!» ammette Martin, senza riuscire a smettere di sorridere.
«Ti voglio bene, amico. Ehi, appena possibile, vi aspetto qui da me. Mi mancate.»
«Costringerò Joe a venire a trovarti!»
Ben ridacchia. «Devo andare, ragazzone. Ehi, calmati e lascia fuori i pensieri negativi, intesi? Salutami tanto Joe.»
«Certo. E tu saluta tutte le donne della tua famiglia, ti prometto che ci rivedremo presto!»
La telefonata si interrompe poco dopo e Martin si ritrova a sospirare affranto. Non vede l’ora che il suo compagno torni a casa, ha decisamente bisogno di un suo abbraccio.


«Ehi.»
Martin si sente chiamare in un sussurro. Lui e Joe sono immersi nell’oscurità, sdraiati uno accanto all’altro.
Nessuno dei due riesce a dormire, evidentemente entrambi hanno troppi pensieri per la testa.
Joe si mette su un fianco e lo abbraccia, poggiando il capo sul suo petto e intrecciando le dita alle sue. «Stai ancora pensando alla madre di Sean?»
Martin sospira pesantemente e lo stringe tra le braccia, per poi spostare le dita tra i suoi capelli lunghi e ricci. «Non riesco a farmene una ragione, sono incazzato nero.»
«Anch’io, però non puoi lasciarti rovinare la vita da certe cose. Te l’ha detto anche Bennie» replica Joe con calma.
«È più forte di me. Sean è un ragazzo davvero buono e capace nel nuoto, mi ci ero affezionato. Stavamo anche prendendo in considerazione l’idea di partecipare a qualche gara a livello agonistico, anche se lui era più propenso a diventare un bagnino o un istruttore come me.»
Joe gli lascia un piccolo bacio sul petto, attraverso la maglia del pigiama. «Mi dispiace tanto…»
«Non posso crederci. Quella donna sembrava così innocua…»
Joe ride sarcastico. «Tutte le persone lo sembrano, prima di mostrare il loro vero volto.»
Martin si stringe più forte al compagno e immerge il viso tra i suoi capelli. Inspira il suo odore così familiare, che sa di tabacco ed è allo stesso tempo così dolce e rassicurante.
Avverte le dita di Joe sulla schiena, si muovono lievi e lo tranquillizzano.
Sospira e gli lascia un bacio sulla guancia. «Proviamo a dormire» afferma.
Joe se lo trascina ancora più vicino e intreccia le gambe alle sue, rannicchiandosi contro il suo petto massiccio. «Solo se mi prometti che smetterai di preoccuparti. Altrimenti starò sveglio tutta la notte a farti il solletico finché non svieni!»
Martin ridacchia e gli mordicchia il lobo dell’orecchio. «Sai come convincermi a dormire anche se non voglio, eh?»
«Ah, e potrei anche costringerti a mangiare il burro di arachidi per una settimana» prosegue Joe.
Martin inorridisce e si sistema meglio nell’abbraccio. «Okay, hai vinto. Mi addormento subito.»
Joe raggiunge con movimenti cauti il suo viso e gli sfiora le labbra con le sue. «Buonanotte.»


Martin arriva di fronte alla piscina con qualche minuto di anticipo; ha approfittato della bella giornata per fare una passeggiata e recarsi al lavoro a piedi, ne aveva decisamente bisogno.
Quando arriva, però, nota qualcosa che non va: alcune persone parlottano nei pressi dell’ingresso, e non appena lo vedono gli lanciano occhiate ambigue.
Riconosce qualcuno, sono genitori di ragazzi e ragazze che segue in piscina da un bel po’.
Cercando di non lasciarsi mangiare dall’ansia, si accosta a loro e li saluta educatamente, regalandogli il sorriso più tranquillo che riesce a produrre.
Quando riconosce Savannah Matthews, tuttavia, le sue più grandi paure si concretizzano: la donna di mezza età, fasciata in abiti giovanili e aderenti, sta in testa al gruppetto di genitori e lo fissa con aria sprezzante.
