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Autore: Stella Dark Star    19/08/2020    0 recensioni
[Woodpecker Detective\\\\\\\\\\\\\\\'s Office/Kitsutsuki Tanteidokoro]
Un Akutagawa appena ventenne e un giovanissimo Ranpo che ancora non usava questo nome d'arte. E se fossero stati amanti?
Una storia che riprende molti aspetti della vita quotidiana dei veri scrittori, sullo sfondo del nuovo anime che mi ha rapito e spezzato il cuore.
Ps: se siete fan di Bungo, questa storia vi piacerà di certo! ;) Se non lo siete...vi piacerà lo stesso! XD
Genere: Angst, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Woodpecker Detective’s Office
 
Akutagawa x Hirai:
Kuro kokoro & Shiro kokoro

 
Il famoso detto ‘quello che succede a Las Vegas resta a Las Vegas’, come si potrebbe adattare per un racconto ambientato alla fine del periodo Meiji giapponese, ossia giugno 1912? Tenendo conto di ciò che vado a raccontare, potrei proporre ‘quello che succede in una stanza tra due giovani uomini attratti l’uno dall’altro resta in quella stanza’. Dite che è troppo lungo? Ad ogni modo, il succo è questo. Questa storia ha inizio in un caldo pomeriggio di fine giugno, quando l’Imperatore Meiji non sospetta minimamente che fra circa un mese morirà di uremia e che anzi, nonostante i problemi di salute che lo marcano stretto da tempo, probabilmente in quello stesso pomeriggio stava sfuggendo al caldo facendosi viziare e coccolare dalle sue concubine, munite di ventagli e frutta con cui rinfrescare la sua pelle e le sue viscere. Questa storia ha luogo non nell’odierna Las Vegas, bensì nella città di Tokyo, la quale era divenuta capitale da meno di mezzo secolo, oltre ad aver cambiato l’antico nome di Edo. Questa storia si svolge non all’interno di un casinò, ma in una semplice stanza ammobiliata in stile occidentale, quindi dotata di un grande armadio ad ante e cassettoni, un letto composto da materasso e cuscino imbottito di piume, una libreria ordinata e ricca di volumi di letteratura Europea -soprattutto inglese, russa e francese-, e una scrivania su cui erano una lampada e altri libri rilegati.
Proprio a quella scrivania, quel preciso pomeriggio, era stata aggiunta una seconda sedia per un ospite inatteso, il quale si era presentato alla porta col berretto alla marinara calato sugli occhi, con addosso l’hakama -che lo faceva sembrare ancora più piccolo di quanto già non fosse- e con una bella peonia rosa in mano, chiedendo timidamente se Akutagawa Ryuunosuke fosse in casa. Ad accoglierlo era stata la zia di lui, una donnina avanti con gli anni che indossava un kimono dai colori scuri nonostante la stagione. Questa, dopo aver un poco esitato, aveva fatto entrare il ragazzo in casa. Vedendo che lui non si decideva a togliersi il berretto e a donarle il fiore, aveva accennato una mezza domanda.
“La peonia…?”
Allora il ragazzo aveva alzato il capo, rivelando due occhioni chiari e un viso dalle gote arrossate per l’imbarazzo. Si guardò la mano in cui stringeva il gambo, questa tremò leggermente.
“Ehm…questa è per…per…”
Una tonalità di rosso più vivida della precedente gli accese le gote, cosa che fece ridacchiare la zia, anche se lei cercò di nasconderlo coprendosi le labbra con la manica.
Dopo quel primo scambio disastroso, la zia aveva gentilmente indicato le scale al ragazzo, dicendo che la stanza del nipote si trovava giusto in cima, ed aveva terminato accennando ad un vaso di vetro che sarebbe andata a prendere da uno dei mobili del salotto, anch’esso arredato in stile occidentale. Al contrario della zia, nessuna emozione particolare si manifestò sul volto di Akutagawa quando aprì il fusuma e si ritrovò davanti quel ragazzo che, nel porgergli la peonia rosa, stava affogando nel proprio imbarazzo. D’altronde era risaputo che il volto di Akutagawa non era una maschera di cera facile da modellare, casomai i suoi tratti così severi presagivano delle rughe precoci che sarebbero comparse a breve nonostante lui avesse da poco compiuto vent’anni. Con gesto automatico aveva preso la peonia ed invitato il ragazzo ad entrare, chiedendogli anche di togliersi il berretto e di appoggiarlo nella rientranza della finestra.
In capo a pochi minuti, la zia entrò in quella stanza senza prima annunciarsi, con le mani occupate una da un vaso di vetro colmo d’acqua e l’altra da una sedia. E’ da ammirare la maestria con cui riuscì a far scorrere il pannello, facendo pressione col piede! E così aveva trovato i due ragazzi seduti sul bordo del letto, entrambi muti, uno con lo sguardo rivolto alle assi del pavimento e l’altro a scrutare con cipiglio severo la peonia che teneva in mano non sapendo dove appoggiarla. In ultimo atto, la peonia era stata messa dentro il vaso, poi sistemato sulla rientranza della finestra dove era anche il berretto, e la sedia era stata affiancata a quella che già era alla scrivania, permettendo così ai due ragazzi di accomodarsi. Questa storia, in effetti, si può dire che abbia davvero inizio nel momento esatto in cui la zia esce dalla stanza richiudendo il fusuma  alle proprie spalle.
*
 
Mani piantate sulle ginocchia e sguardo fisso sulle stesse, il diciassettenne Hirai sembrava intenzionato a non spiccicare parola. Forse per questo Akutagawa, che da un po’ lo guardava con aria evidentemente contrariata, tenendo la testa poggiata contro il pugno e il gomito puntellato sulla scrivania, sbottò improvvisamente.
