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Autore: RLandH    29/07/2020    2 recensioni
Il titolo in carattere gigante – era sempre stato così gigantesco? Sembrava enorme quel giorno – “L’Eroe del Mondo Magico si sposa!”.
Come da tradizione Harry e Ginny avevano pubblicato le partecipazioni sul giornale, più per rendere contenti i suoi futuri suoceri, che per reale interesse suo e della sposa. Avevano scelto Il Cavillo – per Luna – solo che quando il ministro Shacklebolt l’aveva scoperto aveva insistito – in realtà Hermione si era confidata nel dirgli che non era stata proprio un’idea del ministro ma di una serie di machiavellici funzionari – che le partecipazioni venissero pubblicate anche sulla Gazzetta del Profeta. Senza dimenticare che una serie di tortuose situazioni, non meglio identificate, avevano trasformato il piccolo matrimonio intimo che Harry aveva pensato di consumare con Ginny, in uno un po’ più grande.
Maestoso.

Una raccolta in ordine non sequenziale degli eventi che hanno portato al matrimonio più sospirato dell’intera comunità magica. Nonostante la sempre più vana speranza di Harry Potter di poter vivere quel così delicato momento in intimità.
Tra parenti, report e gruppi sovversivi, anche un matrimonio può essere una discreta avventura.
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Angelina/George, Draco/Astoria, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Più contesti
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Scusate se sono sparita per un mese buono, ma è stato un periodo molto meh, cercherò di essere più costante, comunque torno, ma torno con un capitolo molto filler. Da qualche parte questa trama porterà (differentemente quella dei Benisti, che è lì, solo per ledere i nervi di Harry) o tutto il pezzo di Ella Weasley che spiega le dinamiche famigliari, sarebbe stata inutile.
Inoltre, tadan, in questo capitolo appare un personaggio Rowliniano, che in realtà è più caratterizzato ne ‘La maledizione dell’Erede’ per quanto lì appaia nelle vesti della Donna Angelo, comunque, visto che per me, quel libro non è canon (Scusate, posso trovare delle cose positive, ma molte poche) ho deciso di dare la mia interpretazione.
Comunque a breve torneremo a parlare del matrimonio – e a vederlo, anche se non sarà subito da Harry/Ginny (sto pensando a George&Angelina o Percy&Audrey). Prossimamente però dovrebbe arrivare un capitolo sugli inviti, so che è una cosa scema, ma non vedo l’ora di scriverlo.
Vorrei ringraziare Miss Wendy per la recensione!
Buona Lettura,
RLandH

Storia di un uomo

“Sai che non ci ero mai entrata?” aveva domandato Ginny, mentre con un movimento svelto scivolava sulla carrozza per percorrere le profondità delle grotte della gringott. Sebbene fosse ufficialmente cominciata l’estate e sotto il chiaro cielo il tempo fosse più mite, addirittura caldo, sotto terra il clima era umido e freddo e Ginny era stata costretta a sistemare una felpa sulla sua maglietta.
“Io un paio di volte!” aveva detto evasivo Harry imitandola, il folletto che guidava il trabiccolo lo aveva guardato con una certa sufficienza, mentre lui alzava il polso per far scintillare il suo braccialetto. Era un manufatto succhia-magia, non aveva un grande effetto, ma abbastanza per tranquillizzare i folletti che gestivano la banca, che Harry non avrebbe cercato di fare qualcosa di folle. Poteva essere l’eroe del mondo magico, ma era anche uno dei pochi ad aver potuto raccontare di aver svaligiato la banca più impenetrabile di Inghilterra, forse del mondo.
“Billy dice che dovrei richiedere una camera o  almeno una cassetta personale” aveva cominciato a parlare Ginny, mentre il goblin, faceva partire il mezzo, “Non lo so, però” aveva ammesso lei, leggermente turbata, “Anche papà ha detto che i miei soldi dovrebbero essere i miei soldi” aveva aggiunto Ginny con una certa cupezza, “Adesso, con il quidditch, guadagno abbastanza” aveva raccontato, “Mi piacerebbe, in qualche modo, ripagare i miei” aveva confessato.
“Pur non avendo molto, i miei non mi hanno fatto mai mancare nulla” aveva detto Ginny, prendendo la sua mano.
Harry avrebbe voluto dirle che poteva mettere le cose con le sue, nella camera dei Potter, ma una parte di se, voleva sistemare tutto in quella dei Weasley; prima di poter parlare, il trabiccolo prese una brusca discesa.
Harry urlò senza vergogna, colto a sorpresa dalla repentinità della svolta.

