Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: sissir7    02/08/2020    0 recensioni
Questa os l'ho scritta anche grazie a Sope97 che mi ha fatto partecipare a una sorta di scambio di ff. E' stato davvero bello mettersi in gioco per la prima volta con una JiHope! Mi ha dato delle linee guida, ovvero: una ship; una frase da usare nella descrizione della ff di cui farne libera interpretazione; un oggetto che deve comparire per forza nel corso della storia e un elemento del paesaggio su cui ci si doveva soffermare almeno un attimo. La ship prescelta è stata la jihope; la frase è "I was quite, but I was not blind"; l'oggetto deve invece essere uno specchio e l'elemento del paesaggio da mettere in risalto il cielo.
Così ho partorito questo sclero sentimentale di cui un pò vado fiera lol
Poi ho citato molto "Narciso e Boccadoro" di Hesse, libro che consiglio a tutti se amate quelle storie che vi rubano il cuore.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jung Hoseok/ J-Hope, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le vite dei BTS sono sotto osservazione costantemente e quando meno se lo aspettano, un errore gli varrà quasi la carriera
e la felicità che si sono conquistati con sangue, sudore e lacrime.
Poi quella lettera, quelle parole che mai si aspettavano fossero pronunciate proprio da Hoseok: “Ero silenzioso, ma non cieco.”
E poi Jimin, che per quanto provasse a superare gli ostacoli che la vita gli poneva davanti, si ritrovò senza più la sua unica speranza.  


-----------

Buttò a terra il quinto giornale che aveva letto quel giorno.
La stessa notizia su tutti, infarcita bellamente anche di supposizioni assurde che gli fecero venire la nausea.
Si buttò esausto sul divano dopo tre notti insonni e Jimin si sedette al suo fianco.
Intanto, Namjoon se ne stava in piedi a braccia incrociate, camminando piano per la stanza con lo sguardo di chi sta pensando
ad una soluzione che potesse far ritornare tutto come prima, ma non la trovò.
Neanche lui riusciva a mantenere quella lucidità e quel controllo che lo distinguevano e se gli altri soffrivano, era
palese che lui soffrisse di più a causa della responsabilità che sentiva come leader, come punto di riferimento e come amico.
Vide che i due ragazzi si scambiavano gesti intimi, dolci, così decise di lasciare loro un po' di tempo per stare soli e uscì dalla stanza.
Jimin era diventato l’ombra di stesso, aveva perso peso e quel suo sorriso inconfondibile non incorniciava il suo volto da una settimana.
“Ancora ne parlano. E’ passata una settimana e ancora non ne hanno abbastanza di rovinarci la vita.” disse Hoseok, visibilmente nervoso.
Proprio lui, che era la pazienza in persona, stava raggiungendo il limite.
Jimin si limitò a tirare su con il naso e ad accarezzare la coscia dell’amico per tentare di farlo rilassare.
Aveva lo sguardo basso.
E poi solo silenzio.

