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Autore: Quasar93    31/08/2020    1 recensioni
[Gincentric] [PTSD implicito]
Gintoki si svegliò urlando, stavolta davvero.
Era nell'Agenzia Tuttofare, si era addormentato sul divano leggendo Jump.
Era stato solo un incubo.
L'ennesimo incubo.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gintoki Sakata
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: ho iniziato da poco a leggere Gintama, mentre scrivo sono al 25esimo volume circa. Mi scuso in anticipo se alcune piccole cose che per me sono missing moments in realtà verranno spiegate più avanti. Prendetela un po' per quello che è, una piccola OS di qualcuno che davvero non vedeva l'ora di scrivere in questo fandom!
(Se recensite per favore no spoiler!)


****

Nightmares

 

Gintoki aprì gli occhi.
Era sdraiato a terra in un posto che non riconobbe finché non avvertì in bocca un sapore di terra e sangue.
Si alzò, nonostante sentisse le gambe pesantissime, e si guardò intorno.
Era sul campo di battaglia.
Attorno a lui decine e decine di corpi. Alcuni di umani, samurai come lui, altri di strani essere dalle forme più disparate.
Ma certo, come aveva fatto a dimenticarlo?
Stava combattendo nella guerra contro gli Amanto.
Doveva essere stato colpito ed essere svenuto durante la battaglia.
Si passò una mano sul viso e guardandola dopo la trovò sporca di sangue che non era sicuro fosse suo.
Sputò per terra per liberarsi di quel saporaccio che non se ne andò e impugnò la spada, finché avesse avuto vita in quel corpo avrebbe combattuto per i suoi amici, per salvare il mondo in cui tutti loro potevano vivere felici.
Proprio in quel momento Katsura lo raggiunse, portandosi dietro un nutrito gruppo di nemici, e si posizionò dietro di lui, schiena contro schiena.
Si girarono e si scambiarono uno sguardo d’intesa, non serviva parlare.
Scattarono all’attacco tagliando con le loro spade tutto quello che trovavano.

 
Quando anche l’ultimo Amanto cadde al suolo, Gintoki piantò la spada nel terreno e ci si appoggiò ansimante, quasi in ginocchio. Accanto a lui Katsura fece lo stesso quando, all’improvviso, il ragazzo coi capelli argentati lo vide accasciarsi a terra.
Provò ad urlare il suo nome ma la voce non uscì.
Lasciò perdere la sua spada e prese tra le braccia l’amico, che in quel momento tossì una copiosa quantità di sangue.
Notò che aveva un lungo squarcio sul ventre, non c’era niente che potesse fare.
Provò di nuovo ad urlare al cielo tutta la sua disperazione ma la voce di nuovo non ne voleva sapere di uscire mentre il sangue scarlatto del suo compagno imbrattava il bianco delle vesti di Gintoki.
Sentì improvvisamente un rumore alle sue spalle e vide cadere accanto a loro il corpo di Shinsuke e poi quello si Sakamoto, trafitti a morte come Katsura. E poi ancora un altro e un alto ancora. Sembrava che tutti i samurai del campo di battaglia stessero cadendo attorno a lui fino quasi a sommergerlo, mentre tutto intorno gli Amanto si ergevano alti e sprezzanti, con le loro armi in mano pronte ad uccidere anche lui, così come i suoi compagni.
Caricarono il colpo.
Il ragazzo coi capelli argentati strinse il corpo ormai senza vita di Katsura e chiuse gli occhi.
Sentì il sibilo delle lame e poi un dolore intenso.