«Perché non hai risposto al mio messaggio? Pensavo che bastasse per non farti più tornare nella nostra piscina, invece eccoti qui.»
«Signora Matthews, per favore… se non mi lascia entrare, arriverò in ritardo» cerca di farla desistere Martin.
Lei gli si piazza di fronte e lo fissa negli occhi. «Non ti vergogni? Andare in giro a baciare un altro maschio!»
«Savannah, dai, non esagerare…» si fa avanti un’altra madre, poggiandole una mano sulla spalla.
«No, la lasci continuare, sono curioso di scoprire quanto veleno può sputare in una sola volta» replica Martin, incrociando le braccia sul petto. sta cominciando a perdere la calma e questo non è un buon segno; deve ricordarsi che non può fare a pugni con una donna, passerebbe automaticamente dalla parte del torto.
«Mi fai schifo, lo sai? Io non so come si possano accettare certe cose contro natura!» ribatte piccata Savannah Matthews.
«Signora, è evidentemente che non ha idea di quello che dice.»
«Sì che lo so! Ero con mio figlio al parco, capite?» Si volta a rivolgere un cenno teatrale alle altre donne presenti. «Quando abbiamo visto questo qui con un altro uomo… erano avvinghiati, si baciavano su una panchina! Ho subito coperto gli occhi di Sean e l’ho portato via!»
«Hai fatto bene» interviene una donna sulla settantina, probabilmente la nonna di qualche bambino.
«Già, ha fatto bene. Almeno ha lasciato a me a al mio compagno un po’ di privacy» afferma Martin. Sente le mani tremare e le stringe forte attorno alle proprie braccia, deve controllarsi e non dare di matto.
«Non dovreste neanche uscire di casa!» esclama Savannah Matthews, puntandogli contro un dito.
«Invece sono qui, ha visto? E adesso levatevi dai piedi, devo andare a lavorare» conclude Martin, avanzando senza ripensamenti verso l’ingresso.
Le donne si fanno da parte per evitare di toccarlo, continuando a bisbigliare e borbottare tra loro, mentre la madre di Sean gli grida dietro: «Non è finita qui, pervertito!»
Martin reprime l’impulso di voltarsi e mollarle un pugno sui denti. Entra nell’atrio della piscina e si avvicina a salutare la segretaria che staziona dietro la sua postazione.
«Ciao Martin. Il capo ti vuole nel tuo ufficio, dice che è urgente» esordisce Melinda, rivolgendogli un sorriso triste.
Il ragazzo sbuffa e lascia cadere il borsone accanto al banco dell’accettazione, passandosi le mani tra i capelli. «Lo lascio qui, tanto non credo che ne avrò più bisogno.»
Detto questo, dà le spalle alla segretaria e imbocca uno stretto corridoio situato alla sinistra della porta d’ingresso, alla fine del quale trova la porta dell’ufficio del suo capo. È socchiusa, così bussa piano e la spinge, facendosi avanti.
Il proprietario della piscina solleva subito il capo e lo saluta con un cenno della mano. «Chiudi la porta e siediti» lo invita in tono pacato.
Martin obbedisce e si lascia cadere sulla sedia di fronte all’enorme scrivania ingombra di scartoffie; il puzzo di muffa e disinfettante che permea l’aria non fa che metterlo a disagio: quella stanza è un buco completamente zeppo di scaffali stracolmi di fogli e raccoglitori, la finestra è piccola e non viene aperta da anni.
«Veniamo subito al punto, Harris. Ho ricevuto molte lamentele da parte di alcune famiglie, madri di alcuni tuoi allievi.»
Martin solleva subito le mani in segno di resa. «Okay, avrei dovuto aspettarmelo. So già cosa sta per dirmi: le signore mi hanno braccato all’ingresso, mi hanno riempito di insulti e vorrebbero che mi nascondessi sotto terra per il resto della mia vita. Insieme al mio fidanzato, pervertito come me, e oltretutto non vedente!»
