Scusate
se
sono sparita per un mese buono, ma è stato un periodo molto
meh, cercherò di
essere più costante, comunque torno, ma torno con un
capitolo molto filler. Da
qualche parte questa trama porterà (differentemente quella
dei Benisti, che è
lì, solo per ledere i nervi di Harry) o tutto il pezzo di
Ella Weasley che
spiega le dinamiche famigliari, sarebbe stata inutile.
Inoltre, tadan, in questo capitolo appare un personaggio Rowliniano,
che in
realtà è più caratterizzato ne
‘La maledizione dell’Erede’ per quanto
lì appaia
nelle vesti della Donna Angelo, comunque, visto che per me, quel libro
non è
canon (Scusate, posso trovare delle cose positive, ma molte poche) ho
deciso di
dare la mia interpretazione.
Comunque a breve torneremo a parlare del matrimonio – e a
vederlo, anche se non
sarà subito da Harry/Ginny (sto pensando a
George&Angelina o
Percy&Audrey). Prossimamente però dovrebbe arrivare
un capitolo sugli
inviti, so che è una cosa scema, ma non vedo l’ora
di scriverlo.
Vorrei ringraziare Miss Wendy per la recensione!
Buona Lettura,
RLandH
Storia di un uomo
“Sai
che non
ci ero mai entrata?” aveva domandato Ginny, mentre con un
movimento svelto
scivolava sulla carrozza per percorrere le profondità delle
grotte della gringott.
Sebbene fosse ufficialmente cominciata l’estate e sotto il
chiaro cielo il
tempo fosse più mite, addirittura caldo, sotto terra il
clima era umido e
freddo e Ginny era stata costretta a sistemare una felpa sulla sua
maglietta.
“Io un paio di volte!” aveva detto evasivo Harry
imitandola, il folletto che
guidava il trabiccolo lo aveva guardato con una certa sufficienza,
mentre lui
alzava il polso per far scintillare il suo braccialetto. Era un
manufatto
succhia-magia, non aveva un grande effetto, ma abbastanza per
tranquillizzare i
folletti che gestivano la banca, che Harry non avrebbe cercato di fare
qualcosa
di folle. Poteva essere l’eroe del mondo magico, ma era anche
uno dei pochi ad
aver potuto raccontare di aver svaligiato la banca più
impenetrabile di
Inghilterra, forse del mondo.
“Billy dice che dovrei richiedere una camera o almeno una cassetta
personale” aveva
cominciato a parlare Ginny, mentre il goblin, faceva partire il mezzo,
“Non lo
so, però” aveva ammesso lei, leggermente turbata,
“Anche papà ha detto che i
miei soldi dovrebbero essere i miei soldi”
aveva aggiunto Ginny con una
certa cupezza, “Adesso, con il quidditch, guadagno
abbastanza” aveva
raccontato, “Mi piacerebbe, in qualche modo, ripagare i
miei” aveva confessato.
“Pur non avendo molto, i miei non mi hanno fatto mai mancare
nulla” aveva detto
Ginny, prendendo la sua mano.
Harry avrebbe voluto dirle che poteva mettere le cose con le sue, nella
camera
dei Potter, ma una parte di se, voleva sistemare tutto in quella dei
Weasley;
prima di poter parlare, il trabiccolo prese una brusca discesa.
Harry urlò senza vergogna, colto a sorpresa dalla
repentinità della svolta.
Quando si era arrestato il marchingegno, erano stati prossimi ad una
piazzola
di pietra dura, avvolti nell’oscurità.
L’unico punto di chiarore era quella di
una fiaccola, di un fuoco azzurro, però rischiarava di una
luce fievole.
“Meglio di
quella volta che siamo saliti
sulle montagne polacche, al Luna Park due estati
fa” aveva ridacchiato
Ginny, infilando le dita tra i capelli rossi, sconvolti dal viaggio,
per
sistemarli all’indietro. “Russe.
Montagne russe” l’aveva corretta Harry
bonario, intrecciando poi le sue dita con quella della fidanza.
“Tuo cugino sta
ancora con quella ragazza carina-bassina?” aveva chiesto
Ginny con genuina curiosità.
