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Autore: cassiana    16/08/2009    9 recensioni
[Jessica Fletcher]Durante una notte di tempesta qualcuno suona alla porta di Jessica. E’ un poliziotto in pensione che ha una storia da raccontare. Un vecchio caso risolto insieme a Jessica che tuttavia continua ad ossessionarlo. [Questa storia è arrivata prima al contest Omaggio a Mrs. Fletcher indetto da Writers Arena]
Genere: Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jessica Fletcher e il caso della Crillen House

Storia scritta per il contest  Omaggio a Mrs. Fletcher indetto da  Writer's Arena

Disclaimer: i personaggi non mi appartengono ma sono dei rispettivi autori. La storia è scritta senza scopo di lucro.






Jessica Fletcher e il caso della Crillen House

 
          


Personaggi:

Jessica B. Fletcher: scrittrice di romanzi gialli e investigatrice dilettante
Roger Davemport: proprietario di una importante Casa Editrice nonché amico di Jessica
Teresa Davemport: seconda moglie di Roger Davemport
Sheila Davemport: prima moglie di Roger e socia della D&D
Nick Drake: socio di Roger Davemport
Dave Coolidge: Direttore del Marketing della D&D
Tenente Frank De Gregorio: investigatore della polizia di Los Angeles
Natasha Clarke: giornalista del Daily News

Ero nella mia cucina, intenta a sfornare gli ultimi biscotti della giornata. D’altra parte era stata una pessima serata, tuoni e lampi si erano susseguiti ininterrottamente dal pomeriggio. Non era raro che Cabot Cove fosse colpita da simili tempeste, soprattutto in quella stagione, e io non trovavo niente di meglio da fare che scrivere e fare biscotti. Mentre mi raddrizzavo col vassoio ancora fumante in mano qualcuno suonò alla porta: doveva essere Seth. Chi altri sarebbe mai venuto a trovarmi in una serata come quella, altrimenti? Appoggiai con cura il vassoio e mi tolsi i guanti. Con un sorriso aprii la porta, ma la battuta che stavo per pronunciare mi morì sulle labbra. Davanti a me c’era un uomo di bassa statura, con un impermeabile tutto stazzonato, totalmente zuppo.
    - Signora Fletcher, si ricorda di me?
Mi chiese con la sua voce lievemente roca fissandomi con l’occhio buono. Mi ripresi subito e lo feci accomodare dentro. Gli offrii i biscotti ancora caldi e una tazza di caffè bollente.
    - Cosa la porta da queste parti?
Gli domandai quando lo vidi un poco rifocillato. Mi rispose che lui e la moglie stavano facendo un giro per il Maine e che si era ricordato che proprio a due passi dalla cittadina dove alloggiavano abitava la sua vecchia amica Jessica. Che Rochester fosse vicina a Cabot Cove era una delle affermazioni più azzardate che avessi sentito a quel riguardo e “amica” non era il termine più esatto a dire il vero. Avevamo solo risolto un caso insieme una quindicina d’anni prima. Mi sedetti lentamente intuendo che quella visita fosse tutt’altro che casuale.

***

    Erano i primi anni ’90, più precisamente l’estate del 1992: ero andata a Los Angeles per ritirare un premio alla carriera. La premiazione si svolgeva presso la sontuosa sala dei banchetti della Crillen House, una dimora storica dei primi del ‘900 ove aveva la sua sede l’Associazione Californiana Scrittori. Era stata donata all’Associazione dall’ultima erede dei Crillen, Altamira, donna assai originale e il cui gusto sfarzoso ed eccentrico rendeva la magione un luogo a volte incantato, altre decisamente inquietante. E forse per questo piace tanto agli scrittori losangelini. Non era la prima volta che visitavo il salone, con i suoi stucchi dorati, i trompe l’oeil alle pareti, i suoi soffitti istoriati e l’immenso lampadario centrale che si diceva fosse ispirato a quello del Teatro dell’Opera Populaire dell’omonimo fantasma. Ad ogni modo quella sera ero lì a sorseggiare un bicchiere di champagne chiacchierando animatamente con gli altri ospiti dell’evento.
    - Jessica, sei splendida! E’ un piacere immenso averti a questa nostra piccola festicciola!
    - Roger! Non essere modesto: è una festa meravigliosa!