Quando si era arrestato il marchingegno, erano stati prossimi ad una piazzola di pietra dura, avvolti nell’oscurità. L’unico punto di chiarore era quella di una fiaccola, di un fuoco azzurro, però rischiarava di una luce fievole.
 “Meglio di quella volta che siamo saliti sulle montagne polacche, al Luna Park due estati fa” aveva ridacchiato Ginny, infilando le dita tra i capelli rossi, sconvolti dal viaggio, per sistemarli all’indietro. “Russe. Montagne russe” l’aveva corretta Harry bonario, intrecciando poi le sue dita con quella della fidanza. “Tuo cugino sta ancora con quella ragazza carina-bassina?” aveva chiesto Ginny con genuina curiosità. Erano stati al Luna Park con Dudley e quella che lui aveva presentato come la sua fidanzata. Harry ricordava quella giornata come strana ma in qualche maniera anche divertente. “Non lo so, ho dimenticato di chiederlo, ma è un po’ che non ne parla” aveva valutato, forse un anno.
Per Harry era strano pensarci, come lui e Dudley avessero trovato quello strano equilibrio, una corrispondenza telefonica, fatta di conversazioni brevi ogni cinque settimane quasi.
Il goblin li aveva guardati di sbieco, prima di trotterellare davanti a loro per aprire la camera blindata.

La camera di Jeremiah Potter era alcuni piani più sotto rispetto quello della famiglia Weasley, ma era alcuni piani superiore sia quello dei Lestrange, sia quello di Harry. Non ne aveva mai avuto la certezza, ma Harry aveva sviluppato la teoria era che le camere erano disposte in grandezza crescente dall’alto verso il basso.
“Pronto?” aveva chiesto Ginny, guardandolo.
“Immagino di sì” aveva risposto incerto lui, mentre osservava il goblin far scattare le serrature per aprire la camera numero sei-centotrentasette. “Ecco signor Potter, la camera blindata della famiglia Potter, l’altra” aveva detto leggermente risentito la creatura, mentre Harry entrava nella stanza, tenendo la mano di Ginny.
Aveva capito che i folletti non erano mai troppo inclini a sbottonarsi sulle loro ‘custodie’. Harry aveva ricevuto la sua chiave della banca quando aveva undici anni, da Hagrid, immaginava conservata da Silente, ereditando tutto ciò che Fleamont Potter (e poi suo padre James) avevano riposto lì, per lui. Nonna Weasley, però, dopo la sua visita a sorpresa al pranzo della domenica di qualche settimana prima, gli aveva rivelato che in quanto ultimo della sua famiglia poteva accedere anche all’eredità lasciata da Jeremiah Potter, morto nel mille-novecento-settantadue, un suo cugino di non sapeva quale grado.
Oh, non che ci troverai niente di interessante, il tuo bisnonno Henry si beccò il tesoro della famiglia, inoltre Charlus era divertente, ma non molte ambiziose e Jemmy, ragazzo adorabile, ma era anche uno spendaccione’ aveva preannunciato Ella Weasley, quando aveva rivelato l’esistenza di quella camera blindata.