Erano stati al Luna Park con Dudley e quella che lui aveva presentato
come la
sua fidanzata. Harry ricordava quella giornata come strana ma in
qualche
maniera anche divertente. “Non lo so, ho dimenticato di
chiederlo, ma è un po’
che non ne parla” aveva valutato, forse un anno.
Per Harry era strano pensarci, come lui e Dudley avessero trovato
quello strano
equilibrio, una corrispondenza telefonica, fatta di conversazioni brevi
ogni
cinque settimane quasi.
Il goblin li aveva guardati di sbieco, prima di trotterellare davanti a
loro
per aprire la camera blindata.
La
camera di
Jeremiah Potter era alcuni piani più sotto rispetto quello
della famiglia
Weasley, ma era alcuni piani superiore sia quello dei Lestrange, sia
quello di
Harry. Non ne aveva mai avuto la certezza, ma Harry aveva sviluppato la
teoria
era che le camere erano disposte in grandezza crescente
dall’alto verso il
basso.
“Pronto?” aveva chiesto Ginny, guardandolo.
“Immagino di sì” aveva risposto incerto
lui, mentre osservava il goblin far
scattare le serrature per aprire la camera numero sei-centotrentasette.
“Ecco
signor Potter, la camera blindata della famiglia Potter, l’altra”
aveva
detto leggermente risentito la creatura, mentre Harry entrava nella
stanza, tenendo
la mano di Ginny.
Aveva capito che i folletti non erano mai troppo inclini a sbottonarsi
sulle
loro ‘custodie’. Harry aveva ricevuto la sua chiave
della banca quando aveva undici
anni, da Hagrid, immaginava conservata da Silente, ereditando tutto
ciò che
Fleamont Potter (e poi suo padre James) avevano riposto lì,
per lui. Nonna
Weasley, però, dopo la sua visita a sorpresa al pranzo della
domenica di
qualche settimana prima, gli aveva rivelato che in quanto ultimo della
sua
famiglia poteva accedere anche all’eredità
lasciata da Jeremiah Potter, morto
nel mille-novecento-settantadue, un suo cugino di non sapeva quale
grado.
‘Oh, non che ci troverai niente di interessante, il
tuo bisnonno Henry si
beccò il tesoro della famiglia, inoltre Charlus era
divertente, ma non molte
ambiziose e Jemmy, ragazzo adorabile, ma era anche uno spendaccione’
aveva
preannunciato Ella Weasley, quando aveva rivelato l’esistenza
di quella camera
blindata.
La
camera
lasciata da Jemmy conteneva del denaro, non molto, un mucchietto
sistemato in
due colonne di galeoni d’oro splendente, non più
alte di un palmo, sistemate su
un tavolino tondo basso di legno lucido-rossastro, sorprendentemente
conservato
bene. Quello di cui era però piena la stanza erano quadri,
appesi sulle pareti,
fino a coprire la roccia di cui erano fatte. Quasi tutte ritraevano
figure
umane, piuttosto turbate dalla luce delle bacchette che aveva dovuto
disturbare
il loro buio. Non mancavano anche ragnatele degne di Aragog e della sua
progenie
né altre cianfrusaglie di dubbio gusto, che facevano
apparire la casa di Luna e
Dean, quasi, sobria.
C’erano anche un paio di spioscopi niente male e molti libri,
che avrebbero
reso Hermione piuttosto interessata, almeno credeva Harry. I libri
erano
impilati sia in ordinate file su delle mensole, sia in colonne
piuttosto
precarie che si alzavano verso il soffitto, come una piccola miniatura
della Stanza
delle Necessità in una delle sue versioni più
note.
“Non vedevo tutti questi libri da quando ho preparato i
M.A.G.O.; ricordo che
Hermione aveva cercato di seppellire tutta la Sala Comune di Grifondoro
tra le
pergamene” aveva raccontato Ginny, scavalcando un calderone
rovinato, “Oh!
Guarda Harry, qui c’è scritto,
‘Calderoni Potter, dal XII secolo’” aveva
letto
Ginny, ammiccando alla targhetta d’argento lucente, non
mangiata dalla ruggine,
sul paiolo.