Risposi abbracciando il mio vecchio amico. Roger Davemport, il patròn degli scrittori californiani nonché Presidente dell’Associazione. Il suo contributo alla letteratura americana non era stato dei più memorabili, in compenso la sua Casa Editrice, la D.&D., era una delle più importanti del paese. Era stato lui a candidarmi al premio ed era stato sempre lui ad aver organizzato la serata in mio onore. Erano parecchi anni che non ci vedevamo, così l’osservai attentamente. Si portava bene i suoi settantadue anni, aveva ancora una folta capigliatura bianca che teneva pettinata all’indietro, rigogliosi baffi biondi gli sormontavano le labbra sottili che si aprivano spesso in una risata omerica. E di omerico aveva anche la pancia che contrastava curiosamente con le gambe corte e magre. Tutto sommato non era cambiato molto dall’ultima volta che l’avevo visto. Mi presentò la sua seconda giovane moglie, Teresa. Era una donna bellissima il che mi spinse a compatire un poco il mio vecchio amico. Mi chiesi per quale motivo gli uomini più diventavano vecchi e potenti e più sentivano la necessità di accompagnarsi a giovani donne per lo più senza scrupoli. Nonostante tutto l’atteggiamento di Teresa me la rese simpatica, mi ricordava vagamente una mia nipote, morta qualche anno prima. Come lei aveva la carnagione dorata e lunghi capelli neri. Aveva un che di gentile nello sguardo e nei modi per nulla arroganti, che me la fecero prendere subito in simpatia. Il suo corpo esile era fasciato da un vestito rosso che si accordava magnificamente ai suoi colori.
    - Allora, hai qualche nuovo romanzo nel cassetto?
Mi chiese ancora Davemport, risposi brevemente che ero appena alla fase di ricerca e che anzi avrei approfittato della mia permanenza per condurre qualche piccola indagine.
    - Sei sempre la solita!
Mi apostrofò Sheila che si era unita alla conversazione. Sheila era la moglie numero uno, come la definiva Roger. Una donna imponente, le cui proporzioni erano rese ancora più giunoniche dal lungo abito bianco. Anche lei aveva i capelli neri e cerulei occhi miopi, ma la lingua tagliente e i modi bruschi la rendevano nettamente diversa dalla seconda moglie dell’ex marito. Era anch’ella un’amica di vecchia data, dopo aver pubblicato un paio di buoni romanzi si era data all’editoria: aveva, infatti, una piccola quota nella D&D. L’altra D era Nick Drake, ma quella sera ancora lo avevo visto. Chiacchierammo ancora qualche minuto e Roger volle presentarmi il suo giovane direttore del marketing. Non avendo figli suoi, Davemport era sempre alla ricerca di nuovi talenti da proteggere e lanciare fossero essi scrittori di belle speranze o giovani professionisti rampanti. Il giovane uomo che mi presentò come Dave Coolidge apparteneva alla seconda categoria: di bell’aspetto, era il classico ragazzone americano tutto capelli biondi, mascella volitiva e sorriso bianchissimo. I suoi modi erano aperti e niente affatto sgradevoli. Mi strinse la mano con entusiasmo, si premurò che avessi il bicchiere pieno e s’ informò sulle mie ultime fatiche, letterarie e non. Avevo, infatti, appena finito una collaborazione con una radio di Portland per una serie di riduzioni radiofoniche dei miei racconti. Mi stupì un poco che ne fosse a conoscenza, lì in California. Ma non feci in tempo a domandarmene il motivo che Davemport ci guidò tutti quanti nella sala attigua dove era stato approntato un piccolo palco. Ci disponemmo tutti all’ascolto mentre il decano degli scrittori californiani, Gustav Stapledon, iniziava il suo discorso. Furono distribuiti vari premi: al migliore romanzo esordiente, al miglior romanzo, alla migliore raccolta e così via. A me spettava il posto d’onore e dovetti attendere un bel po’ prima che il mio nome fosse chiamato. Mi consegnò il premio il Presidente in persona.
    - Qualche decennio fa, incontrai proprio in un’occasione del genere, un’ottima scrittrice esordiente. Aveva appena pubblicato il suo primo romanzo e credo che neppure lei stessa fosse in grado di immaginare il successo che ne avrebbe avuto. Da allora ha continuato a mietere trionfo dopo trionfo diventando una delle scrittrici più importanti di questo paese. Ed è perciò con immenso onore che sono lieto di consegnarle il premio alla carriera della A.C.S.!