«Harris, per quanto io capisca la tua posizione, tu devi capire la mia: il tuo corso si è praticamente svuotato. Seguivi una decina di ragazzi, adesso ne sono rimasti due. Uno in realtà, perché gli Stokes non sanno se continuare a mandare la loro bambina in piscina, anche se i motivi sono altri e non hanno niente a che vedere con te.»
«Vuole licenziarmi, signore?» sputa Martin, sporgendosi in avanti. Sente che il mondo pian piano gli crolla addosso, già non sa come dire a Joe che è rimasto senza lavoro. Tutto questo è ingiusto, tremendamente sbagliato.
Improvvisamente tutti stanno cercando in tutti i modi di farlo sentire inadeguato, dipingendolo come un mostro deviato e immeritevole di rispetto.
«Non voglio licenziarti, non sono un idiota. So che sei bravo, Harris, e a me non me ne frega niente se ti piace succhiare i cazzi.»
Il capo è sempre stato così: schietto, diretto, senza peli sulla lingua. Martin sbatte le palpebre e gli viene quasi da ridere, il modo in cui l’uomo di fronte a lui ha parlato non lo ha fatto sentire umiliato. Forse perché è nero e sicuramente ha vissuto sulla propria pelle le discriminazione da parte dei bianchi perbene, però ha come l’impressione che David Duncan possa capirlo.
«Non prendertela, Harris, sai che dico sempre le cose come stanno. Solo che mi trovo costretto ad assegnare il tuo corso a qualcun altro, per evitare di perdere i clienti, sai com’è. Vorrei assegnarti le lezioni individuali degli over diciotto, e se vuoi una volta alla settimana c’è anche l’opportunità di seguire un gruppo di adulti.»
Martin scuote il capo e stringe i pugni. «No! Signor Duncan, si rende conto di cosa sta dicendo? Seguo quei ragazzini da quanto, quattro anni? Li ho visti crescere, mi hanno regalato dei disegni che ho appeso nel mio salotto! Dovrei lasciarli solo perché le loro madri sono bigotte e omofobe?» protesta. «Da lei non me lo sarei mai aspettato!» aggiunge, scattando in piedi.
Il capo lo imita e i due si fissano per un po’.
«Cosa dovrei fare allora? Hai un’idea migliore, Harris?»
«Lei dovrebbe capirmi! Quanto cazzo ha lottato per farsi rispettare e per farsi accettare da tutti i clienti bianchi e razzisti che frequentano questo posto?» sbraita Martin.
«Guarda che ti capisco, anche io ho dovuto abbassare la testa tante volte, ragazzo!»
«E le sembra giusto? Di Savannah Matthews ne è pieno il mondo, e lei trova corretto permettere a questa gente di rovinare la vita delle persone? Io non ho fatto niente di male! Quando sono fuori di qui, sono libero di uscire con il mio fidanzato, di andare al parco come fanno tutti, di…»
Duncan gli appoggia entrambe le mani sulle spalle e cerca di tranquillizzarlo. «Non ti sto buttando fuori a calci, Harris. Calmati. Io cerco di capire te, ma tu devi provare a capire me. Chiaro?»
«È assurdo!» grida Martin, scrollandosi le mani dell’uomo di dosso. Crolla nuovamente sulla sedia e si copre il viso, mentre il suo corpo continua imperterrito a tremare. Un singhiozzo sfugge al suo controllo e non gli importa se il suo capo lo sta osservando. Si sente completamente annientato, non sa più come comportarsi.
«Senti, ragazzo, pensaci.»
«Non c’è niente a cui pensare. Sa cosa le dico?» Solleva il capo e si strofina gli occhi pieni di lacrime. «Vada a farsi fottere. Io me ne vado.»
Si alza e, senza dargli il tempo di replicare, esce come una furia da quello schifoso stanzino puzzolente.
