Fanfic su attori > Ben Barnes
Segui la storia  |       
Autore: AdelaideMiacara    20/08/2020    0 recensioni
«Prova a sforzarti, Benjamin» disse la donna seduta sulla poltrona, poco protesa in avanti, attenta a scrutare da dietro le sue lenti l'uomo per cogliere anche la minima espressione facciale, «che cosa è successo la notte del 13 luglio?».
Sulla poltrona davanti a lei sedeva un uomo poco più che trentenne, nel pieno della sua bellezza, lo sguardo vacuo verso la finestra alla sua destra. Apparentemente rilassato e a proprio agio, il piede destro sul ginocchio sinistro come se fosse seduto nel salotto di casa propria, l'unica cosa che lo tradiva erano le mani: la sinistra stringeva con forza il bracciolo della poltrona, mentre con il pollice destro si accarezzava il labbro inferiore, in un vano tentativo di sostituire un gesto alle parole. Ma Ben non era mai stato abituato a parlare apertamente delle proprie emozioni, nonostante fosse un tipo abbastanza estroverso. A cosa serve essere espansivi, si chiedeva, se quando hai bisogno di mostrare la tua anima non ne hai il coraggio?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
 

19 novembre.

 

Ben Barnes fu svegliato bruscamente dal suono della sveglia sul comodino alla destra del suo letto. Dalla grande finestra della stanza entrava un unico timido raggio di sole, che Ben riuscì a cogliere con un solo occhio aperto prima che le nuvole tornassero a coprire il cielo. Si voltò di malumore, dando le spalle alla finestra, per controllare l'orario: le sei di mattina. Man mano che prendeva conoscenza, iniziavano ad affollarsi nella sua mente tutti gli impegni che lo aspettavano quella mattina, così si fece forza e si alzò stiracchiandosi. Si passò una mano fra i capelli spettinati, gli occhi ancora socchiusi, mentre fissava un punto indefinito della camera da letto. La cosa che più odiava di prima mattina, dopo il suono della sveglia e le persone che gli davano a parlare, era la stanza piena di luce. Ben era sempre stato un amante del buio; nel buio doveva addormentarsi ogni notte, riuscendo a stento a sopportare la piccola spia luminosa del televisore, e nel buio doveva svegliarsi al mattino per evitare di essere accompagnato dal mal di testa tutto il giorno. Per non parlare delle numerose notti in preda all'insonnia, passate a vagare per i corridoi dell'albergo o a contemplare il panorama londinese dai tetti.

Il primo ostacolo della giornata, ovvero la sveglia, era stato superato. Ora bisognava pensare a tutti gli altri. Decise di non perdere tempo cucinandosi la colazione e iniziò subito a prepararsi, scegliendo accuratamente il completo più adatto da indossare prima di infilarsi in doccia. La sua modesta suite era ovviamente dotata di una grande cabina armadio sempre immacolata, grazie all'aiuto delle domestiche, con scompartimenti separati per giacche, cravatte, pantaloni, camicie, scarpe e quant'altro. Guardò i cassetti dove vi erano contenute tutte le cravatte che, dai diciotto anni in poi, gli erano state regalate o era stato obbligato a comprare. Non ne andava pazzo. Sicuramente preferiva scattare da un lato all'altro del Bittersweet senza un "collare", bensì tenendo sempre i primi tre bottoni della camicia rigorosamente aperti. Nonostante la sua vena ribelle, anche Ben era in grado di riconoscere le occasioni importanti per le quali valeva la pena mettersi in tiro. "Tanto da domani sarà già abolita", pensò afferrando una cravatta scura a caso.

Una volta pronto, scese al piano terra e si intrufolò in una delle sale ristorazione per rubare qualcosa dai buffet e bere un caffè al volo, poi andò alla ricerca di Daniel.

«Buongiorno, Ben». Dan arrivava alle sue spalle con una pila di cartelle tra le braccia, pronto a buttargli di sopra tutto quel lavoro, nonostante fossero ancora solo le sette del mattino. «Nesbitt e il suo team saranno qui tra un'ora, bisogna revisionare e firmare tutti questi documenti».

«Diamoci da fare, allora» rispose, facendo un bel respiro e ignorando la prima fitta alle tempie della giornata, «ma prima di tutto viene il rituale». Scoccò uno sguardo d'intesa al suo collega, sfilando dalle sue braccia tutte le cartelle per posarle sul bancone della reception, e iniziò a camminare verso l'uscita, sicuro che Daniel lo stesse seguendo.

