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Autore: Traumerin_    09/07/2020    5 recensioni
Arriva un momento, nella vita di Orion, in cui tutte le sue paure si concretizzano. È sempre stato terrorizzato dalle cose che sfuggono al suo controllo, che non sono chiare, che non sono visibili come lui vorrebbe. Ha tremato alla sola idea di lasciarsi in balia di determinante emozioni, si è sottratto ad esse per paura di uscirne sconfitto. Ma adesso, adesso che Sirius è di fronte alla porta d’ingresso con l’intenzione di andarsene – e non tornare più, mai più – Orion viene colpito dalla più lampante delle rivelazioni: è destinato a perdere.
Quelle emozioni che ha sempre negato si stanno risvegliando e lui sa di non avere la forza di combatterle perché Sirius sta andando via e lui sta perdendo tutto, per sempre.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Orion Black, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Visibile e non visibile.
 
La vita di Orion è improntata su un dualismo che ha preso inconsapevolmente forma nei suoi primi anni di vita e che, con il tempo, è diventato il cardine attorno cui far ruotare la sua intera esistenza.
 
Visibile e non visibile.
 
Condannato all’ergastolo di una dicotomia che si è insidiata nella sua psiche e ha messo radici nel suo corpo, Orion è costretto ad un modus vivendi che si è imposto ancor prima di essere pienamente consapevole delle sue azioni e che adesso lo spinge verso un baratro fatto di incertezze e inquietudini, dove la fiamma della ragione che lo ha sempre guidato si riduce ad un barlume incapace di indicargli la strada giusta.
 
Visibile e non visibile.
 
Sono due polarità oggettivamente contrapposte che si trovano in stretta correlazione tra di loro, che necessitano di un principio di mediazione che le metta in comunicazione affinché la vita di un individuo possa basarsi su uno stabile equilibrio.
Stando alla standardizzata convenzione linguistica, visibile è ciò che può essere visto o percepito dall’occhio umano, ciò che è evidente; non visibile, è tutto ciò che si nasconde sotto.
Orion Black, ha imparato a dare importanza solamente al visibile.
Ha deciso di sottrarsi al confronto con la sfera più morbosa della sua anima, di negarsi alle passioni, agli impulsi, a tutto quello che sfugge dal controllo della sua razionalità, di sopprimere ogni aspetto non visibile della sua vita.
Nella sua concezione, visibile e non visibile, sono sempre stati considerati due universi paralleli destinati a non incontrarsi mai.
 
Visibile e non visibile.
 
Arriva un momento, nella vita di Orion, in cui le sue convinzioni crollano. C’è un istante in cui capisce che tutto ciò che per anni ha negato, adesso rischia di travolgerlo. Il ritorno del rimosso minaccia di sopraffarlo e lui non ha idea di come gestirlo, perché non ha mai trovato quel principio che gli permettesse di equilibrare il mondo visibile con quello del non visibile.
La maschera, quella visibile che ha indossato per tutta la sua vita, si sgretola, lasciando scoperte quelle emozioni che non ha mai voluto fronteggiare e che ora si trova costretto ad affrontare.
 
Parte tutto da una sensazione. Un incubo, o forse un sogno, oppure un’illuminazione. C’è qualcosa che lo porta a spalancare gli occhi, ad interrompere definitivamente quel sonno già disturbato.
Il cuore s’infiamma di un ritmo frenetico, sembra che abbia intenzione di sfidare i confini che la natura gli ha designato e pare voglia sfogare un dolore che si percuote in fitte dolorose per tutto il petto, come onde concentriche create da un sassolino che rimbalza sempre nello stesso punto e ogni volta risale più in alto solamente per schiantarsi sul fondo con un maggiore impatto.
Il respiro gli si mozza in gola ma non c’è niente ad impedirgli di respirare. È un peso che gli grava sul petto, è un turbamento che si diffonde in tutto il corpo, che gli indolenzisce gli arti e gli confonde i pensieri. È un terribile presentimento che con lo scorrere dei secondi diventa sempre più una certezza. È un sospetto talmente fondato e reale che lo porta a scostare le lenzuola dal corpo e ad alzarsi con irruenza dal letto. Ignora il flebile lamento della moglie ancora dormiente e si riversa nel corridoio e giù per le scale, e quella brutta sensazione gli annoda lo stomaco, lo stringe in una morsa soffocante, dolorosa.
 