Torna accanto al bancone e afferra il borsone, evitando accuratamente lo sguardo della segretaria.
Melinda cerca di parlargli, ma Martin corre fuori dalla struttura e non si ferma neanche a controllare se Savannah Matthews e le sue amichette sono ancora nei paraggi.
Cammina spedito, non si guarda intorno, non ha voglia di incontrare gli occhi dei passanti pronti a giudicarlo e umiliarlo.
Si dirige verso casa, è completamente stanco e svuotato. Non sa come affrontare Joe, non sa come fare per tirarsi fuori da quella situazione assurda.
Nel tragitto, però, un’idea si fa strada nella sua mente: suo padre sta lavorando in un cantiere che dista pochi isolati dalla piscina, forse potrebbe andarlo a trovare. Non dovrebbe disturbarlo al lavoro, ma si sente distrutto e stremato.
Raggiunge il momentaneo posto di lavoro di suo padre e si ferma ai piedi di un enorme palazzo in costruzione; si scherma gli occhi con la mano e lo intravede su un’impalcatura, intento a chiacchierare con i suoi colleghi e a lavorare sodo.
«Harry Harris, c’è tuo figlio di sotto!» strilla qualcuno.
Martin ha sempre pensato che i suoi nonni siano stati davvero crudeli a chiamare suo padre Harry: abbinato al cognome sembra quasi una presa in giro.
«Ciao!» grida il ragazzo.
«Trent, dammi cinque minuti: scendo a salutare mio figlio e torno!»
«E fumati una sigaretta anche da parte mia!» sghignazza qualcun altro, per poi tossire rumorosamente.
Martin aspetta suo padre in silenzio, sorridendo appena nell’ascoltare i discorsi tra gli uomini che lavorano al cantiere con lui. Tra battute sconce, bestemmie e battibecchi, sembrano davvero un’enorme famiglia.
«Ehi, ragazzo, non sei in piscina?» esordisce l’uomo, raggiungendolo e battendogli forte sulla spalla.
«No. È proprio di questo che vorrei parlarti. È successo un casino.»
«Andiamo a prenderci un caffè e mi dici in che guaio ti sei messo, va bene?»
Martin annuisce e segue il padre verso un bar poco distante.


«Che stronzate» commenta Harry, mentre camminano nuovamente verso il cantiere.
«E adesso come faccio?» sospira Martin.
«Mi dispiace davvero, però cazzo, lo sai che sarebbe stato difficile. Ma non puoi lasciargliela passare liscia, questo è certo! Sono fiero di te: hai fatto bene a mandarlo al diavolo!»
«Certo, ma adesso sono senza lavoro.»
Il padre si stringe nelle spalle e finisce di bere il caffè dal bicchiere di plastica. «Hai due alternative: ti trovi un’altra occupazione e dimentichi questi stronzi, oppure ti fai valere.»
Martin scuote il capo. «Non voglio abbandonare quei ragazzini.»
«Ne troverai altri con dei genitori più intelligenti.»
«Credi che se cambierò piscina non avrò di questi problemi? La gente ignorante la troverò ovunque» replica il più giovane amareggiato.
«Allora fatti valere.»
«Ho mandato il capo a farsi fottere, mi sono bruciato ogni possibilità.»
Harry sbuffa e gli batte sulla spalla. «Devo tornare al lavoro, se vuoi quando esco passo a trovarvi e ne parliamo.»
«Certo, ti aspetto. A Joe farà piacere.» Sorride e arrossisce appena.


«Tutto questo non ha senso, te ne rendi conto?» sbotta Martin, seduto al tavolo della cucina.
Joe, rientrato da poco dal corso di braille, si destreggia a tentoni accanto al piano cottura, intenzionato a preparargli una tisana. Martin ha provato a dissuaderlo, dicendogli che ci avrebbe pensato lui, ma il suo compagno l’ha costretto a stare seduto e di lasciare che si prenda cura di lui.
