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Autore: NicaNika    07/07/2020    2 recensioni
Storia di un carpe diem sulle note de "la canzone del sole" di Lucio Battisti
Occhi verdi, capelli ricci, disordinata cronica e catanese nell'animo, Diana ha 16 anni, quasi 17 e una chiara idea di che piega sta prendendo la sua vita. Incontra uno sconosciuto in aeroporto, casualmente, mentre cerca di fuggire dalla frenesia della sua quotidianità.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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STORIA DI UN VIAGGIO, LA CANZONE DEL SOLE E NOMI MANCATI



1 Marzo 2018
 
Guardò il suo riflesso sul finestrino della navetta, le luci all’esterno impedivano l’effetto specchio tipico del vetro di sera, ma non le ci volle molto per capire che i suoi capelli, nonostante avesse fatto la messa in piega solo poche ore prima, erano già elettrizzati. Diana aveva i capelli ricci, li odiava e avrebbe fatto di tutto pur di non averli; non erano rare le lunghe sedute dal parrucchiere, anche quando c’era la peggiore delle umidità e che la piega potesse rimanere intatta era del tutto impensabile; ma era più forte di lei, sentiva la necessità di avere, anche solo per mezza giornata, la testa un po’ più ordinata del solito. O almeno, all’apparenza. Se poi non ci si fosse fermati al suo aspetto, la sua testa era fin troppo piena. Aveva il caos dentro, ed era capace di trasmetterlo alle persone che le stavano intorno. Secondo la sua migliore amica i libri di matematica erano verdi d’invidia, nemmeno loro si sarebbero mai capacitati di come lei, che tra l’altro in matematica se la cavava discretamente, potesse distribuire panico meglio di loro. “Pitagora sarebbe stato fiero di te” le diceva sempre.
Quel giorno Diana si era imposta di stare tranquilla. Aveva deciso di mandare a quel paese tutte le voci nella sua testa che le ricordavano quanto baccano ci fosse in lei e intorno a lei, aveva deciso di prendere un aereo, il meno costoso che potesse trovare, e partire, andare in qualche remota parte del mondo e godersi solo per un istante la visione di chi nella vita non ha niente da fare. O almeno, le sarebbe piaciuto. Alla fine aveva deciso di andare all’open day dell’Università per la quale avrebbe concorso l’anno successivo. 
Alla faccia del non avere niente da fare. 
Non ci poteva stare lei senza fare niente, nonostante il mondo intero la sentisse perennemente lagnarsi su quanto avesse bisogno di una pausa.
Diana si passò le mani tra i capelli cercando, a modo suo, di appiattirli. Se li rigirò tra le dita finché non si accorse che era tutto tempo sprecato e allora lasciò perdere. Smise di guardare il proprio riflesso, cercò nella tasca del suo zaino il biglietto dell’aereo con scarso successo.
Per un momento ebbe paura di averlo perso. 
Cercò nelle tasche del cappotto, tirando un sospiro di sollievo nel momento in cui le mani entrarono in contatto con il bordo della carta. Posò il biglietto nella tasca dello zaino ancora aperta, se lo sistemò in spalla e si strinse nel suo cappotto verde.
La navetta si riempì di persone, un brulicare di voci si diffuse presto e Diana rimpianse di non essersi seduta prima, il peso dello zaino iniziò a farsi sentire. Guardò lo schermo del suo iPhone, erano le 21:10 del primo Marzo. 
Una giornata così di merda non la si vedeva da ieri.
Allontanò tutti i pensieri negativi, ricordandosi del perché fosse lì, e non a casa sua, nel suo letto, con un buon libro, come ogni giovedì sera.