Harry aveva sorriso, “Ho scoperto, anche grazie a tua nonna,
che i Potter sono
sempre stati legati al Pozionismo” aveva ammesso,
“Letteralmente il tuo nome
vuol dire vasaio” aveva sottolineato Ginny con una
mezza-risata.
Harry aveva scosso il capo, “Mio nonno ha creato la pozione
per allisciarsi i
capelli che usa perfino Hermione” aveva raccontato Harry,
“Se consideri che il
professor Slughcorn mi ha detto che mia madre era davvero brava,
allora, io
devo essere stato lo schiopposparacoda della mia famiglia”
aveva
ammesso, con una punta di rammarico.
Ginny aveva lasciato perdere il calderone, “Non credo fosse
proprio colpa tua”
aveva detto allusiva. “Ho grande stima del professor
Snape” aveva cominciato
Harry, “Ma possiamo ammettere che come insegnante aveva le
sue pecche” aveva
cercato di essere accomodante poi lui, Ginny aveva roteato gli occhi,
“Diciamo
che faceva schifo[1]”
aveva concluso lei.
Harry
e
Ginny si erano guardati intorno, incuriositi, “Non so neanche
qualificare
queste cose” aveva ammesso la ragazza con un tono basso,
mentre raccoglieva un
libro da mostrare ad Harry, era rivestito in cuoio e sembrava antico,
sulla
copertina c’era inciso a caratteri d’oro,
‘Il mito di Prometeo’.
Harry aveva guardato gli altri libri con un vago interesse,
“Credo fosse un
collezionista di qualsiasi cosa” aveva considerato, prima di
lanciare uno
sguardo all’immagine di una foto in bianco e nero, che era
stata accatastata su
un vecchio mobile di legno mangiato da tarli. C’era un uomo
giovane, con il
viso pallido, una spruzzata appena di lentiggini ed occhi scuri
nascosti dietro
lenti.
Aveva ragione Nonna Weasley nel dire che i Potter sembravano fatti con
lo
stampino, quello nel ritratto era ovviamente un suo parente, i capelli
indisciplinati ritti sulla testa, erano riconoscibilissimi.
“Credi fosse lui,
Jemmy?” aveva chiesto retorico, “In qualche modo mi
ricorda Sirius, sai il
sorriso” aveva provato Ginny con un certo disagio, forse
spaventata nel dirlo
ad alta voce. “Si, deve essere il figlio di Charlus Potter e
la Black” aveva
valutato con un tono calmo.
“Era un grifondoro, come tutti!” aveva valutato
Ginny, riferendosi a Jemmy –
sedicenne? – nella foto, che strizzava l’occhio
verso l’obbiettivo, con indosso
l’uniforme di quidditch e la blasonatura del leone rampante.
In quella foto lì,
in quella posa, Harry poteva riconoscere tutta la sfrontatezza che
aveva veduto
in suo padre e di Sirius, nei ricordi di Piton, come aveva detto Ginny.
Qualcosa che lo disturbava e allo stesso tempo li riempiva il cuore.
“Chissà
se
era un cercato come te” aveva valutato la sua fidanzata,
passandosi una mano
sotto il mento.
Eccone un altro, aveva pensato Harry, un altro
membro della sua
famiglia, che non avrebbe mai conosciuto; non sapeva neanche quanto
lontano
fosse il suo sangue da quello di Jemmy Potter, ma sentiva in quel
momento un vuoto
allo stomaco, come quando si era trascinati via da una passaporta, solo
che in
questo caso era puro e semplice rimpianto.
Forse aveva visto Charlus e Jemmy nei riflessi di quella famiglia che
gli si
era parata davanti quando aveva guardato nello Specchio delle
Emarb, quando
aveva undici anni. Si chiese se guardandoci ancora una volta, da
adulto,
avrebbe restituito la stessa immagine.
Poi
accanto
alle foto aveva trovato un plico di fogli di carta ruvida, piegati
più volte,
l’uno sull’altro e fermati con lo spago, ne aveva
sciolto il lembo per
prenderli, mentre osservava Ginny con la coda dell’occhio, si
era allontanata
da lui, attirata da un baule
fermato con
un lucchetto.
‘Mio adorato Jeremiah,
oggi ti penso, non
meno intensamente di
come ho fatto ieri e di come temo sarà il mio avvenire.