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Fu una settimana all’inferno.
Lo sembrò davvero visto che non uscirono dal dormitorio per sette giorni di fila per la loro sicurezza.
Si era arrivati a questo punto, alla paura costante che quelle minacce di morte potessero avverarsi.
Hoseok sfogava tutto in sala da ballo.
Un giorno, lo trovarono svenuto sul parquet in un bagno di sudore e con le nocche delle mani sanguinanti come lo specchio enorme che rifletteva la scena:
Jin e Jimin che lo tiravano su come fosse un peso morto, mentre cercavano di fargli aprire gli occhi senza successo.
Intanto, Jimin sfogava tutto nell’alcool, ma riusciva a parlare con Jungkook che raccoglieva con tenerezza i pezzi
che il biondo si lasciava dietro ogni volta che la sua voce si rompeva in un pianto, un pianto che il maknae non reggeva, che gli faceva spezzare qualcosa dentro.
Il bene e il senso di protezione acuto che provava verso il suo piccolo hyung, erano immensi.
Quello che successe per creare una situazione del genere, fu una banalità, una distrazione, qualcosa che Hoseok non si sarebbe mai perdonato.
Successe una sera, dopo un concerto.
Erano tutti così felici per come era andata.
Cenarono insieme, brindarono anche se il tour non era finito; lo fecero per quanto si sentirono felici di essere lì,
ancora insieme a vivere i momenti migliori della loro vita.
Hoseok tornò nella sua camera, mise un po' di musica e fece una live.
Parlò del più e del meno, lesse i commenti e dopo circa 40 minuti salutò tutti, stremato dal sonno che sentiva.
“Ciaooo army! Vi voglio bene.”
Mandò un bacio rumoroso che fece sciogliere i cuori di tutti.
“Aish, ma come si spegne…”
Dopo anni, quell’app ancora li faceva penare e si ritrovò a non capire cosa stesse facendo.
“Non so se…ah okay ecco.”
“Hyung…”
“Hey Jimin.”
“Che facevi hyung?”
“Una live…”
Sospirò e si sedette di nuovo sulla sedia.
Jimin gli si avvicinò e lo abbracciò da dietro, appoggiando le mani sul suo petto, e lui posò le sue su di esse.
Alzò lo sguardo verso quell’angelo che piano si abbassò e che, dopo un piccolo sorriso, poggiò le labbra sulle sue in un bacio lento e dolce.
Jimin continuò a sorridere mentre Hoseok si alzò e lo abbracciò forte sfiorando i loro nasi, guardando quelle labbra morbide che avvicinò le sue.
“Oh…chi sarà.”
Disse, e vedendo il nome di Namjoon sullo schermo corrugò la fronte.
“Namjoon hyung?”
Una nube di tensione riempì d’improvviso la camera.
“C-Come? Scusa non ho…non…”
Jimin gli chiese che succedeva mentre tentava di capire cosa dicesse la voce profonda di Namjoon che riecheggiava dall’altro capo del cellulare.
“La live Hoseok, dannazione. Sei ancora live e...”
Poi tutto accade troppo velocemente.


Chiamate dalle famiglie e dai manager erano costanti.
Bang Pd fu clemente, erano i suoi ragazzi, ma il nervosismo lo divorava vivo quando parlò con loro. Il tour si fermò e tornarono in Corea.
  Era appena successo uno scandalo, se due persone che si amano può essere considerato uno scandalo, ma loro non sono due persone qualunque,
sono due membri della band più famosa al mondo al momento e “non possono avere il privilegio di avere una vita privata dopo la scelta di essere idol”.
Queste erano le parole che fecero venire la nausea ad Hoseok quella mattina dopo averle lette.
Ma il momento peggiore, il momento in cui pensò che davvero l’inferno esistesse, fu quando i genitori di Jimin andarono al dormitorio
ed entrarono d’improvviso nel salone dove di solito riposavano per prendere Jimin per il polso e trascinarlo via con loro.
“Cosa fate! Mamma!”
Poche parole percepì in quei momenti, poche cose, tra cui il volto del suo ragazzo rigato dalle lacrime che urlava straziando la gola un “No!”,  
mentre alcuni assistenti tentavano di calmare i Signori Park.
Due mani gli stringevano le braccia e Hoseok fece di tutto per liberarsene ma senza riuscirci.
“Yoongi, lasciami cazzo!”
Erano tutti lì, così impotenti, così piccoli.
Jimin si calmò tra le braccia della madre, ormai distrutto dai singhiozzi, prosciugato da giorni di sforzi inutili.
Il padre si piazzò davanti a Hoseok e gli disse che gli proibiva di vedere il figlio.
“Anche voi altri. Non cercatelo.”
Buttò uno sguardo di ghiaccio su Taehyung, il migliore amico del figlio, che cercò di avvicinarsi a Jimin ma dopo un passo,
fu come se una voragine lo avesse inghiottito e rimase inerme.
Erano tutti impietriti e con un dolore che li aveva colpiti fin dentro le ossa.
“N-Namjoon…”
Hoseok si voltò verso di lui pregando il suo nome, ma lui socchiuse solo le labbra come per dire qualcosa, qualsiasi cosa che avesse potuto evitare il peggio.
Non gli uscì niente, mentre le lacrime cadevano anche sul suo viso in un silenzio surreale.