“Quindi perché sei qui?”
La domanda improvvisa fece sobbalzare Hirai, le gote che per un po’ avevano ripreso colorito normale, tornarono ad imporporarsi.
“No è che io…”
Sul serio. Dopo essersi presentato senza avvisare e avergli fatto dono di un fiore, gesto particolarmente fraintendibile se si pensa che ‘da che mondo è mondo’ i fiori vengono donati dagli uomini alle donne, e soprattutto dopo essersi ammutolito peggio di un pesce, ora non era nemmeno in grado di formulare una frase di senso compiuto? Akutagawa sospirò e con la coda dell’occhio andò a sbirciare la copertina blu del libro che stava tranquillamente leggendo prima dell’arrivo di quel ragazzino.
“In verità io…”
Akutagawa riportò lo sguardo sul suo ospite, notò che gli occhi di lui erano diventati luminosi.
“Vorrei scrivere qualcosa con te, Akutagawa!”
“Perché mai? I nostri stili sono troppo diversi. Tu ti stai esercitando a scrivere romanzi gialli, io invece abbozzo grotteschi racconti di fantasia che non ho ancora fatto leggere a nessuno.”
“E’ proprio questo il bello! Potremmo creare una cosa che sia solo nostra, in uno stile a noi poco avvezzo!”
“A che pro?”
Hirai abbassò timidamente lo sguardo e si mise a stropicciare la stoffa azzurra dell’hakama per darsi il tempo di cercare le parole.
“E’ la scusa migliore che sono riuscito a trovare per passare del tempo da solo con te. Perché io…vorrei conoscerti meglio, attraverso la scrittura.”
La breve esitazione all’inizio della seconda frase, fece sì che le parole successive suonassero con una certa enfasi. Ma Akutagawa non la colse.
In silenzio, Akutagawa aprì il cassetto della scrivania e ne estrasse una sottile pila di fogli da scrittura, la ripose sul ripiano e la lisciò con cura con le dita. Quindi volse nuovamente lo sguardo al suo ospite.
“Mi piace scrivere.”
Sulle labbra di Hirai si dipinse un sincero sorriso di gioia, nell’udire quell’affermazione. Allungò la mano per raggiungere la piccola e sottile scatola dove era riposta un’elegante stilografica laccata di nero e la prese fra le dita.
“Allora? Cominciamo?”
Da dove provenisse tutto quell’entusiasmo, Akutagawa non lo avrebbe proprio saputo spiegare. A dire il vero, l’intera situazione era inspiegabile. Perché si era presentato a casa sua quando si erano sempre incontrati al ‘Kikunyusha Latte e Giornali’? E il fiore cosa rappresentava? Credeva di addolcirlo come si faceva con le donne? Forse poteva dargli un punto a favore per la richiesta di conoscerlo attraverso la scrittura. Erano entrambi appassionati di letteratura e amavano scrivere, anche se nessuno dei due aveva ancora avuto modo di presentare opere valide per la pubblicazione, in quanto davvero troppo giovani. Non aveva trovato strano nemmeno il suo atteggiamento, la sua espressione e il rossore in viso, in quanto non era insolito che gli occhi di Hirai si illuminassero in manifestazione alla gioia e alla contentezza o che le gote s’imporporassero rivelando la sua timidezza.
Di nuovo Akutagawa puntellò il gomito e si sorresse il cranio -dalla buffa forma allungata- poggiandolo contro il pugno.
“Prego, ti lascio l’onore.”
La voce bassa e leggermente roca di natura, avrebbe portato chiunque a pensare che il suo stato d’animo non fosse affatto lieto di quell’attività ma, che fosse o non fosse, ad Hirai non interessava affatto.
Dopo una sciarada di idee sul tema del racconto, il genere ed i personaggi, vennero scelte le seguenti: corteggiamento, sentimentale, giovane uomo e giovane donna. Da lì era stato un susseguirsi di botta e risposta tra i due, a causa dei commenti sprezzanti di Akutagawa e ai capricci di Hirai.
Hirai: “Potremmo ambientarlo a Kyoto! E’ una città che vedrei bene come sfondo per una storia d’amore! Magari all’interno di un maestoso giardino!”
Akutagawa: “Perché non in Cina? Anche là devono esserci dei bei giardini, suppongo…”
Hirai: “Grr! Che cos’hai contro il tuo Paese?”
Oppure…
Akutagawa: “Non sarebbe male mettere un elemento sinistro. Ad esempio, che la giovane donna in attesa del suo innamorato viene stuprata da un passante ubriaco.”
Hirai: “Qualcosa di meno traumatico, magari!”
Akutagawa: “Tsk... Era solo un’idea.”
Oppure…
Hirai: “A questo punto, lei finalmente riesce a confessargli i propri sentimenti!”
Akutagawa: “E dall’acqua del laghetto spunta fuori un Kappa che afferra il giovane uomo e lo trascina con sé sul fondale.”
Hirai: “Ma che problemi hai tu???”
E via dicendo.
Alla fine i due riuscirono ad accordarsi sulle basi e a mettere per iscritto le prime righe. Precisamente, fu Hirai ad occuparsi di scrivere, mentre Akutagawa restò tutto il tempo a sorreggersi la testa. Comunque la storia cominciò pian piano a prendere forma.
