Light throught the shadows
La
pezza bagnata sulla fronte bollente da un pizzico di sollievo. Appena, ma gli
permette di aprire gli occhi che ancora bruciano.
Ormai
c’è abituato, a quello, bruciano di continuo e per quante volte possa usare le goccine idratanti a volte gli sembra che proprio non
facciano effetto. Tanto da aver pensato, a volte, che forse la Yuuei non è per lui.
Forse,
tutto sommato, lui non è adatto per fare l’eroe.
Insomma,
il suo potere non lo è di certo.
La
loro è un’epoca in cui gli eroi sono all’ordine del giorno, tutti li
rispettano, tutti vorrebbero essere come loro. Alcuni per reale spirito di
sacrificio o di generosità, altri solo per soldi.
Yamada vuole diventare
famoso, potrebbe fare lo speaker ma ha deciso che se può anche rendersi utile
col suo potere, perché non farlo? In realtà, anche se non lo dice e non lo dirà
mai, Shota lo stima. Insomma, Yamada
è sicuramente una persona particolare, quando si sono conosciuti il primo
giorno lì alla Yuuei ha pensato che uno come lui non
potesse avere niente a che fare con lui.
Ma
poi Hizashi ha fatto amicizia con Shirakumo.
E allora ha pensato che forse, forse, oltre che un gran confusionario non
dovesse essere una persona così male.
Shirakumo, dopotutto, è
il suo migliore amico fin dalle medie.
Il
suo opposto, eppure gli vuole bene come a un fratello.
Se
è lì alla Yuuei è colpa sua.
Se
è su quel letto d’infermeria con la febbre alta è colpa sua.
Aizawa
Shota ha sempre cercato un modo per non essere
inferiore ai suoi compagni, ha un quirk definito
raro, ma è inutile in quasi ogni aspetto quotidiano che gli viene in mente. Non
ha mai saputo che farsene, per quel che lo usava si è sempre considerato al
pari di un quirkless.
E’
stato Shirakumo a dargli l’idea. Lui voleva essere un
Hero, un vero Hero. Ha
sempre avuto tutte le qualità per farcela, quirk in
primis. Quando gli ha detto di iscriversi alla Yuuei,
Aizawa ha scrollato le spalle.
“Se
lo dici tu,” gli ha detto quella volta.
Shirakumo è stato felice
come se gli avesse fatto un regalo, quindi Aizawa si è sempre impegnato a fondo
per stare al suo passo.
Ma
non ci è mai riuscito.
Ha
passato il test d’ammissione solo perché Shirakumo
era con lui e lo ha aiutato.
Non
ha le capacità fisiche degli altri.
Forse
non ha neanche la determinazione degli altri.
E
il suo quirk non serve assolutamente a nulla.
Che
ci sta a fare, lì? Shirakumo insieme ad Hizashi potrebbe diventare un eroe molto migliore che
stando dietro a lui, che non riesce a tenere il loro ritmo.
Forse
dovrebbe arrendersi.
Sì.
Forse dovrebbe proprio.
“Shota! Come ti senti, oggi?!”
Aizawa
alza gli occhi. Shirakumo è seduto sul letto, lo
fissa con quei capelli voluminosi e soffici che lo caratterizzano, che gli
somigliano.
Chiyo, l’infermiera,
non c’è.
La
pezza dovrebbe avergliela cambiata lei. O è stato lui? Non lo sa. Le mani di Shirakumo sono bagnate, in effetti.
“Bene,”
mormora. Non è vero. Si sente fiacco e sicuramente ha ancora la febbre alta.
Chiyo ha detto che
sta esagerando, s’è stancato troppo.
Lo
sa, è vero.
Il
tirocinio è stato una perdita di tempo per lui, ma non perché ha scelto l’eroe
sbagliato da seguire o perché non è successo mai nulla. E’ stato lui il
problema. Non ha mai saputo rendersi utile.
Però
ha cercato di non rendere Yamada e Shirakumo troppo partecipi di quello. Loro credono in lui.
Non
vuole deluderli.
Non
vuole deludere Shirakumo.
Spesso
non si sente degno di essere suo amico, spesso tutto ciò che vuole è rimanere
al suo fianco senza avere realmente un piano per riuscirci.
Per
questo si è dato da fare due volte più degli altri, in quel breve periodo.
Finché
il suo corpo non ha ceduto.
“Sei
un pessimo bugiardo, Shota.”
“No.
Sto bene davvero.”
“Invece
no!” ride Shirakumo, “Hai ancora la febbre alta. Sai,
Shota, non dovresti sforzarti così tanto. Tu vai bene
così come sei.”
“Ma
di che parli?”
Shirakumo si rialza,
allungando le braccia verso il cielo come se dovesse prendere da lì le nuvole
che controlla.
“Ultimamente
ho visto che sei nervoso.”
“Non
è vero.”
“Ah-ah, Shota!” lo ammonisce,
muovendogli un dito davanti al naso, “Ti ho detto che sei un pessimo bugiardo!”
Aizawa
mette il broncio, sporge il labbro inferiore e volta lo sguardo altrove
rispetto all’amico, “Non so mentendo.”
“Stai
omettendo, è uguale.”