Tuttavia lo tiene d’occhio, non vuole che si bruci o si ferisca, ma non ha intenzione di intralciare la sua autonomia; è così dolce con lui, si sente ancora più furioso al pensiero che qualcuno possa trovare sbagliato il loro legame.
«Joe…» mormora, coprendosi il viso con le mani.
«Ehi.»
«Ti amo così tanto… perché devo sentirmi sbagliato per questo?» si lascia sfuggire, la voce rotta da quel pianto che sta trattenendo da troppo tempo ormai.
Poco dopo sente il compagno in piedi accanto a sé; si lascia abbracciare, appoggia la guancia sul suo ventre e si rilassa sotto il tocco lieve delle sue dita sottili.
«Ricordi cosa mi dici sempre?» gli dice Joe.
Martin solleva il capo e lascia che le mani dell’altro scorrano sulle sue guance ricoperte da una leggera barbetta. Joe lo tocca per averlo ancora più vicino, Martin sa che quello è il suo modo di guardargli dentro.
«Mi hai sempre detto che non dobbiamo vergognarci di essere noi stessi, che non devo mai pensare a noi come a una categoria a parte. Noi siamo come tutti gli altri, per questo abbiamo gli stessi diritti. Essere licenziato o declassato per motivi del genere è un’ingiustizia, sono d’accordo con tuo padre. Devi assolutamente farti valere. Io sarò sempre qui con te, anche se le mie possibilità sono poche e non so come potrò aiutarti davvero. Ma sono qui per te, perché tu per me ci sei sempre.»
Martin lo osserva: il viso delicato su cui piovono alcune ciocche di capelli ricci e castano chiaro, gli occhi vuoti che sembrano davvero vederlo, il corpo esile e le braccia pronte ad accoglierlo e stringerlo.
Si mette velocemente in piedi e lo abbraccia, premendolo contro di sé con disperazione e riconoscenza.
«Non devi lasciare che una signora Matthews qualsiasi ti rovini la vita» aggiunge Joe, tenendolo forte.
«Non so come farei senza di te» mormora Martin.
«Allora torna a sederti e lascia che ti prepari la tisana» lo punzecchia l’altro, scivolando con le mano lungo la sua schiena per poi mollargli una scherzosa pacca sul sedere.
Martin ridacchia e lo scosta delicatamente da sé. «Sì, allontanati, altrimenti potrei non rispondere delle mie azioni!»
Joe gli rivolge un sorriso malizioso e si dirige nuovamente verso il piano cottura; i suoi movimenti sono un po’ goffi, deve stare attento a evitare gli ostacoli nonostante conosca perfettamente l’ambiente che lo circonda. Eppure Martin lo trova sempre così sensuale e affascinante, così bello e attraente.
Torna a sedersi e continua a osservarlo, senza mai staccargli gli occhi di dosso. Non riuscirebbe a reprimere i suoi sentimenti per quel ragazzo neanche se lo volesse.


Martin si sveglia di soprassalto quando sente il suo cellulare squillare sul comodino; allarmato, crede che si tratti di Joe e il cuore gli martella all’impazzata.
Allunga il braccio e spalanca gli occhi, calmandosi immediatamente quando constata che non è il suo ragazzo a chiamarlo; legge Duncan sul display e l’agitazione si fa nuovamente strada in lui.
Per un istante prende in considerazione l’idea di ignorare la telefonata, poi si schiarisce la gola e la accetta. «Sì?»
«Harris, sono Duncan. Non chiudermi il telefono in faccia, altrimenti stavolta ti manderò io a farti fottere. Cristo, potrebbe anche piacerti…»
Martin, ancora intontito dal sonno, si lascia sfuggire una risata. «Non è incazzato con me?»
«Macché, sono altri i motivi per incazzarsi a questo mondo.»
«Per esempio?»
Duncan sospira. «Sono le dieci meno venti. Ce la fai a essere in piscina per le dieci?»