Smettila di lamentarti, si riproverò da sola, tanto con tua nonna che urla non saresti arrivata alla seconda pagina.
<< Permesso >>
La voce della signora riportò Diana nel mondo reale. Sorrise alla signora e si spostò per far passare lei, la sua valigia e sua figlia.
<< Ma la città di notte non si vede bene, >> la ragazzina non mostrava più di quattordici anni, lo sguardo vispo di chi aveva fatto esasperare la madre fin troppe volte,  << come la faccio la foto dall’aereo? >> 
La madre rise, << puoi sempre fotografare le luci. >> 
<< Certo, >> Diana si intromise, assalita da un’improvvisa voglia di chiacchierare, << se non ci sono nuvole potrebbe anche venire un bella foto. >> 
Gli occhi della ragazza brillavano mentre osservava Diana con curiosità. 
La tipica foto banale e scontata che, se circondata dagli hashtag giusti fa centinaia di like.
Si morse la lingua per trattenere la sua acidità. 
La gente non le chiedeva quasi mai il suo parere, figuriamoci dei perfetti sconosciuti. Ma a Diana non era mai importato, lei aveva bisogno di parlare, sempre e comunque. Quando era da sola in mezzo alla folla e non conosceva nessuno, riusciva sempre a trovare un modo per attaccare bottone. 
<< Qui nuvole non ce ne sono >> rispose la madre, << ma a Napoli è prevista pioggia, purtroppo. >> 
Dio, no, non le discussioni sul tempo.
<< Ah, si figuri, nella cittadina che devo raggiungere oggi nevica. >> disse con il tono esclamativo e teatrale che caratterizzava le conversazioni a suo parere inutili e noiose. Si sentiva molto contraddittoria. Era contraddittoria. Ma la voglia di parlare era troppa per rinunciarci.
<< Dove devi andare? >> le chiese un bambino di circa sei anni. Doveva essere un’altro figlio.
<< A Cava de’ Tirreni. >> 
<< Ma Cava non è sul mare? >> la signora aveva lo sguardo di chi la sapeva lunga e fissava Diana negli occhi. << Come può nevicare? >>
<< In realtà non è proprio sul mare, >> Diana cercò di mascherare quanto quello sguardo indagatore la mettesse in soggezione, << È vicino Vietri, ma in realtà è abbastanza alta. >> disse guardandola, << Dista diversi chilometri dal mare, >> moriva dalla voglia di aggiungere qualcos’altro, << è bruttissima e freddissima. Oh, ed è anche piccola. >>
Lo sguardo indagatore, per qualche strano motivo, mutó in interesse. 
<< Non ti piace molto, vero? >> 
<< Io Catanese sono! >> rispose Diana con la risata pronta e quella leggera cadenza del tutto forzata che stentava sempre a venire fuori.
La verità era questa: per quanto Catanese si sentisse, lei il dialetto non era in grado di parlarlo.
<< Bedda Mattri!* ma sono l’unico che sente così caldo? >> 
Era stato un ragazzo bruno a parlare. I colori scuri, tipici siciliani, che Diana ricercava rigorosamente in ogni suo flirt. Si passava una mano tra i capelli e sorrideva amabilmente, mentre con la mano libera teneva a bada il bambino che aveva parlato poco prima. 
Una famiglia.
Mancava il padre però.
<< A Napoli non ti capirà nessuno se lo dici. >> disse la madre, come se gli stesse dando il LA per la battuta.
<< Bella Madre! >> disse il ragazzo tra le risate, << lo preferisci? >>
Diana scoppió a ridere, e per la prima volta in quella giornata, lo fece spontaneamente. Non si sentiva in dovere di farlo, non era una cosa premeditata, semplicemente non ci pensó. Ridere le venne naturale ancora prima che se ne accorgesse.
<< Bella Madre è stupendo! >> le parole di Diana cercavano di farsi largo tra le risate con scarsi successi.
Il ragazzo la notò.
<< Ti piace? >>
<< Assolutamente no. >> disse scuotendo i boccoli, << Non si può sentire una cosa del genere. >>