All'esterno dell'hotel, che dava su una strada molto popolata, vi era una panchina anonima in cemento che doveva esistere da prima della sua nascita o, a giudicare dai segni del tempo e dalle dediche degli innamorati incise sulla superficie, da prima della nascita del suo albergo. Si sedette insieme a Dan, allentando un po' la cravatta, e dal taschino interno della giacca estrasse un pacco di sigarette Winston blu. La strada, solitamente affollata, era ancora deserta. Strinse la sigaretta tra le labbra e la accese, poi fece il primo tiro chiudendo gli occhi e un brivido gli percorse la spina dorsale. La sigaretta dopo il primo caffè della mattina era per lui un rituale fondamentale, quello che gli permetteva di proseguire la giornata con serenità. Quando questo momento veniva a mancare, si sentiva irrimediabilmente nervoso.

«Dovremmo smettere» disse Daniel, più a se stesso che al suo capo, accendendo la sua sigaretta, «un giorno di questi Abbie mi butta fuori casa».

Ben rise. L'idea della moglie di Dan che lo cazziava per le sigarette lo divertiva e non poco. Una donna autorevole, Abbie, uno di quei tipetti so-tutto-io che puoi solo amare o odiare.

Il momento sacro di inizio giornata si spense insieme alle sigarette dei due uomini, riportandoli bruscamente al lavoro. Tutto era pronto per accogliere gli organizzatori della mostra: la grande sala conferenze era stata svuotata delle sedie e del grande tavolo ovale in legno, restando del tutto spoglia, pronta ad ospitare l'esposizione. Esposizione che, scoprì Ben solo quella mattina, si rivelò essere una mostra fotografica di sfilate vecchie e nuove, con un percorso interattivo non ancora ben delineato.

Per maggiori delucidazioni dovette aspettare l'arrivo del direttore creativo, Nesbitt, e il suo team di designer, e quando Ben li vide attraversare la porta d'ingresso del suo hotel avvertì un mix di entusiasmo inaspettato e nervosismo.

«Che piacere, che piacere, signor Barnes!» lo salutò calorosamente il signor Nesbitt, come un vecchio amico, mentre alle sue spalle i suoi dipendenti restavano immobili in attesa di un suo comando. Ben mandò qualcuno dei suoi a recuperare i bagagli degli ospiti, mentre loro si avviarono alla sala conferenze per dare subito inizio ai preparativi.

«Signor Barnes, mi permetta di presentarle il mio braccio destro, Deva Thompson» iniziò Nesbitt, afferrando una delle ragazze del suo gruppetto, «questo è un osso duro, sa? È lei che comanda in pratica, non io» continuò sorridente, mentre la ragazza dai capelli castani mossi accennò un sorriso imbarazzato e strinse la mano di Ben.

«Beh, in ogni squadra che si rispetti c'è sempre il braccio e la mente, no?» rispose Ben, già intento a congedarsi, quando la signorina Thompson ribatté.

«E lei, signor Barnes, è il braccio o la mente?».

Ben si prese giusto qualche secondo per studiarla e giurò di aver visto un insolito guizzo negli occhi verdi della ragazza. Con un sorriso lievemente malizioso strinse il nodo della cravatta e alzò il braccio destro fingendo di mostrare un bicipite allenato.

«Sicuramente non la mente, non crede?» replicò, provocando una finta risata del signor Nesbitt, per poi congedarsi.

Si fece strada stra il gruppo di lavoratori che perlustravano ogni angolo della grande sala, mentre iniziavano ad arrivare i pannelli espositivi, alla ricerca di Daniel. La sua attenzione venne catturata da diversi tubolari metallici neri che venivano trasportati, seguiti da grossi scatoloni di cartone dall'aria pesante. Si avvicinò di soppiatto alle scatole, scoprendo una grossa quantità di stoffa bianca satinata da un lato e luci natalizie dall'altro. Trattenne a malapena una risata per non rischiare di offendere gli organizzatori, quando sentì qualcuno bussare sulla sua spalla.

«Cos'è che la diverte tanto, signor Barnes?» chiese allegramente la voce squillante della signorina Thompson, facendolo trasalire. Ben si sentì quasi come improvvisamente colto con le mani nel sacco, ma subito tornò alla realtà.

«Nulla, solo pensavo che magari per le decorazioni natalizie dell'hotel quest'anno potete pensarci voi, vi vedo... portati». Vide una piccola ruga spuntare al centro della fronte della ragazza che cercava di trattenere una smorfia, al che Ben rispose con un occhiolino.

«Grazie per la supervisione, ma non abbiamo bisogno del suo aiuto qui, signor Barnes» rispose con un sorriso antipatico, «può andare adesso».

Ben rimase piacevolmente stizzito. Con quanta audacia quella sconosciuta lo stava cacciando dalla sua sala conferenze, del suo albergo? Le sorrise, mentre lei soddisfatta gli voltava le spalle e si metteva al lavoro con i suoi colleghi. "Forse", pensò Ben, "il signor Nesbitt più che osso duro intendeva rompicoglioni".