«Perché dovrei? Io non lavoro più per lei» replica Martin in tono piatto, trattenendo a stento uno sbadiglio. Lancia un’occhiata fuori dalla finestra e si accorge che il cielo è nuvoloso e che sta piovigginando. Sono piccole e sottili gocce tipiche del periodo autunnale, ma spera che Joe non abbia avuto problemi quando è dovuto uscire per recarsi al corso.
«Non è detto. Tra venti… anzi, diciannove minuti, voglio trovarti in piscina. Abbiamo una riunione importante. Ci conto, ragazzo.» Detto questo, Duncan riaggancia e lo lascia stupefatto.
Martin calcola brevemente il tempo che gli serve per prepararsi, e mentre si avvia verso il bagno invia un messaggio vocale a Joe. «Ehi Joe, Duncan mi ha convocato in piscina stamattina. Faccio in modo di venire a prenderti a mezzogiorno e mezza, sta piovendo» dice, poi abbandona il cellulare sul mobile degli asciugamani e apre il rubinetto.
Non sa cosa aspettarsi, ma non gli resta che buttarsi a capofitto: ormai non ha più niente da perdere. Sono passati ormai cinque giorni da quando ha avuto quell’accesa discussione con il suo capo, stava già pensando di lasciarsi tutto alle spalle e proseguire per la sua strada.
Eppure la vita sembra avere un’altra sorpresa per lui.


Quando giunge in piscina, è in ritardo di cinque minuti. Trova Duncan nell’atrio in compagnia di Savannah Matthews e alcune delle altre madri che hanno aderito alla sua stupida causa; comincia a pentirsi di essersi lasciato trascinare dal suo ex capo fin lì, ma ormai lo hanno visto e non ha intenzione di scappare. Non darà mai a quelle donne la soddisfazione di vederlo come un debole senza palle.
«Eccolo» esordisce Duncan, sorridendogli apertamente. Gli si accosta e gli batte sulla spalla. «Vieni, Harris, ti stavamo aspettando.»
«Vogliono insultarmi anche oggi?» sibila Martin tra i denti.
L’uomo stringe più forte la presa e lo sospinge verso il gruppetto di donne. «Le signore vorrebbero scusarsi con te» proclama.
«Che cosa?»
«Sì, Martin. Siamo qui per chiederti, ehm, scusa… il signor Duncan ci ha fatto ragionare» interviene Savannah Matthews, facendo un passo avanti.
«Ah sì? E come? Vi ha promesso un anno di lezioni gratis per i vostri figli o un corso gratuito per voi?» ironizza il ragazzo, incrociando le braccia sul petto.
«Harris» grugnisce Duncan a bassa voce.
«Non te la prendere così, dai…» tenta di rabbonirlo un’altra delle donne, la stessa che qualche giorno fa ha cercato di placare la furia della madre di Sean.
«Non dovrei prendermela? La sua amica le ha fatto leggere gli insulti che mi ha scritto su facebook?»
«Savannah ha esagerato, io non sono d’accordo. Mio nipote è… come te» esala la donna.
«Scusi, signora…»
«Juliet Morgan.»
«Signora Morgan, ecco. Io come sarei? Guardi che non sono altro che una persona come tutte quelle presenti qui dentro. Io non pretendo che voi capiate i miei gusti sessuali, anche perché non hanno niente a che vedere con le lezioni di nuoto. Mi sono affezionato ai vostri figli, e non nel senso che la signora Matthews vuole farvi credere. Conservo i loro disegni, parlo di loro con il mio compagno… voglio bene a quei ragazzi e mi piace insegnargli a nuotare, tutto qui.»