Tardo periodo Edo, nell’allora capitale Kyoto. Una giovane donna bella, dall’animo gentile e dal cuore puro, la cui famiglia vanta antichi legami di sangue con quella Imperiale, era segretamente innamorata di un giovane uomo di origini povere, che di mestiere faceva il portatore di risciò. La giovane donna, benché avesse a disposizione una portantina e dei servitori personali, si faceva condurre sempre in una determinata strada e ordinava a tali servitori di andarsene. Da lì proseguiva per un tratto a piedi, fino a raggiungere una strada molto frequentata dove i portatori di risciò sapevano di avere lavoro assicurato per tutto il giorno. E lì, ella cercava con lo sguardo il giovane uomo di cui era innamorata. Se non c’era lo aspettava anche per ore, ma comunque riusciva sempre ad incontrarlo e a farsi trasportare fino ai giardini più belli della città. Una volta giunti a destinazione, la giovane donna chiedeva al giovane uomo di attenderla nei paraggi, ovviamente in cambio di laute ricompense affinché lui non perdesse danaro restando fermo lì ad attenderla. Le prime settimane non accadde nulla. La giovane donna si limitava a passeggiare nei giardini, a deliziarsi del profumo dei fiori, ad accarezzare le foglie delle piante, a specchiarsi nello specchio d’acqua del laghetto. Tutto rigorosamente a vista d’occhio del giovane uomo. Lui se ne stava seduto a bordo del risciò, oppure appoggiato di schiena alla fiancata di questo, per lo più osservando i passanti e fumando, oppure perdendosi in pensieri. Non osava allungare lo sguardo sulla bella figura di lei, per timore di essere indiscreto. A lungo andare, però, gli fu davvero difficile distogliere lo sguardo. Ogni passo, ogni movimento delle mani o del capo di lei, era eseguito in un modo così delicato da sembrare che ella danzasse tra le piante ed i fiori. Quando poi la sua figura veniva illuminata dai raggi del sole, era come se fosse avvolta da una magica luce bianca. Il colore della purezza. Che diritto aveva lui di osservarla e rimanere incantato da tanta bellezza? Lui che era nato nel fango, che viveva alla giornata, che s’insozzava i piedi ogni giorno e viveva nella miseria? Con queste convinzioni errate nella testa, con lei si mostrava sempre grezzo e distaccato ed evitava di guardarla negli occhi. Un simile comportamento, giorno dopo giorno, non faceva che precipitarlo in un nero baratro. Il colore della negazione.
“Senti, Hirai…”
Il ragazzino staccò lo sguardo brillante dal foglio ormai quasi interamente scritto, e lo volse ad Akutagawa.
“Invece di scrivere in continuazione giovane donna e giovane uomo, non sarebbe più appropriato dare dei nomi ai personaggi?”
“Oh?”
La bocca a forma di ‘o’ mutò quasi subito, accendendosi in un sorriso.
“Hai qualche idea per i nomi?”
Akutagawa sollevò lo sguardo al soffitto alcuni istanti, poi lo riabbassò.
“No.”
“Be’ ci penseremo poi! Non c’è fretta! Per ora concentriamoci sulla stesura della storia! Ora arriva la parte più interessante!”
Rigirò la stilografica fra le dita ed avvicinò la punta al foglio, pronto a scrivere le righe successive.
La giovane donna, vedendo fallire ogni suo tentativo di attirare l’attenzione di lui, cominciò a disperare. Non capiva per quale motivo non la guardasse e fosse così freddo con lei. Aveva forse un’altra donna nel cuore? Se così fosse stato, sarebbe morta per il dolore. Un giorno, mentre erano come sempre diretti ai giardini in un ennesimo giorno di sole, gli ordinò di trasportarla senza correre e gli porse qualche domanda personale. Cose generiche che chiunque avrebbe potuto chiedere per parlare del più e del meno. Il giovane uomo, che non dovendo correre aveva il fiato per parlare, l’accontentò e rispose alle domande. Ad una in particolare, ossia se avesse una moglie ad attenderlo a casa, rispose di no con un tono così addolorato che lui stesso se ne stupì. La giovane donna, allora, rincuorata da ciò, lo invitò a passeggiare con lei nei giardini, sempre sotto lauta ricompensa. Accompagnati solo dall’ombra degli alberi e dal ronzio delle api che svolazzavano senza sosta, giunsero al laghetto. La sua bellezza era incantevole. Le ninfee bianche e rosa che galleggiavano indisturbate, l’acqua limpida che rifletteva il cielo azzurro e privo di nuvole, le zanzare che nuotavano sulla superficie.
“E il Kappa che attendeva sul fondale il momento giusto per balzare fuori.”
“Akutagawa!!!”
La giovane donna, col cuore che batteva nel petto come un tamburo e stropicciandosi le mani il grembo, decise di dichiarare il proprio amore al giovane uomo.
“Ora dobbiamo decidere. Lui la respinge o la ricambia?”
Chiese Hirai, voltandosi nuovamente verso il suo compagno di idee.
“Sarebbe corretto scrivere che lui la respinge per via della differenza sociale. E’ ovvio che non potranno mai stare insieme. E anche se diventassero amanti in segreto, un giorno lei sarebbe costretta a prendere marito e a separarsi da lui. Peggio ancora, se il marito la notte di nozze scoprisse che lei non è vergine, la picchierebbe fino a farla confessare, poi la ucciderebbe e farebbe uccidere il portatore di risciò.”
Hirai ne aveva davvero fin sopra i capelli di quei pensieri negativi. Sembrava che Akutagawa avesse in testa solo finali tragici e quella era almeno la quarta volta che affrontavano l’argomento da quando era iniziata la stesura della storia. Cominciava a dargli sui nervi anche la sua espressione indifferente. Era chiaro che stava partecipando solo ed esclusivamente per fargli un favore, ma un minimo di entusiasmo sarebbe stato più che gradito! Però anche lui che continuava a rispondergli col broncio non faceva che peggiorare la situazione. Era giunto il momento di cambiare approccio.