Eternamente tua,
Laura’
La prima lettera che aveva letto, riportava solo quel breve
messaggio, la
data era sbavata nel giorno e nel mese, ma l’anno era
leggibile,
millenovecento-settantatre, un anno dopo la morte di Jeremiah Potter.
Immaginò che qualcun altro avesse posto quella lettera
lì e che il suo lontano
cugino non avesse avuto l’occasione di leggerla.
“Laura” sussurrò, neanche
sicuro di sapere come avrebbe dovuto leggere quel nome.
Era curioso di sapere cosa dicessero le altre lettere, se avesse potuto
capire
qualcosa dalle risposte che aveva ricevuto del suo parente, anzi dei
suoi
parenti.
“Qualcosa che le interessa, signore?” aveva
domandato il folletto, Harry aveva
sventolato la lettera, “Questa. Chi la ha messa
qui?” aveva chiesto poi, “Il
signor Potter, suo nonno” aveva rivelato l’elfo.
Suo nonno Fleamont, di cui
Harry conosceva l’aspetto per la foto di una vecchia edizione
della Gazzetta
del Profeta, datata negli anni trenta, e poco altro. Forse era stato il
parente
più prossimo di Jeremiah e si era dovuto occupare di
ciò che era rimasto di lui.
“Harry! Harry! Vieni” aveva sentito Ginny
chiamarlo, era con le ginocchia per
terra, vicino al baule che era riuscito ad aprire, aveva tirato fuori
una serie
di pergamene, scritte fittamente, non tutte in inglese, ma anche due
libri.
Uno dei libri era più nuovo, nel senso che era
più recente, perché nuovo
non sarebbe mai andata bene come definizione: i bordi erano rovinati,
le pagine
ingiallite, il dorso completamente scollato.
“ ‘Sanguepuro: resoconto di un
elitè decadente’” aveva letto
il titolo
Harry, “Di Rita Skeeter” aveva valutato, non
trattenendo una smorfia.
Aveva preso il libro, per guardarlo meglio; la copertina ritraeva la
figura di
un mago stilizzato, con la tunica ed il cappello appunta, una figura
totalmente
nera, cui alcuni accenni di capelli, di naso e le pieghe del vestito
era fatte
in bianco. Asoolutamente bidimensionale, il mago nero, era
scompostamente stesa
su quella che pareva un’ottomana di un prugna intensa.
L’aria era pregna di
fumi grigi che continuavano, vivi, a vorticare su una copertina verde
acido.
Il retro della copertina riportava, invece:
Esordio
alla
scrittura per la giovanissima Reeta Skeeter, un affresco affascinante,
pungente
e – notevolmente – scandaloso della giovane classe
elitaria dei maghi
purosangue, dell’Inghilterra, dal secondo dopo guerra alla
fine degli anni
sessanta.
Reeta Skeeter fa dei suoi personaggi un’analisi ardita,
minuziosa e spietata,
trasportando nella loro piena tridimensionalità le
personalità più discusse e
fosche nel mondo magico, nel secolo breve; svelando quei pettegolezzi
piccanti,
quei vizi, quelle oscenità che avevamo sempre sospettato e
mai osato chiedere.
Robaccia,
decise,
facendo cadere il libro per terra, “Mi chiedo quante
stronzate abbia scritto”
aveva detto senza vergogna Harry, facendo ridacchiare Ginny, che gli
aveva
passato l’altro libro, “Forse questo ti interessa
di più” aveva detto, dandoli
l’altro libro, era più antico ma trattato
decisamente meglio, “’Pentolai e
Calderoni: storie di vasai’[2]”
aveva detto Ginny.
Non conosceva l’autore di questo libro, ma gli
bastò sfogliare un paio di
pagine, per vedere il cognome Potter spuntare fuori diverse volte.
“Probabilmente questo me lo prenderei” aveva detto
Harry, sentendo per la prima
volta la frustrazione del non essere mai stato capace in quella materia
che
letteralmente doveva essere corsa nel suo sangue.
“Il
libro di
Rita Skeeter lo porto a mia madre, non credo ci sia nulla di utile o di
vero,
ma se era qui, forse qualcosa di valido c’è,
no?” aveva proposto Ginny.