*

La mattina proseguì liscia come l'olio. Il lavoro si rivelò dimezzato, dato che lo staff impediva a qualsiasi dipendente dell'hotel di avvicinarsi alla sala conferenze – ad eccezione di Daniel. Lui riusciva sempre a guadagnarsi la fiducia di tutti. Decisero che la sua funzione, da quel momento in poi, sarebbe stata quella di spia pronta a rivelare tutto ciò che veniva tramato in quella stanza. Ma arrivati all'ora di pranzo, anche Dan era stato inspiegabilmente corrotto.

«Vedrai, Ben, ti piacerà» era la sua risposta ogni volta che Ben provava a ricavare informazioni su quello che stavano combinando Nesbitt e la sua comitiva. Nonostante ciò, Ben non riusciva ad innervosirsi, anzi questa caccia al tesoro aveva improvvisamente aumentato il suo interesse nei confronti di questo evento. Era certo che non sarebbe riuscito a resistere fino all'inaugurazione vera e propria, e stava già tramando di fare un salto giù una di queste notti.

«Ricorda» aggiunse in fretta Daniel, interrompendolo mentre ancora insisteva per avere qualche dettaglio, «stasera alle undici in punto dobbiamo essere al Mirror. Ho fatto riservare il tavolo migliore di tutta la sala, proprio sotto il palchetto. Ci sono anche Evan e Conor».

Il Mirror. Aveva già dimenticato l'appuntamento di quella stessa sera. Quando si ricordò il motivo di quella serata, cioè festeggiare il suo compleanno, una morsa allo stomaco gli chiuse l'appetito. Si trovavano nelle cucine dell'albergo, rannicchiati in un angolino per non dare fastidio ai cuochi, quando Ben si rese conto di quanto soffocanti fossero quelle pareti. Iniziò a lottare con la cravatta per sciogliere il nodo, le mani rosse di calore e sudate.

«Permetti?» disse il suo collega, e senza aspettare risposta allungò le mani verso il nodo alla gola di Ben e lo sciolse in un unico movimento. Ben riprese finalmente a respirare e ringraziò in silenzio Daniel per averlo aiutato con nonchalance, facendo finta di non aver notato il panico sul suo viso.

«Sai, ho... ho alcune cose da controllare in verità, alcune prenotazioni, devo... vado» affermò poco convinto, «a dopo». Lasciò la cucina più in fretta possibile, investendo un paio di camerieri lungo la sua corsa verso l'ascensore, diretto alla sua suite. Sentiva già il respiro e il battito cardiaco più regolari man mano che saliva i piani.

Una volta dentro il suo appartamento, si avvicinò istintivamente al piano bar. "Ci vorrà qualcosa di più forte del vino stavolta" si disse, mentre da uno degli sportelli in basso tirava fuori una bottiglia di gin. Un bicchiere di gin alla comparsa dei primi segnali di panico era ormai diventato come lo sciroppo per la tosse per lui. Non accadeva spesso, anzi non accadeva più da un pezzo. Dentro di sé, Ben sapeva che questa volta era colpa di quel festeggiamento imminente, che rappresentava la prova schiacciante che quest'anno mancava qualcuno.

Sentì un altro pugno allo stomaco. Rimise la bottiglia di gin al suo posto, poi aprì l'acqua fredda del lavello e si bagnò il viso. Doveva ingoiare quel dolore prima che prendesse il sopravvento.

*

Quando le porte dell'ascensore si aprirono, trovò i suoi eleganti amici ad aspettarlo nella hall.

«Giusto dieci minuti prima del nostro appuntamento, Benjamin, complimenti» iniziò Evan, avvicinandosi e salutando Ben sferrando un pugnetto sulla sua spalla, «come se potessimo controllare il traffico londinese».

«Signori, dovreste solo ringraziarmi di essere sceso» rispose, salutando gli altri due amici. Lo pensava veramente in cuor suo, ma nelle ultime ore il suo umore era migliorato esponenzialmente, che quasi non vedeva l'ora di raggiungere il locale.

Quando arrivarono fuori il Mirror, la fila era già chilometrica, nonostante fosse un mercoledì sera. Si fecero spazio dietro le transenne, scavalcando la folla da dove ogni tanto li raggiungevano occhiatacce, e salutarono il buttafuori che li fece entrare subito. Ed ecco che, superata la prima saletta del locale, attraversando una porta seminascosta vicino il bancone, entrarono nella parte bella: ai loro piedi una piccola scala di ferro li conduceva in un'ampia sala piena di specchi in cui al centro vi erano quattro file di tavolini, tutti pieni tranne quello sotto il piccolo palco in fondo alla stanza. Su entrambi i lati due grandi banconi di legno percorrevano tutta la lunghezza della stanza, dotati di sgabelli affollati quasi quanto i tavoli, da dove si vedevano barman preparare freneticamente i loro cocktail e camerieri correre da un lato all'altro del locale. Erano entrati nel più esclusivo e segreto night club di Londra, così esclusivo e segreto che tutti ne conoscevano l'esistenza – persino Abbie, la moglie di Dan – ma che in pochi potevano permettersi di frequentare.

