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Autore: Roxar    26/07/2020    0 recensioni
"Ognuno di noi è il prodotto delle proprie scelte, Severus."
Una casa accucciata su un albero, il tempo che non l'ha scalfita e Lily che saluta per sempre la pallida eco del ragazzino dei suoi ricordi d'infanzia.
[No romance]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lily Evans, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Fandom: Harry Potter
Personaggi: Lily Evans, Severus Piton
Warnings: Angst? Angst.
Prompt: “A e B guardano le stelle dalla casa sull’albero in cui giocavano da bambini.”
Note
Questa storia partecipa alla Midsummer Nights' Run del forum Piume d'Ottone.











 

 

Quando l’ultimo gradino geme sotto il peso del tuo sandalo senti la pancia prodursi in un piccolo salto di amara commozione. In quel piccolo luogo, che all’epoca ti sembrava tanto spazioso, lo scorrere del tempo lo vedi solo nello strato denso di polvere che si è posato sugli oggetti, sulle travi del pavimento, sul davanzale della piccola finestra tonda. Non c’è altra variazione, tutto combacia perfettamente con i tuoi ricordi.

 

Persino le stelle che riesci a scorgere attraverso la chioma dell’albero sono le stesse. 

 

Non sai bene perché i passi, alla fine, ti hanno portata qui. Non sai cosa stai cercando, né cosa speravi di trovare. Non hai più undici anni e non c’è più qualcuno ad aspettarti seduto composto sul piccolo sgabello di legno. 

 

Però, e te ne accorgi con un piccolo moto di spavento, c’è qualcuno proprio dietro di te. La punta della bacchetta illumina la figura dell’ultima persona che ti aspettavi di vedere. Non avevi idea che vivesse ancora qui. Analizzi con cura le emozioni che ti stanno stringendo lo stomaco, ma trovi solo tristezza. Il rancore, la delusione, il rimpianto, quelle devi averle metabolizzate molto tempo fa.

 

“Ciao, Severus.”

 

Anche sotto la luce fredda della bacchetta riesci a vedere quanto pallido e scavato sia il suo viso. Se tu sei sorpresa di vederlo, lui è veramente sotto una sorta di shock. Ti ricorda quelle lepri selvatiche che si immobilizzano davanti ai fanali di un’automobile un attimo prima di essere colpite. È atterrito e tutto, dalla postura allo sguardo, lascia intendere che stia aspettando l’inevitabile Schianto.

 

Cosa si aspetta che tu faccia? Non hai certo intenzione di ingaggiare una battaglia - nonostante le vostre opposte affiliazioni lo richiedano. Né hai intenzione di scaraventarlo via come una bambola di pezza con un incantesimo ben piazzato. 

 

“Non sapevo abitassi ancora a Spinner’s End.” La tua voce suona composta, tranquilla, quasi piatta. Non trapela alcun sentimento semplicemente perché non c’è davvero nulla che debba trapelare. Il tuo cuore è in pace; ha elaborato il lutto molto tempo fa. Il Severus che ti sta davanti non combacia con quello dei tuoi ricordi. Quel ragazzino smagrito e trascurato è morto molti anni fa. Lo hai accettato. Lo hai razionalizzato. La persona immobile sulla soglia è, nei fatti, uno sconosciuto - un nemico.

 

Ci mette un po’ a rilassare la linea rigida delle spalle, a spingere via dalla fronte i lunghi capelli neri.

 

“Ho saputo di tua madre,” mormora, così piano che devi fare uno sforzo di concentrazione per non perderti le prossime parole. “Mi dispiace.”

 

“Davvero? Davvero ti dispiace?” Non c’è polemica nelle tue intenzioni, piuttosto una genuina curiosità. Tua madre era solo una Babbana, incarnava tutto ciò che lo schieramento di Severus aborre e cerca di estirpare con la violenza cieca, con la morte. 

 

“Mi ricordo delle sue torte.”

 

Il ragazzino della tua infanzia lampeggia, per un attimo, nella trama di questo adulto sconosciuto. Non ti lasci ingannare, non ci caschi; sai bene quanti danni possano fare i fantasmi del passato. Però quelle torte le ricordi anche tu. Ricordi che Severus era sempre il benvenuto in casa Evans e che tua madre cucinava di proposito un piatto in più, ogni santo giorno, perché provava sincera pena per quel bambino così abbandonato a se stesso.

 

Non ha importanza, mormora piano una voce nella tua testa. Non ha importanza davvero. Il tempo, in quella casetta accucciata tra i rami di un albero, potrà anche essersi fermato, ma questo non può farti dimenticare che al di là delle sue quattro mura di legno le cose siano andate molto diversamente.

 

Getti un’occhiata distratta alle stelle e, con la coda dell’occhio, cogli Severus ad imitarti. La luna questa sera è solo un’unghia che graffia un immenso panno nero; le costellazioni brillano come se fossero vicine, tanto che ti basterebbe allungare un dito per sfiorarle, proprio come facevate da bambini, stesi sul pavimento polveroso a tracciare disegni a mezz’aria. 

 

Non ti mancano quei tempi e quel Severus non c’è più, ma ti riscopri a non riuscire a non provare ancora l’eco di quell’antico affetto.

 

“Ti sei sposata,” dice di colpo e la nota tagliente nella sua affermazione non fa altro che ricordarti quanto e perché questo adulto ti sia così sgradito. Il disprezzo per aver scelto un altro, il rancore ancora vivo per James, la sottile insinuazione che, in tutta questa triste storia, tu sia la vera colpevole.

 

Però c’è un sorriso placido quando rispondi che sì, hai sposato James la scorsa estate. La tensione ti si aggrappa alla schiena, quasi ti tira il vestito, ma le permetti di esistere e non fai nulla per alleggerire l’aria pesante. Non spetta a te; sono finiti i tempi in cui gli camminavi intorno in punta di piedi per non infierire, per non ferirlo più di quanto non facessero già tutti gli altri.

 

Quando finalmente riporti gli occhi su di lui c’è qualcosa di cattivo nel modo in cui sta fissando la fede che brilla tenue alla luce della bacchetta. 

 

Smettila, vorresti dire. Non lo vedi che quei ragazzini non esistono più? Non lo vedi che il tempo è passato? Non lo vedi che il tempo è scaduto?


“Devo andare.”

 

“No! No, aspetta…”

 

Però sei già con un piede sullo scalino e le mani ben salde ai lati della scala. 

 

“Ognuno di noi è il prodotto delle proprie scelte, Severus, e quello che siamo noi non è altro che la conseguenza di quelle scelte. Non provo più rancore per te, ma tu hai scelto da che parte stare e io ho scelto la mia.”

 

Il vestito si gonfia intorno alle tue gambe quando tocchi l’erba. Gli concedi un’unica, un’ultima occhiata e speri che capisca, speri che sappia che siete incastrati in qualcosa che va oltre le vostre piccole beghe scolastiche, oltre i vecchi insulti e i vecchi rancori; speri che realizzi che, se mai vi ritroverete faccia a faccia sul campo di battaglia, non avrai altra scelta che affrontarlo e che uno dei due potrebbe anche morire. 

 

Ti allontani con passo leggero, respiri piano.

 

E la mano che ancora impugna rigida la bacchetta, per qualche motivo, trema.

 
   
 
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