Davemport mi fece cenno di salire sul palco, non era la prima volta che ricevevo delle onorificenze, ma l’emozione era sempre la stessa. Ringraziai sinceramente commossa e dedicai il premio al mio Frank. La serata proseguì a lungo, mi complimentai con gli altri vincitori e  chiacchierai con tutte le mie nuove e vecchie conoscenze. All’una mi sentii decisamente affaticata, così cercai Roger per ringraziarlo e salutarlo. Mi aggirai per la Crillen House col premio che mi pesava, i piedi stanchi  e le guance bollenti, forse per il troppo champagne. Mi sedetti un momento su una panca posta all’interno di uno dei bovindi del piano terra. La finestra era aperta per lasciar entrare la brezza della sera che profumava dei lillà e gelsomini che crescevano rigogliosi arrampicandosi lungo le mura della casa. E fu solo per quello che scorsi due figure in atteggiamento piuttosto intimo. Parlavano a bassa voce e non riuscii a sentire cosa dicevano, sforzai un po’ gli occhi per riuscire a riconoscere di chi si trattasse. Quando si mossero verso la luce e riuscii finalmente a vederli in volto le mie labbra si strinsero con disappunto. Cercai di convincermi che la situazione non fosse così equivoca come appariva a prima vista. Eppure non c’era molto da meravigliarsi se due giovani di bell’aspetto, con un radioso futuro davanti fatto di successo e soprattutto tanti soldi, provassero una simpatia forse un po’ troppo familiare ancorché una dei due fosse sposata col capo dell’altro. Mi rialzai mentre meditavo sulla scena che avevo visto poco prima e finalmente Roger mi venne incontro.
    - Jessica, dov’eri finita? Ti stavo cercando in lungo e in largo!
Scoppiai mio malgrado in una risata:
    - Potrei dire la stessa cosa di te! Vorrei andare – continuai tornata seria – sono piuttosto stanca.
Roger era d’accordo con me, si sentiva affaticato, mi confessò e non vedeva l’ora di sedersi un momento a gustare l’ultimo whisky della serata.
    Anche Sheila ci raggiunse, con un espressione di disappunto sul bel viso.
    - Roger, hai per caso visto un orecchino in giro?
Apostrofò l’ex marito non appena lo vide. Al suo cenno negativo Sheila sbuffò, era tutta la sera che lo cercava, doveva essersi allentata la monachina che lo teneva agganciato all’orecchio.
    - Era uno dei miei?
Chiese con fare sardonico Roger, Sheila aprì una mano e ci fece vedere il compagno sopravvissuto: uno splendido brillante da almeno un carato brillava sul suo palmo.      - Non mi resta che andare a dormire e cerare meglio domani.
Si congedò Sheila, troppo stanca per poter frugare ancora qua e là. La Crillen House aveva anche qualche stanza dove poter far riposare gli scrittori in visita, perciò non dovevo fare altro che salire di un paio di piani per potermi finalmente sfilare le scarpe e prepararmi per il giusto riposo. Non fui molto stupita quando venni a sapere che anche lo stesso Davemport e Teresa avevano scelto di rimanere a dormire alla Crillen. Sheila aveva preso la stessa decisione, ciò che mi stupì invece fu di sapere che si sarebbe fermato anche il giovane direttore del marketing. E rimasi ancora più sorpresa quando vidi Nick Drake entrare nel salone principale e dirigersi verso Roger con fare minaccioso.
    - Roger, questa è la goccia che ha fatto traboccare il vaso!
Davemport lo prese da una parte mormorando qualcosa, ma un Drake ancora più alterato si scrollò la sua mano di dosso e urlò:
    - Non permetterò che mandi in rovina la Casa Editrice per i tuoi capricci!
    - Avanti Nick, è solo una promozione. Ci porterà dei grossi guadagni!
Ma quello non si lasciò persuadere. Teresa mi si avvicinò spiegandomi la situazione:
    - Roger ha grandi ambizioni per la D&D, purtroppo Nick non riesce a capirlo.
    - Di cosa si tratta?
    - Roger sta cercando di allargare il campo d’azione dell’azienda, ha in mente di espanderla e costituire una società di produzione. Ma Nick ha paura che sia un azzardo con tutte le case di produzione che ci sono da qui a Encino. Litigano sempre più spesso…
Intanto era intervenuto anche Coolidge che stava cercando di calmare gli animi. Stavo quasi pensando di intervenire io stessa quando Teresa mi prese per un braccio. Mi guardò con occhi enormi e quasi spaventati.
    - Il problema è che ha ragione Nick…lei non potrebbe farlo ragionare?
Rimasi sbalordita da quella richiesta, conoscevo Roger da molti anni, ma non avevo certo l’ascendente necessario per fargli cambiare idea su cose di cui tra l’altro ero piuttosto digiuna. Presi tempo mentre pensavo ad una risposta adeguata:
    - E Sheila cosa ne pensa?
Teresa scosse le spalle:
    - Non so – rispose flebile – io e lei non parliamo molto.