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Lo ricordava bene il cielo di quel giorno maledetto in cui fu strappato dalla sua vera famiglia.
Era un cielo limpido di un azzurro come mai lo aveva visto.
Era fine marzo e faceva ancora freddo; un freddo che rendeva quel colore così vivo, che pensò che era l’unica cosa bella della sua vita ormai.
Il sole che filtrava dalla finestra gli accarezzava il viso e fu lieto del tepore che riscaldò il suo corpo.
Era a casa sua, la sua gabbia d’oro.
Chiuse gli occhi.
“Hoseok.”, sussurrò a fatica.
Se quel manto azzurro vivido era la cosa più bella per lui, allora non poteva che associarlo ad Hoseok.
Le labbra si curvarono quasi timorose di sorridere di nuovo perché ormai non sorrideva più, non ricordava cosa si provasse a curvare le labbra per esprimere gioia.
Si strinse ancora di più le gambe al petto.
Non lo sentiva da due settimane ormai, forse di più.
Dopo le incessanti insistenze, Taehyung e Jungkook riuscirono a vederlo per qualche minuto e in presenza dei genitori.
“Con tutto il rispetto Signor e Signora Park, ma questa situazione è assurda. Non potete costringerlo a”
“Tae, va bene.”
Tae guardò Jimin come per dirgli ‘ma sei impazzito’ dopo avergli sentito dire quelle parole.
La madre un po' titubante, cercò di essergli vicina e disse: “Ragazzi, so che è difficile ma”
Jungkook non trattenne una risatina di sbeffo a quelle parole.
Difficile aveva detto.
Solo difficile.
“Noi andiamo. E’ meglio.” disse poi serio Tae, e abbracciò a lungo Jimin che chiuse gli occhi sussurrandogli un ‘grazie’.
Abbracciò poi Jungkook, che prima di lasciarlo gli sussurrò qualcosa.
“Aspettalo.”
Il cuore di Jimin perse un battito e sentì una speranza dentro che riaffiorò come lo sbocciare improvviso di un fiore.
Fu una sensazione che gli tolse il fiato.
Nel cielo, fuori il sole sembrava esplodere.