La camera lasciata da Jemmy conteneva del denaro, non molto, un mucchietto sistemato in due colonne di galeoni d’oro splendente, non più alte di un palmo, sistemate su un tavolino tondo basso di legno lucido-rossastro, sorprendentemente conservato bene. Quello di cui era però piena la stanza erano quadri, appesi sulle pareti, fino a coprire la roccia di cui erano fatte. Quasi tutte ritraevano figure umane, piuttosto turbate dalla luce delle bacchette che aveva dovuto disturbare il loro buio. Non mancavano anche ragnatele degne di Aragog e della sua progenie né altre cianfrusaglie di dubbio gusto, che facevano apparire la casa di Luna e Dean, quasi, sobria.
C’erano anche un paio di spioscopi niente male e molti libri, che avrebbero reso Hermione piuttosto interessata, almeno credeva Harry. I libri erano impilati sia in ordinate file su delle mensole, sia in colonne piuttosto precarie che si alzavano verso il soffitto, come una piccola miniatura della Stanza delle Necessità in una delle sue versioni più note.
“Non vedevo tutti questi libri da quando ho preparato i M.A.G.O.; ricordo che Hermione aveva cercato di seppellire tutta la Sala Comune di Grifondoro tra le pergamene” aveva raccontato Ginny, scavalcando un calderone rovinato, “Oh! Guarda Harry, qui c’è scritto, ‘Calderoni Potter, dal XII secolo’” aveva letto Ginny, ammiccando alla targhetta d’argento lucente, non mangiata dalla ruggine, sul paiolo.
Harry aveva sorriso, “Ho scoperto, anche grazie a tua nonna, che i Potter sono sempre stati legati al Pozionismo” aveva ammesso, “Letteralmente il tuo nome vuol dire vasaio” aveva sottolineato Ginny con una mezza-risata.
Harry aveva scosso il capo, “Mio nonno ha creato la pozione per allisciarsi i capelli che usa perfino Hermione” aveva raccontato Harry, “Se consideri che il professor Slughcorn mi ha detto che mia madre era davvero brava, allora, io devo essere stato lo schiopposparacoda della mia famiglia” aveva ammesso, con una punta di rammarico.
Ginny aveva lasciato perdere il calderone, “Non credo fosse proprio colpa tua” aveva detto allusiva. “Ho grande stima del professor Snape” aveva cominciato Harry, “Ma possiamo ammettere che come insegnante aveva le sue pecche” aveva cercato di essere accomodante poi lui, Ginny aveva roteato gli occhi, “Diciamo che faceva schifo[1]” aveva concluso lei.

Harry e Ginny si erano guardati intorno, incuriositi, “Non so neanche qualificare queste cose” aveva ammesso la ragazza con un tono basso, mentre raccoglieva un libro da mostrare ad Harry, era rivestito in cuoio e sembrava antico, sulla copertina c’era inciso a caratteri d’oro, ‘Il mito di Prometeo’.
Harry aveva guardato gli altri libri con un vago interesse, “Credo fosse un collezionista di qualsiasi cosa” aveva considerato, prima di lanciare uno sguardo all’immagine di una foto in bianco e nero, che era stata accatastata su un vecchio mobile di legno mangiato da tarli. C’era un uomo giovane, con il viso pallido, una spruzzata appena di lentiggini ed occhi scuri nascosti dietro lenti.
Aveva ragione Nonna Weasley nel dire che i Potter sembravano fatti con lo stampino, quello nel ritratto era ovviamente un suo parente, i capelli indisciplinati ritti sulla testa, erano riconoscibilissimi. “Credi fosse lui, Jemmy?” aveva chiesto retorico, “In qualche modo mi ricorda Sirius, sai il sorriso” aveva provato Ginny con un certo disagio, forse spaventata nel dirlo ad alta voce. “Si, deve essere il figlio di Charlus Potter e la Black” aveva valutato con un tono calmo.
“Era un grifondoro, come tutti!” aveva valutato Ginny, riferendosi a Jemmy – sedicenne? – nella foto, che strizzava l’occhio verso l’obbiettivo, con indosso l’uniforme di quidditch e la blasonatura del leone rampante. In quella foto lì, in quella posa, Harry poteva riconoscere tutta la sfrontatezza che aveva veduto in suo padre e di Sirius, nei ricordi di Piton, come aveva detto Ginny.
Qualcosa che lo disturbava e allo stesso tempo li riempiva il cuore.

“Chissà se era un cercato come te” aveva valutato la sua fidanzata, passandosi una mano sotto il mento.
Eccone un altro, aveva pensato Harry, un altro membro della sua famiglia, che non avrebbe mai conosciuto; non sapeva neanche quanto lontano fosse il suo sangue da quello di Jemmy Potter, ma sentiva in quel momento un vuoto allo stomaco, come quando si era trascinati via da una passaporta, solo che in questo caso era puro e semplice rimpianto.
Forse aveva visto Charlus e Jemmy nei riflessi di quella famiglia che gli si era parata davanti quando aveva guardato nello Specchio delle Emarb, quando aveva undici anni. Si chiese se guardandoci ancora una volta, da adulto, avrebbe restituito la stessa immagine.