Potevo immaginarlo. Anche se Roger e Sheila si erano lasciati da qualche anno quando Teresa era entrata a far parte della famiglia Davemport potevo capire che non fosse una situazione idilliaca e potevo anche comprendere come mai Sheila non avesse troppa simpatia per una donna tanto più giovane e bella. 
    Finalmente i due litiganti sembravano essersi calmati, Davemport si era seduto pesantemente e Drake era accanto alla porta con le braccia incrociate e il viso torvo: non era cambiato di una virgola dall’ultima volta che lo avevo visto. Era sempre alto, segaligno e calvo come una palla da bowling. In compenso portava un pizzetto mefistofelico che insieme alle basette disegnate e gli occhi verdi contribuiva a dargli un’aria diabolica. Ma chi lo conosceva bene sapeva quanto invece fosse ansioso e gravato da un’ulcera cronica che era diventata quasi una leggenda nell’ambiente.    
    Mi avvicinai a Drake il quale non appena mi vide si aprì in un sorriso:
    - Jessica, che piacere vederti! Immagino avrai assistito alla scena poco edificante di poco fa… - aggiunse scurendosi in viso.
Annuii ma cercai di alleggerire l’atmosfera rammentandogli qualche buffo episodio del passato. Nick sembrò essersi calmato quel tanto che bastava per ricordarsi della sua ulcera. Con una smorfia tirò fuori dalla tasca della giacca le sue inseparabili pastiglie e ne ingollò un paio senz’acqua.
    - Vogliamo berci il bicchiere della staffa?
Propose Roger avvicinandosi con l’aria di chi volesse soprassedere ad un comportamento poco onorevole.
    - Credo che per me sia troppo tardi per qualsiasi cosa! – affermai convinta desiderosa solo di mettermi a letto. Anche gli altri rifiutarono. Davemport scosse lievemente la testa e si riempì un bicchiere di whisky. Noi altri ci separammo.
    L’ultima immagine che ho di Roger Davemport vivo è di lui seduto in una grossa poltrona di cuoio nel salottino rosso della Crillen House. Aveva un paio di mezzi occhiali appollaiati sul naso carnoso e leggeva una qualche sorta di documento. Sul tavolinetto di mogano accanto alla poltrona riposava un bicchiere pieno a metà di liquido ambrato.

***
    Nonostante la stanchezza quella notte non riuscii a prendere sonno agevolmente. Un caleidoscopio di immagini mi turbinava nella testa. La premiazione, Sheila che rideva allegramente, Teresa e David in quell’atteggiamento complice, il litigio fra i due soci della D&D e ancora la richiesta d’aiuto di Teresa. Ma soprattutto non riuscivo a togliermi dalla mente il volto di David Coolidge. Ora che potevo starmene per conto mio mi resi conto che il ragazzo aveva smosso qualcosa nella mia memoria. Il suo viso era associato a qualcosa di spiacevole, ma non riuscivo a inquadrarlo. Mi rigirai un paio di volte, impaziente. Accesi la luce, bevvi un sorso d’acqua e mi riadagiai sul cuscino. Sbuffai insonnolita e scontenta, guardai il premio che luccicava debolmente alla fioca luce dell’abajour. Pigiai nuovamente l’interruttore e la stanza ripiombò nel buio, rischiarato solo da lame di luce prodotte dai fari delle automobili di passaggio. Il premio mi aveva fatto venire in mente Frank, se non fosse morto avrei mai preso sul serio l’idea di scrivere? Eppure avrei scambiato tutto quello che avevo, il successo, i soldi, i riconoscimenti, per avere di nuovo al fianco mio marito. Sospirai, finalmente prossima al sonno, quando sobbalzai improvvisamente: mi ero ricordata chi fosse David Coolidge!
    Quella rivelazione mi agitò così tanto che fui costretta ad alzarmi e a gironzolare per la stanza in preda all’indecisione. Ormai di dormire non se ne parlava. Mi misi a sedere su una poltrona e ricostruii nella mente gli avvenimenti che vedevano coinvolto quel giovane che tanto giovane non era e che non si chiamava affatto David Coolidge. La consapevolezza della scoperta mi mise ancora più in subbuglio: avrei trascorso la notte in bianco. Riflessi se fosse il caso di far partecipe della mia scoperta Roger, in fondo aveva il diritto di sapere chi fossero realmente i suoi dipendenti. E anche Teresa, se era vero che avesse quell’amicizia così intima col ragazzo, era giusto che sapesse con chi aveva a che fare. Ma poi, se non fosse stato chi pensavo che fosse? Avevo il diritto di lanciare accuse senza prove? Avrei dovuto indagare. Mi riproposi di controllare l’archivio del Daily News e fare qualche telefonata ad un paio di detective che conoscevo nel LAPD. Mi ero appena messa il cuore in pace che fuori la luce cominciò a riverberare nel cielo. Era quasi l’alba quando sentii una voce femminile che concitata bussava a tutte le porte, compresa la mia. Di corsa presi la vestaglia e uscii.