 
Gintoki si svegliò urlando, stavolta davvero.
Era nell’Agenzia Tuttofare, si era addormentato sul divano leggendo Jump.
Era stato solo un incubo.
L’ennesimo incubo.
Erano già passati quattro anni da quando la guerra contro gli Amanto era finita.
Quattro anni da quando la signora Otose aveva trovato Gintoki affamato e a un passo dall’assideramento nascosto dietro la tomba di suo marito.
Quattro anni da quando il ragazzo aveva realizzato che gli Amanto avevano vinto, che tutto quello che aveva perso era stato perso invano e che ormai anche lui stava per raggiungere i suoi amici morti sul campo di battaglia.
Certo, morire di fame e di freddo sarebbe stata una morte poco onorevole per un samurai, ma di quei tempi perfino l’onore era stato strappato loro insieme alle spade.
Quel giorno Gintoki aveva promesso al defunto marito della signora Otose che l’avrebbe protetta ad ogni costo, dopo aver mangiato con foga i ravioli che lei gli aveva lasciato come offerta, e aveva di nuovo trovato la forza di alzarsi sulle gambe e di provare a vivere la vita alle sue regole.
Non sarebbe morto lì, non avrebbe nemmeno fatto harakiri.
Se il mondo ormai era quello che era tanto valeva che anche lui diventasse quello che voleva, che cercasse di camminare con la schiena dritta lungo la via della vita seguendo solo la sua morale.

 
C’erano dei giorni in cui era facile.
La signora Otose l’aveva accolto in casa sua, affittandogli l’appartamento al primo piano ma senza mai davvero chiedergli i soldi e l’aveva praticamente obbligato ad avviare l’Agenzia Tuttofare in modo che non passasse le giornate in casa a deprimersi.
Gintoki ricordava ancora il giorno in cui Otose gli aveva scritto l’insegna “Yorozuya Gin-chan” e come primo lavoro da tuttofare l’aveva costretto a montarla fuori dal suo appartamento. Sul momento aveva sbraitato che non ne aveva per niente voglia e che di sicuro non avrebbe lavorato per una vecchia megera come lei ma dentro di lui era contento che, dopo tanto tempo, a qualcuno importasse di lui.
Urlarsi contro e insultarsi era l’unico modo di comunicare che due persone come loro avevano, troppo orgogliosi per ammettere di aver bisogno l’uno dell’altra ma sicuri che ci sarebbero sempre stati per tirarsi fuori dai guai a vicenda quando se ne fosse presentata l’occasione.

 
E poi c’erano dei giorni in cui era impossibile.
I ricordi della guerra, dei suoi amici caduti.
Gli incubi.
Gintoki cercava di soffocare tutto questo nascondendolo sotto un muro di indolenza e indifferenza. Ma la verità era che c’erano dei giorni in cui non riusciva a fare altro che restare steso sul divano immerso nei suoi pensieri.
Nonostante il lavoro da tuttofare erano molti i momenti di solitudine e l’oscurità che cercava con tutto sé stesso di reprimere dietro il nuovo sé che aveva costruito ne approfittava per uscire e inghiottirlo.
Quando proprio non ce la faceva più usciva a bere.
Sakè di qualità infima, l’unico che poteva permettersi coi pochi soldi che aveva in tasca per raggiungere il risultato sperato: spegnere per qualche ora i suoi pensieri. Se capitava, non disdegnava qualche avventura occasionale con una donna.
Niente di serio, niente legami.
I legami erano la cosa che più di tutte voleva evitare di stringere.
Non potevano reciderglieli con violenza se non li avesse mai stretti no?

 
Questa era una di quelle sere.
Gintoki era stato tutto il giorno chiuso in casa, non c’erano clienti e aveva ignorato le urla della signora Otose che sbraitava di pagarle l’affitto arretrato.
L’unica attività degna di nota della giornata era stata leggere Jump, ma non era nemmeno riuscito a concentrarsi veramente sulle storie a fumetti. A un certo punto si era semplicemente addormentato con la rivista sulla faccia.
E aveva avuto quell’incubo.
Si alzò, aveva decisamente bisogno di staccare la spina, e niente poteva farlo meglio di una bottiglia di sakè.
Voleva solo bere fino a dimenticare perfino chi fosse.
Si fece una doccia e con un telo asciugò alla bell’e meglio la chioma argentata, poi si vestì come sempre, completo nero e kimono bianco mezzo incastrato nella cintura. Trovava che quell’abbigliamento sulle righe rispecchiasse bene la personalità di qualcuno che vuole vivere seguendo soltanto le proprie regole.