“Possiamo portarli fuori?” aveva chiesto Harry al
folletto, “Questa camera
appartiene alla famiglia Potter” aveva detto con una certa
riottosità quello,
però concedendo di poter portare via ciò che
desideravano.
Ginny aveva raccolto da dentro la sua tracolla la borsa espandibile di
Hermione
ed aveva sistemato i due libri al suo interno, Harry ci aveva infilato
dentro
anche le altre lettere che aveva trovato assieme a quella di Laura. Poi
si
erano messo a cercare altro, anche se Harry stesso non aveva idea
esattamente
di che cosa, qualsiasi cosa. Nel dubbio aveva preso anche la foto di
Jemmy
Potter ed il suo sorriso un po’ storto che ricordava Sirius
Black.
“C’è un ricettario scritto a
mano” aveva detto Ginny, “Ci riproviamo con i
libri di pozioni scritti a mano o lasciamo perdere?” aveva
domandato retorica,
“Prendilo, si” aveva concesso Harry.
“Salve, giovani fanciulli, è molto che qualcuno
non scendeva in questo aspro
antro; prendete anche me, sono satura dell’essere
qui!” aveva sentito una
vocina chiamarli, sul pavimento, posata contro la parete, stava il
quadro di
una bella donna.
Lei aveva il viso roseo, dalla forma tonda, e le gote arrossate, i
capelli
erano di un biondo fragola, sistemati in due trecce che scivolavano su
un petto
pieno. La donna indossava un corsetto ed una generosa scollatura a
barca, le
maniche piene, composte da diversi sbuffi, che facevano apparire le
braccia
come due fisarmoniche. “Oh!” aveva detto Harry
confuso, l’unico quadro
domestico con cui aveva avuto a che fare fino a quel momento era stato
Phineas
(o la mamma di Sirius). “Sei sicura?” aveva chiesto
leggermente in imbarazzo,
“Si!” aveva risposto la donna, “Non sono
fatta per vivere in questo buco nella
terra” si era lamentata lei.
Ginny lo aveva superato per chinarsi a raccogliere la donna,
prendendola
delicatamente dal bordo di legno, poi si era presentata ed aveva
presentato
Harry a sua volta. La fanciulla aveva sorriso quando aveva sentito il
suo
cognome, “Io fui Iolanda Potter!” aveva detto
euforica, “Potrei essere la tua
bis-bis-bis … - nonna o zia, per quel che
sappiamo” aveva stabilito lei. Ginny
l’aveva infilata nella borsa, “Fanciulla, vi
chiedo, di esser più garbata nei
modi!” aveva languido il quadro di Iolanda.
“Oh, mi scusi!” aveva strillato Ginny, prima di
alzare lo sguardo e sorridere
verso Harry.
Lui le aveva sorriso di rimando.
Si
erano
guardati ancora un po’ intorno, alla ricerca di altri
oggetti; Harry aveva
trovato un'altra cassa piena di foto, alcune erano di Jemmy Potter,
ragazzino,
forse aveva undici o dodici anni, tutto orgoglioso nella sua uniforme
con lo
stemma grifondoro, insieme a suo padre Charlus –
sì, Nonna Weasley aveva avuto
ragione con il dire che non fosse esattamente una bellezza –
e sua madre, una Black
fino alla punta dei capelli. Tutti e tre sorridevano pieni di vita e
gioia
verso l’obbiettivo, alle loro spalle, compariva
l’espresso per Hogwarts.
C’erano altre foto di Charlus e sua moglie giovani
adolescenti, da soli ed
insieme. In una Harry giurò di aver riconosciuto anche una
Ginny dai capelli
scurissimi – forse Ella – sullo sfondo, che
guardava un po’ torva l’obbiettivo.
Poi aveva recuperato un’altra foto, non aveva cornice ed era
spiegazzata,
figurava una ragazza, indossava l’uniforme di corvonero, era
seduta a gambe
incrociate su un muretto, aveva un libro aperto sulle gambe e
ciclicamente
alzava lo sguardo da quello per guardare l’obbiettivo, sempre
troppo in fretta
per studiarne bene il viso. Aveva capelli scuri e ricci, anche se il
bianco-e-nero
non permettevano di riconoscerne la tonalità precisa, che le
cadevano sul viso.