I due bambini si unirono alle risate della ragazza.
<< Quindi sei di Catania. >> il ragazzo la guardò con interesse, Diana annuì, << Noi veniamo dalle parti di Bronte. >>
<< Ma che dici? >> la madre guardó il figlio interdetta.
<< Mamma, nessuno sa dove si trova Adrano. >> rispose lui, imperterrito.
<< Siete di Adrano? >> l’esclamazione di Diana provocò uno sguardo di vittoria sul volto della madre. 
<< La conosci? >>
<< Certo! >> rispose, << la mia professoressa d’inglese viene da Adrano. >>
<< Che scuola fai? >> chiese la madre.
L’interesse di quelle persone per Diana stava crescendo.
<< Sono al Convitto Cutelli. >> disse.
<< Bellissima scuola, io volevo mandarci mio figlio, >> rispose la madre, << ma lui non voleva fare da pendolare. >> 
Il ragazzo guardó Diana.
Non l’ascoltare, sembrava volerle dire, è una storia vecchia quanto la guerra.
A Diana scappò un sorriso. Non erano male quelle persone.
<< Io sono stata fortunata, >> continuó il discorso, << i miei nonni abitano a Catania, ho la scuola dietro l’angolo di casa. >> 
<< Eh, infatti, >> la madre annuì, << lui invece sarebbe stato solo. >> 
<< Per me è la stessa cosa. >> intervenne la ragazzina. Voleva partecipare anche lei alla discussione. << Alla fine ho scelto il liceo classico. >>
<< Quanti anni hai? >> le chiese Diana.
<< Quattordici. >>
<< Quindi sei già al primo anno? >>
<< No, sono alle medie. >>
La guardò, dimostrava esattamente l’età che diceva di avere, somigliava poco al fratello, aveva il viso più rotondo, la pelle bianca come l’avorio e gli occhi enormi.
<< Hai fatto un’ottima scelta. >> le disse, << il liceo classico ti dá sbocchi in tutte le direzioni. >>
<< Sei la prima che me lo dice. >> rispose.
I soliti commenti. Pensò Diana. Tutti spaventati dal latino, dal greco, senza capire che niente apre la mente come saper tradurre le lingue classiche.
<< Vedrai che ti troverai bene. >> ribattè.
Diana guardó il ragazzo, stava parlando con il fratellino sottovoce, ridevano, sembravano confabulare su chissà quali segreti.
Era proprio carino, alto, con un fisico asciutto e la carnagione olivastra. Non aveva niente di particolare, ma nell’insieme attraeva. O, semplicemente, le erano sempre piaciuti i ragazzi con quei tratti. 
<< Sentite, io ho caldo. >> si levò la felpa, rimase con una maglietta grigia a maniche corte. Soltanto guardandolo, Diana iniziò a sentire freddo per lui.
Finita l’operazione si rivolse di nuovo a Diana, il fratellino che rideva sotto i baffi.
Chissà per quale motivo. Pensò ironicamente.
<< Io e mio fratello, prima >> disse senza smettere di sorridere, << ci stavamo chiedendo quanti anni avessi. >>
Diana trattenne le risate. 
<< Vediamo se indovinate. >> diede alla sua voce un tono civettuolo palesemente teatrale, ma non sembrava dispiacere ai suoi ascoltatori.
<< Beh, hai detto di essere al Convitto, quindi dovrai avere sicuramente tra i quattordici e i diciotto anni. >>
Diana sollevò un sopracciglio.
Caspita, perspicace. Pensò.
<< Ma va’! >> la madre lo guardò come a volergli dire “com’è possibile che tu sia venuto fuori così stupido”. Stava ridendo anche lei.
<< A questo punto facciamo la media. >> Il suo imbarazzo era palese, << Sedici? >>
Però, Se la cava in matematica! pensò, ma non lo disse. Le sembrava una buona idea tenere per se le sue battute sarcastiche, almeno per una volta.
<< È giusto >> disse, << ne ho sedici. >>
Il ragazzo sembrò tirare un sospiro di sollievo.
<< Io avrei detto diciassette >> intervenne la sorella.