----------


Pian piano, i genitori gli permisero di contattare il resto del gruppo.
Parlò a lungo con loro spiegando che stava bene, che in fondo i suoi genitori, prima o poi, avrebbero accettato chi era e che presto magari li avrebbe visti tutti.
Mentì così bene.
 “Coma sta lui?” chiese a Yoongi, che dall’altro capo del cellulare sospirò non riuscendo a mentire.
Jimin strinse il pugno e lo sbattette sul tavolo della cucina mordendosi le labbra fino a sentire il retrogusto di metallo del sangue.
Si passò la mano tra i capelli biondi.
“Non fa nulla, hyung. Digli solo che anche oggi il cielo mi ricorda lui. Tanto.”
“Va bene, glielo dirò.”
Passò i giorni seguenti alla visita dei suoi amici di nuovo in solitudine, costantemente controllato dai genitori che pagarono
delle guardie del corpo che potessero riportare i movimenti del figlio.
Tutto quello lo stava uccidendo lentamente.
Quel venerdì però, cambiò finalmente la situazione.
Era appena tornato a casa dopo aver passato un po' di tempo con il fratello che gli fu molto vicino in tutto quello,
e che era l’unico a non considerarlo disonorevole per la sua famiglia.
Appese il cappotto e si tolse le scarpe sospirando già terribilmente annoiato.
Entrò in cucina distratto ma appena alzò lo sguardo, lo vide.
“Hey…”
O la mente gli stava giocando un brutto scherzo, il che non sarebbe stato strano dopo quello che aveva passato, o quello seduto sul suo divano in stoffa blu era Hoseok.
I suoi genitori erano seduti di fronte, nelle due poltrone.
Poggiò la mano alla porta per non perdere l’equilibrio ed Hoseok si alzò di scatto.
“Hoseok…?”
Gli si avvicinò e lo abbracciò.
“Hoseok…”
Ripetette, fissando il muro di fronte a sé, mento sulla spalla del suo amore, il cuore contro il suo petto.
Sentì il maglione color caffè morbido sotto le sue mani, quel maglione che gli aveva regalato per il suo compleanno.
Sentì il profumo di agrumi della sua crema idratante che si addiceva perfettamente a quella personalità forte e frizzante che aveva il suo ragazzo.
“Hoseok.” sussurrò ancora sul suo collo, lasciando una lacrima a inumidire quella pelle calda.
“E’ venuto per parlarci. Ha detto che ci chiede scusa e abbiamo apprezzato il gesto.”
Jimin si voltò verso la madre che disse quelle parole.
“Non si deve scusare di nulla e neanche io.”
Il padre sembrò rassegnato, e gli disse che prima mettevano fine a quell’assurdità, prima la loro vita sarebbe tornata normale.
“Normale dici? Perché noi non lo siamo, giusto?”
“Non è quello che”
“Papà per favore.”
Lasciò il corpo del suo ragazzo controvoglia, ma si sentì quasi mancare le forze e si sedette sul divano portandosi la testa tra le mani.
Anche Hoseok si sedette, sentendosi in una situazione in cui pensava di aver peggiorato solo le cose.
Abbassò lo sguardo.
Le mani si chiusero in una morsa stretta per evitare di prendere Jimin tra le braccia di nuovo, di toccarlo, finalmente.
Jimin fece un respiro profondo e quando alzò la testa, il sorriso e l’espressione calma che aveva spiazzarono tutti.
Sapeva cosa fare.
“Bene. Hoseok, andiamo.”
“C-Come…”
Si alzò di scatto.
“Andiamo, dai.”
Gli porse la mano. Il padre si alzò velocemente quasi urlando:
“Ti abbiamo cresciuto con amore e rispetto ed esigo che tu ci dimostri tali valori!”  
Jimin lo guardò quasi con pietà.
“Se questo è l’amore e il rispetto che mi volete dimostrare, potete tenerveli perché di certo non sono come li intendo io. E poi, non siete stati voi a dimostrarmi cos’è l’amore. Non quando ne ho avuto più bisogno, almeno.”
La madre si portò una mano alla bocca e non trattenne le lacrime.
“E’ così che vuoi vedere tua madre?!”
“E’ così che vuoi perdere tuo figlio?!”
Il Signor Park rimase di pietra e serrò le mascelle.
Le mani di Hoseok tremavano strette l’una nell’altra.
Avrebbe dovuto dire qualcosa?
Era più grande di Jimin, quindi la responsabilità era sua?
Non lo capiva, non lo accettava se così fosse perché l’amore di entrambi, era una responsabilità di entrambi e lo avevano sempre vissuto senza vergogna.
E poi, l’amore non era un peso o un errore da giustificare, quindi non lo avrebbe mai fatto.
Allora si alzò, e strinse la mano di Jimin che gliela stava ancora porgendo decisa.
Non riusciva a proferir parola incrociando lo sguardo di quelle due persone che per quanto amassero il figlio, non erano consapevoli di chi fosse realmente.
Un nodo alla gola lo attanagliava, ma sapeva che non poteva andarsene così, non sostenendo le parole di Jimin.
Con  una decisione che stupì anche se stesso, disse:
“Signori Park, so che non dovrebbe essere mio diritto dirvelo, ma io ho visto Jimin soffrire molto più di quando lo avete visto voi. Lo conosco sotto certi aspetti,
che voi non potrete mai conoscere.”
“Come ti permetti di”
“So che questo è difficile anche per voi e so che magari siete destabilizzati e vorreste proteggerlo, ma sento che devo esserlo io a farlo ora.
Vi ho chiesto scusa semplicemente per quello che avete letto o sentito dire, per la vostra privacy violata, per i disagi che una mia distrazione ha causato.
Non ho chiesto scusa per amare vostro figlio e non lo farò mai.  Qualsiasi scelta lui faccia, aspettativi di trovare me al suo fianco perché io, Signori Park, sarò un vostro problema per molto molto tempo, se decidete di non aprire gli occhi ed andare oltre il vostro mondo.
State perdendo del tempo prezioso che potreste usare conoscendo un po' di più vostro figlio. Volevo solo chiarire questo.”
“Se esci da questa casa ricorda di non tornarci.” disse il Signor Park al figlio, ignorando completamente il discorso di Hoseok che,
a quella indifferenza, sentì i nervi a fior di pelle.
Jimin era davvero un miracolo ad essere chi era pur venendo da due persone del genere.
“E tu ricordati di non avere più un figlio ormai.” rispose con voce dura Jimin, che non riuscendo a trattenere una lacrima,
tirò Hoseok con sé e sbattette la porta alle sue spalle.


