Amanti decaduti
La luce che penetra attraverso la finestra è calda e accogliente; gli lambisce il volto come la carezza di una madre e, sebbene metta in evidenza le cicatrici che lo sfigurano, a Remus non dà fastidio – non oggi. Forse è perché c’è lei. La osserva – la sente – muoversi al suo fianco. Tonks apre finalmente gli occhi, sbattendo più volte le ciglia per abituarsi alla luce, e mugugna un «buongiorno» rubato al sonno. Remus le sorride; ricambia il saluto e sta per dire altro, ma le parole non riescono a uscire: Tonks è veloce ad arrampicarsi su di lui – Remus accoglie con piacere i palmi caldi della donna sul suo petto – e, senza preavviso, gli scocca un bacio sulle labbra. È casto, appena approfondito, tanto veloce da sembrare un sogno di un uomo che ancora non è pronto ad abbandonare l’illusoria sicurezza d’un caldo letto – sa che cosa li aspetta lì fuori, nel mondo reale, e non vuole affrontarlo. E Remus, per un attimo – breve, effimero, ma che non ha prezzo –, riesce davvero a non pensarci. Si concentra su Tonks, solo e soltanto su di lei; gli angoli della bocca sono ancora rivolti all’insù mentre la osserva allontanarsi da lui quanto basta affinché i loro occhi possano incontrarsi. Sente ancora le labbra di Tonks premute sulle sue, come se non l’avessero mai abbandonato, e decide che vuole essere lui, questa volta, a rubargli un bacio. Il primo di una lunga serie, pensa – ingenuo.
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È un bacio profondo, pieno di parole mai dette e speranze per il futuro, quello che di nuovo Remus ruba a Tonks. L’ha colta di sorpresa, ma lei non s’è tirata indietro; è stata al gioco, sporgendosi verso di lui in un attimo che a entrambi è sembrato durare un’eternità. Proprio lei, l’eternità, li attende. Pensano – sciocchi, folli – che niente possa più fermarli; né Voldemort, né lo scempio che li attende ad Hogwarts. Dimostrano, malgrado i poteri magici, tutta l’umanità che li rende tali – è tremendamente umano sperare, anche quando le sorti giocano a proprio sfavore. E allora Remus le ruba un altro bacio – l’ultimo – e se ne va, certo che Tonks rimarrà fedele alla promessa e non si unirà alla battaglia – ingenuo.
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Non sa quanto tempo sia passato, né ci pensa più: è troppo concentrato su Dolohov per potersi concedere un tale lusso. Si distrae solo quando la sente. Prega che non sia lei – no, Tonks, perché? – ma ogni sua preghiera si tramuta in maledizione non appena la individua con lo sguardo. È proprio lì, sua moglie; è proprio lì, la madre di suo figlio – e non è sola. Bellatrix. «Tonks, no!» Terrore – la speranza è debole, ma c’è. «Avada Kedavra!» Terrore che diventa certezza – la speranza si spezza, non c’è più. Remus urla; non sa nemmeno lui cosa, urla e basta – parole vane, parole strappate al dolore che gli graffiano la gola e fanno più male di tutte le cicatrici che gli segnano il corpo. Un altro Avada Kedavra – quello di Dolohov – esplode nelle vicinanze, ma Remus non lo sente; è diretto a lui, eppure non lo sente. Non sente più nulla, in effetti, Remus: non sente, non vede, non esiste. Mai più potrà rubare un bacio a Tonks, né lei potrà rubarne uno a lui. È la morte, l’unica a rubar loro qualcosa: le sue lunghe e scheletriche mani li afferrano alla sprovvista e li strappano alla vita; e così si è portata via anche l’ultimo dei Malandrini, assieme all’unica donna che abbia mai amato. Quanti altri baci rubati aveva sognato, Remus – ingenuo.
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