<< Beh, >> le disse, << in realtà diciassette li compio tra poco. >> 
Le porte dell’autobus si aprirono e tutti iniziarono a scendere. 
La donna le fu subito accanto.
<< Qual è il tuo posto? >>
Diana inizió a cercare il biglietto nello zaino. 
Teneva le dita incrociate.
<< Noi siamo nella fila 15 >> continuò, con lo stesso interesse dei suoi figli e di Diana a mantenere la conversazione intatta.
Fa che sia il 15.
Fa che sia il 15.
Fa che sia il 15.
Trovò il biglietto e lesse ad alta voce il numero del posto: << 20 C >> 
La delusione le si dipinse negli occhi.
Per quanto avesse voglia di prendere a pugni qualcosa, vedere il sorriso della signora scomparire improvvisamente dal suo viso fu una delle soddisfazioni migliori della sua giornata. 
Che giornata di merda.
E quello della signora non fu l’unico viso sul quale comparve un cipiglio. Diana sentí lo sguardo del ragazzo inseguirla mentre, con lo zaino in spalla, le mani nelle tasche del cappotto e la testa bassa, si dirigeva verso il 20 C. 
Se c’era una cosa che Diana aveva capito ormai da tempo, era il fatto che una giornata perfetta non poteva esistere. Se si svegliava felice, suo nonno le portava il caffè a letto e prendeva un 9 nel compito di Histoire - cosa del tutto utopica - e la mensa, per una delle poche volte nella storia della sua scuola, le serviva un piatto commestibile, era ovvio che la lezione di danza del pomeriggio sarebbe stata disastrosa, o che avrebbe litigato con sua nonna per l’ennesima volta, o un’auto, passando sulle strade inondate dalla pioggia, le avrebbe tirato addosso ciò che un siciliano medio avrebbe definito “lurdia”**, rovinandole tutti i vestiti. 
Ma non era assolutamente concepibile che, dopo una giornata di merda come quella che aveva passato, arrivasse alle 21:17 la sera e l’unica cosa buona ad esserle capitata nell’arco di quelle 24 ore finisse per andare di merda come il resto della giornata. Non le sembrava giusto. 
A quanto pareva, non sembrava giusto nemmeno al ragazzo che, affacciandosi seduto dal suo posto, continuava a guardarla. Diana  si ritrovò a ricambiare il suo sguardo senza nemmeno accorgersene e lui non diede il minimo accenno ad abbassare gli occhi. Alla fine finirono entrambi per sorridersi. 
Questo scambio di sguardi andò avanti per tutto il viaggio, Diana avrebbe voluto continuare a parlargli, scoprire qualcosa in più su di lui, invece era costretta a stare seduta, con la testa tra le mani e i continui sguardi del ragazzo. 
Il volo fu tranquillo, nessuna turbolenza, nessuna deviazione, silenzio assoluto. O almeno da parte sua. Quando si alzò per scendere dall’aereo perse di vista il ragazzo in mezzo alla confusione, ma lo intravide subito una volta scesa. 
Era qualche metro più  avanti di lei, camminava a testa alta affianco al fratellino, il quale, invece, si girava intorno in continuazione come se stesse cercando qualcuno. Appena vide Diana, il bambino diede una gomitata al fratello e poi si raddrizzò, facendo finta di niente. A Diana venne da ridere. Affrettò il passo, voleva raggiungerlo, anche se non sapeva bene cosa dirgli. Gli passó accanto e lo superò senza degnarlo di uno sguardo, era curiosa di vedere come avrebbe reagito. Riusciva a percepire il suo sguardo su di lei, e senza accorgersene si ritrovò a sorridere. 
Entrò dentro l’aeroporto a passo sostenuto, ma senza scappare, voleva rimanere nel suo raggio visivo, farsi guardare, e non fu nemmeno difficile, dato che stavano facendo lo stesso percorso. 
Dietro di lei qualcuno iniziò a cantare, una voce maschile pulita, chiara, giovane. 