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I loro passi erano lenti sull’asfalto.
“E adesso?”
Jimin alzò la testa, fermandosi d’improvviso.
Quell’azzurro vivo gli riempì le iridi.
“Lo vedi questo cielo?”
Hoseok, che ancora gli teneva la mano, seguì il suo sguardo puntandolo in su.
“E’ questo che ti ricordava me?” disse con emozione, spostandosi di fronte al suo romantico ragazzo.
Jimin, sorridendo, annuì.
“Quindi Yoongi te l’ha detto.”
“Sì. Ogni volta che questo azzurro appariva nelle giornate più fredde, sapevo che anche tu lo stavi guardando.”
Jimin lo abbracciò.
“Ti prego, non diventiamo una di quelle coppie sdolcinate che fanno storcere il naso alle gente.”
Così dicendo, affondò il volto nella sciarpa che avvolgeva il collo di Hoseok che rise piano a quella preoccupazione inutile del fidanzato.
“Jimin-ah”
“Mh?”
“Vorrei essere di tutto tranne che delicato o dolce con te, stanotte.”
Jimin si sentì avvampare, mentre la stretta delle braccia di Hoseok si fece più decisa.
Aveva appena distrutto il legame con i suoi genitori, eppure non si era mai sentito così leggero, fiero, felice.
Quella sera, fecero l’amore dopo così tanto tempo che ogni cellula del loro corpo voleva fondersi e unirsi infinitamente.
Volevano non finisse mai.
Jimin era su di lui, sul letto della camera di Hoseok nel loro dormitorio, e ormai era più di un’ora che non si bastavano, che i loro respiri si confondevano.
Si calò piano per baciarlo mentre sentiva le mani di Hoseok strette alla vita che lo aiutavano nel trovare il punto giusto dentro di lui,
e poi lo baciò con difficoltà per il movimento frenetico dei loro corpi, delle loro anime.
Un velo di sudore brillava sulla loro pelle, mentre la luce plumbea della luna li vestiva come un sottile strato di seta.
Le labbra bollenti di Jimin sfiorarono quelle di Hoseok in un tocco gentile.
Si guardarono mentre il rosso, all’apice dell’orgasmo, inondò Jimin che versò una lacrima dopo che il calore dentro di lui lo fece rabbrividire.
Hoseok gli spostò una ciocca di capelli dalla fronte mentre era ancora in lui.
“Mi è mancato così tanto…questo.”
Sussurrò con un filo di voce sensuale.
Jimin annuì lentamente.
Sospirava con fiato caldo contro quelle labbra a forma di cuore e aveva ancora gli occhi chiusi, stava ancora godendo dei loro due corpi uniti e della sensazione di piacere nel suo ventre.
“Non smettere.” disse ad alta voce, senza volerlo, quasi pregandolo, mentre iniziò di nuovo a muoversi sull’asta ben salda di Hoseok.
“Non smettere.”
Ridisse, mentre il suo ragazzo sotto di lui si morse il labbro inferiore e seguì i movimenti del bacino dell’angelo che gli era sopra.
Erano stanchi, sporchi, ma continuarono ancora e ancora.
Quando le cosce e la schiena di Jimin non ressero più, si mise a pancia in giù, ma Hoseok gli disse di voltarsi perché voleva vedere il suo volto nel mentre.
Al lato della bocca di Jimin, apparse un piccolo sorriso.
“Non avevi detto che non volevi essere dolce?”
Hoseok ansimando gli posò due baci sulla schiena bagnata.
“Mi farai diventare cattivo. Park Jimin.” disse, prima di posizionare la lingua là dove Jimin l’aveva sostituita con le sue dita troppe volte in quel periodo di reclusione pensando a quelle morbide, attente labbra che ora lo fecero gemere e che dissero:
“Perdonami se ti ho fatto aspettare così tanto.”