“Akutagawa, facciamo così. Scriviamo che lui la rifiuta e poi aggiungiamo un atto disperato da parte di lei. Riflettendoci, tu hai ragione a dire che lui deve respingerla per via della differenza sociale, però io vorrei concederle un ultimo tentativo di fargli cambiare idea. Magari con un bacio.”
Seguì un lungo momento di silenzio, così intenso che si poteva sentire il frinire delle cicale da oltre il vetro della finestra socchiusa.
“Un bacio? Nei giardini? E se li vedesse qualcuno? Già è insolito che una ragazza di origini nobili inviti un poveraccio a  passeggiare al suo fianco.”
Hirai ancora una volta si chinò sul foglio da scrittura e vi fece scorrere il pennino della stilografica.
“I giardini, a causa della calura estiva, a quell’ora del giorno erano deserti. Ecco fatto!”
La sua espressione felice lo faceva sembrare un bambino.
“E visto che sono da soli, possiamo prolungare la scena! Invece di un semplice bacio, perché non scriviamo che lei si aggrappa al suo collo baciandolo a lungo con passione? Che emozione meravigliosa!”
Il sottile sopracciglio di Akutagawa di sollevò.
“Una cosa che né tu né io sappiamo. O adesso verrai a dirmi che hai già baciato?”
Per l’ennesima volta, Hirai distolse lo sguardo e le sue gote s’imporporarono.
“Io… No, mai.”
“Appunto. Nemmeno io.”
“L’unico modo per saperlo è provare. No?”
“Io potrei anche entrare in una casa di piacere, ma tu di certo no. Rassegnati.”
“Non intendevo questo. Voglio che proviamo io e te. Adesso.”
Dapprima impassibile, gli occhi di Akutagawa si spalancarono all’improvviso nel realizzare quanto l’altro  aveva appena detto.
“Io e te? E’ uno scherzo? Siamo entrambi maschi!”
“E… E allora? E’ solo una prova per vedere com’è. Per...sapere cosa scrivere. L’esperienza è la migliore insegnante di uno scrittore. No?”
Tutto ciò era inconcepibile. Quel ragazzino lavorava davvero troppo d’immaginazione per arrivare a proporre una cosa del genere! O forse aveva un pizzico di ragione? Provare poteva rivelarsi utile per eventuali opere future, dopotutto. Oppure no. Perché diamine avrebbe dovuto baciare un ragazzo, quando era liberissimo di pagare una donna in una casa di piacere?
“Tu devi…solo chiudere gli occhi. Faccio tutto io.”
Propose Hirai. A quanto pare ci teneva davvero tanto a farlo!
Akutagawa sospirò pesantemente.
“E sia. Fallo.”
Abbandonò la comoda e pigra posizione per mettersi ben seduto e composto, le braccia ad angolo retto come il corpo e le mani posate sulle ginocchia. Chiuse gli occhi. Era stato duro con lui per poi arrendersi e accontentare il suo capriccio. Proprio come il giovane uomo del racconto.
Anche a vederlo così, Hirai era comunque in soggezione, le sue gote non accennavano a scolorirsi. Si spostò sulla sedia, finendo a sedere sul bordo, e sollevò le braccia con un leggero tremolio. Aveva le mani umide di sudore a causa dell’agitazione. Il cuore gli batteva nel petto come un tamburo. Proprio come quello della giovane donna del racconto. Le mani si avvicinarono pian piano fino a sfiorare il viso pallido di lui, prima coi polpastrelli, poi con le dita ed infine gli coprì le gote coi palmi. Erano fresche. Gli venne spontaneo chiedersi se nel corpo di quel ragazzo circolasse del sangue. Come aveva fatto con le mani, si sporse con l’intero corpo verso di lui fino a che le labbra non sfiorarono le sue. Il primo contatto fu appena percettibile, ma poi quando le premette un po’ contro le sue, percepì qualcosa. Erano un tantino secche, ma non solo questo, erano anche tiepide e le stava tenendo serrate di proposito.
Hirai si allontanò e riprese posto per bene sulla propria sedia.
Akutagawa aveva già riaperto gli occhi, il suo sguardo sembrava essere diventato più freddo.
“Allora? Questo bacio appassionato ti ha trasmesso qualcosa?”
Hirai fu sul punto di gridargli in faccia se gli sembrava appassionato un bacio del genere, ma si trattenne. Dopo tutto il tempo che aveva impiegato per trovare il coraggio di andare a casa sua e chiedergli di trascorrere del tempo da soli, ci mancava solo che lo facesse arrabbiare rispondendogli in modo così sgarbato. Prese respiro e contò mentalmente fino a tre.
“Abbiamo sbagliato. La giovane donna si getta su di lui per baciarlo. Dobbiamo fare anche noi così.”
“Be’, se ti diverti tanto a fare la parte della donna, fai pure!”
Il tono di Akutagawa era leggermente sarcastico, ma l’importante era che avesse dato il proprio consenso.