Arriva un momento, nella vita di Orion, in cui tutte le sue paure si concretizzano. È sempre stato terrorizzato dalle cose che sfuggono al suo controllo, che non sono chiare, che non sono visibili come lui vorrebbe. Ha tremato alla sola idea di lasciarsi in balia di determinante emozioni, si è sottratto ad esse per paura di uscirne sconfitto. Ma adesso, adesso che Sirius è di fronte alla porta d’ingresso con l’intenzione di andarsene – e non tornare più, mai più – Orion viene colpito dalla più lampante delle rivelazioni: è destinato a perdere.
Quelle emozioni che ha sempre negato si stanno risvegliando e lui sa di non avere la forza di combatterle perché Sirius sta andando via e lui sta perdendo tutto, per sempre.
 
Visibile e non visibile.
 
Perché non l’ha capito prima?
 
 
***
 
 
Orion non è che un bambino quando viene introdotto al concetto di visibile e non visibile. Non riesce ancora a svilupparlo, le sue capacità cognitive non gli permettono di spingersi in un’elaborazione tanto complessa quanto inconcepibile. Come potrebbe, un bambino, comprendere l’ingannevole logica che, con ingegno e maestria, si è insidiata tra le impercettibili sfaccettature di tutto ciò che lo circonda?
«I Black non mostrano mai le proprie emozioni. Mai, Orion, ricordatelo» gli ha detto suo padre dopo averlo ampiamente rimproverato per essersi messo a piangere nel mezzo di una festa dinnanzi ad innumerevoli ospiti.
Orion cerca di trovare quel principio di sensatezza a sostegno del pensiero di suo padre che lo aiuti a capire perché a lui non sia permesso rivelare i suoi stati d’animo. Un’ingenua ricerca che non potrà mai fargli intuire la scabrosità che ormai permea ogni aspetto della vita nobiliare in cui è chiamato ad essere protagonista.
Quando riesce a formulare una propria idea, Orion è chiuso nella stanza del castigo – una cantina buia, senza finestre, priva di qualsiasi distrazione –, sulla schiena sono ancora impressi i segni della cinta di suo padre e il labbro non vuole saperne di smettere di sanguinare.
Arcturus lo ha trovato a giocare a palla con dei bambini Babbani, proprio fuori casa. Non è mai stato così violento, né con lui che non ha rispettato le regole, né con sua madre per averlo perso di vista.
Le suppliche di Melania alle lacrime copiose del figlio, dilaniato dal dolore per le percosse del padre, sono state inutili: Arcturus è convinto che la giusta disciplina venga appresa solamente con le maniere forti.
Forse, pensa Orion, rannicchiato nell’oscurità, il padre ha ragione: non vuole più provare questa sofferenza e, se per farlo deve smettere di mostrare quello che prova, se deve rendere le sue emozioni non visibili, allora lo farà – e poi, non può permettere che la mamma stia così male per colpa sua.
Orion è un bambino e non capisce di essere stato vittima di una perversa manipolazione – esattamente come tutti i Black prima di lui. Una sorte ben diversa da quella dei Macmillan, da quel ramo materno intriso di una dolcezza ed una bontà che quasi stona nel contesto di quella casa cupa e silenziosa.
Sua madre è una meravigliosa esplosione di colori e ad Orion basta la sua presenza, per far diventare meno opprimenti le pareti scure di quella villa. E, quando non litigano, persino sua sorella Lucretia, con quel suo sorriso sincero, riesce a portare un po’ di luce in tutto quel buio.
Orion piange quando realizza che, per non essere più rimproverato, dovrà smettere di mostrare le sue emozioni. Questa consapevolezza lo investe con atroce durezza, ammacca il suo animo, gli si imprime addosso come le frustate che hanno danneggiato il suo corpo – e, forse, fa anche più male perché quel dolore durerà per sempre.
 