“Ti
dico che non...-”
“Lo
sai, Shota?” Aizawa si gira di nuovo, quando lo
chiama con quel tono. D’improvviso ha perso l’allegria, s’è fatto serio.
Shirakumo non è quasi mai
serio. E’ successo pochissime volte, sempre in situazioni particolari.
Adesso
non gli sembra il caso, invece.
“Io
vorrei diventare uno splendido eroe insieme a te. Perché so che anche tu hai il
talento per diventarlo. Sei una persona fantastica, Shota,
solo che non lo riesci a vedere! Ti fissi di non essere all’altezza, di non
essere degno, di non avere il quirk giusto. Rilassati,
amico mio! Diventerai un eroe prezioso, io ne sono certo!”
Aizawa,
a quelle parole, per un attimo rimane perplesso. Gli zigomi sono caldi, ma è
sicuramente colpa della febbre e quindi va tutto bene.
Gli
occhi, però, svicolano da quelli splendenti di Shirakumo.
Lui
non sa quello che dice.
E’
il primo, lui, che non riesce a vedere. A non vedere quanto è lui, a splendere.
Aizawa
può solo sforzarsi per stargli dietro.
Ma
gli sta anche bene così. Perché Shirakumo se lo
merita.
Se
può anche solo un po’, anche solo una volta, rendersi utile, allora tutta
quella fatica non sarà stata vana.
Se
un giorno, in futuro, riuscirà a fare qualcosa che possa rendere orgoglioso Shirakumo anche solo un po’, allora ne sarà valsa la pena.
Se
da adulti potrà guardare il suo migliore amico, suo fratello, negli occhi, e
sorridere con serenità, allora tutta quella fatica avrà avuto un significato.
Ad
Aizawa non è mai importato essere famoso. Non gli è mai, mai importato farsi
ben vedere dalle telecamere.
Nessuno
lo conosce, se non i suoi colleghi a scuola o alla polizia.
Ma
è giusto così.
Perché
quello che ha fatto ha salvato delle vite, ha aiutato delle persone. Ha aiutato
a far tornare il sorriso alla piccola Eri, e questo è sufficiente.
Non
ha mai voluto splendere, Aizawa.
Non
è nel suo destino, splendere. Non da solo, non più ormai.
Ma
se potrà aiutare a nascere degli eroi che potranno farlo, allora andrà bene.
Ha
pensato per anni, da quando Shirakumo è morto, che
quella fosse la sua unica aspirazione, adesso. Aiutare a crescere e formarsi
gli eroi del domani.
Eroi
che possono splendere davvero, per capacità, spirito e morale.
Quando
i suoi occhi si chiudono sulla schiena di Midoriya,
Aizawa sorride.
Forse,
c’è riuscito.
No,
non lui.
Midoriya c’è riuscito. E
lui è fiero.
Non
ha potuto aiutare Shirakumo a diventare il grande
eroe che sognava d’essere, non ha fatto in tempo, non ha saputo aiutarlo. E’
morto, e ormai è troppo tardi per lui, probabilmente.
Anche
se lo spera, lo spera ancora con tutto se stesso.
Spera
ancora di poter tornare a combattere, e sorridere, con lui.
Ma
a prescindere da questo, forse Shirakumo non potrà
più diventare un brillante eroe, no. Ma Midoriya sì.
Midoriya ha tutte le
caratteristiche per farcela.
Ora
lo vede. Lo vede chiaramente.
Gli
andrebbe bene anche così, la sua vita è servita a qualcosa, è stato utile e gli
andrebbe bene così.
Ma
non può.
Ha
un altro eroe da aiutare. Un’altra bambina da far crescere.
Non
può abbandonare Shinsou.
E, ancora di più, non vuole
abbandonare Eri.
Sembra
sciocco, forse lo è, ma è il suo l’ultimo volto a cui pensa.
Midorya maturerà anche
senza di lui.
E
Shinsou, lui ha potenziale e l’ha dimostrato.
Così
come i suoi studenti, tutti.
Ma
quella bambina, quella bambina ha bisogno di lui.
Si
è sempre reso utile, sempre impegnato, in ombra, ma sempre presente.
E
adesso, a trentatre anni, qualcuno ha bisogno davvero di lui. O chissà, forse è
solo lui a sperarlo.
Forse
gli piacerebbe e basta, che quella bambina avesse davvero bisogno di lui,
nonostante Mirio, Midoriya
e All Might.
Perché
le vuole bene. Ha di nuovo chinato la testa a quel sentimento, anche se non
avrebbe voluto.
Non
serve, è deleterio.
Ma
lei è entrata a gamba tesa. Piccola, spaurita, ma ben tesa.
“Signor Aizawa...”
Se
non altro, perché lui è l’unico a poterla aiutare a controllare il suo potere.
Doveva
imparare, è l’unico modo, l’unica
speranza per ridare il quirk a Mirio.
E in generale, è meglio che lo controlli piuttosto che rischiare di perdere il
controllo e fare del male a qualcuno.
Non
se lo sarebbe mai perdonata.
E
quella bambina ne ha già passate troppe.
Gli
piacerebbe...che non perda più il suo sorriso. