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Autore: Elenis9    31/07/2020    0 recensioni
“Senti, ti ho già detto che non puoi usare quell’aggeggio qui dentro. È pericoloso.” Il suo compagno di cappa, poi, era sempre dedito a far rispettare qualsiasi regola o istruzione e sembrava aver preso come un’offesa personale la sua stufetta.
“Devo, se non voglio morire,” replicò in un grugnito cercando di scrollarselo di dosso. Il che non era facile: quel ragazzo sembrava avere occhi anche dietro la testa.
“Ci sono venticinque gradi, Amelia! È importante, stiamo usando sostanze fortemente infiammabili, se per caso… mi stai ascoltando?” No, ovviamente. Detestava le ramanzine, soprattutto quando era debole per il freddo.
“Senti, coso. Com’è che ti chiami?”
“Erik. Siamo compagni di laboratorio da mesi.”
Sì, e lei sapeva perfettamente il suo nome dal momento che avevano passato quei mesi litigando per i dispositivi elettronici che portava in laboratorio, ma voleva comunque irritarlo.
“Senti, Erik, che ne pensi di lasciarmi in pace una volta ogni tanto? Dio, sei proprio fastidioso.”
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Sangue freddo

Il freddo era da sempre un grosso problema. Il suo corpo non era in grado di scaldarsi da solo, aveva bisogno di assorbire calore da fonti esterne e quando lo faceva stava bene per un po’. Si raffreddava poi gradualmente fino ad avere bisogno di nuovo di alzare la propria temperatura. Purtroppo, esattamente come per la fame e la sete, era possibile che non riuscisse a saziarsi o che per qualche ragione si raffreddasse più in fretta del previsto e in quei casi aveva bisogno di rifornimento extra. Non aveva mai pensato che racimolare calore fosse difficile: le bastava abbracciare qualcuno, farsi bagnare per un po’ dal sole estivo o stare attaccata a un termosifone. Era cresciuta in un paese molto piccolo, perciò a scuola tutti conoscevano i suoi bisogni e non solo non le creavano problemi, ma spesso erano pronti a darle una mano. Non si era resa conto dei privilegi che aveva finché non si era trasferita per studiare all’università. In un solo anno aveva cambiato coinquilini uno dopo l’altro perché nessuno riusciva a sopportare il riscaldamento sparato a tutta, le lezioni la costringevano a stare fuori casa per gran parte della giornata e le aule non avevano neanche lontanamente il calore che le sarebbe stato necessario. Era problematico anche il fatto che ogni lezione si svolgeva in posti diversi e gli spostamenti all’esterno facevano calare molto la sua temperatura. Era un vero e proprio incubo. Doveva continuamente portarsi dietro dei piccoli scaldamani e, quando non bastavano, era costretta a usare minuscole stufette che attaccava a una power bank. Spesso riusciva a mantenersi a malapena sull’orlo dell’ipotermia.
Quel giorno in particolare non se la stava cavando bene. Le temperature erano scese all’improvviso, si era vestita troppo poco e soprattutto la lezione si svolgeva nel laboratorio di chimica: un enorme stanzone in cui faceva sempre freddo.
“Senti, ti ho già detto che non puoi usare quell’aggeggio qui dentro. È pericoloso.” Il suo compagno di cappa, poi, era sempre dedito a far rispettare qualsiasi regola o istruzione e sembrava aver preso come un’offesa personale la sua stufetta.
“Devo, se non voglio morire,” replicò in un grugnito cercando di scrollarselo di dosso. Il che non era facile: quel ragazzo sembrava avere occhi anche dietro la testa.
“Ci sono venticinque gradi, Amelia! È importante, stiamo usando sostanze fortemente infiammabili, se per caso… mi stai ascoltando?” No, ovviamente. Detestava le ramanzine, soprattutto quando era debole per il freddo. 
“Senti, coso. Com’è che ti chiami?”
“Erik. Siamo compagni di laboratorio da mesi.”
Sì, e lei sapeva perfettamente il suo nome dal momento che avevano passato quei mesi litigando per i dispositivi elettronici che portava in laboratorio, ma voleva comunque irritarlo.
“Senti, Erik, che ne pensi di lasciarmi in pace una volta ogni tanto? Dio, sei proprio fastidioso.” Oh, bene. Gli aveva fatto perdere la calma. Era stato soltanto un minuscolo istante, ma aveva chiaramente visto la rabbia balenare nel suo sguardo rendendo gelidi i suoi occhi azzurri. La soddisfazione di essere finalmente riuscita a farlo arrabbiare non durò molto: per qualche motivo la sua stufa si era spenta e non pareva intenzionata a ripartire. Aveva assorbito abbastanza calore per funzionare ancora un’oretta, ma probabilmente avrebbe fatto meglio a tornare a casa.
Fece per sgattaiolare via dal laboratorio ma, prima ancora di arrivare alla porta, venne intercettata dal professore. Non aveva una grande simpatia per lei per lo stesso motivo per cui non l’aveva Erik.
“Le ricordo che queste lezioni hanno la frequenza obbligatoria.”
Una sola frase aveva distrutto i suoi sogni di gloria. Poteva saltare ancora un’ora o due, forse, ma avrebbe rischiato seriamente di dover rifare il corso.
