Storie originali > Horror
Ricorda la storia  |      
Autore: storiedellasera    20/07/2020    2 recensioni
Un incubo ricorrente tormenta la vita di un uomo.
Verso la fine del sogno, la vittima sente sempre il verso di tre corvi.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Questo manoscritto risale al 13 Ottobre del 1893.




Sono giunto alla conclusione che le vicende più atroci esordiscono sempre con un evento banale e insignificante. Nel mio caso, quell’evento fu il suono del mio telefono che squillò durante una tranquilla sera d’autunno. A chiamarmi fu il mio più caro amico, che viveva da solo a pochi isolati dalla mia dimora.
Lo potevo sentire, dall’altro lato della cornetta, particolarmente agitato e angosciato. Mi raccontò di un incubo terrificante che ormai lo assillava da diverse sere, un incubo che pian piano stava prendendo delle pieghe sempre più inquietanti e incomprensibili.
Poiché, per puro diletto, avevo appreso i rudimentali della medicina, consigliai al mio amico un tonico da prendere prima di andare a dormire e di evitare particolari pasti durante le cene.

Due sere più tardi, l’uomo mi chiamò di nuovo.
Era sull’orlo di una crisi di nervi poiché l’incubo ricorrente continuava a tormentarlo.
Potevo percepire il suo terrore non solo ascoltando i suoi deliranti racconti riguardo l’oscuro sogno, ma anche avvertendo il tremolio della sua voce distorta da una paura incommensurabile.
Preoccupato dal suo stato fisico e mentale, decisi di fargli visita nonostante la tarda ora.
Salì sulla mia auto e partii senza alcun indugio.
Le strade erano completamente deserte, illuminate dalla fioca e spettrale luce dei lampioni. Una sinistra nebbia si stava addensando per tutto il quartiere.
C’era qualcosa di strano nel comportamento dell’evanescente foschia. Trovai innaturale il suo volteggiare e il suo strisciare attorno alla mia auto… e confesso che più di una volta rischiai di finire fuori strada poiché intento a osservare quel fenomeno del tutto incomprensibile alla mia ragione.
La visione delle strade avvolte nel buio e nella nebbia evocava in me strani e suggestivi pensieri, che mi spinsero a credere di essere l’unico uomo rimasto vivo in città.
Con un tale stato d’animo raggiunsi la casa del mio amico.
Sorgeva di fronte a una strada scura, con alberi spogli a entrambi i lati.
Nessuna luce era visibile oltre le finestre dell’abitazione.
L’intera dimora appariva come un enorme spettro buio. Si alzò un gelido vento che trascinò con se una pagina di un vecchio giornale.
La carta rimase impigliata per qualche secondo su una gamba di una panchina distante due isolati dalla mia posizione, poi il vento la prese di nuovo con se e la trascinò via nell’oscurità della notte.
Non so spiegare il motivo, ma quell’immagine mi provocò un gelido brivido lungo tutta la schiena.
Mentre salivo la corta rampa di scale che mi separava dalla porta d’ingresso, un improvviso sbatter d’ali sulla mia testa mi fece trasalire.
Pensai che avrei dovuto calmarmi prima di annunciarmi al mio amico, ma quest’ultimo aveva già aperto un poco la porta… e nel buio più totale dell’atrio mi pregò di entrare in casa con un invito sommesso.

Avanzai incerto nel nero atrio, i passi leggeri del mio amico erano la mia unica fonte di riferimento in quella sconfinata oscurità. Più volte urtai contro vari oggetti disseminati per tutta la stanza.
Quando finalmente il mio amico accese una piccola lampada ad olio, dovetti raccogliere tutte le mie forze per restare calmo e impassibile.
Chi avevo d’innanzi a me non era l’uomo che conoscevo da tempo ma solo l’ombra di se stesso.
Il suo incubo lo aveva deperito in un modo ad dir poco scioccante.
Colui che rammentavo fosse una persona perfettamente sana, in quel momento era una creatura fragile e chiaramente denutrita. La sua pelle, pallida e malata, sembrava un velo traslucido adagiato su un pietoso mucchio di ossa. Era curvo su se stesso, con il respiro affannoso e il volto scarno.
I suoi occhi erano perfettamente tondi e spalancati.
La sua voce sembrava provenisse da una tomba.
Quale Dio permetterebbe a un uomo di ridursi in quello stato?
Cosa poteva spingere una persona a subire una simile e abominevole metamorfosi?