Aveva girato la foto solo per vedere se c’era scritto
qualcosa, una sola
parola: Laura. La ragazza che aveva scritto il messaggio?
Voltò di nuovo la foto e cercò di studiarla nel
dettaglio, di racimolare
qualcosa, qualsiasi cosa.
Ginny si era avvicinata a lui, per guardare la foto con lui,
“Oh!” aveva
commentato.
“I babbani hanno in fermo immagine” aveva ammesso
Harry, “Ma lei è troppo
veloce, non riesco a guardarla bene” aveva confessato.
Ginny aveva tirato fuori la sua bacchetta, “Va bene, signor
Auror” lo aveva
canzonato, “Retardat[3]”
aveva sussurrato, un filo argenteo era scintillato dalla punta della
bacchetta,
colpendo la foto. “La Gringott non si fida a farmi praticare
la magia al suo interno”
si era giustificato Harry.
Il movimento ciclico di Laura si era rallentato, come nei video delle
vecchie
cassette babbane che Dudlay guardava da bambino.
Il viso pallido di Laura era fiorito chiaro, tra i riccioli scuri e una
sensazione di famigliarità era sorta in lui, come quando
aveva visto le foto di
Jemmy e ci aveva ritrovato suo padre e Sirius. Anche Laura somigliava a
qualcuno.
“Prendiamo anche questa?” aveva chiesto Ginny,
“La tengo io” aveva risposto
Harry, ripiegando la foto ed infilandola nella tasca sul retro dei
pantaloni.
La sua fidanzata aveva annuito, “Oh, potrei essere
gelosa” aveva cinguettato,
dandoli poi un buffetto con il gomito.
Harry aveva ridacchiato.
“Per quanto mi piacerebbe stare qui, temo di dover andare
agli allenamenti”
aveva rivelato Ginny, mettendo le mani sui fianchi, “Oh,
l’incontro con le
Valchirie andrà uno schifo” aveva aggiunto.
Era una squadra di quidditch Danese. “A proposito, ho parlato
con il Direttore,
uscirò un’ora prima da lavoro ed ho già
preso già ordinato una passaporta per
essere alla partita” le aveva comunicato Harry con un sorriso
onesto. Ginny si
era sporta per baciarlo sulle labbra, “Mi dispiace”
aveva detto lei, “Per
cosa?” aveva chiesto confuso Harry,
“Perché il campionato di Quidditch ci ha
praticamente reso impossibile scegliere una data in estate”
aveva ammesso lei.
“Personalmente, inverno, estate o quale stagione, la mia
unica richiesta per il
matrimonio e che tu ci sia” aveva ammesso lui. Dandole un
bacio sulla tempia,
Ginny aveva ridacchiato.
“Va bene, andiamo” aveva impartito la sua
fidanzata, “Dobbiamo anche passare a
casa per assicurarci che Kreacher non abbia ucciso Grattastinchi[4]”
aveva considerato, “Più il contrario”
era intervenuto Harry.
Kinglay aveva obbligato Hermione a prendersi una settimana di ferie,
visto lo
stakanovismo con cui si era dedicata al lavoro in ministero;
perciò Ron l’aveva
portata in vacanza – se Harry non sbagliava, erano andati a
trovare Neville,
che stava svolgendo delle ricerche alle galapagos – e loro si
era guadagnati il
baby-sitting di Grattastinchi. “Ed io devo andare a lavoro,
sono Harry Potter,
ma non posso comunque prendermi tuti questi giorni” aveva
ridacchiato lui.
“Salve
signor Potter!” erano stati intervallati da un
infinito numero di ‘Oh,
ciao
Harry’ per tutto il tempo che aveva impiegato
nel percorrere i corridoi del
Ministero e l’ascensore, fino al corridoio degli auror.
Qualcuno lungo la
strada si era anche fermato a sussurare ed addittarlo, come se Harry
fossero
ancora la celebrità del mondo magico e non l’Auror
che calcava quei corridoi
cinque – se non sei – giorni la settimana.
Quando aveva imboccato il suo reparto, i salve si erano fatti
più cenni
cordiali. Harry adorava i suoi colleghi, perché avevano il
naso sempre infilate
nelle pratiche dei loro casi, da notarsi a stento l’un
l’altro.