<< Di che colore sono gli occhi tuoi? >> 
Diana riconobbe la canzone in meno di due secondi.
<< Se me lo chiedi non rispondo. >>
Il suo sorriso, se possibile si allargò ancora di più.
Si girò verso il ragazzo scostandosi i capelli dal viso.
***<< Dove sei stata cos’hai fatto mai? 
Una donna, donna dimmi… >>
Camminava all’indietro, guardando il ragazzo negli occhi e sorridendo.
Continuarono a cantare insieme.
<< Cosa vuol due “sono una donna ormai”?
Ma quante braccia ti hanno stretto
Tu lo sai, per diventar quel che sei.
Non importa tanto tu non me lo dirai, purtroppo.
Ma ti ricordi le onde bianche e noi?
Gli spruzzi e le tue risa? >>
Entrambi si dimenticarono il resto delle parole e scoppiarono a ridere. Sua madre guardò Diana con interesse, i due bambini si guardavano e sorridevano colpiti per il successo del fratello maggiore. 
<< È una delle mie canzoni preferite >> esordí Diana.
<< Certo che hai dei bei gusti. >> il ragazzo era sinceramente colpito. 
Peccato che Diana non sapeva più cosa dire. 
Per fortuna sono creativa pensò.
Era ben consapevole del fatto che, anche nel suo momento di massima genialità, il ragazzo l’aveva sicuramente superata con la sua fantasia, mentre la sua capacità di attaccare bottone sembrava essersi dileguata silenziosamente proprio nel momento del bisogno.
Così rimase in silenzio. Diana Caruso rimase in silenzio. Non ricordava quando fosse successo l’ultima volta, probabilmente perché non era mai successo. 
Le venne un’idea, sarebbe andata al ritiro bagagli, anche se il suo unico bagaglio era lo zaino e non l’aveva fatto mettere in stiva. Avrebbe parlato con lui mentre faceva finta di aspettare la valigia e poi avrebbe fatto finta di ricordarsi di non averla portata. In questo modo avrebbe parlato ancora un po’ con lui, magari gli avrebbe chiesto il nome, visto che ancora non l’aveva fatto. Si, avrebbe agito in questo modo, le sembrava l’opzione migliore.
Appena arrivò al ritiro bagagli iniziò a guardarsi intorno, non sapeva dove posizionarsi, se si fosse avvicinata al nastro avrebbe rischiato di non incontrarlo, non con tutta quella folla. 
Passò davanti all’uscita, e quella fu la mossa più stupida di sempre.
<< Diana! >> 
Erano le voci dei suoi genitori, l’avevano vista. 
Fece finta di non sentire e continuò a camminare. La chiamarono di nuovo, più forte, tanto forte che sarebbe stato impossibile ignorare.
Diana si girò mordendosi la lingua, alzò la mano verso i suoi genitori in segno di saluto, un falso sorriso a segnare la sconfitta; aveva perso la sua occasione. Si diede della stupida infinite volte, mentre correva verso i suoi genitori per farsi abbracciare.
<< Tesoro! Com’è andato il viaggio? >> fu sommersa in un attimo dalla voce squillante della madre. 
<< Abbastanza tranquillo, direi >> continuò a sorridere, sentendosi sempre più stupida per non essere riuscita a trovare prima un modo per fare conversazione con quel ragazzo. 
Suo padre prese la valigia e tutti e tre insieme si avviarono verso l’uscita. 
Le porte trasparenti confondevano l’immagine esterna con quella interna riflessa, e tra le due immagini confuse Diana riuscì ad intravedere i suoi occhi. Erano di un colore confuso, tra il verde e il grigio, all’interno più chiari e si scurivano man mano che andavano verso l’esterno. 
Le venne in mente la canzone di Lucio Battisti che aveva cantato con quel ragazzo pochi minuti prima.
Di che colore sono gli occhi tuoi?
Se me lo chiedi non rispondo.”
Era proprio uno strano colore quello dei suoi occhi.