Poi accanto alle foto aveva trovato un plico di fogli di carta ruvida, piegati più volte, l’uno sull’altro e fermati con lo spago, ne aveva sciolto il lembo per prenderli, mentre osservava Ginny con la coda dell’occhio, si era allontanata da lui, attirata da un  baule fermato con un lucchetto.
Mio adorato Jeremiah,
 oggi ti penso, non meno intensamente di come ho fatto ieri e di come temo sarà il mio avvenire.
Eternamente tua,
Laura’
La prima lettera che aveva letto, riportava solo quel breve messaggio, la data era sbavata nel giorno e nel mese, ma l’anno era leggibile, millenovecento-settantatre, un anno dopo la morte di Jeremiah Potter.
Immaginò che qualcun altro avesse posto quella lettera lì e che il suo lontano cugino non avesse avuto l’occasione di leggerla. “Laura” sussurrò, neanche sicuro di sapere come avrebbe dovuto leggere quel nome.
Era curioso di sapere cosa dicessero le altre lettere, se avesse potuto capire qualcosa dalle risposte che aveva ricevuto del suo parente, anzi dei suoi parenti.
“Qualcosa che le interessa, signore?” aveva domandato il folletto, Harry aveva sventolato la lettera, “Questa. Chi la ha messa qui?” aveva chiesto poi, “Il signor Potter, suo nonno” aveva rivelato l’elfo. Suo nonno Fleamont, di cui Harry conosceva l’aspetto per la foto di una vecchia edizione della Gazzetta del Profeta, datata negli anni trenta, e poco altro. Forse era stato il parente più prossimo di Jeremiah e si era dovuto occupare di ciò che era rimasto di lui.
“Harry! Harry! Vieni” aveva sentito Ginny chiamarlo, era con le ginocchia per terra, vicino al baule che era riuscito ad aprire, aveva tirato fuori una serie di pergamene, scritte fittamente, non tutte in inglese, ma anche due libri.
Uno dei libri era più nuovo, nel senso che era più recente, perché nuovo non sarebbe mai andata bene come definizione: i bordi erano rovinati, le pagine ingiallite, il dorso completamente scollato.
“ ‘Sanguepuro: resoconto di un elitè decadente’” aveva letto il titolo Harry, “Di Rita Skeeter” aveva valutato, non trattenendo una smorfia.
Aveva preso il libro, per guardarlo meglio; la copertina ritraeva la figura di un mago stilizzato, con la tunica ed il cappello appunta, una figura totalmente nera, cui alcuni accenni di capelli, di naso e le pieghe del vestito era fatte in bianco. Asoolutamente bidimensionale, il mago nero, era scompostamente stesa su quella che pareva un’ottomana di un prugna intensa. L’aria era pregna di fumi grigi che continuavano, vivi, a vorticare su una copertina verde acido.  
Il retro della copertina riportava, invece:

Esordio alla scrittura per la giovanissima Reeta Skeeter, un affresco affascinante, pungente e – notevolmente – scandaloso della giovane classe elitaria dei maghi purosangue, dell’Inghilterra, dal secondo dopo guerra alla fine degli anni sessanta.
Reeta Skeeter fa dei suoi personaggi un’analisi ardita, minuziosa e spietata, trasportando nella loro piena tridimensionalità le personalità più discusse e fosche nel mondo magico, nel secolo breve; svelando quei pettegolezzi piccanti, quei vizi, quelle oscenità che avevamo sempre sospettato e mai osato chiedere.