Savannah Matthews rimane per un attimo interdetta, poi si copre teatralmente la bocca con la mano. «Cosa vuoi insinuare? Io non ho detto…»
«Signora, lei lo ha chiamato pervertito e ha chiaramente fatto intendere che dovrebbe farsi curare solo perché è omosessuale. Le sembra rispettoso? Conosco questo ragazzo da quattro anni, collabora con me da tempo e non mi ha mai causato problemi. Se non vi va bene che i vostri figli frequentino il corso con lui, cercatevi un’altra piscina. Ma sappiate che sarà mia cura avvisare i miei colleghi della faccenda, sapete, per tutelare eventuali altri istruttori gay o istruttrici lesbiche…»
«Signor Duncan, io non intendevo che…»
Martin solleva una mano per interromperla. «Grazie, capo, ma non vorrei mai farle perdere dei clienti così importanti» mormora.
«Noi ci vorremmo scusare con te» si fa avanti la signora Morgan. «Sono la madre di Danny, lui ti vuole molto bene. È stato molto triste quando gli ho detto che non saresti più stato il suo istruttore.»
«Danny a volte è un po’ pigro, però quando si impegna riesce a cavarsela alla grande» commenta Martin, sorridendo appena nel ricordare quel ragazzino mingherlino con i capelli biondi e il viso paffuto.
«Il fatto che Harris sia gay non significa che non sia adatto a fare l’istruttore di nuoto per i vostri figli e nipoti. Cercate di separare le due cose, nel privato ognuno di noi è libero di fare ciò che vuole e che sente» prende nuovamente la parola David Duncan.
«Signore, sono sempre io. Se Savannah Matthews non mi avesse visto baciare il mio compagno al parco, a quest’ora non staremmo affrontando questo argomento. Datemi una possibilità, non deluderò voi e i vostri ragazzi.» Martin china il capo e tende la mano a Juliet Morgan. «Potrei cambiare lavoro, ma ci tengo a rimanere qui e seguire questo gruppo di nuotatori.»
La donna sui quarant’anni, dal viso dolce e i capelli ricci e scuri, stringe le proprie dita attorno alle sue e annuisce. «Lascerò che Danny frequenti ancora le tue lezioni.»
«La ringrazio, Juliet.»
Alcune delle donne si limitano a sorridergli, mentre qualcuna gli si avvicina e gli stringe la mano, porgendogli sommessamente delle scuse. Martin non sa se quelle parole sono completamente sincere, ma il suo scopo nella vita non è farsi accettare in quanto omosessuale da quelle sconosciute: punta soltanto a seguire i ragazzi del corso di nuoto, quei bimbi che pian piano stanno crescendo e che non fanno che dargli un sacco di soddisfazioni per i progressi che compiono lezione dopo lezione.
Mentre alcune donne si intrattengono con Duncan e qualcuna scappa via dicendo di avere qualcos’altro da fare, Savannah Matthews si piazza di fronte a Martin e gli regala il primo sorriso sincero che lui abbia mai visto stampato su quel viso truccato e giovanile.
«Signora Matthews, cos’ha deciso?»
«Sean vuole seguire il tuo corso, lo accontenterò.»
Il ragazzo annuisce rapidamente. «Va bene, mi fa piacere.»
«Ehm, Martin…»
«Mi dica.»
«Non volevo offendere il tuo compagno, io…»
Lui scuote il capo. «Sì che voleva, signora Matthews. Ma non importa, io e Joe vivremo lo stesso. Non mi serve il suo appoggio, la sua approvazione, ho quella delle persone a me care e mi basta. Voglio soltanto che sappia che non sono un pervertito, un pedofilo o una persona malata… anche se lei continuerà a pensarlo e ne resterà convinta.» Le sorride amaramente. «Sean mi vuole bene e si fida di me, io sono affezionato a lui. Se non vuole dare a me questa soddisfazione, pensi al bene di suo figlio.»
La donna allarga appena le braccia e sospira.
«So che non può farci niente, nella sua mente quelli come me sono sbagliati.»
«Mi dispiace, Martin.»
«Le do un consiglio, signora Matthews: vada a leggere qualcosa sull’omosessualità, sulle persone che la vivono come me. Forse non riuscirà a capirla fino in fondo, ma potrebbe vedermi sotto una luce un po’ meno cupa.»