 
Arrivò alla sua solita bancarella di alcolici senza aver nemmeno cenato e ordinò da bere. Un bicchierino dietro l’altro sperava di annegare nell’alcol l’incubo appena fatto e tutti i pensieri che ne conseguivano.
Certo, a differenza del suo sogno alcuni dei suoi vecchi amici erano vivi, ma si erano separati da lui molto tempo fa. Alcuni semplicemente avevano seguito un'altra strada al termine della guerra, altri erano rimasti ancorati a ideali che lui non poteva più seguire.
Era solo.
Aveva senso vivere così?
Senza nulla di importante da proteggere?
In quel momento si sedette accanto a lui una ragazza che lo distrasse dai suoi pensieri. Non che dopo un’intera bottiglia di sakè ci volesse poi molto.
Gintoki attaccò subito bottone e tirò fuori quei suoi discorsi da uomo vissuto che facevano sempre presa sulle ragazze e ordinò da bere per entrambi.
Lei era sola e chiacchierarono del più e del meno per tutta la sera, ebbri e spensierati, almeno in apparenza.
Quando il locale fu prossimo alla chiusura Gintoki andò all-in, proponendo alla ragazza di andare a casa sua e lei accettò. Barcollarono fino alla sede dell’Agenzia Tuttofare, salendo le scale con attenzione per non svegliare la vecchia Otose.
Una volta entrati non passò molto tempo prima che i kimono fossero di troppo, dopotutto quello che sarebbe successo era già chiaro a entrambi nel momento in cui lei aveva accettato il suo invito.
Gintoki sapeva bene dove mettere le mani, non era nuovo a questo tipo di avventure. Quando capitava non si tirava mai indietro.
Ma era sempre e solo per una notte.
Niente storie, niente secondi appuntamenti.
Non cercava e non voleva niente del genere.
Il ragazzo coi capelli d’argento si sedette sul divano e la invitò a raggiungerlo, facendola accomodare a cavalcioni su di sé, per poter finalmente sprofondare in lei e spegnere definitivamente il suo cervello già annegato nell’alcol.

 
Gintoki aprì gli occhi e non riconobbe il posto in cui si trovava.
Era in piedi e stava camminando.
Come aveva fatto ad addormentarsi in un momento simile?
Si accorse anche di sentirsi mostruosamente pesante, come se stesse portando un enorme peso sulle spalle.
Si girò per controllare e si accorse che portava in spalla un altro ragazzo, circa della sua età.
Ma c’era qualcosa che non andava. Sotto di lui andava formandosi un sentiero di sangue.
Gintoki pensò che fosse strano, non si sentiva male o ferito. Appoggiò a terra il ragazzo che stava trasportando e si accorse che aveva uno squarcio lungo tutto il petto che continuava a fare uscire un’enorme quantità di sangue.
Fece un balzo indietro inorridito.
Attorno a lui si alzarono in piedi altri ragazzi, tutti uguali, in armatura da samurai, tutti feriti e sanguinanti. Anzi, tutti troppo feriti per essere vivi.
Anche le loro posture erano innaturali, così come i loro movimenti.
Tutti quanti iniziarono ad avanzare verso di lui.
Sempre più vicini.
Sempre di più.

 
Gintoki si svegliò di soprassalto.
Un altro incubo.
Un mal di testa lancinante gli ricordò quanto aveva bevuto la sera prima e uno sguardo al suo futon gli ricordò anche con chi.
Per un attimo, un solo attimo, pensò che sarebbe stato bello svegliare quella ragazza e raccontare di aver avuto un incubo terribile, sperando in un abbraccio di consolazione. Poi, guardandola bene, si accorse che lei era già sveglia da un po’ e stava raccontando in una mail alle sue amiche la loro nottata.
Ghignò quando, spiando il cellulare da sopra la sua spalla, lesse che le era piaciuta parecchio. Accantonò completamente l’idea di parlare con lei, non era certo il tipo che avrebbe capito. Ma d’altro canto cosa poteva aspettarsi da qualcuno che, come lui, voleva solo divertirsi per una notte? L’amore e l’affetto erano l’ultima cosa che entrambi volevano, avrebbe dovuto ben saperlo.
Gintoki sbadigliò sonoramente per avvisare la ragazza che era sveglio e poco dopo la congedò velocemente.
Oggi avrebbe avuto un cliente.
Dato che nemmeno alcol e sesso erano riusciti a farlo dormire una notte senza sogni sperò che almeno un lavoro massacrante riuscisse nell’intento.