Robaccia, decise, facendo cadere il libro per terra, “Mi chiedo quante stronzate abbia scritto” aveva detto senza vergogna Harry, facendo ridacchiare Ginny, che gli aveva passato l’altro libro, “Forse questo ti interessa di più” aveva detto, dandoli l’altro libro, era più antico ma trattato decisamente meglio, “’Pentolai e Calderoni: storie di vasai’[2]” aveva detto Ginny.
Non conosceva l’autore di questo libro, ma gli bastò sfogliare un paio di pagine, per vedere il cognome Potter spuntare fuori diverse volte. “Probabilmente questo me lo prenderei” aveva detto Harry, sentendo per la prima volta la frustrazione del non essere mai stato capace in quella materia che letteralmente doveva essere corsa nel suo sangue.

“Il libro di Rita Skeeter lo porto a mia madre, non credo ci sia nulla di utile o di vero, ma se era qui, forse qualcosa di valido c’è, no?” aveva proposto Ginny.
“Possiamo portarli fuori?” aveva chiesto Harry al folletto, “Questa camera appartiene alla famiglia Potter” aveva detto con una certa riottosità quello, però concedendo di poter portare via ciò che desideravano.
Ginny aveva raccolto da dentro la sua tracolla la borsa espandibile di Hermione ed aveva sistemato i due libri al suo interno, Harry ci aveva infilato dentro anche le altre lettere che aveva trovato assieme a quella di Laura. Poi si erano messo a cercare altro, anche se Harry stesso non aveva idea esattamente di che cosa, qualsiasi cosa. Nel dubbio aveva preso anche la foto di Jemmy Potter ed il suo sorriso un po’ storto che ricordava Sirius Black.
“C’è un ricettario scritto a mano” aveva detto Ginny, “Ci riproviamo con i libri di pozioni scritti a mano o lasciamo perdere?” aveva domandato retorica, “Prendilo, si” aveva concesso Harry.
“Salve, giovani fanciulli, è molto che qualcuno non scendeva in questo aspro antro; prendete anche me, sono satura dell’essere qui!” aveva sentito una vocina chiamarli, sul pavimento, posata contro la parete, stava il quadro di una bella donna.
Lei aveva il viso roseo, dalla forma tonda, e le gote arrossate, i capelli erano di un biondo fragola, sistemati in due trecce che scivolavano su un petto pieno. La donna indossava un corsetto ed una generosa scollatura a barca, le maniche piene, composte da diversi sbuffi, che facevano apparire le braccia come due fisarmoniche. “Oh!” aveva detto Harry confuso, l’unico quadro domestico con cui aveva avuto a che fare fino a quel momento era stato Phineas (o la mamma di Sirius). “Sei sicura?” aveva chiesto leggermente in imbarazzo, “Si!” aveva risposto la donna, “Non sono fatta per vivere in questo buco nella terra” si era lamentata lei.
Ginny lo aveva superato per chinarsi a raccogliere la donna, prendendola delicatamente dal bordo di legno, poi si era presentata ed aveva presentato Harry a sua volta. La fanciulla aveva sorriso quando aveva sentito il suo cognome, “Io fui Iolanda Potter!” aveva detto euforica, “Potrei essere la tua bis-bis-bis … - nonna o zia, per quel che sappiamo” aveva stabilito lei. Ginny l’aveva infilata nella borsa, “Fanciulla, vi chiedo, di esser più garbata nei modi!” aveva languido il quadro di Iolanda.
“Oh, mi scusi!” aveva strillato Ginny, prima di alzare lo sguardo e sorridere verso Harry.
Lui le aveva sorriso di rimando.