 
***
 

27 Febbraio 2019
 
Diana aveva i capelli ricci e li odiava, li aveva sempre avuti ed erano sempre stati in disordine, se si escludevano i giorni in cui la piega del parrucchiere resisteva. Peccato che ciò accadeva raramente, così aveva smesso di andarci. 
Rivolse lo sguardo alla parete di vetro, sulla pista si riuscivano a vedere chiaramente gli aerei decollare, mentre un sole splendente quasi l’accecava. Le era sempre piaciuto guardare dal finestrino, sia di giorno che, ancora di più, di notte, quando le luci interne riflettevano la sua immagine sul vetro come se fosse uno specchio. 
Era piuttosto rilassante, una vista mozzafiato, le cuffie nelle orecchie, la musica di sottofondo. 
La voce di Lucio Battisti esordì in seguito ad una sequenza di accordi. 
 
Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi
Le tue calzette rosse
 
Stessi capelli, stesso cappotto verde, stesso zaino, stesso posto e stessa meta, stessa canzone. Situazione analoga a quella del primo Marzo dell’anno precedente. 
 
E l’innocenza sulle gote tue 
Due arance ancor più rosse
 
Era passato poco meno di un anno, ma Diana riusciva ancora a ricordare ogni secondo di quel viaggio in aereo. Avrebbe voluto poter dire lo stesso per quel ragazzo, ma era passato troppo tempo per riuscire a visualizzarlo anche soltanto in maniera indistinta. 
 
E la cantina buia dove noi 
Respiravamo piano 
 
Ricordava quanto le fosse piaciuto fisicamente, ricordava che possedeva tutti i tratti fisici che piacevano a lei. Era bruno, capelli scuri, occhi scuri e pelle scura. Era alto, ma non ricordava esattamente che tipo di fisico avesse. 
Ricordava che per tutta la conversazione aveva sorriso. Lui sorrideva già prima di iniziare a parlare, ed era un sorriso contagioso, aveva fatto sorridere anche lei. 
 
E le tue corse e l’eco dei tuoi no
Oh no, mi stai facendo paura
 
Era scappata, scomparsa, così, senza dire niente. 
Era stata una di quelle storie che lasciano l’amaro in bocca, una di quelle scene storiche da film, uno di quei carpe diem che avrebbero dovuto annunciare l’arrivo di una nuova avventura. Invece era destinato a rimanere un bel momento, finito ancora prima di essere iniziato, e, questo Diana non avrebbe potuto nasconderlo, ancora si mangiava le mani per l’occasione che aveva perso. 
E la cosa peggiore era che non gli aveva nemmeno chiesto il nome, così come lui non lo aveva chiesto a lei.
 
Dove sei stata cos’hai fatto mai?
 
<< Mamma, per che ora è previsto l’arrivo? >>
Era stata una voce maschile a parlare. Una voce vagamente familiare.
 
Una donna, donna dimmi
Cosa vuol dir “sono una donna ormai”?
 
Riuscì ad individuare la fonte di quella voce. Un ragazzo. Alto, capelli scuri. Stringeva la mano ad un bambino di circa sette anni. Diana non riusciva a vederlo bene in viso.
 
Ma quante braccia ti hanno stretto 
Tu lo sai, per diventar quel che sei?
 
<< Controlla sul biglietto. >> 
La signora che aveva parlato stava cercando qualcosa nello zaino di una ragazza, possibilmente la figlia, aveva l’aria stanca di chi aveva guidato per ore ed era rimasto imbottigliato nel traffico.
 
Non importa tanto tu non me lo dirai
 
<< Andate a Napoli? >>
Il ragazzo si girò verso di lei, i suoi occhi scuri la scrutarono con curiosità. Fu assalita subito da una sensazione di deja-vu.
<< Ehm...sì. >>
Diana alzó il suo biglietto, << Anche io. Atterriamo alle 23:00 circa. >>
Il ragazzo guardò il suo biglietto. << Il tuo posto è il 16 D? >> 
Diana controlló, e annuì brevemente.
Lui si rivolse al bambino, << abbiamo appena scoperto chi sarà la nostra compagna di viaggio. >>
 
Ma ti ricordi le onde bianche e noi
Gli spruzzi e le tue risa?
 