L’indomani, le foto di loro due insieme fuori casa di Jimin e di loro due insieme mano nella mano mentre entravano di nuovo nel dormitorio, invasero internet e poco gli importava dopo aver capito e vissuto cosa significasse stare l’uno senza l’altro.
Ma lo stress non li lasciava; era come se stessero avendo il colpo di grazia dopo una battaglia vinta ma una guerra persa.
“Ci abitueremo.”
“Lo abbiamo fatto dopo cinque anni essendo i BTS?”
“No, Hoseok, ma…”
“Non ci abitueremo mai. Soprattutto se riguarda un rapporto sentimentale tra due idol maschi e gay in questa società da cui veniamo.”
Jimin non seppe che rispondergli, anche se il suo tono non era per niente arrabbiato, solo rassegnato, e Jimin non sapeva quale delle due cose fosse peggio.
Passavano i giorni, le settimane e il tour non riprese.
Si limitavano a comporre, dedicarsi per un po' alle loro famiglie, a sé stessi, cercando di capire cosa ne sarebbe stato di loro quando le acque si sarebbero calmate.
Tutto quello che sapevano, è che avrebbero affrontato di tutto insieme.
Per quanto Hoseok e Jimin si scusassero, i ragazzi non gliene fecero mai una colpa, né per averglielo nascosto, né perché era semplicemente accaduto che si innamorassero e sì, era quello l’amore surreale che univa quei sette ragazzi.
Alla fine, era quello che più contava.
La famiglia di Hoseok prese tutto molto meglio già avendo una figlia sostenitrice della comunità LGBTQ+, per cui non erano estranei a quel mondo che,
dopo la sorpresa iniziale, ormai era anche il loro mondo.
Nonostante questo, nonostante una sorta di equilibrio che avevano raggiunto nel mese di giugno, la ferita era ancora aperta, pulsante e viva più che mai.
Quel cielo cristallino da cui Jimin riusciva a prendere la forza, grazie al quale credeva che le cose belle fossero possibili, non c’era più.
Lui non c’era più.
Se ne era andato via con quel colore, sfumando dalla sua vita d’improvviso.



“Vi  prego, perdonatemi. Suona estremamente egoista perché lo è eppure, non vi so dire altro.
Ero un tipo silenzioso, ma non ceco.
E’ assurdo che lo dica il più rumoroso di noi ma…voi conoscete i miei silenzi, quelli che vi hanno sempre fatto preoccupare e ultimamente li ho nascosti bene.
Ho visto fin troppo ormai.
Immagino l’espressione incazzata e bagnata dal pianto di Yoongi, le lacrime di Jin e Jungkook, il vuoto che Namjoon proverà e come Tae cercherà di essere forte per te, Jimin.
Tu non so che reazione avrai, mi hai sempre stupito in questi anni.
Non metto in dubbio il tuo dolore e dirti che spero che ce la farai, è sconveniente.
Forse non ce la farai, forse è colpa mia se mi raggiungerai presto.
Solo questo mi ha frenato: l’essere responsabile della tua fine, ma lo sappiamo entrambi che lo sarei stato comunque.
Il rapporto con i tuoi genitori è ormai inesistente per colpa mia e per colpa loro anche, ma la causa di tutto sono io.
Sarei sempre stato io.
Non sono io la tua speranza, Jimin. Capiscilo. Accettalo. Lasciami andare.
Fai spazio per qualcuno che sappia gestire meglio i tuoi sbalzi d’umore, i tuoi pianti, il tuo essere bisognoso di coccole a tutte le ore,
le  tue paranoie che non sono mai riuscito a curare.
Io non posso, mi sto logorando e ti immagino maledirmi per queste parole.
La verità, è che anche tu sei diventato troppo per me. So solo questo.
Vorrei dirti che ti amo, ma non è questo l’amore ma se lo fosse è terrificante, vero?
Quanto perfino l’amore non è abbastanza.
Un’ultima cosa.
Quando il cielo sarà di nuovo di quel colore, non odiarlo. Io sarò lì in fondo, no?
Rimarrai per sempre il mio unico angelo.
Grazie comunque, Jimin.
Grazie.”