Orion è appena un ragazzino quando capisce di non essere riuscito a separare il visibile dal non visibile. Per qualche tempo ha pensato di avercela fatta, di essersi meritato il suo cognome, di aver finalmente compreso ed acquisito i modi di un Black: ha smesso di abbracciare sua madre, ha smesso di giocare con sua sorella, ha smesso di disturbare suo padre durante le riunioni di lavoro, ha smesso di scorrazzare con gli altri bambini durante le feste. Ha messo da parte la sua innata curiosità, non ha più dato il tormento ai suoi precettori, ha imparato a memoria l’albero genealogico della sua famiglia ed ha seguito alla lettera quel “Toujour pur” che ritrova scritto ovunque.
Orion ha davvero pensato di assaporare la vittoria finché non si è trovato seduto su uno sgabello malandato, con un logoro Capello sulla testa e nel cuore la speranza di essere smistato nella Casa di sua madre. “Se finissi a Tassorosso, nessuno potrebbe arrabbiarsi davvero” pensa, volgendo lo sguardo alla tavolata giallo-nera, dove siedono alcuni dei suoi cugini materni. Pensa, con un’ingenuità tipica della sua età che, se venisse smistato a Tassorosso, forse suo padre capirebbe che lui è diverso, forse potrebbe ancora abbracciare sua madre, forse potrebbe mostrare le sue emozioni. Orion lo capisce in quel momento, che è stanco di reprimere le sue emozioni, che vorrebbe piangere quando riceve uno schiaffo e ridere apertamente quando si diverte.
Forse, se finisse a Tassorosso, potrebbe ricominciare a rendere visibile tutto quello che tiene dentro.
«Un altro Black! Ser… un momento… interessante… no, non posso metterti a Tassorosso ma… voglia di mostrare il proprio valore… un caratterino niente male… quanta audacia… forse a Grifondoro…»
Orion sgrana gli occhi, perché sa che questo non potrebbe mai accadere. “E guai a te se finisci con quella feccia dei Grifondoro. Strampalato come sei, posso aspettarmi di tutto! Ma guarda che non te la faccio passare liscia, eh! Ti vengo a prendere immediatamente, ti riempio di mazzate e ti mando a Durmstrang!”. E no, Orion non ha alcuna intenzione di finire in quei paesi così freddi e lontani dalla sua bella Gran Bretagna, lontano dalla sua famiglia – da sua madre e sua sorella – e, soprattutto, lontano da Alphard. Suo cugino è stato appena smistato a Serpeverde e Orion lo sa, che è quello il suo destino, il destino di quelli come loro.
Il Cappello Parlante deve avere pietà di lui e delle sue preghiere, perché, seppur poco convinto, urla un “Serpeverde”. Tutti vedono il suo sorriso – nessuno vede quello che c’è sotto.
 
«Qua possiamo fare quello che vogliamo, i nostri genitori non lo verranno mai a sapere!» è la frase che Alphard gli ripete più spesso.
Suo padre gli ha chiesto di stare vicino a suo cugino per indirizzarlo verso la strada che tutti i Black devono percorrere, ma Alphard è uno spirito libero, un ribelle, non si farebbe ammansire da nessuno – non dalle mani di suo padre, né dalle urla di sua madre, figurarsi dal cugino in cui ha sempre visto un fidato complice.
L’idea dei loro genitori era che Orion sarebbe riuscito a riportare Alphard sulla retta via, ma hanno decisamente sottovalutato le capacità persuasive di Alphard: è Orion, quello che ha deciso di cambiare direzione.
Orion lo realizza con il passare degli anni, che Alphard non è solo suo cugino – procugino, per essere precisi – ma un amico, un fratello. È quella persona capace di leggergli dentro con uno sguardo, è quella che non ha bisogno di parole per scorgere il non visibile. È un consigliere fidato, un ascoltatore paziente, il suo primo alleato in ogni situazione. È la mano che lo trascina alle feste, la parlantina che gli fa tornare il sorriso, le braccia che lo stringono quando la vita gli si fa così stretta che vorrebbe solo scappare.
Alphard è la persona più importante della sua vita e Orion si sentirebbe incompleto, senza di lui.
Ed è Alphard, l’astuto e scaltro Alphard, a spingerlo nelle braccia dell’unico amore che Orion abbia mai avuto. È una Grifondoro sfacciata ed arrogante, lontana dalle ragazze a modo che lui è stato abituato a frequentare. È una ragazza che riesce a fargli perdere la testa, gli infiamma l’animo, gli scuote il corpo, scatena in lui reazioni talmente complesse ed indecifrabili da fargli desiderare di non avere emozioni: Orion non è abituato a tirarle fuori, le sue emozioni. Lei, al contrario, non sa come tenerle dentro. Sono particelle di cariche opposte – lui estremamente negativo, lei insopportabilmente positiva – e non possono fare a meno di attrarsi l’un l’altra. È un prepotente magnetismo che se ne infischia del sangue puro, che non ha il minimo riguardo delle artificiose costruzioni attorno cui si è creata la società intrisa d’ipocrisia in cui vivono.
Orion non la sopporta: è abituato a classificare con una meticolosa accuratezza le persone, ad inquadrarle, ad affibbiare loro delle chiare connotazioni. Con lei, non può farlo: sfugge al suo processo di categorizzazione, si ribella alle rigide strutture che sorreggono la sua esistenza, rifiuta qualsiasi etichetta lui cerchi di imporle.
Orion lo capisce quando è troppo tardi, che lei è la possibilità di riportare il non visibile in superficie, l’opportunità di cambiare, di diventare una persona migliore, di riuscire a sconfiggere le sue paure.
Orion lo capisce quando lei, ormai, non è più visibile – quando ci sono strati di terra a dividerli per sempre.
Quel velo brinato che si stende su tutto il suo corpo, quello che gli ghiaccia il cuore e gli congela l’anima, Orion è convito che non riuscirà a toglierlo mai più.
 