Fu questa sicurezza a spingere Hirai a balzare su di lui gettandogli le braccia al collo e incollando le labbra alle sue. La prima cosa che notò fu un piccolo scatto del suo corpo nel momento in cui gli era balzato addosso. La seconda cosa, sbirciando ad occhi socchiusi, che lui aveva ancora gli occhi aperti per la sorpresa. La terza cosa, le labbra dischiuse di lui, anche questo in conseguenza della sorpresa. Tutti elementi che poi avrebbe scritto sul foglio. Invero ci fu anche qualcos’altro di nuovo in questo secondo tentativo. Una sensazione nel petto di Hirai simile ad uno sfarfallio e il desiderio di esplorare le labbra di lui ancora di più. Un paio di volte aveva visto coi propri occhi delle persone baciarsi e spesso aveva letto scene così nei libri, però farlo personalmente gli donò emozioni che non avrebbe mai immaginato. Non solo il movimento circolare delle labbra, sentì anche l’impulso di succhiarle come se gliele stesse assaggiando, come accade quando si addenta un frutto troppo maturo e si è costretti a succhiare la polpa per trattenere il succo. Così. Solo che le labbra di Akutagawa non erano un frutto, non erano dolci, ma almeno adesso erano più morbide grazie alla saliva che le aveva inumidite. Ed erano diventate più calde per il movimento contro quelle di lui. Che sapore avevano? Che sapore aveva la sua saliva? Ma poi, questi erano dettagli importanti? Una giovane donna disperata che tenta il tutto per tutto, sapendo che forse quello resterà il primo e ultimo bacio che darà all’uomo che ama, noterebbe tali dettagli? E lui cosa pensava? Quello sarebbe stato il primo e ultimo bacio con Akutagawa, perciò li riteneva importanti? Invece di rispondersi con un sì o con un no, le parole che gli attraversarono la mente furono queste: non voglio che sia l’ultimo. Separò le labbra dalle sue per riprendere fiato. Ora gli occhi di Akutagawa non erano più sorpresi, erano diversi, erano più umidi e leggermente socchiusi. Le sue gote erano rosse invece che pallide, come anche le labbra. E anche lui aveva il respiro affannato.
In un nuovo slancio, Hirai strinse le braccia più forte attorno al suo collo e le cosce attorno ai suoi fianchi, mentre incollava ancora una volta le labbra alle sue. Questa volta Akutagawa rispose subito al bacio, imitando il movimento delle labbra. E, con gran sorpresa di Hirai, le sue braccia gli avvolsero il girovita. Dal punto di vista tecnico, quella prova era riuscita perfettamente e aveva dato loro numerosi spunti per fare una descrizione realistica di un bacio. Dal punto di vista sentimentale…Akutagawa si stava interrogando su che cosa fossero quelle emozioni che stava provando. La parola ‘intimità’ continuava a vorticargli nella mente come fosse stata all’interno di un ciclone. Intimità. Due ragazzi all’interno di una camera da letto. Intimità. Due ragazzi che scrivono assieme un racconto, chini sullo stesso foglio. Intimità. Due ragazzi che si parlano in confidenza. Intimità. Due ragazzi che uniscono le labbra. Intimità… Si rese conto che Hirai aveva interrotto il bacio di nuovo. Aprendo gli occhi, incontrò il suo sguardo carico di desiderio.
“Akutagawa…posso chiamarti Ryuunosuke? Tu chiamami Taro.”
Intimità. Due ragazzi che si chiamano per nome.
“Ryuunosuke… Ryuunosuke…”
Nel pronunciare quel nome, il respiro bollente di Hirai si scontrò sulle sue labbra bagnate.
Intimità. Due ragazzi abbracciati in una posizione indecente. Intimità. L’intimità che reagisce al contatto fisico. Intimità. La sua stessa intimità che stava premendo nei pantaloni.
In un gesto repentino, Akutagawa allontanò il corpo di Hirai da sé, facendolo finire scompostamente sull’altra sedia e facendogli battere le spalle contro lo schienale, mentre lui si voltava e si stringeva le gambe al petto per nascondere l’erezione.
“Cosa ti è preso? Mi hai fatto male.”
“Vattene, per favore.”
Hirai si risollevò e si alzò in piedi. Il cuore ora batteva in un modo diverso, in un modo doloroso.
“Ryuunosuke?”
Akutagawa fu percorso da un brivido. Gridò.
“VATTENE!”
Hirai sobbalzò per lo spavento, lo sguardo puntato alle spalle di lui ora ricurve in avanti. Il cuore gli doleva nel petto. Dovette trattenere le lacrime. Impose al proprio corpo di muoversi, ai piedi di camminare per raggiungere il fusuma. Uscì e si voltò un’ultima volta per guardare quel corpo esile e ricurvo chiuso a riccio.
Chiuse il fusuma quasi senza fare rumore.
*
 
“Se non riesci a finire la cena puoi tornare nella tua stanza. Non devi forzarti, se non stai bene.”
Nell’udire quella voce, Akutagawa uscì dal limbo di pensieri in cui si era rinchiuso e mise a fuoco l’immagine che aveva sotto agli occhi. La sua mano teneva le bacchette, ma le punte giacevano in uno spazio vuoto del piatto nonostante questo contenesse ancora cinque pezzi di anguilla bollita.
Sollevò lo sguardo sulla zia che mangiava di fronte a lui.
“Mh?”
“Quel ragazzo di oggi…Hirai, se n’è andato di fretta dicendo che non ti sentivi bene. Mi sono sorpresa nel vederti scendere per la cena, ma, in effetti, ora mi accorgo che non stai bene per niente.”
Dunque era questo che le aveva detto. Doveva essere letteralmente fuggito via dopo essere stato trattato così male da lui e, per non sembrare scortese, si era inventato quella scusa. Per fortuna la zia non si era insospettita e non aveva fatto domande. Per quanto si volessero bene, lei sapeva essere tremenda durante un litigio.
“Lo trovo delizioso! Avrà quasi diciotto anni ma, a onor del vero, ne dimostra tredici. E poi quell’innocente timidezza lo rende adorabile.”
“Mh.”