Si erano guardati ancora un po’ intorno, alla ricerca di altri oggetti; Harry aveva trovato un'altra cassa piena di foto, alcune erano di Jemmy Potter, ragazzino, forse aveva undici o dodici anni, tutto orgoglioso nella sua uniforme con lo stemma grifondoro, insieme a suo padre Charlus – sì, Nonna Weasley aveva avuto ragione con il dire che non fosse esattamente una bellezza – e sua madre, una Black fino alla punta dei capelli. Tutti e tre sorridevano pieni di vita e gioia verso l’obbiettivo, alle loro spalle, compariva l’espresso per Hogwarts.
C’erano altre foto di Charlus e sua moglie giovani adolescenti, da soli ed insieme. In una Harry giurò di aver riconosciuto anche una Ginny dai capelli scurissimi – forse Ella – sullo sfondo, che guardava un po’ torva l’obbiettivo.
Poi aveva recuperato un’altra foto, non aveva cornice ed era spiegazzata, figurava una ragazza, indossava l’uniforme di corvonero, era seduta a gambe incrociate su un muretto, aveva un libro aperto sulle gambe e ciclicamente alzava lo sguardo da quello per guardare l’obbiettivo, sempre troppo in fretta per studiarne bene il viso. Aveva capelli scuri e ricci, anche se il bianco-e-nero non permettevano di riconoscerne la tonalità precisa, che le cadevano sul viso.
Aveva girato la foto solo per vedere se c’era scritto qualcosa, una sola parola: Laura. La ragazza che aveva scritto il messaggio?
Voltò di nuovo la foto e cercò di studiarla nel dettaglio, di racimolare qualcosa, qualsiasi cosa.
Ginny si era avvicinata a lui, per guardare la foto con lui, “Oh!” aveva commentato.
“I babbani hanno in fermo immagine” aveva ammesso Harry, “Ma lei è troppo veloce, non riesco a guardarla bene” aveva confessato.
Ginny aveva tirato fuori la sua bacchetta, “Va bene, signor Auror” lo aveva canzonato, “Retardat[3]” aveva sussurrato, un filo argenteo era scintillato dalla punta della bacchetta, colpendo la foto. “La Gringott non si fida a farmi praticare la magia al suo interno” si era giustificato Harry.
Il movimento ciclico di Laura si era rallentato, come nei video delle vecchie cassette babbane che Dudlay guardava da bambino.
Il viso pallido di Laura era fiorito chiaro, tra i riccioli scuri e una sensazione di famigliarità era sorta in lui, come quando aveva visto le foto di Jemmy e ci aveva ritrovato suo padre e Sirius. Anche Laura somigliava a qualcuno.
“Prendiamo anche questa?” aveva chiesto Ginny, “La tengo io” aveva risposto Harry, ripiegando la foto ed infilandola nella tasca sul retro dei pantaloni. La sua fidanzata aveva annuito, “Oh, potrei essere gelosa” aveva cinguettato, dandoli poi un buffetto con il gomito.
Harry aveva ridacchiato.
“Per quanto mi piacerebbe stare qui, temo di dover andare agli allenamenti” aveva rivelato Ginny, mettendo le mani sui fianchi, “Oh, l’incontro con le Valchirie andrà uno schifo” aveva aggiunto.
Era una squadra di quidditch Danese. “A proposito, ho parlato con il Direttore, uscirò un’ora prima da lavoro ed ho già preso già ordinato una passaporta per essere alla partita” le aveva comunicato Harry con un sorriso onesto. Ginny si era sporta per baciarlo sulle labbra, “Mi dispiace” aveva detto lei, “Per cosa?” aveva chiesto confuso Harry, “Perché il campionato di Quidditch ci ha praticamente reso impossibile scegliere una data in estate” aveva ammesso lei.
“Personalmente, inverno, estate o quale stagione, la mia unica richiesta per il matrimonio e che tu ci sia” aveva ammesso lui. Dandole un bacio sulla tempia, Ginny aveva ridacchiato.
“Va bene, andiamo” aveva impartito la sua fidanzata, “Dobbiamo anche passare a casa per assicurarci che Kreacher non abbia ucciso Grattastinchi[4]” aveva considerato, “Più il contrario” era intervenuto Harry.
Kinglay aveva obbligato Hermione a prendersi una settimana di ferie, visto lo stakanovismo con cui si era dedicata al lavoro in ministero; perciò Ron l’aveva portata in vacanza – se Harry non sbagliava, erano andati a trovare Neville, che stava svolgendo delle ricerche alle galapagos – e loro si era guadagnati il baby-sitting di Grattastinchi. “Ed io devo andare a lavoro, sono Harry Potter, ma non posso comunque prendermi tuti questi giorni” aveva ridacchiato lui.