Orion ha trentun anni quando le sue convinzioni vacillano.
Dopo essere sprofondato in uno stato di apatia, d’insofferenza al mondo intero, è diventato un burattino, argilla tra le mani dei suoi genitori, un animo debole da plagiare. Senza che se ne accorgesse, sul suo volto si è costruita una maschera, una maschera fatta di indifferenza, una maschera capace di mettere a tacere – una volta e per sempre – quel non visibile così rumoroso che ha continuato ad agitarsi minaccioso dentro di lui.
Accoglie quel mondo corrotto che ha sempre screditato, s’immerge nelle sue acque infide e si lascia consapevolmente ingannare dalle sue illusioni: Orion sa che quell’anestesia ad ogni emozione non è permanente, ma farebbe di tutto pur di smettere di provare qualsiasi cosa, pur di smettere di essere debole. E sa anche che senza emozioni non raggiungerà mai la vera felicità – gliel’ha detto lei, e lei possedeva il segreto dell’esistenza, lui ne è convinto – ma preferisce una vita anestetizzata ad una vita sofferente.
Ha trentun anni quando le sue convinzioni vacillano, quando, per la prima volta dopo secoli, prova qualcosa. Ed è un qualcosa che non ha mai provato prima, che non riesce a spiegare, che lo sorprende o lo devasta per l’intensità con cui si presenta.
Ha trentun anni quando le sue convinzioni vacillano dinnanzi ad occhietti di un colore indefinito e ad un profumo di bambino. È un odore talmente naturale – e puro e buono e innocente – da fargli desiderare d’annusarlo per sempre.
Orion ha trentun anni la prima volta che prende in braccio suo figlio e pensa che, forse, avrebbe anche la forza di ripercorrere tutte le sue sofferenze, se queste lo conducessero ancora a Sirius. A Sirius, che è l’emozione più forte che abbia mai provato.
Ed è così sconvolto – e felice, così felice da essere certo di aver appena mischiato il visibile al non visibile – che non può fare a meno di osservare il bambino tra le braccia e pensare che sia quanto di più bello abbia mai fatto nella sua vita.
Si chiede se diventare genitori significhi questo, smettere di pensare a sé stessi e far ruotare la propria vita attorno a quella dei propri figli, essere pronti ad annientarsi per loro, a far di tutto pur di assicurare loro un futuro felice.
Sposta lo sguardo su sua moglie, di una bellezza ammaliante ed una compostezza invidiabile anche dopo un parto, cerca di rintracciare sul suo volto sempre impassibile quei dettagli che possano fargli intendere che stanno provando le stesse cose – sfortunatamente, non può pretendere molto: conosce Walburga, ma non si è mai impegnato per conoscerla fino in fondo – ma, tutto ciò che vede, è orgoglio. Walburga ha adempito al suo compito, ha messo al mondo un Black perfettamente sano che potrà portare avanti quel nome da cui tutti sono ossessionati.
Orion non vede un briciolo d’amore sul suo volto e si sente nauseato, stringe il bambino più forte a sé e si sente in trappola: non vuole far crescere suo figlio con una donna che non è capace di amare nemmeno lui, sangue del suo sangue.
Un’improvvisa realizzazione lo congela sul posto: e lui, sa amare? Saprà essere un buon padre? Saprà dargli un’infanzia più felice di quella che lui stesso ha ricevuto?
Si dice che sì, riuscirà a farlo – farebbe di tutto, per questo sprazzo di sole che ha illuminato la sua vita – e non si accorge del tumulto di emozioni che ha seppellito – seppellito con lei – che si dimena violento nel suo animo, ora troppo appannato dalla gioia per percepire altro.
 