    - Che cosa succede?
Domandai a Nick che dormiva nella stanza accanto alla mia. Precedendomi verso il salottino rosso ansimò:
    - Sembra che Roger si stia sentito male.
Come entrammo scorgemmo Sheila accanto alla poltrona dove era riverso l’ex marito. Teresa era accasciata su un’altra sedia, i capelli scompigliati e il viso stravolto. Anche Sheila sembrava sconvolta. Nick le si avvicinò e l’allontanò dal corpo. La donna si voltò verso di me con un espressione disperata negli occhi dilatati. Subito presi in mano la situazione, non era la prima volta che mi trovavo in una circostanza simile. Intimai a tutti di non toccare nulla e guardai attentamente il cadavere del mio vecchio amico. Come ho detto giaceva scomposto sulla poltrona, una smorfia di sofferenza sul volto. Sembrava che avesse avuto un malore, un infarto, ma qualcosa mi spinse a scartare quell’ipotesi. Avevo notato, infatti, il bicchiere sul tavolino. Ricordo perfettamente che la sera prima era quasi pieno. Ma ciò che attirò la mia attenzione fu un sottilissimo deposito sul fondo, ebbi cura di non toccare il bicchiere per non contaminare eventuali prove e mi chinai per sentirne l’odore. Quando mi rialzai osservai il gruppetto di persone riunito nella stanza: Teresa seduta sulla sedia accanto alla porta tormentava un fazzolettino zuppo. David accanto a lei, le cingeva le spalle con un braccio e mi guardava con un espressione indecifrabile, forse mi aveva riconosciuto anche lui. Accanto alla biblioteca, in piedi, Nick sfoggiava la sua espressione tipica e si massaggiava la pancia con una mano. Sheila era seduta alla scrivania, pallida e con un’espressione smarrita sul volto. L’assassino era tra noi.
    - Qualcuno è entrato o uscito dalla Crillen House dopo che la festa è finita?
Domandai più per scrupolo che per altro e la risposta fu negativa. Proposi di chiamare la polizia, mi era chiaro che la morte di Roger era stata tutt’altro che naturale.
    - Jessica, non ti sembra esagerato?
Esclamò Nick, dopo aver fatto un passo in avanti.
    - Non sono un medico ma sospetto che Roger non sia morto per cause naturali.
Replicai sicura. La mia affermazione causò sgomento negli altri ospiti. Nessuno sembrò credere ad un’eventualità tanto infausta e così il dubbio andava ad unirsi al dolore per il lutto. Indicai la patina biancastra sul fondo del bicchiere e dissi che come minimo andasse analizzata. Solo in quel momento Sheila sembrò riprendersi e ritrovare il suo solito modo di fare autoritario.
    - Nick, sono d’accordo con Jessica. Non voglio nulla d’intentato, ma che sia fatta chiarezza.
Decidemmo che era meglio spostarci in un’altra stanza e ci trasferimmo nella piccola biblioteca attigua. Mi sono sempre trovata a mio agio nelle biblioteche, questa mi era di particolare conforto in quel momento. Non eccessivamente grande (ve n’era una, di consultazione, molto più ampia al pian terreno), era la sala dove erano conservati gli esemplari più preziosi ed assomigliava molto ad uno studio. Le parete lasciata libera dalle mensole aveva una grande finestra che dava sulla facciata anteriore della Crillen e fino a metà della sua altezza era decorata da pannelli di legno scuro. L’altra parte di parete era ricoperta da una fine carta da parati rosso cupo decorata a ramages tono su tono. Entrammo alla spicciolata disponendoci quasi nel medesimo modo in cui eravamo nell’altra sala. Sheila era alla scrivania e stava chiamando la polizia, Nick con le braccia conserte sulla pancia era di vedetta alla finestra, Teresa si era seduta in un angolo, su una delle sedie per i visitatori e Dave le teneva le mani sulle spalle per confortarla. Io ero accanto alla porta ed osservavo.
    Ero io stessa sconvolta da quello che era accaduto al mio vecchio amico, mi rammaricavo di non essere andata a parlargli la notte precedente, forse avrei potuto salvarlo. Sempre che si fosse trattato di una morte per cause naturali. Dopo che Sheila ebbe finito al telefono, il silenzio cadde nella biblioteca. Era una situazione troppo sconvolgente per poter essere elaborata in pochi minuti. Non solo  era morta una persona importante della nostra vita, ma l’ombra di sospetto gravava su tutti noi, chiunque in quella stanza avrebbe potuto essere l’assassino e il pensiero ci raggelava.