La cuffia nell’orecchio continuava a suonare.
<< Ottimo. >>
Entrambi sorridevano. Lui era un ragazzo davvero carino, e a Diana erano sempre piaciuti i ragazzi con i tratti scuri, i tipici siciliani.
<< Sai, >> esordì il ragazzo, << mi sei familiare. Ci siamo mai visti prima? >>
Diana sorrise, era imbarazzata, come lo potrebbe essere un bambino al suo primo appuntamento. 
17 anni, quasi 18, e non sentirli, giusto? 
Il fatto di riuscire ancora a fare dell’ironia le fece tirare un sospiro di sollievo.
<< Di che colore sono gli occhi tuoi? >> iniziò a cantare, << Se me lo chiedi non rispondo. >>
Il ragazzo alzò il sopracciglio, come se non capisse.
Perfetto, non è lui, ecco l’ennesima figura di merda.
Vedendo il cipiglio sul volto di Diana il ragazzo si mise a ridere.
<< In realtà la canzone continua con “oh mare nero, oh mare nero, oh mare nero” >> iniziò a cantare anche lui, << “tu eri chiaro e trasparente come me”. L’anno scorso hai sbagliato verso. >>
Diana riprese a sorridere.
<< Beh, lo ammetto, mi sono confusa. >>
<< E meno male che è la tua canzone preferita! >> rispose lui ridendo.
Diana rimase sorpresa, << te ne ricordi ancora? >>
Il ragazzo le sorrise, si guardó la punta dei piedi un po’ imbarazzato. 
Diana aveva ancora la cuffia nell’orecchio, decise di toglierla, fermò la musica, arrotolò le cuffie e le posó nella tasca.
<< Davo farti una domanda. >> gli disse, << È una cosa che volevo chiederti l’anno scorso, e mi sono pentita per tutto l’anno di averlo dimenticato. >>
Lui alzò lo sguardo, invitandola a parlare.
<< Come ti chiami? >>



*Bedda Mattri: letteralmente significa “bella madre”, è un’espressione tipica catanese, usata più o meno come “madonna santa”.
 
**Lurdia: “sporcizia” in dialetto catanese.
 
***La canzone del sole (Lucio Battisti), in questo caso Diana sbaglia le parole della canzone, la canzone, come le fa notare il ragazzo alla fine continua diversamente, ma lei continua con la strofa precedente, con il risultato che arrivati ad un certo punto si dimenticano delle parole, perchè si rendono conto che il verso successivo (“di che colore sonp gli occhi tuoi”) l’hanno già detto. 
 
NOTE D’AUTORE:
Salve a tutti!
Ho ripreso questo account dopo anni che non scrivevo, ho cancellato tutte le mie vecchie storie e ho postato questa piccola song-fic.
Spero davvero che vi piaccia, ci tengo particolarmente.
Non voglio dilungarmi troppo nelle note d’autore, volevo solo dire che ho voluto scrivere questa storia perchè mi è successo davvero. La prima parte della storia (per intenderci, gli avvenimenti del 2018) è la trasposizione più o meno fedele non solo dei dialoghi che avevo avuto quel giorno, ma anche dei pensieri e di tutto ciò che mi è passato davanti agli occhi quella sera; l’unica differenza, è che al contrario di Diana, io non ho avuto un secondo incontro con quel ragazzo, ma non mi piaceva il fatto che la storia non avesse una fine, o almeno, non nella mia fantasia.
Allo stesso tempo, però, non avrei potuto dare un nome ad una persona che nella mia mente non ce l’ha, quindi ho deciso di concluderla chiedendogli ciò che avrei voluto chiedergli prima di andarmene.
Detto ciò, vi incoraggio a chiedere il nome agli sconosciuti dei viaggi con la quale vi fermate a parlare e vi auguro una buona giornata!
Nich
 
 
  
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