La trovò poggiata allo specchio nella sala da ballo preferita di Hoseok, la sua lettera.
Poggiata a quello specchio che aveva nei suoi riflessi, i riflessi rossi dei capelli ribelli di Hoseok,  
le movenze decise ed eleganti di quel corpo asciutto ma con una presenza scenica unica.
Era uno specchio che aveva inciso su di esso la dedizione di quel ragazzo un po' stacanovista, uno specchio che poteva raccontare le ore di sudore e di risate,
ore colme di stanchezza e di “dai, proviamo solo un’altra volta Yoongi.”
E ancora, ore di serate spese tra amici e di pianti fatti assieme per le difficoltà che sembravano non lasciarli mai.
Quello, era lo specchio contro cui il corpo di Jimin gemette per la prima volta grazie ad Hoseok che, nell’eccitazione dopo le prove,
lo prese e lo fece suo contro quella superficie appannata per il loro calore, i loro gemiti caldi, per la schiena di Jimin che scivolava su di esso ad ogni spinta.
Quello specchio che aveva visto tutto, sentito tutto, ora piangeva sangue di nuovo.
 Jimin pensava di trovarlo lì quella mattina.
 Aveva una bella notizia: avevano vinto la causa per diffamazione contro tutti i giornali e le persone che li avevano distrutti.
Potevano ricominciare.
Ma Hoseok lì non c’era.
Al suo posto, c’era quella busta che conteneva quelle parole che odiava con tutto sè stesso.
Le lesse, alzò lo sguardo verso una sua copia che lo guardava triste, con le sopracciglia corrugate, forse segno di incertezza di chi crede di non aver capito bene.


Esistono specchi sferici convessi, in cui i raggi luminosi paralleli vengono fatti divergere con un punto di intersezione apparente all'interno della sfera.
Guardando in questi specchi, si vede all'interno della sfera una riproduzione in miniatura del mondo circostante ed era esattamente così che Jimin vedeva
e sentiva tutto intorno a se dopo la morte di Hoseok: era tutto così dannatamente piccolo, insufficiente, così effimero che gli sfuggiva dalle mani come sabbia,
senza che potesse avere chance di poter controllare cosa accadeva.  
Era come se anche il suo stesso riflesso gli mentisse ogni volta che si guardava allo specchio.
Li odiava ormai, quegli oggetti maligni e bugiardi che facevano apparire il suo volto così bello.
Ma il marcio che aveva dentro, dov’era?
Perché il suo riflesso era così normale? Si sentiva distorto, spezzato, e la sua immagine così giovane, bella, gentile, peggiorava solo i suoi tentativi di dimenticare Hoseok. In quella sala da ballo, quello specchio enorme che sembrava lo stesse inghiottendo, era stato l’ultimo a vedere Hoseok,
era stato lì a fissarlo senza fargli capire quanto fosse una meraviglia, quanto il mondo non sarebbe stato più lo stesso se lo avesse abbandonato.
Urlò con tutta la forza che aveva in corpo, sentendo i muscoli della pancia fargli male. 
 Neanche si accorse che il rosso cremisi che vedeva scorrere su quella superficie liscia, era il suo sangue lasciato dalle sue nocche ormai livide.
Era ironico che Hoseok fece lo stesso mesi fa, anche lui sul punto di impazzire per il dolore.
Dopo che Taehyng lo trovò e lo portò via a fatica, Jimin non entrò mai più in quella sala da ballo.  


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Affondò i piedi sotto la coperta grigia che aveva ai piedi del suo letto e distese le gambe.
Accarezzava con il pollice quelle parole; la carta ruvida sussurrava sotto il suo tocco.

“E ti dico ancora: qualunque cosa avvenga di te e di me, comunque si svolga la nostra vita, non accadrà mai che, nel momento in cui tu mi chiami seriamente e senta d’aver bisogno di me, mi trovi sordo al tuo appello.”
 