Il non visibile non è mai stato così pericoloso.
 
 
***
 
Sirius ha lo sguardo determinato di chi non cambierebbe idea neppure con una bacchetta puntata alla testa.
Gli occhi grigi lo guardano in una tacita sfida e Orion sente che quel tumulto – quello che si è agitato diverse volte ma che lui è sempre riuscito a placare prima che fosse troppo tardi – adesso rischia di esplodere.
Ha scoperto che essere padre non è facile come aveva sperato. Ha capito, nella rassegnazione più amara della sua vita, che lui non sa come amare. Non sa come esprimere i suoi sentimenti, non sa abbracciare, non sa neppure dare una semplice carezza.
Era più semplice, quando i suoi figli erano dei bambini: bastava occuparsi di loro, provvedere a lavarli, nutrili, metterseli sulla schiena per farli ridere. Ma adesso, adesso che sono due adolescenti autonomi e non hanno bisogno di lui, Orion non sa come comportarsi.
Ha sperato, all’inizio di quell’avventura, che Walburga si addolcisse e si comportasse come sua madre, che diventasse più affettuosa, che colmasse quel vuoto affettivo che lui non sapeva come riempire.
Ha smesso di sperarci relativamente presto: Walburga racchiude in sé tutti i principi di un perfetto Black ed Orion si è dovuto trattenere più volte dal diventare violento con lei quando ha capito che, con i loro figli, usasse gli stessi metodi dei loro genitori – soprattutto con Sirius.
Orion mentirebbe se non ammettesse a sé stesso di avere un debole per Sirius: ha provato la stessa gioia con entrambi, si è preso cura di loro nella stessa maniera e sarebbe pronto a morire per uno quanto per l’altro ma, con il primo, sente un legame che, con Regulus, manca. Probabilmente, è una reazione all’atteggiamento di Walburga: più lei si accanisce su Sirius e preferisce Regulus, più Orion si sente in dovere di proteggere il suo primogenito.
Orion sa che Sirius è identico a lui – e sa che strazio sia per lui sottostare alle regole di un Black – ma è anche perfettamente consapevole di non essere capace di dirglielo, di aprirgli il suo cuore, di mostrargli tutto quello che si nasconde sotto il visibile.
Quindi, forse Sirius crede che in quella famiglia nessuno lo ami, ma Orion ci ha provato, con tutto sé stesso: lo ha fatto sempre uscire da quella stanza del castigo in cui Walburga lo chiudeva mentre era a lavoro; non è mai stato violento; non ha mai fatto diventare la sua curiosità e la sua vivacità dei difetti da eliminare; non gli ha mai fatto pesare quel suo essere Grifondoro – la Casa che lo ha portato da quel Potter, dal ragazzino insolente che ogni volta, in stazione, prima che le loro strade si dividano, stringe Sirius in una morsa fraterna ed urla “Ti scriverò ogni giorno e verrò a controllare come stai, se non mi risponderai!” mentre fulmina Orion con lo sguardo. La prima volta che è accaduto, l’uomo si è dovuto trattenere dal ridere; la seconda, è andato da Alphard e, con un sorriso sincero, gli ha detto «Sirius ha trovato il mio te». Il cugino l’ha guardato come se fosse impazzito, ma poi, ha capito: Sirius ha trovato quella persona che lo amerà e gli rimarrà accanto per il resto della sua vita.
Quindi Orion sa che è merito suo se Sirius, adesso, ha il coraggio di fare ciò di cui lui ha sempre avuto paura: andarsene.
 
Visibile e non visibile.
 
Il cuore batte troppo veloce, la vista si annebbia, i pensieri si confondono.
Orion le sente, le sue emozioni. Le sente setacciare il perimetro, cercare il punto più debole, quello più fragile, quello che potrebbe cedere per primo; le sente scavare con insistenza sulla parete, battervi contro, colpirla con la massima violenza. Avverte una crepa, una linea che si allunga fino a raggiungere le due estremità di quel muro immaginario dietro cui ha nascosto tutto, per anni.
L’esplosione è sorda, ma non indolore.
Lo colpisce con una brutalità devastante, lo annienta, lo schiaccia, lo vince.
 