Finse di voler solo andare in bagno e poi tornò alla sua cappa, obbediente come un cucciolo. Verso la fine della lezione stava tremando e le sue ginocchia erano così deboli che le sembrava di stare in piedi sulla gelatina. Erik aveva continuato l’esperimento praticamente da solo e non l’aveva quasi mai degnata di uno sguardo, d’altro canto lei era stata tutto il tempo a fissare il vuoto senza tentare di dargli una mano. Aveva pensato di cercare una scusa per toccargli un braccio e assorbire un po’ di calore da lui, ma non aveva trovato il coraggio di farlo e il tempo si era trascinato fino a che finalmente non furono liberi di andarsene.
Sarebbe bastato arrivare alla macchina e accendere l’aria calda. Era troppo debole per correre, le si piegavano le gambe anche solo camminando lentamente. Sbandò verso il muro e cercò di utilizzarlo come appoggio per continuare a camminare. Aveva bisogno di calore. Non sarebbe arrivata alla macchina in tempo, era chiaro come il sole, e non faceva ancora abbastanza freddo perché i termosifoni fossero accesi.
Arrancò per un po’ prima di crollare. Tremava così forte che era quasi impossibile persino cercare di aprire lo zaino nella speranza disperata di trovare uno scaldamani ancora utilizzabile.
“Amelia?”
Alzò lo sguardo al suono del suo nome solo per incontrare gli occhi azzurri e gelidi di Erik. Oh, fantastico. Ci mancava soltanto lui.
“Che cos’hai? Ti senti male?” Le si avvicinò lentamente, come se avesse paura di spaventarla, e si accucciò accanto a lei. “Ho notato che qualcosa non andava mentre uscivi, così ti ho cercata. Hai la febbre?” Avvicinò una mano alla sua fronte e quando la sua pelle calda entrò in contatto con lei, Amelia sospirò dal sollievo.
“Merda, sei gelida! Hai le labbra viola!”
“Quindi persino tu imprechi a volte,” commentò, il tremito nella sua voce non le impediva più di parlare e aveva ripreso un po’ di sensibilità alle dita. Forse sarebbe riuscita ad arrivare alla macchina, dopotutto. Erik le avvolse una felpa intorno alle spalle. “Ti porto in infermeria e chiamo un’ambulanza,” le comunicò asciutto, senza un minimo di esitazione nella voce. Amelia allungò una mano per fermarlo e lo afferrò per il braccio. Di nuovo, il contatto col suo calore fu una vera e propria benedizione. “Starò bene. Se vuoi aiutarmi puoi lasciarmi tenere le tue mani.” Lui sembrava scettico, ma si abbassò di nuovo e fece come gli aveva chiesto. All’improvviso le rivolse persino una sorta di sorrisetto.
“Sai, avresti potuto prendermi per mano anche senza tutta questa fatica,” la canzonò.
“In realtà sto per approfittarmene del tutto e chiederti persino di abbracciarmi,” rispose lei allegramente, scrollando appena le spalle. Se l’avesse abbracciata per qualche istante avrebbe riportato il suo corpo a una situazione quasi normale, sicuramente le avrebbe ceduto abbastanza calore da permetterle di arrivare alla macchina e poi a casa senza rischiare. Erik sembrò indeciso per un attimo, timido persino, poi scivolò a sedere accanto a lei e se la tirò addosso abbracciandola fin quasi a inglobarla. Non disse niente, quasi fosse troppo imbarazzato per parlare, ma la tenne stretta finché i tremiti non cessarono del tutto e anche un po’ oltre.
“Puoi lasciarmi adesso.”
Erik sembrò imbarazzato mentre la lasciava andare, ma poi la sua espressione cambiò fino a diventare sorpresa. “Stai meglio sul serio.” Commentò, quasi incredulo e persino un po’ sospettoso. “Sei un’Evoluta?”
Evoluto era il termine che usavano per quelle persone che presentavano mutamenti genetici che portavano allo sviluppo di caratteristiche fuori dal comune. Non c’erano molte persone così, le mutazioni genetiche di quel tipo erano spesso incompatibili con la vita, ma sembrava proprio che negli ultimi anni la specie avesse cominciato a favorire il cambiamento e il numero di individui Evoluti stava crescendo.
“No, niente del genere. Ho una malattia per cui il mio corpo non riesce a scaldarsi da solo, tutto qui. Basta che abbia qualcosa o qualcuno da cui trarre calore per stare bene.” Amelia scrollò le spalle. Il suo corpo era di nuovo normale, caldo e attivo. Erik l’aveva abbracciata per un tempo abbastanza lungo da permetterle di saziarsi col suo calore, anche se lui probabilmente sarebbe rimasto infreddolito per un po’.
“Non ho mai sentito di una malattia del genere.” Non sembrava ancora del tutto convinto, ma lasciò cadere l’argomento accennando un sorriso. “Prometto che, se la smetterai di cercare di darmi fuoco con quei congegni diabolici che ti porti dietro, ti terrò per mano ogni volta che lo vorrai.”
“Mh, non saprei. Farti arrabbiare è divertente.” Lo era perché lui non sembrava arrabbiarsi mai. Una volta aveva visto un tizio rovesciargli addosso per sbaglio del caffè bollente e lui non si era lasciato sfuggire neanche il più piccolo segno di irritazione. A quel punto si era incuriosita e aveva cominciato a osservarlo. Non aveva mai visto nessuno altrettanto rigido, pareva che seguisse ogni regola alla lettera e l’unica cosa che lo infastidiva era… beh, lei. Lei e la sua fonte di calore accanto a liquidi la cui scheda di sicurezza recitava: tenere lontano da fonti di calore.
“Ti prego di non farlo.”
Amelia sorrise.

  
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