Lei annuisce. «Scusami ancora, e… credo che lo farò.»
«Bene. Allora ci vediamo domani per la lezione, aspetto Sean con molto piacere» la congeda Martin.
«Lui sarà contento di venire» replica Savannah Matthews, spostandosi per salutare Duncan.
Quando tutte le donne se ne sono andate, i due rimangono soli con la segretaria, la quale ha assistito all’incontro da dietro il banco dell’accettazione.
«Comunque quella Savannah è proprio una stronza» esordisce Melinda, facendo poi scoppiare una bolla con la gomma che sta masticando.
Martin scambia un’occhiata con il capo, poi tutti e tre sospirano.
«Ormai è andata» commenta Martin, spostando lo sguardo sull’orologio appeso alle spalle della segretaria. «Sono quasi le undici. Capo, posso andare o le serve qualcos’altro?»
«In realtà ci sarebbe un recupero da fare, lezione individuale. Dalle undici a mezzogiorno. Pensi di farcela?»
«D’accordo, ma non ho portato il borsone.»
Duncan accenna al piccolo negozio annesso alla piscina, situato oltre una porta a vetri in fondo all’atrio. «Vai da Randy e fatti dare quello che ti serve, offre la casa.»
«Grazie, capo» replica Martin grato.
Joe sarebbe uscito dal corso a mezzogiorno e mezza, lui sarebbe andato a prenderlo e lo avrebbe portato fuori a pranzo per festeggiare il lieto fine di quella faccenda.
In fondo è stato fortunato, anche se è certo che avrebbe sempre incontrato persone come Savannah Matthews nel suo cammino.
Non gli importa, l’avrebbe superata come tante altre avversità.
In quel momento, mentre si prepara per impartire la lezione di recupero a una certa Katrin, sa soltanto che non vede l’ora di raccontare a Joe come sono andate a finire le cose.
E di sentire che anche suo padre e Ben sono orgogliosi di lui.
Sorride: quello che conta per lui è soltanto il parere delle persone che ama, il resto può affrontarlo e poi gettarselo alle spalle come un brutto e sbiadito ricordo.






♥ ♥ ♥

Carissimi lettori, eccomi qui con una nuova storia su Martin&Joe, nella quale ancora una volta abbiamo approfondito un po’ di più il personaggio di Martin ^^
L’idea per questo racconto è nata dalla rabbia che ho provato nel leggere alcuni commenti omofobi sotto un articolo; mi sono talmente incazzata che non ho potuto fare a meno di trovare una valvola di sfogo per parlare della questione. E chi potevano essere i protagonisti se non questi due pulcini? :3
Ho dovuto sfogarmi per forza, dare forma a quello che penso a proposito della questione; sicuramente Savannah Matthews non ha cambiato idea sugli omosessuali e probabilmente non smetterà mai di soffrire di dinosaurite, però voglio sperare che possano esistere almeno delle vie di mezzo, che possa esserci un minimo di tolleranza…
Martin è stato anche fortunato, ma ovviamente, anche se siamo nel 2020, il cervello di certa gente è rimasto fossilizzato all’era dei dinosauri, per cui che mi sorprendo a fare? È che certe cose mi fanno ribollire il sangue nelle vene, leggere quei commenti mi ha fatto sentire davvero male e mi ha fatto rimanere incazzata per ore.
Okay, la smetto, scusate per lo sfogo :D
Spero vi sia piaciuto il background di questa storia, i personaggi che ho inserito e il rapporto di Martin con suo padre; infatti, questa storia si ambienta un po’ di tempo dopo che il signor Harry Harris (un nome, una presa in giro, come Galileo Galilei AHAHAHAH) scopre che Martin è gay e confessa a suo figlio di esserlo a sua volta ^^
Grazie a chiunque sia giunto fin qui e a chi deciderà di recensire, alla prossima ♥
  
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