Visibile e non visibile.
 
Orion vorrebbe dirglielo. Vorrebbe dirgli che lui e suo fratello sono gli unici motivi per cui continua ad alzarsi ogni mattina; vorrebbe dirgli che è fiero del ragazzo che è diventato; vorrebbe dirgli che sa che è stato lui a finire la sua scorta di Whisky Incendiario ma che lo perdona, perché sa cosa sta attraversando, sa cosa si prova, sa come ci si sente a portare quel cognome alla sua età.
Orion apre la bocca ma rimane paralizzato.
Non può farlo.
Non sa farlo.
 
Visibile e non visibile.
 
Perché non l’ha capito prima?
 
Adesso che le emozioni lo hanno travolto, Orion capisce che non c’è alcuna differenza, che non ci sono mondi separati, né connotazioni distintive.
 
Il non visibile è quello che sta sotto e invece Orion lo sente sopra, lo sente invadere ogni centimetro del suo corpo, risalire in superficie, manifestarsi nella sua più crudele natura.
 
Lo sente nelle lacrime che bagnano prepotentemente i suoi occhi e nella disperazione che dilania il suo animo: le emozioni che tanto ha temuto si sprigionano nella loro forma più totalizzante dinnanzi alla realizzazione che non vedrà mai più suo figlio.
 
Sirius ha un sorriso amaro sul volto e scuote piano la testa «È troppo tardi» gli dice, con una delusione che arriva come una pugnalata al cuore del padre, mentre apre la porta e mette un piede fuori.
 
La reazione di Orion è istintiva: lo blocca per un braccio e lo costringe a voltarsi. Vorrebbe urlargli contro quanto lo ama perché adesso, adesso che lo sta perdendo si rende conto di quanto sia stato stupido a non affrontare prima le sue paure. Adesso, mentre osserva quegli occhi grigi pieni di rabbia, vorrebbe dirgli quanto gli dispiace, quanto sia deluso da sé stesso per non essere stato in grado di assicurare a lui e a suo fratello quel futuro felice che aveva promesso ad entrambi alla loro nascita, quanto la loro sola esistenza sia stata per lui motivo di forza.
Non dice niente.
Lo guarda e spera che Sirius sia davvero così simile a lui da riuscire a capire. Sa che non è giusto, sa che i figli hanno bisogno di sentirsele dire, certe cose. Sa anche che Sirius rimarrebbe impassibile dinnanzi al suo sfogo perché, la sua strada, l’ha scelta anni fa. L’ha scelta nel momento in cui ha iniziato a considerare i Potter la sua famiglia e Orion è geloso, geloso marcio, ma è anche grato che Sirius abbia trovato qualcuno capace di regalargli quella sensazione di casa che lui non è mai riuscito a fargli provare.
 
È stato un pessimo padre, lo riconosce – non lo ha mai negato. Non è stato abbastanza forte, il pensiero dei suoi figli non gli è bastato per superare le sue paure e adesso, l’unica cosa che può fare, è lasciarlo andare e sperare che trovi la felicità.
 
Sirius sospira e si sottrae alla sua presa «Forse con Reg sei ancora in tempo» è l’ultima cosa che gli dice prima di voltargli le spalle e sparire nel buio della notte.
 
Sirius, per Orion, diventa non visibile.
 
Tocca al padre di famiglia bruciare il nome di un membro che decide di andarsene.
Orion contempla quel “Sirius” per troppo tempo e Walburga sa che non avrà mai il coraggio di farlo: lo brucia al posto suo.
 
Orion ci prova a tener fede a quell’implicita richiesta di prendersi cura del fratello minore, ma fallisce. Fallisce miseramente. Fallisce e, stavolta, non può accettarlo.
 
È troppo tardi.
Di nuovo.
 