Eppure, ad ogni sua implorazione, solo silenzio.
Lo chiamava, e solo un profondo tonfo sordo gli echeggiava dentro.
Dopo diversi mesi, la sua assenza era più presenza di quando lo teneva contro di sé nudo, vivo, caldo.
Jimin si distese lasciando cadere quel libro a terra.
Fissava la copertina.
Narciso e Boccadoro di H. Hesse” era scritto in rosso su uno sfondo sabbia.
Sospirò.
“Eri il mio Narciso, Hoseok. Lui sa leggere con straordinaria precisione l'animo delle persone e tu hai letto il mio così bene e ti sei dato la colpa per cose che…” Sussurrava.  
Spesso gli capitava di parlargli.
In fondo, la terapista gli disse che facendolo lo avrebbe aiutato e così continuò a parlare fissando quei due nomi, pensando a quei due personaggi così simili a loro,
al loro amore, nonostante Hesse lo avesse nascosto con una trama che in realtà veniva in secondo piano se si sapevano cogliere le cose importanti.
Quel libro era la storia d’amore di due ragazzi, poi uomini, molto diversi che scoprirono se stessi l’uno grazie all’altro,
che si aiutavano a essere la parte migliore di loro stessi.
“Hoseok…”
Si mise a pancia in giù e tese il braccio fino a sfiorare con l’indice il nome Narciso sulla copertina fredda.
“Non ti ho neanche mai detto ti amo.”
Passò qualche minuto dopo quella confessione che non aveva mai fatto neanche a se stesso, e si rese conto di quello che aveva appena detto ad alta voce.
Gli tremò la mano che ritrasse in fretta allontanandola dal libro.
“Ti amo.”
Era la prima volta che confessava il suo amore, e chi doveva ricevere quelle due preziose parole era morto, troppo lontano per sentirle.
Jimin ne era consapevole, e una voragine gli si aprì dentro come se artigli di acciaio scavassero nel suo cuore, senza pietà e senza preavviso.
Non era la prima volta che provò quel terrore, quel dolore che poteva chiamare familiare.
Non era la prima volta e non sarebbe stata l’ultima, probabilmente.
Fece due respiri profondi facendosi forza.
Serrò le mascelle, e con la sua voce angelica e calma recitò un passo di quel romanzo che gli si era scolpito nella mente:
  
“Lascia che te lo dica oggi quanto ti voglio bene, quanto tu sei stato sempre per me, come hai arricchito la mia vita. [...]
Tu non puoi misurare ciò che significhi.
Significa la sorgente in un deserto, l’albero fiorito in un 
terreno selvaggio.
A te solo debbo che il mio cuore non sia inaridito, che sia rimasto in me un punto accessibile alla 
grazia.” 

Chiuse gli occhi dopo aver detto quelle parole per lui dolorosamente vere e che avrebbe tanto voluto dedicare ad Hoseok.
Erano le uniche parole che rendevano onore a cosa provava per lui, ma non solo per lui ormai.
Sospirò al tocco gentile di Jungkook che gli accarezzò la schiena.
Era lì con lui da ore.
Era stato lì per lui da sempre, quel ragazzo dagli occhi troppo grandi e dolci che lo avrebbero sempre fatto apparire più piccolo di quanto fosse in realtà.
“Jimin.”
“Mh mh.”
“Vieni qui.”
Jimin ci si mise un po' a muoversi perchè era stanco, avevano provato tutto il giorno e quello dopo ci sarebbe stato il comeback.
Si strinse al corpo di Jungkook che gli avvolse le spalle con il suo braccio.
“Dormi pure. Ti sveglio io per la cena, ok?”
La testa di Jimin strofinò annuendo contro il suo petto, contro quella felpa nera morbida. Il maknae sorrise istintivamente
per l’espressione rilassata di Jimin e si tranquillizzò vedendolo al sicuro mentre coprì i loro corpi con la coperta grigia ai piedi del letto.
Fuori, il sole scompariva lentamente lasciando che quell’azzurro freddo, così familiare, vegliasse su di loro.
“Jungkook?”
“Jimin, tranquillo dormi…”
“Le ultime parole che ho detto, l’ultimo passo del romanzo che ho recitato…”
“Oh, bellissime. Hoseok si sarebbe commosso se”
“Le ho dette per te.”
Il più giovane vedeva solo i capelli biondi del suo hyung che gli sfioravano il mento.
Sentì quella voce un po' soffocata tremare contro il suo petto.
Jimin poi alzò la testa, e finalmente vide la sua espressione mezza assonata e così innocente avvolta da quel profumo fruttato che il suo hyung indossava da sempre. Aveva le labbra rosse incorniciate da un piccolo sorriso mentre incontrava il suo sguardo con quello scioccato di Jungkook.
“Volevo sapessi che grazie a te, il cuore non fa più così male.”


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“Tutto era ormai lontano, quasi dimenticato; ma dimenticato non era, solo superato, solo passato.
Qualcosa rimaneva che non si poteva esprimere, qualcosa di terribile ed anche di prezioso, qualcosa di sprofondato ma di inobliabile,
un’esperienza, un gusto sulla lingua, un cerchio attorno al cuore.”


(Narciso e Boccadoro, H. Hesse)
   
 
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