Salve signor Potter!” erano stati intervallati da un infinito numero di ‘Oh, ciao Harry’ per tutto il tempo che aveva impiegato nel percorrere i corridoi del Ministero e l’ascensore, fino al corridoio degli auror. Qualcuno lungo la strada si era anche fermato a sussurare ed addittarlo, come se Harry fossero ancora la celebrità del mondo magico e non l’Auror che calcava quei corridoi cinque – se non sei – giorni la settimana.
Quando aveva imboccato il suo reparto, i salve si erano fatti più cenni cordiali. Harry adorava i suoi colleghi, perché avevano il naso sempre infilate nelle pratiche dei loro casi, da notarsi a stento l’un l’altro.
Aveva raggiunto la sua scrivania, con un passo un po’ lento, contrito dal lavoro che lo aspettava.
“Di buon ora, capo” era stato accolto da una voce appena un po’ puntigliosa, sulla scrivania affrontata alla sua Ria era già sistemata, i capelli scuri raccolti in una crocchia traballante e la camicia leggerà medita di sudore. “Il gatto ha cercato di strapparmi via la faccia” aveva ammesso, “Ha un infezione alle orecchie e non gradisce prendere la medicina” aveva raccontato.
Ria aveva sollevato lo sguardo, il viso serio si era incrinato con una smorfia divertita, “Il grande e potente Harry Potter, salvatore del mondo magico e auror indaco[5], affronta l’unico nemico che non può vincere – un gattino” l’aveva presa in giro a spada tratta Ria.
Era la sua partner da un paio di mesi, sul campo, avevano avuto un inizio un po’ roccioso –  Ria d’altronde, sapeva cavarsela meglio con le creature che con le persone – ma Harry, ora, poteva dire fossero sulla stessa lunghezza d’onda.
“Fidati, ho affrontato draghi più docili” aveva detto lui, sornione, prima di sedersi alla sua sedia.
“Novità?” aveva chiesto Harry.
“Aye” aveva risposto Ria, “Sta mani mentre tu andavi in giro per Camere Blindate, l’ufficio per l’Uso improprio dei Manufatti dei Babbani, ha ricevuto una denuncia per sospetta attività magica a Portobello Road” aveva cominciato a raccontare lei, aprendo una cartellina, “In realtà queste le ha portate personalmente il tuo futuro suocero, peccato che abbia trovato solo me” aveva detto, con un sorriso un po’ mesto.
Harry aveva drizzato le orecchie, mentre osservava Ria raccogliere la sua bacchetta, che teneva poggiata sul tavolo e dopo aver pronunciato un incantesimo silenzioso, un foglio era schizzato immediatamente verso Harry.
L’aveva preso a volo.
Era una foto, di un muro, dove era stata dipinta una B, aguzza. “Benisti?” aveva domandato Harry, “La vernice è incantata” aveva spiegato subito Ria, “Non viene via, neanche con i Gratta e Netta” aveva ammesso Ria, “Però non è questa la parte peggiore” aveva ammesso Ria, “Qual è?” l’aveva imbeccata Harry, “Per tutta la via si sono verificati fenomeni magici semplici” aveva raccontato Ria, “Gli oblivatori si sono già assicurati di aver ripulito tutte le memorie babbane, però …” aveva detto la sua partner.
Aveva fatto una pausa.
“Però è strano, no?” aveva chiesto retorica, “Non hanno distrutto cose, attaccato persone, no, loro hanno fatto lievitare bidoni ed animato idranti. Non ha senso, no?” aveva domandato retorica Ria.
“Be, si, è strano” aveva concesso Harry, “Siamo passati, da vandalismo ai simboli della storia magica a … bidoni volanti?” aveva valutato lui.
“L’altro mese, hanno distrutto la Biblioteca Magica di Glasgow provocando un allagamento ed ora …” aveva ripreso Ria.
“Strano” aveva concordato lui.
“Era decisamente più facile, quando trovavi un teschio gigante che vomitava un serpente nel cielo, almeno sapevi cosa aspettarti” aveva borbottato Ria.
Harry le aveva lanciato uno sguardo un po’ sbieco, “Scusa!” aveva esclamato lei poi, portandosi le mani alla bocca, cotta di imbarazzo.