“Inoltre è stato carino a portarti una peonia. Una scelta davvero insolita, comunque! Se tu fossi stato una ragazza avrei avuto di che pensare!”
Nel terminare la frase, la zia ridacchiò, cosa che lo fece incuriosire.
“Per quale motivo?”
“Non lo sai? Nel linguaggio dei fiori la peonia non è solo un buon auspicio. E’ anche simbolo dell’armonia di coppia!”
Il cuore di Akutagawa mancò un battito e le bacchette gli scivolarono dalle dita, finendo così dentro al piatto.
La zia si portò una mano al petto, sorpresa.
“E questa reazione?”
Le cose stavano così, dunque? Dopo essersi posto tante domande su quel fiore, la risposta gli era giunta dalle labbra di sua zia, come lo spirito di un defunto parla attraverso le labbra di una medium per rassicurare le persone care che lo piangono. Un paragone decisamente macabro.
“Ryuunosuke? Sei più pallido del solito.”
“Zia, vado di sopra. Hai ragione tu, non mi sento bene. Ma non preoccuparti, per domani sarà passato.”
Lasciò il tavolo e la sala da pranzo, sperando che la zia non lo richiamasse per fargli domande e non lo seguisse per accertarsi delle sue condizioni. Ora aveva solo bisogno di stare solo.
Raggiunta la propria stanza, andò di filato alla scrivania. Si chinò sui fogli che Hirai aveva scarabocchiato nel pomeriggio, alla ricerca di una conferma. Essendo estate, il sole non era ancora tramontato e c’era abbastanza luce per leggere senza dover accendere la lampada a petrolio. Gli bastò poco per divorare le righe ed avere chiaro il quadro della situazione. Terminata la lettura, sentendosi improvvisamente pesante come un masso, barcollò fino al letto e si lasciò ricadere sul materasso.
“Come ho fatto a non capirlo prima?”
Non si trattava solo di quel pomeriggio all’ordine della pazzia, ora che si rendeva conto dei fatti, era come se quegli ultimi anni avessero acquisito un nuovo significato. Per tutto quel tempo Hirai non aveva fatto che lanciargli segnali che lui non aveva colto. Il suo sguardo, volgendosi alla finestra, finì per cadere sul vaso di vetro con dentro la peonia rosa. Accanto, il berretto di Hirai.
*
 
Il giorno seguente, al termine delle lezioni scolastiche, Akutagawa si recò come di consueto al locale per bere un bicchiere di latte fresco e spizzicare qualche biscottino, mentre i suoi occhi divoravano voracemente le pagine di uno dei tanti classici Europei a cui era tanto appassionato. Al tavolo dietro al suo, la solita combriccola di poeti ciarlava del più e del meno, neanche fossero stati delle donnicciole a lavare i panni al fiume. Le pagine del libro scorrevano, il bicchiere veniva riempito più volte, il vassoio dei biscottini lentamente si svuotava e di Hirai ancora non c’era traccia. A lungo andare, Akutagawa cominciò a sollevare lo sguardo verso l’entrata più volte di quante lo tenesse rivolto alla pagina del libro. Quando poi si ritrovò a leggere per la quarta volta lo stesso paragrafo perché il suo contenuto non voleva saperne di entrargli in testa, chiuse il volume. A vederlo dall’esterno poteva apparire tranquillo e indifferente a qualunque cosa lo circondasse, invece all’interno le sue membra stavano contorcendosi per l’agitazione. Pensò bene di agire prima di rigettare sul tavolo il latte e i biscottini.
“Scusatemi. Sapete se oggi Hirai aveva un qualche impegno?”
Gli uomini al tavolo dietro smisero di parlare e si voltarono tutti verso di lui.
“Ah ma era qui?”
La solita uscita di Nomura, riferita ad Akutagawa. Quell’uomo doveva avere una sorta di paravento sugli occhi per non accorgersi mai della sua presenza.
Yoshii lasciò uscire una corposa boccata di fumo dalla bocca e rispose alla domanda di Akutagawa con la sua tipica parlata galante e tenendo la sigaretta a mezz’aria con eleganza.
“Non sappiamo nulla, spiacente. Se Kindaichi fosse stato qui probabilmente ti avrebbe aiutato, ma…”
La parte mancante della frase venne colmata dagli sguardi tristi di tutti loro. Kindaichi si faceva vedere raramente al locale, da quando Ishikawa se n’era andato. Essendo loro due molto legati, fin da giovanissimi, per lui la perdita era stata molto più grave che per gli altri.
“Grazie. Buonasera.”
Akutagawa rimise il libro nella sacca che aveva portato con sé e che aveva tenuto appesa alla sedia. Lasciò il tavolo, pagò in silenzio per la consumazione e uscì dal locale sistemandosi la sacca sulla spalla. Incamminandosi, i suoi pensieri andarono inevitabilmente al poeta scomparso appena due mesi prima. Ishikawa, con la sua bassa statura, il suo sorriso presuntuoso e i suoi sguardi da seduttore, aveva esalato l’ultimo respiro dopo un lungo periodo di sofferenza causato dalla tubercolosi. Il poeta che per un certo periodo aveva giocato a fare il detective, con un discreto successo, aveva donato al mondo dei meravigliosi Tanka che lo stesso Akutagawa a volte ricordava come se Ishikawa stesso glieli stesse recitando all’orecchio. E ciò gli regalava piacevoli emozioni. Per quanto riguarda Kindaichi, invece, non era ancora riuscito a riprendersi dal lutto di un così caro amico e compagno di avventure. Quando non lavorava, se ne stava da solo nella sua stanza alla pensione e si faceva vedere alla locanda solo quando uno degli amici lo forzava a farlo. Questo atteggiamento lo stava facendo invecchiare precocemente. L’ultima volta che lo aveva visto, complici gli occhiali da vista che questo era costretto a portare, gli era sembrato che fosse invecchiato di una decina d’anni.