La debole luce della lampada rivelava, almeno in una parte, il soqquadro che regnava all’ingresso.
Vecchi giornali, abiti lasciati a terra, scatole, libri e altro ancora era accatastati senza alcun ordine e criterio nella stanza. Il resto della casa volgeva nello stesso indecoroso stato di abbandono.
Ciò che mi preoccupò e mi intristì parecchio fu l’enorme numero di bottiglie vuote sparse in tutta la casa: scotch, gin, whisky e assenzio. Molta di quella roba doveva ancora trovarsi nello stomaco del mio spettrale amico.
Trovai persino una fiala di laudano sul tavolo della sala da pranzo.
Per quanto riguarda la cucina…beh …confesso di non aver avuto la forza per entrare. Sbirciai soltanto per pochi istanti al suo interno, poiché attirato da un tanfo nefasto: vidi un mucchio di pentole e piatti accatastati gli uni sugli altri, come a formare una grottesca torretta di metallo e porcellana.
Il cibo andato a male aveva attirato una moltitudine di piccoli e disgustosi animaletti. Li sentivo ronzare e strisciare in tutta la stanza.

Il mio amico mi condusse nel suo studio, che era la sala meglio conservata della casa.
Si scusò per avermi chiamato a quell’ora della notte e di avermi accolto in un’abitazione che volgeva in quel terribile stato. Educatamente sorvolai sulla questione.
Ci sedemmo su comode sedie di velluto rosso, vicino al mappamondo e al camino spento.
L’uomo mi offrì un po’ di whisky.
In quella atmosfera, ogni ombra sembrava prender vita e d’un tratto mi sentii osservato. Gli scricchiolii della casa inoltre mi rendevano nervoso. Iniziai a formulare ridicoli pensieri… ma non ho l’ardore di rivelarli.
Il mio amico iniziò a raccontarmi i dettagli del suo incubo:  nel sogno, l’uomo vedeva se stesso camminare di notte nella sua stessa abitazione. Solo la luce d’argento della luna illuminava i corridoi e le sale.
Qualcosa di spaventoso era nascosto tra le ombre della casa. Era vagamente umano, alto quasi quanto il soffitto, con braccia talmente lunghe da sfiorare il pavimento e sulla testa si intravedevano ciò che sembravano essere due corna caprine.
Mentre ascoltavo quel racconto, iniziai a guardami dietro le spalle… come se mi aspettassi di trovare un demonio intento a scrutarmi.
Non mi piaceva per niente quella storia e desiderai di ritornare a casa mia il più in fretta possibile.
Ma il mio amico continuò a descrivermi il suo incubo.
Mi disse che nella sua terrificante esperienza onirica, la luce argentata iniziava a farsi sempre più intensa fino a divenire accecante. A quel punto poteva udire distintamente una donna urlare, seguito dal gracchiare di tre corvi.

L’ennesimo scricchiolio della casa mi fece sussultare. Finii di bere il whisky tutto d’un fiato… un peccato mortale trangugiare in quel modo del buon whisky.
Il mio amico mi disse che si svegliava sempre dopo aver sentito il verso dei tre corvi, allora saltava via dal suo letto, tremante e sudato.
L’incubo era sempre lo stesso eppure, tutte le volte, qualcosa cambiava: l’ombra dalle corna caprine si avvicinava a lui a ogni nuovo sogno.
Per diversi notti il mio amico tentò di vegliare… poi iniziò a bere e ad assumere droghe nella speranza che il suo stato alterato potesse impedirgli di sognare. Tali pratiche lo spinsero a ridursi in quell’ammasso di pelle e ossa che avevo d’innanzi a me.
Ma quasi tutte le notti l’incubo tornava a fargli visita.

La sua storia mi terrorizzò moltissimo.
Rammento che per molto tempo non riuscii a muovermi. Bloccato in quella comoda sedia ero convinto che, in quel momento, qualcun altro oltre a noi si trovava nella stanza.
Ad alimentare ancora di più i miei terrori ci pensò il mio amico: mi confidò infatti di non riuscir più a distinguere la realtà dal mondo sogni. Sospettava che l’ombra dalle lunghe corna fosse, in qualche modo, uscita fuori dall’incubo per ritrovarsi in quella buia casa, insieme a noi.