Aveva raggiunto la sua scrivania, con un passo un po’ lento,
contrito dal
lavoro che lo aspettava.
“Di buon ora, capo” era stato accolto da una voce
appena un po’ puntigliosa,
sulla scrivania affrontata alla sua Ria era già sistemata, i
capelli scuri
raccolti in una crocchia traballante e la camicia leggerà
medita di sudore. “Il
gatto ha cercato di strapparmi via la faccia” aveva ammesso,
“Ha un infezione
alle orecchie e non gradisce prendere la medicina” aveva
raccontato.
Ria aveva sollevato lo sguardo, il viso serio si era incrinato con una
smorfia
divertita, “Il grande e potente Harry Potter, salvatore del
mondo magico e auror
indaco[5],
affronta l’unico nemico che non può vincere
– un gattino” l’aveva presa in giro
a spada tratta Ria.
Era la sua partner da un paio di mesi, sul campo, avevano avuto un
inizio un
po’ roccioso –
Ria d’altronde, sapeva
cavarsela meglio con le creature che con le persone – ma
Harry, ora, poteva
dire fossero sulla stessa lunghezza d’onda.
“Fidati, ho affrontato draghi più
docili” aveva detto lui, sornione, prima di
sedersi alla sua sedia.
“Novità?” aveva chiesto Harry.
“Aye” aveva risposto Ria, “Sta mani
mentre tu andavi in giro per Camere Blindate,
l’ufficio per l’Uso improprio dei Manufatti dei
Babbani, ha ricevuto una
denuncia per sospetta attività magica a Portobello
Road” aveva cominciato a
raccontare lei, aprendo una cartellina, “In realtà
queste le ha portate
personalmente il tuo futuro suocero, peccato che abbia trovato solo
me” aveva
detto, con un sorriso un po’ mesto.
Harry aveva drizzato le orecchie, mentre osservava Ria raccogliere la
sua
bacchetta, che teneva poggiata sul tavolo e dopo aver pronunciato un
incantesimo
silenzioso, un foglio era schizzato immediatamente verso Harry.
L’aveva preso a volo.
Era una foto, di un muro, dove era stata dipinta una B, aguzza.
“Benisti?”
aveva domandato Harry, “La vernice è
incantata” aveva spiegato subito Ria, “Non
viene via, neanche con i Gratta e Netta” aveva ammesso Ria,
“Però non è questa
la parte peggiore” aveva ammesso Ria, “Qual
è?” l’aveva imbeccata Harry,
“Per
tutta la via si sono verificati fenomeni magici semplici”
aveva
raccontato Ria, “Gli oblivatori si sono già
assicurati di aver ripulito tutte
le memorie babbane, però …” aveva detto
la sua partner.
Aveva fatto una pausa.
“Però è strano, no?” aveva
chiesto retorica, “Non hanno distrutto cose,
attaccato persone, no, loro hanno fatto lievitare bidoni ed animato
idranti.
Non ha senso, no?” aveva domandato retorica Ria.
“Be, si, è strano” aveva concesso Harry,
“Siamo passati, da vandalismo ai
simboli della storia magica a … bidoni volanti?”
aveva valutato lui.
“L’altro mese, hanno distrutto la Biblioteca Magica
di Glasgow provocando un
allagamento ed ora …” aveva ripreso Ria.
“Strano” aveva concordato lui.
“Era decisamente più facile, quando trovavi un
teschio gigante che vomitava un
serpente nel cielo, almeno sapevi cosa aspettarti” aveva
borbottato Ria.
Harry le aveva lanciato uno sguardo un po’ sbieco,
“Scusa!” aveva esclamato lei
poi, portandosi le mani alla bocca, cotta di imbarazzo.
“Andiamo a Portobello?” aveva domandato Harry,
sollevandosi dalla sua sedia, la
donna l’aveva imitato subito, recuperando la sua giacchetta
dallo schienale
della sedia. Era un giugno piuttosto caldo, ma Ria, come diceva lei,
non poteva
rinunciare ad uno stile impeccabile.