Giunto alla pensione, Akutagawa venne accolto da una giovane di bassa statura e con gli occhi da volpe, la quale lo condusse per un tratto raccontandogli che Hirai era tornato il pomeriggio precedente sul tardi e si era rinchiuso nella sua stanza da allora, e poi gli indicò la stanza in questione. Per raggiungerla, lui dovette obbligatoriamente passare di fronte alla stanza dove un tempo aveva abitato Ishikawa.
*
 
Udendo il rumore del telaio che scorreva, Hirai sbucò spazientito fuori dal futon, credendo si trattasse ancora della governante che già al mattino lo aveva obbligato a consumare la colazione, anche se lui aveva detto sgarbatamente di non avere fame. Ma alla fine aveva vinto lei e lo aveva praticamente ingozzato di riso e zuppa di miso. I suoi occhi si sgranarono nel vedere che l’intruso era nientemeno che Akutagawa, il quale entrò senza permesso e andò a sedersi al chabudai rettangolare che era sotto la finestra, poggiandovi accanto una sacca floscia color caramello che stonava maledettamente con la divisa scolastica blu notte dal colletto rigido.
“Perché sei qui? Dopo ciò che mi hai detto credevo non volessi più vedermi.”
Fra i capelli scompigliati per aver passato troppo tempo coricato sotto le coperte e la voce piagnucolosa e rotta dal pianto, era arduo credere che quel ragazzino fosse prossimo a compiere diciotto anni.
In tutta calma, Akutagawa aprì la sacca e ne tirò fuori il berretto che Hirai aveva dimenticato il giorno precedente, poi fu la volta di un pacchetto di fogli legati con uno spago.
“Smettila di frignare e vieni qui.”
Voce tranquilla ma roca. Una combinazione terrificante.
Per la precisione, il ‘qui’ era ad appena un passo, date le ridotte dimensioni della stanza, perciò Hirai dovette giusto fare il piccolo sforzo di strisciare poco più in là sul futon per raggiungere il suo ospite. Chinò il capo sul chabudai ed il respiro gli si fermò in gola nel vedere che i fogli al di sopra erano quelli che aveva scritto lui il pomeriggio precedente. Però notò qualcosa su quello dove era la prima stesura del racconto.
Kuro kokoro & Shiro kokoro?”
“Sì. E’ il titolo del nostro racconto. Non trovi che gli si addica?”
La bocca di Hirai si spalancò. Ma certo! Si riferiva ai personaggi. Il cuore nero doveva essere quello del giovane uomo, mentre il cuore bianco quello della giovane donna. Era un’idea brillante. Però questo non risolveva il problema che c’era fra loro. Volse il capo, la voce gli uscì in un sussurro.
“Sei venuto qui solo per questo stupido racconto?”
“No. Anche per riportarti il berretto.”
Una risposta semplice e secca.
Hirai strinse la stoffa dell’hakama nel pugno. Stava per scoppiare a piangere.
Akutagawa riprese a parlare.
“Hai scelto uno strano modo per confessarmi i tuoi sentimenti. Ma alla fine ho capito.”
Ora il cuore di Hirai mancò un battito e un brivido gli attraversò la schiena.
Akutagawa percorse le righe del racconto col dito, come per cercare qualcosa di preciso.
“Quando la zia mi ha rivelato il significato della peonia, mi sono posto ulteriori domande. Così sono andato a controllare il racconto. Sei tu la giovane donna, vero? E io il giovane uomo.”
“Co- Come puoi dirlo?”
“Per chi non ti conosce sarebbe un codice impossibile da decifrare ma, per tua sfortuna, io ormai ti conosco abbastanza bene. Il portatore di risciò, che si guadagna da vivere insozzandosi i piedi sulle strade infangate e che si comporta in modo rozzo con la giovane donna. Sono io senza dubbio. Il fango rappresenta le difficoltà che devo affrontare ogni giorno per farmi strada nella vita e diventare uno scrittore affermato e il comportamento rozzo rappresenta il mio modo di trattarti con sufficienza. E ancora, la giovane donna di nobili origini che fa di tutto per farsi notare dal giovane che ama e che poi ricorre ad un gesto disperato per diventare sua. Questo sei tu. Essendo basso e avendo lineamenti delicati e un animo gentile, hai rappresentato te stesso come una ragazza dal cuore puro, inoltre,  dopo numerosi tentativi falliti di farti notare da me, hai deciso di venire a casa mia e mettere in atto una serie di follie. Questo mi fa capire, fra tante cose, che la sciarada di idee è stata uno spreco di tempo perché tu avevi la storia già in mente.”
Hirai era immobile come una bambola del teatro riposta dell’armadio al termine dello spettacolo. Non aveva idea di cosa dire o cosa fare in quella situazione. Akutagawa aveva capito tutto, quindi perché era lì? Dal tono con cui aveva espresso le proprie riflessioni, non sembrava volerlo deridere o rimproverare. E allora? E poi perché aveva trovato un titolo al racconto se sapeva bene che era stata tutta una farsa? Non capiva più niente.
Akutagawa batté il polpastrello su un punto del foglio e cominciò a leggere quanto segue.