 
Due anni dopo

 
Gintoki stava correndo.
Non ricordava da dove fosse partito o dove stesse andando.
Si guardò intorno, il mondo era tinto di rosso.
Era rosso il cielo, era rossa la terra, così come lo erano gli alberi e l’erba.
Senza smettere di correre si girò a guardare se qualcuno lo stesse inseguendo e vide un esercito di scheletri armati fino ai denti correre con le braccia e le spade protese verso di lui.
Corse più forte, ormai era senza fiato.
Alcuni di quegli scheletri erano vestiti come samurai, altri con pompose divise nere a finiture dorate.
Più che ucciderlo sembrava che volessero portarlo con loro.
I polpacci bruciavano e il fiatone era sempre più soffocante ma non poteva fermarsi, non voleva diventare uno scheletro.
Mentre correva Gintoki si guardò le mani, lentamente la carne e i muscoli si stavano dissolvendo lasciando il posto a ossa bianche e pulite.
Provò ad urlare con tutto il fiato che gli era rimasto ma non ci riuscì.
Cadde a terra, mentre anche le gambe e le braccia lentamente si tramutavano in ossa. Incredulo e inorridito da sé stesso iniziò a urlare mentre l’orda di scheletri alle sue spalle si avvicinava sempre di più.
Quando solo il petto e la testa erano rimasti normali iniziò a ridere, pervaso dalla follia.
Il demone bianco, lo chiamavano. Bhè, ora stava diventando proprio questo. Soltanto ossa bianche e con un aspetto sicuramente demoniaco.
Rise fin quando gli fu possibile farlo, poi provò solo un enorme dolore al ventre e tutto divenne nero.

 
Gintoki si svegliò di soprassalto.
Il dolore che provava però non scomparve, era come se il suo incubo si fosse infiltrato nella realtà.
Fu solo quando aprì gli occhi che si accorse che Sadaharu gli era saltato sulla pancia.
- Sadaharu! Hai svegliato Gin-chan! - urlò Kagura, per rimproverare il suo cane che, in tutta risposta, usò Gintoki come trampolino e saltò addosso a Shinpachi.
- Kagura! Questo cane è fuori controllo! Fuori controllo ti dico! - urlò il ragazzo con gli occhiali, mentre Sadaharu iniziava a masticargli la testa con gusto.
- E’ solo un povero cucciole incompreso! Se fa così vuol dire che gli piaci, igrato! -
- Ma se fa così con tutti! - sbraitò Shinpachi, iniziando a correre qua e là per l’Agenzia Tuttofare sperando di liberare la testa dalle fauci di Sadaharu e finendo solo per inciampare a sua volta su Gintoki.
- Ditelo che volete escludermi da questo gioco! - trillò ancora Kagura, lanciandosi a sua volta sulla pila composta dagli altri tre 
- Sono la regina del monte Yorozuya! - esclamò infine.