Le luci rosse soffuse e l'odore di alcol a lungo andare potevano generare confusione e fastidio nei clienti, ma Ben ne era affascinato ogni volta che apriva quella porta. Sdegnava la maggior parte dei frequentatori del Night Mirror che sembravano impacciati e fuori posto, nonostante si atteggiassero da padroni, mentre lui a suo agio richiamava tutte le attenzioni dei presenti. Tranne quando spuntavano le ballerine, lì anche Ben passava in secondo piano. Era questo luogo il secondo piacere della sua vita.

Raggiunsero il loro tavolo, la migliore postazione, mentre Conor gli avvolse intorno al collo un boa di piume rosse rubato a una cameriera che passava da lì vicino. Ben era quasi sereno. Il panico del pomeriggio era svanito da un pezzo, come se non fosse mai successo, ed era pronto a godersi il suo gin tonic quando le luci si spensero e dai tavoli partirono fischi e cori. Solo in questo modo si accorse che era mezzanotte, dunque il suo trentaquattresimo compleanno. Ebbero il tempo di un solo brindisi, prima che l'occhio di bue fosse puntato sul palco con una sola sedia al centro. Il proprietario del locale, Mike Wilson, si alzò dal tavolo accanto al loro e afferrò il microfono.

«Buon compleanno, signor Barnes» disse sorridendo, guardando Ben negli occhi, che ringraziò sollevando il bicchiere alla sua salute. Continuava a ricevere gomitate e scappellotti dai suoi compagni, quando dalla porta dietro il palco spuntò la prima ballerina della serata. Una figura mai vista prima, pensò quando la vide sedersi accavallando le gambe: più vestita delle altre, indossava una sottoveste nera di seta, metà del volto nascosto da una maschera di carnevale ricamata nera come l'abito, i capelli scuri raccolti in una coda di cavallo.

La ballerina si muoveva sinuosa e sensuale seguendo la musica da un lato all'altro del palco, poi tornava a girare intorno alla sua vecchia sedia piazzata in mezzo, e Ben non poté fare a meno di immaginarla come una predatrice che gira e rigira intorno alla sua preda in attesa del momento giusto per divorarla. I suoi occhi saettavano dalla figura riflessa in tutti gli specchi alle sue spalle a quella in carne e ossa a pochi metri da lui; più lei e i suoi riflessi ballavano, più Ben diventava avido di quei movimenti. Di tutte le performance che aveva visto da quando frequentava il Night Mirror, quella era senza dubbio la più pulita, pudica, vestita, eppure agli occhi di Ben risultava ancora più provocante. D'improvviso sentì la bocca asciutta e ordinò un secondo drink.

Quando la ragazza lasciò il palco per far spazio ad altre molto più nude, Ben era ancora in uno stato di trance. La seguì con lo sguardo, e si accorse che Mike Wilson le porse una bottiglia di champagne, poi si fece strada verso il suo tavolo. Ben si raddrizzò sulla sedia, dando una piccola spinta sotto il tavolo a Daniel mentre la ragazza dal volto mascherato si avvicinava sempre di più.

«Offre la casa» disse, e incrociando il suo sguardo per un istante a Ben sembrò di intravedere una luce familiare. Quando la ragazza stava per allontanarsi, ben attenta a tenere i propri occhi lontani da quelli di Ben, lui la fermò per un braccio senza rifletterci. Il sorriso malizioso che pian piano sentiva allargarsi sul viso trovò conferma negli occhi verdi smeraldo della ballerina mascherata. Fu tentato di lasciarsi scappare una risata, ma dopo avrebbe dovuto svelarne necessariamente il motivo ai suoi amici, invece questo gioco a due gli piaceva molto di più. Lasciò la presa e si rimise a sedere come se niente fosse, mentre la ragazza si allontanava spedita.

«Ti ha lasciato senza parole, bambino?» lo prese in giro Evan, distribuendo lo champagne agli altri.

Ben scosse la testa sorridendo, mentre con lo sguardo continuava a seguire la signorina che si addentrava nel locale. «Non puoi immaginare quanto».



------------------------------------------------------------------------
HOLA! Il personaggio di Ben va prendendo forma sempre di più e man mano anche la trama. Se sei arrivat* fin qui, fammi sapere che cosa ne pensi!
-a.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Ben Barnes / Vai alla pagina dell'autore: AdelaideMiacara