Davanti al laghetto, tra loro non vi fu parola alcuna che lasciasse presagire ciò che accadde dopo. Il giovane uomo si sentì smarrito per quel bacio improvviso e inaspettato. Se solo avesse saputo che ella nutriva tali sentimenti per lui, si sarebbe comportato in modo differente, l’avrebbe osservata senza timore, le avrebbe parlato con gentilezza e avrebbe pensato a lei con dolcezza. Invece era stato sciocco a non accorgersi di nulla, tanto il suo cuore era nero. Sfortunatamente, per quanto ora le loro labbra fossero unite, restava un abisso a dividerli. Vi erano differenze fra loro che non gli avrebbero mai permesso di vivere quell’amore alla luce del sole e con cuore leggero. Convinto di ciò, ancora una volta il giovane uomo si rivelò indegno della giovane donna. L’allontanò con mano villana e le gridò parole amare senza pensare a quanto queste potessero ferirla. E lei se ne andò in lacrime, forse alla ricerca di un altro portatore di risciò da cui farsi scortare. Il sole estivo non era ancora tramontato quando il giovane uomo, mentre riposava le povere membra stanche, si sentì divorare dai sensi di colpa. Aveva maltrattato una creatura innocente e dal cuore puro. Lui, creatura mostruosa dal cuore oscuro. Era stato ingiusto e solo ora si rendeva conto di quanto la giovane donna fosse importante per lui, di quanto adorasse la sua gentilezza e la sua voce dolce, di quanto amasse attenderla al risciò mentre ella passeggiava nella natura emanando un’aura pacifica. Dopo una notte quasi insonne, il giorno dopo si recò come di consueto al lavoro e lo svolse con impegno come ogni singolo giorno, desiderando di vedere la giovane donna. E allora si era ripromesso di parlarle con gentilezza e di essere per lei una compagnia piacevole.
Il dito di Akutagawa raggiunse l’ultimo Kanji scritto da lui quello stesso mattino, quindi la sua mano si levò e attraversò la superficie del chabudai per raggiungere una semplice stilografica in legno di cui appropriarsi. Il pennino cominciò a muoversi sulla carta.
Ma lei quel giorno non venne su quella strada. Desiderando con ardore di rivederla, il giovane uomo si ritrovò costretto a fare domande su di lei a delle donne che stavano ciarlando mentre lavavano i panni al fiume e poco dopo raggiunse la maestosa dimora dove ella viveva. Forse per la prima volta in vita sua, sentiva il cuore battere con forza nel petto, mentre si chiedeva come avrebbe reagito lei nel saperlo lì. All’ingresso, chiese di lei ad una piccola e giovane donna dagli occhi di volpe e questa gli indicò dove trovare la sua padrona, senza fare domanda alcuna su chi lui fosse o sul perché osasse infangare i pavimenti marmorei della dimora con i suoi piedi sozzi.
Le spalle di Hirai tremarono in modo particolare, ma fu il rumore della risata che gli uscì dalle labbra a chiarire a cosa fosse dovuto quel tremore.
“Non so cosa sia più divertente! I pavimenti marmorei della dimora o le donne che ciarlano al fiume! Quelli sono i nostri amici del locale, vero?”
“Ovviamente.”
Ci vollero un paio di minuti prima che la risata scemasse e lasciasse il posto ad un lungo sospiro di sollievo. Hirai si voltò verso di lui, svelando gli occhi illuminati da una luce di speranza.
“Quindi…se il giovane uomo ha capito di ricambiare i sentimenti della giovane donna e si è impegnato per cercarla e farglielo sapere, significa che per loro c’è una possibilità di essere felici insieme?”
Akutagawa lo fissò con sguardo impassibile alcuni istanti.
“Solo fino a quando la vita non imporrà loro di separarsi. O quando questi flebili sentimenti non svaniranno. Credo che, comunque vada, tra loro in futuro potrà restare un sincero sentimento di amicizia.”
Non era una delle tipiche risposte tragiche di Akutagawa e nemmeno una completamente positiva. Ma poteva bastare. Hirai si ritenne soddisfatto dell’esito di quell’incontro, il suo sorriso continuò a brillare sulle sue labbra rosee mentre lui si rialzava in piedi e cominciava a denudarsi degli abiti.
“Spogliati anche tu, Ryuunosuke!”
Per la prima volta da quando era arrivato, gli occhi di Akutagawa si spalancarono per lo stupore. La sua mano si premette  sull’abbottonatura della giacca, in un gesto di protezione.
“Perché dovrei?”
Eliminata quasi tutta la stoffa, tralasciando la biancheria intima, ovvero il fundoshi, che gli copriva giusto il davanti, Hirai si chinò sul suo ospite e disse qualcosa in netto contrasto col suo viso innocente.
“Perché voglio vedere il tuo corpo, adesso che siamo ufficialmente amanti! Da quando ci conosciamo non siamo mai andati neanche ai bagni pubblici insieme! E poi mi sono sempre chiesto che cosa indossi sotto la divisa! Il nostro patriottico fundoshi o i mutandoni occidentali?”
Come il giorno precedente, superato il primo momento di smarrimento, Akutagawa tornò ad essere impassibile. Si alzò in piedi, diede un’occhiata storta al suo compagno di follie e con gesto sicuro andò a sbottonarsi i pantaloni che poi calò fino alle ginocchia.
Gli occhi di Hirai brillarono come uno sciame di lucciole in una notte buia d’estate, nel ritrovarsi davanti il caro indumento tradizionale.
Ebbene sì, anche il giovane Akutagawa che indossava quotidianamente abiti in stile occidentale, portava al di sotto di questi il fundoshi. A dirla tutta, anche se erano passati oltre quarant’anni dall’inizio dell’occidentalizzazione del Giappone, ce ne sarebbero voluti almeno altrettanti prima di convincere un giapponese a rinunciare al fundoshi per indossare un paio di mutande!
  
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