“Andiamo a Portobello?” aveva domandato Harry, sollevandosi dalla sua sedia, la donna l’aveva imitato subito, recuperando la sua giacchetta dallo schienale della sedia. Era un giugno piuttosto caldo, ma Ria, come diceva lei, non poteva rinunciare ad uno stile impeccabile.
Harry doveva ammettere che non fosse mai stato molto conscio sull’argomento, ma era abbastanza certo che Ria, con i suoi vestiti sgargianti ne avesse un’idea tutta sua.
Non si vestiva come una strega, ma la moda babbana che seguiva era ferma agli anni settanta, almeno per l’utilizzo dei colori e gli abbinamenti. Quel giorno esibiva una giacchetta smanicata di un azzurro tecnicolor.
“Tecnicamente, sai che gli auror avrebbero una divisa standard, si?” aveva domandato retorico lui. Ria aveva riso, “Per sette anni ho dovuto seguire il codice d’abbigliamento di Hogwarts, rigidissimo, il ministero richiede davvero poche restrizioni” aveva raccontato lei, “Tipo gonne non più corte del ginocchio” aveva aggiunto, dandosi un pacca su una coscia, avvolta da pantaloni lunghi.
“Senti Ria, volevo chiederti una cosa” aveva cominciato lui.
“No, non ti sta bene quel colore” aveva risposto Ria schietta, “Un verde bottiglia, si accorderebbe ai tuoi occhi” aveva detto, pizzicandoli la manica della giacca grigio tortora. Harry l’aveva ignorata, recuperando la foto dalla tasca dei pantaloni, quando tornato a casa si era cambiato, si era assicurato di recuperare anche la foto.
“Conosci questa persona?” aveva chiesto, dandole la foto di Laura, ancora vittima del rallentamento di Ginny.
Ria aveva crucciato le sopracciglia spesse e scure, “Uhm, si” aveva risposto poi, Harry l’aveva guardata, facendo un cenno con la testa, invitandola a continuare. La sua partner aveva questa sgradevole abitudine di non riuscire mai a tenere un discorso per filo e per segno, ma di aver bisogno di continue pizzicate. Si chiedeva come avesse affrontato le interrogazioni ad Hogwarts.
“Oh, si, è mia zia Laura, la sorella di papà. Sai, praticamente mia sorella, si chiama così in suo onore. Praticamente è lo stesso nome” si era sbottonata Ria.
Non si era sbagliato, quando l’aveva vista aveva percepito un senso di famigliarità, somigliava a Ria.
“Laura Greengrass” aveva valutato Harry.
“Perché ti interessa, signor Potter?” aveva domandato Ria, invece, aggrottando le sopracciglia, mentre percorrevano il corridoio. Non si poteva smaterializzare all’interno del ministero, potevano solo prendere un camino.
“Una questione privata” aveva risposto lui incerto.
“Quando un auror zelante come Harry Potter fa domande su un antica famiglia purosangue, ti preoccupi, specie se è la tua” aveva commentato Ria.
“A volte mi dimentico che sei una purosangue” aveva ammesso Harry, sfornzandosi di non far sembrare quella frase come un complimento.
Non era colpa di Ria la sua nascita, come non lo era mai stata di Hermione. Erano sempre le decisioni che ci definivano.
Ria aveva ridacchiato, per nulla offesa, “Colpa di Hattie Bahmra ed i Queen in musicassetta – ingegnosi questi babbani” aveva risposto la sua partner.

 

 

 

 

 


 



[1] Snape come Personaggio mi piace molto, come persona ho le mie riserve, ma come insegnante: era decisamente un no.

[2] Visto che per coerenza narrativa ho messo tutti i titoli in italiano, mi sono ritrovata nella sgradevole situazione di aver fatto un gioco di parole in inglese ahaha. Il titolo ‘originale’ del libro dovrebbe essere:  ‘Potters and Caldeourons: history of Potters”.  Però, si, insomma, è una cosa scema.

[3] Letteralmente: Ritarda.

[4] Ecco, ci avevo pensato se tradurre o meno Grattastichi (come la questione del Platano Picchiatore) ma sono rimasta troppo affezionata  a questo nome per farlo.

[5]  Questa è una boiata, e difficilmente una strega potrebbe saperlo, ma è una battuta su i ‘bambini indaco’ che sarebbe un gergo della sub-cultura New Age per riferirsi a bambini dotati di capacità speciali.

   
 
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