Non so dire dove abbia trovato l’ardore per alzarmi dalla sedia.
Il mio amico mi pregò di aiutarlo e io, confuso e agitato, accettai senza quasi rendermene conto.
Non ricordo neanche i momenti in cui percorsi l’intera casa per raggiungere l’uscita, del resto ero troppo spaventato. Il mio ospite mi accompagnò alla porta e io gli promisi che sarei venuto a trovarlo il giorno dopo.
Una volta fuori da quella casa, il terrore aumentò.
Ero infatti circondato dal buio della notte a dalla sinistra nebbia che aleggiava in tutto il vicinato.
Il silenzio che regnava in quel luogo era irreale, interrotto solo da strani e inquietanti rumori come un cigolio di un cancello a qualche isolato di distanza, lo spezzarsi di un ramoscello alle mie spalle, il gracchiare di un corvo in lontananza.
Pervaso da tremori incontrollabili, tornai alla mia auto.
Mi guardai intorno mentre aprivo lo sportello e giurai di aver notato, solo per un istante, la sagoma di un uomo, oltre la luce di un lampione, intento a fissarmi.

-.-.-.-.-.-

La luce del mattino che entrava nella mia stanza da letto fu come una panacea per i miei nervi stanchi.
Mai prima di allora bramai di rivedere il sole.
Ma la giornata si rivelò pallida e gelida. In poco tempo le ombre della sera strisciarono in tutta la città. Finito di lavorare, cenai rapidamente per poi dirigermi di nuovo verso la spaventosa casa del mio amico.
Non dissi nulla a mia moglie.
Se ero venuto a contatto con un qualcosa di innominabile e infernale allora non avrei coinvolto nessun’anima innocente, specialmente quella santa donna che è la mia consorte da quasi quarant’anni.
Per la seconda volta la nebbia fu la mia spettrale compagna di viaggio.

Il mio ospite mi accolse in casa sua.
Era in lacrime e tremante dalla paura. Mi disse di essersi appisolato solo per un momento nello studio e che l’incubo si era manifestato di nuovo. Forse fu il verso dei tre corvi che udì nel sogno o il mio bussare alla porta ad averlo destato. Entrai in casa e cercai di farlo calmare.
La sua espressione mi stava terrorizzando. Attraverso i suoi occhi, spalancati e arrossati, potevo percepire parte della sua paura… una paura sconfinata e incomprensibile.
Tra i singhiozzi e i balbettii, il mio amico mi raccontò le novità del suo sogno. Mi disse che l’ombra cornuta era riuscita ad afferrargli una spalla, sussurrandogli poi parole in una lingua morta da secoli.
Il resto del sogno non era diverso da tutti gli altri incubi precedenti: la luce sempre più intensa, il grido di donna e, per finire, il verso dei tre corvi.
Avevo promesso al mio amico che l’avrei aiutato ma non avevo idea di cosa fare.
La casa così buia e così disordinata mi agitava.
Il catasto di oggetti e spazzatura creava diverse sagome oscure… una di quelle sagome assomigliava a qualcosa che non voglio più ricordare.
Fu quasi per caso che intravidi un segno sotto il colletto della camicia del mio amico.
Quando glielo feci notare, l’uomo si svestì alla svelta, scoprendo così il segno di una mano demoniaca rimasto impresso sulla sua spalla.
Era una grande impronta di colore rosso-brunastro, proprio nel punto in cui l’ombra dalle lunghe corna aveva afferrato il mio amico nel sogno.

Il terrore si impadronì della mente dell’uomo… mente già resa fragile dal tormento dei suoi incubi.
Vidi il mio amico perdere rapidamente il controllo. Iniziò a respirare freneticamente e quando alzò lo sguardo verso di me, notò qualcosa alle mie spalle. Qualcosa che lo fece urlare dalla paura.
Oramai reso folle dalle sue visioni, l’uomo mi spinse e via e fuggì dalla sua casa, continuando a gridare a squarciagola.
Non guardai mai alle mie spalle. Non volevo sapere se dietro di me c’era  effettivamente qualcosa di mostruoso.
Iniziai a rincorrere il mio amico, nella speranza di prenderlo e di farlo calmare.
Ma quest’ultimo si era già riversato in strada e non vide l’auto arrivare da dietro una curva. I fanali della vettura lo  accecarono e non ebbe il tempo di scansarsi.
Morì sul colpo, investito da quell’auto.
Una scia rossa fu tracciata per tutta la via. E io, inerme, non potevo far altro che fissare il corpo spezzato del mio amico giacere in fondo alla strada, mentre la donna al volante usciva dall’auto macchiata di sangue.
La sentii gridare per l’orrore nel vedere il cadavere dell’uomo… e da un albero, posto lì vicino, udii poi il truce gracchiare di tre corvi.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: storiedellasera