    - Sta arrivando qualcuno.
Nick interruppe il silenzio calato. Mi avvicinai alla finestra e notai, oltre al furgone della morgue, un’auto male in arnese da cui uscì un uomo altrettanto trasandato. Sheila si alzò stancamente e scese a fare gli onori di casa, se si può dire così. Nick si premurò di accompagnarla, erano sempre stati molto uniti. Noi altri tre rimanemmo in biblioteca in attesa. Teresa si mordicchiava un’unghia con fare infelice, cercava di trattenere nuovamente le lacrime.
    - Sapeva che Roger era malato?
La giovane donna annuì:
    - Sapevo che prendeva delle medicine, mi diceva che erano per la pressione. Era sempre così pieno di vita e…oh, dio!
Scoppiò a piangere. Coolidge cercò di consolarla, e dava piccoli colpetti sulla schiena implorandola di non piangere.
    - La lasci fare – intervenni – le farà bene.
L’uomo mi lanciò uno sguardo infastidito che mascherò immediatamente con un’espressione di rammarico. Mi lasciò il posto mentre io sedevo accanto a Teresa e cercavo di farle bere un poco d’acqua.
    Dopo poco Nick e Sheila tornarono accompagnati dall’investigatore assegnato al caso. Era l’ometto stazzonato che avevo notato poco prima, portava un impermeabile stropicciato e stringeva un sigaro fumato a metà tra le dita.
    -Questo è il Tenente De Gregorio.
Lo presentò Sheila. Poi proseguì nelle presentazioni e indicandomi esclamò:
    - E questa è Jessica Fletcher, la famosa scrittrice.
Il mio nome non sembrò dire granché al tenente. Sheila allora gli spiegò che ero una scrittrice di gialli al che De Gregorio si illuminò:
    - Non leggo quella roba, ma mia moglie ne va matta!
Ben presto si presentarono gli uomini della scientifica. Decisi di tenermi in disparte: nonostante l’aspetto trasandato il tenente De Gregorio mi sembrò tutt’altro che sprovveduto come voleva farci credere. La biblioteca fu scelta come quartier generale per i primi interrogatori e mentre aspettavo il mio turno ne approfittai per fare una telefonata. Chiamai la mia vecchia amica Natasha Clarke, cronista del Daily. Alla mia richiesta rispose:
    - Sono passati diversi anni, però penso di ricordarmi del caso.
Rimanemmo d’accordo che si sarebbe fatta risentire lei quando avesse avuto maggiori informazioni.
La giornata trascorse lentamente e ci ritirammo sfiniti. La mattina successiva De Gregorio si presentò trionfante: a quanto sembrava aveva già un sospettato. Ma quando scoprii che si trattava di Sheila decisi d’intervenire, ero sicura che fosse innocente e non potevo restare a guardare. Così presi in disparte De Gregorio per fargli presente le mie perplessità.
    - Signora capisco che Sheila Davemport sia una sua amica, ma abbiamo trovato un suo orecchino nell’imbottitura della poltrona dov’era seduto il cadavere…
    - Ma io ricordo perfettamente che ieri Sheila si fosse lamentata di aver perso un orecchino: chiunque avrebbe potuto prenderlo e infilarlo in quella poltrona.
Il tenente sbuffò alla mia interruzione.
    - Non so perché le sto dicendo tutto questo: comunque abbiamo trovato una boccetta dello stesso farmaco usato per uccidere Davemport nella borsa della sua amica.
Questo mi lasciò per un momento perplessa ma mi ripresi subito:
    - Tenente, non le sembra molto stupida un’assassina che lascia l’arma del delitto nella propria borsa?
    - Sarebbe sorpresa di sapere quanto siano stupidi i criminali: è per questo che li prendiamo. La vita reale non è come uno dei suoi romanzi.
Si congedò De Gregorio con sarcasmo mentre un paio di poliziotti accompagnavano Sheila alla centrale per interrogarla ulteriormente.
    - Jessica, non sono stata io!
Esclamò veentemente Sheila. Le dissi di non preoccuparsi e che l’avrei aiutata. Non potevo credere che fosse stata lei. Avrei fatto di tutto per scagionarla. Dopo pochi minuti ricevetti una telefonata da Natasha, aveva delle novità e mi chiedeva di incontrarci. Ci trovammo in un caffè piuttosto pretenzioso a pochi isolati dal Sunset Boulevard. Natasha era una bella quarantenne, dai vaporosi capelli biondi, curatissima nel suo tailleur Armani e perfettamente a proprio agio su un paio di Laboutin di almeno dieci centimetri. Eppure sapeva essere tenace come un mastino se annusava una pista interessante.