Harry doveva ammettere che non fosse mai stato molto conscio
sull’argomento, ma
era abbastanza certo che Ria, con i suoi vestiti sgargianti ne avesse
un’idea
tutta sua.
Non si vestiva come una strega, ma la moda babbana che seguiva era
ferma agli
anni settanta, almeno per l’utilizzo dei colori e gli
abbinamenti. Quel giorno
esibiva una giacchetta smanicata di un azzurro tecnicolor.
“Tecnicamente, sai che gli auror avrebbero una divisa
standard, si?” aveva
domandato retorico lui. Ria aveva riso, “Per sette anni ho
dovuto seguire il
codice d’abbigliamento di Hogwarts, rigidissimo, il ministero
richiede davvero
poche restrizioni” aveva raccontato lei, “Tipo
gonne non più corte del
ginocchio” aveva aggiunto, dandosi un pacca su una coscia,
avvolta da pantaloni
lunghi.
“Senti Ria, volevo chiederti una cosa” aveva
cominciato lui.
“No, non ti sta bene quel colore” aveva risposto
Ria schietta, “Un verde
bottiglia, si accorderebbe ai tuoi occhi” aveva detto,
pizzicandoli la manica
della giacca grigio tortora. Harry l’aveva ignorata,
recuperando la foto dalla
tasca dei pantaloni, quando tornato a casa si era cambiato, si era
assicurato
di recuperare anche la foto.
“Conosci questa persona?” aveva chiesto, dandole la
foto di Laura, ancora
vittima del rallentamento di Ginny.
Ria aveva crucciato le sopracciglia spesse e scure, “Uhm,
si” aveva risposto
poi, Harry l’aveva guardata, facendo un cenno con la testa,
invitandola a
continuare. La sua partner aveva questa sgradevole abitudine di non
riuscire
mai a tenere un discorso per filo e per segno, ma di aver bisogno di
continue
pizzicate. Si chiedeva come avesse affrontato le interrogazioni ad
Hogwarts.
“Oh, si, è mia zia Laura, la sorella di
papà. Sai, praticamente mia sorella, si
chiama così in suo onore. Praticamente è lo
stesso nome” si era sbottonata Ria.
Non si era sbagliato, quando l’aveva vista aveva percepito un
senso di famigliarità,
somigliava a Ria.
“Laura Greengrass” aveva
valutato Harry.
“Perché ti interessa, signor Potter?”
aveva domandato Ria, invece, aggrottando
le sopracciglia, mentre percorrevano il corridoio. Non si poteva
smaterializzare all’interno del ministero, potevano solo
prendere un camino.
“Una questione privata” aveva risposto lui incerto.
“Quando un auror zelante come Harry Potter fa domande su un
antica famiglia
purosangue, ti preoccupi, specie se è la tua”
aveva commentato Ria.
“A volte mi dimentico che sei una purosangue” aveva
ammesso Harry, sfornzandosi
di non far sembrare quella frase come un complimento.
Non era colpa di Ria la sua nascita, come non lo era mai stata di
Hermione.
Erano sempre le decisioni che ci definivano.
Ria aveva ridacchiato, per nulla offesa, “Colpa di Hattie
Bahmra ed i Queen in musicassetta
– ingegnosi questi babbani” aveva risposto la sua
partner.
[1]
Snape
come Personaggio mi piace molto, come persona ho le mie riserve, ma
come
insegnante: era decisamente un no.
[2]
Visto
che per coerenza narrativa ho messo tutti i titoli in italiano, mi sono
ritrovata nella sgradevole situazione di aver fatto un gioco di parole
in
inglese ahaha. Il titolo ‘originale’ del libro
dovrebbe essere: ‘Potters
and Caldeourons: history of Potters”.
Però, si, insomma, è una cosa scema.
[3]
Letteralmente: Ritarda.
[4]
Ecco, ci
avevo pensato se tradurre o meno Grattastichi (come la questione del
Platano
Picchiatore) ma sono rimasta troppo affezionata
a questo nome per farlo.
[5] Questa è una
boiata, e difficilmente una strega
potrebbe saperlo, ma è una battuta su i ‘bambini
indaco’ che sarebbe un gergo
della sub-cultura New Age per riferirsi a bambini dotati di
capacità speciali.