La testa gli gira, vittima di un continuo decentramento di immagini della crescita di Regulus, di parole che avrebbe voluto dirgli, di discorsi che sperava di essere ancora in tempo per fare.
La gola gli fa male e capisce di star urlando, ma non gliene importa. A cosa gli serve, la voce, se non potrà più parlare con suo figlio?
Le lacrime rendono la sua vista appannata e non si accorge del modo in cui sta scuotendo Kreacher, della violenza con cui lo sta sbattendo al muro, di come la sua furia rischi di ucciderlo.
È sordo alla disperazione di Walburga, disperata per quel figlio tanto adorato, disperata per la reazione spropositata del marito.
Ad Orion non importa niente di lei, o di Kreacher. Orion vuole solo suo figlio. Vuole il suo Regulus e vuole continuare a pregarlo di cambiare strada, vuole proporgli di scappare insieme, vuole dirgli che non può fare nulla di avventato perché lui ne morirebbe, se gli accadesse qualcosa.
Orion lo sapeva già. Erano giorni che una strana sensazione gli attanagliava lo stomaco, che un allarme continuava a risuonare nella sua testa, che quel familiare presentimento non gli dava mai pace: erano gli stessi sentori che lo hanno portato ad alzarsi di corsa la notte in cui ha perso Sirius.
Ma Regulus, il suo Regulus, è perso per sempre.
 
Orion si accascia al pavimento, è scosso da un tremore che lo rende incapace di avere il controllo dei suoi arti, è confuso, e sudato, e stanco. Non ha la forza di combattere contro questo dolore che lo sta consumando dall’interno, gli sta lacerando ogni superficie – visibile e non – e lo sta conducendo verso un inferno fatto di sensi di colpa.
 
Regulus è diventato non visibile.
 
E ora che entrambe le sue ragioni di vita non sono più visibili, perché mai lui dovrebbe continuare a vivere in un mondo visibile in cui non vuole vedere più niente?
 
Orion lascia che le emozioni finiscano quel lavoro iniziato anni prima, lascia che lo divorino, che s’insidino nella sua anima e lo prosciughino, che prendano il sopravvento, che lo annientino – che lo uccidano.
 
Orion non sa se la morte di un figlio porti alla morte di qualunque genitore, ma è felice che, nel suo caso, sia così.
 
Quando quegli spasmi lo colgono, quando il cuore rallenta, quando respirare diventa doloroso, Orion sorride. Sorride e rivolge un ultimo pensiero ai suoi figli: a Sirius, con la preghiera che possa trovare la vera felicità e a Regulus, con la speranza di raggiungerlo presto.
 
Il non visibile lo accoglie con un sorriso beffardo
ma Orion, per la prima volta
non ha paura.
 
Visibile e non visibile.
 
Perché non l’ha capito prima?
 
 
 
 
 


Note dell'autrice
Innanzitutto, se siete arrivati a leggere fin qui, vi ringrazio!
Ci tengo a specificare che questa è la mia personalissima caratterizzazione di Orion, di questo personaggio che nel libro ci viene appena accennato.
L’interesse per lui è nato a seguito di una lunga riflessione su Sirius e all'influenza che i suoi genitori hanno avuto sulla sua vita. Mi sono concentrata su Orion, mi sono chiesta quale potesse essere la sua storia, cosa si nascondesse nell’animo di questo signore di cui ci viene presentato un profilo molto vago – un nobile Purosangue che pare essere d’accordo con le idee di Voldemort ma che sembra avere dei ripensamenti quando si rende conto di dove sia disposto ad arrivare.
Ho cercato di rimanere fedele agli eventi che accadono davvero – al visibile – ma di costruirci sotto tutta la mia versione dei fatti – il non visibile!
Lo vedo come un personaggio molto complesso, cresciuto da questo padre tremendo e da questa madre che non riesce a farsi valere, con delle debolezze che spero di essere riuscita a far passare.
Non si conosce la data di nascita di Alphard, ma sicuramente è più piccolo di Walburga e più grande di Cygnus, quindi mi sono presa la libertà di farlo suo coetaneo e stabilire tra loro un rapporto molto simile a quello di James e Sirius.
Quella con “lei”, nella mia testa, è una storia lunghissima, ma ho cercato di riportarne l’essenza per giustificare il perché di determinate scelte di vita.
Spero davvero che tutta la costruzione attorno al visibile e non visibile sia chiara e a cosa si riferisca quel “perché non l’ha capito prima?” che rimane il suo rimpianto fino alla morte.
Orion e Regulus sono morti nello stesso anno e io ho SEMPRE pensato che fosse questo il motivo – seppur non ne abbiamo nessunissima conferma.
Bene, adesso mi fermo se no vado avanti a vita.
Grazie ancora per aver letto!
Alla prossima,
Traumerin
 
   
 
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