Fu solo quando sentirono un lamento provenire da quello che una volta era Gintoki che si alzarono tutti e si scusarono per il trambusto.
- Non so proprio cosa fare con voi - iniziò perentorio il ragazzo coi capelli argentati, dopo aver messo gli altri in riga davanti a lui e sventolando la copia di Jump sotto alla quale si era addormentato ormai irrimediabilmente rovinata - siete rumorosi, incivili, un bel giorno siete arrivati qui e vi siete stabiliti a casa mia, come se fosse la cosa più normale del mondo. E come ringraziamento per il povero Gin-san che deve sopportarvi giorno e notte gli distruggete casa, stropicciate Jump e svegliate nel bel mezzo di un pisolino pomeridiano? -
- Ti arrabbi perché stavi sognando qualcosa di sconcio? - interruppe Kagura, per poi mettersi a ridere da sola.
- Già! Scommetto che sognavi la signorina delle previsioni del tempo! - le resse il gioco Shinpachi.
Gintoki si fermò un attimo a guardarli.
In effetti non ricordava cosa stava sognando.
Da quando quei due erano entrati a forza nella sua vita e l’avevano resa l’allegro chaos che era adesso capitava spesso che non ricordasse nulla quando si svegliava.
Era sicuro di avere ancora gli incubi sul suo passato. Più volte si era svegliato di notte trovando Kagura abbracciata a lui nel futon.
“Ti agitavi molto nel sonno, ti sentivo dall’altra stanza”
Gli diceva solo prima di tornare a dormire nell’armadio.
Non le aveva mai raccontato nulla e lei non aveva mai chiesto, ma ogni volta si svegliava riposato e senza memoria di sogni o incubi.
Gintoki aveva deciso di non stringere altri legami, per paura che venissero troncati brutalmente, ma loro due non gli avevano dato scelta.
L’avevano preso e legato contro la sua volontà. Col doppio nodo.
Dopotutto non poteva dire che gli dispiacesse.
Certo, di tanto in tanto si concedeva ancora qualche serata di sakè e donne, ma ora non ne aveva bisogno per perdere sé stesso.
Ora c’era qualcun altro a distrarlo dall’oscurità.

- Gin-san? Ti sei incantato? - lo prese in giro Shinpachi - non vuoi dirci cosa stavi sognando? Daiii confessa! Confessa! -
- Non lo so! Fate così tanto casino che mi avete fatto dimenticare perfino il sogno che stavo facendo! - li sgridò Gintoki, senza essere davvero arrabbiato.
- Dici così perché ti vergogni! Lo sappiamo tutti che era Ketsuno Ana vestita da infermiera sexy! - continuò Shinpachi, schivando subito dopo il fendente che Gintoki gli sferrò con il suo bokken.
- A Gin-chan piacciono le infermiere sexy! A Gin-chan piacciono le infermiere sexy! - cantilenò Kagura, correndo per la stanza in groppa a Sadaharu, demolendo ogni cosa sul suo cammino compreso, di nuovo, il povero Shinpachi.

 
Gintoki si rassettò il kimono e provò a raddrizzare un po’ Jump, mentre guardava i ragazzi corrersi dietro.
-Vi prego, continuate ad essere così rumorosi per sempre - disse piano, sorridendo, stando attento che nessuno lo sentisse.
Avrebbe difeso quel rumore assordante per sempre.

 

Note:
Gli headcanon presenti in questa fanfiction sono condivisi con Bored94 e Magnetic_Ginger, quindi se avete letto (o leggerete, molte sono in wip) più fanfiction nostre e trovate delle somiglianze è normale, siamo d'accordo per riempire a turno i vari missing moments (ci conosciamo irl, quindi nessun plagio all'orizzonte).

Le nostre fanfiction che rientrano al momento nel progetto sono, in ordine cronologico:
- Sometimes the only choices you have are bad ones. But you still have to choose - Quasar93
- L'unica scelta possibile - Bored94 (contemporanea a Sometimes the only choices you have are bad ones. But you still have to choose)
- Il peso di una promessa - Bored94
- Riconciliazione - Bored94
- Propositi e vendette - Bored94
- Nightmares - Quasar93 (questa qui)

Mentre la timeline su cui ci basiamo, ricavata dai riferimenti canon e adattata un pochino è questa (basata sull'età di Gintoki):
- 8 anni Gintoki viene trovato da Shoyo
- 10/11 anni Takasugi e Katsura arrivano alla Shoka Sonjuku
- 16/17 anni Shoyo viene catturato e i ragazzi entrano in guerra
- 21 anni morte di Shoyo, i joi4 si separano, Gintoki si consegna agli Hitotsubashi
- 22 anni Gintoki si stabilisce a Kabuki-cho
- 27 anni incontro con Shinpachi e Kagura
- 30 anni guerra contro l'esercito della liberazione
- 32 anni arco dei due anni dopo
- 34 anni epilogo del manga
  
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