    - So cosa è accaduto alla Crillen House. Questa richiesta è collegata?
Esordì infatti non appena fummo servite.     Annuii e dopo un sorso di caffè confessai:
    - E’ una situazione molto delicata Natasha. Ci sono delle persone che ne potrebbero avere la vita distrutta se non agiamo con…attenzione. E’ lui?
Alle mie parole il volto della giornalista si era incupito.
    - Non mi avevi detto che avevi legami con la vittima.
    - Lo so. Per me è ancora molto difficile parlarne. Non posso fare a meno di chiedermi se fossi arrivata in tempo se avessi potuto cambiare le cose…
mormorai. Natasha in un gesto di muta comprensione mi strinse la mano.
    - Jessica, ascoltami: avevi ragione. Dave Coolidge e Herbert Calvin sono la stessa persona.
Chiusi gli occhi. Nonostante sapessi la verità la rivelazione mi lasciò scioccata, un dolore sordo tornò a farsi strada all’interno delle mie ossa.
    - Ma c’è di più – continuò la giornalista – è un cacciatore di dote professionista e non è la prima volta che cambia nome. E’ sospettato di diversi casi di truffa e di almeno un omicidio, come sai.
    - Deve essere un vero camaleonte se è riuscito a farla franca in tutti questi anni.
Natasha annuì e proseguì:
    - Credo che sia perché nessuno ha saputo fare i collegamenti giusti, sapere dove guardare.
Ringraziai Natasha, con la promessa di renderla partecipe di ogni eventuale sviluppo e lei mi rassicurò che non avrebbe scritto una riga al proposito finché la vicenda non si fosse conclusa.
Mi recai subito alla centrale di polizia per ragguagliare il tenente De Gregorio delle mie ultime scoperte. Trovai Sheila, accompagnata da Nick, che stava uscendo proprio in quel momento. Ci salutammo affettuosamente.
    - Ero certa che fossi innocente!
Esclamai soddisfatta.
    - E’ bastato contattare il mio medico. Per ironia della sorte io e Roger eravamo entrambi cardiopatici.
    - Lo sapeva qualcun altro?
    - Non sono cose che si sbandierano ai quattro venti ma ricordo che qualche tempo fa ci fu un piccolo disguido.
Mi raccontò che qualche settimana prima il fattorino della farmacia da cui si servivano entrambi abitualmente aveva scambiato le ricette e quindi boccette.
    - Sai le dosi erano diverse.
Questo mi fece riflettere, con una certa urgenza le chiesi:
    - Qualcuno fu presente all’incidente?
Sheila si pizzicò il labbro inferiore.
    - Fammi riflettere. Era poco prima di un viaggio di Roger a Fresno e Dave stava discutendo con lui i dettagli.
A quelle parole ebbi una specie di folgorazione: ma certo, era tutto chiaro! Mi precipitai da De Gregorio raccontandoli tutto ciò che avevo scoperto:
    - Ma perché lo avrebbe fatto?
Raccontai anche della conversazione tra Dave e Teresa a cui avevo assistito, del cambiamento del testamento avvenuto pochi mesi prima in favore di Teresa e conclusi:
    - Aveva il movente, l’arma e l’opportunità.
Il tenente sembrava convinto ma aveva ancora delle perplessità:
    - Ma come lo proveremo?
    - Con il suo aiuto, ha mai fatto un po’ di teatro?
Il pomeriggio stesso De Gregorio convocò Dave Coolidge in centrale. Appena il giovane oltrepassò l’androne un poliziotto telefonò al tenente per avvertirlo del suo arrivo.
    - Sta arrivando, si metta accanto alla porta signora Fletcher!
Sbirciai al di là della soglia e appena ritenni Dave abbastanza vicino annuii al tenente che ad alta voce esclamò:
    - Lei è sicura che si tratti dello stesso uomo?
    - Al cento per cento tenente – risposi a voce altrettanto alta – se non crede a me chieda a Natasha Clarke, la giornalista del Daily che ha seguito il caso.
    - Sta facendo delle accuse molto gravi, signora.
    - Ne sono consapevole, ma Natasha sarà felice di farle vedere tutta la documentazione che ha raccolto. Sono prove schiaccianti.
Quando uscii dall’ufficio del tenente quasi andai a sbattere contro Coolidge, era terreo in volto, ma si riprese subito sfoderando un sorriso fascinoso e salutandomi allegramente. Avevo avuto l’accortezza di avvertire Natasha e lei si era mostrata più che disponibile, aveva in mano uno scoop che non si sarebbe lasciata sfuggire per niente al mondo. La sera stessa qualcuno scassinò il suo ufficio in cerca di documenti. Ma ad aspettarlo Dave trovò me e De Gregorio: la trappola era scattata.
    - Non potete arrestarmi, non ho fatto niente!
    - Non definirei una rapina con scasso “niente”.
rispose sarcastico De Gregorio. Coolidge si voltò furente verso di me:
    - E’ stata lei a montare tutta questa messinscena! Mi ha odiato fin dal primo momento!
E avrei avuto i miei ottimi motivi, ma non lasciai che la rabbia prendesse il sopravvento:
    - Roger aveva scoperto il tuo gioco. Non potevi permettergli di distruggere tutto ciò per cui avevi lavorato.
    - E’ stata di Teresa l’idea. E’ lei che gli ha fatto modificare in suo favore il testamento.
Scossi la testa:
    - Sei stato tu a suggerirglielo, faceva parte del tuo piano.
Dave aveva un volto terribile, gli occhi lampeggiavano d’ira mentre accusava la sua presunta amante di aver messo lei la medicina nel bicchiere del marito.
    - Non è vero – ribattei nuovamente – Teresa stessa mi ha confessato che non aveva la minima idea di che tipo di medicina prendesse il marito. Mentre tu lo sapevi perfettamente perché hai assistito allo scambio dei flaconi da parte del garzone della farmacia. E sapevi anche che era lo stesso tipo di medicina che prendeva anche Sheila. Ed è stato facile per te rubarle uno degli orecchini che aveva perso per accusarla.
Dave Coolidge mi si scagliò addosso e solo la forza dei poliziotti che lo tenevano gli impedì di farmi del male. Lo trascinarono via mentre ancora inveiva.

***
Il vento continuava a sferzare i vetri delle finestre mentre il silenzio era caduto su di noi. Il tenente De Gregorio prese un altro biscotto e lo sbocconcellò pensosamente.
    - Si è fatto piuttosto tardi per lei, non crede?
Rivangare tutta quella vecchia storia mi aveva causato un certo disagio, ma il tenente mi guardò a lungo fissamente.
    - Sa Jessica, ci sono dei casi che ti si appiccicano addosso come carta di caramella alla suola della scarpa. E un vecchio poliziotto in pensione non fa che pensarci e ripensarci finché elabora una teoria. Vorrebbe ascoltarla?
Abbozzai un sorriso e feci un cenno affermativo. Non credo avrei avuto altra scelta. De Gregorio si tirò indietro e iniziò:
    - Facciamo finta che esista una scrittrice molto famosa che ad un certo momento deve andare all’estero. Al suo ritorno scopre che una delle sue nipoti è stata uccisa e che il marito era il principale sospettato. Ma il processo l’aveva scagionato per insufficienza di prove. La scrittrice è affranta e comincia a pensare che se fosse stata presente alle indagini non sarebbe accaduto. Ma il marito scompare e la donna si porta dietro questo tarlo, finché molti anni dopo non incontra quello stesso uomo ad un party. Ha cambiato aspetto e nome ma la scrittrice è sicura che sia lui. Durante la notte si decide a parlare all’amico per metterlo in guardia ma lo trova morto. Ha avuto un infarto, ma questo dà un’idea diabolica alla scrittrice. Corre nella sua camera e prende una siringa e un flacone di medicinale, perché anche le scrittrici soffrono di cuore. Riempie la siringa di whisky e con la polvere delle pasticche frantumante e inietta la mistura nel corpo dell’amico. Così dall’autopsia sarebbe risultato che il whisky è stato avvelenato. Poi versa altro medicinale nel bicchiere. Ma ancora non è soddisfatta, credo che fosse stata lei a trovare l’orecchino perduto e si sia dimenticata di darlo alla proprietaria. Ma questo le dà un’ulteriore idea per ingarbugliare ancora le cose. Così nasconde l’orecchino, pulisce le sue tracce e torna a letto. Che ne pensa?
Ero immobile sulla sedia, completamente agghiacciata dal quel racconto, poi mi sforzai di sorridere:
    - Potrebbe essere una trama meravigliosa per uno dei mie libri! Conosce la legge del contrappasso, tenente?
    - Credo di si. Vuol dire che un uomo colpevole di un delitto riesce a farla franca e che quello stesso uomo viene condannato per un omicidio che non ha commesso. 
La pioggia fuori si era smorzata, ne approfittai per alzarmi e congedare De Gregorio. Il tenente si rigirò il cappello in mano e mi salutò. Non lo vidi mai più.


   
 
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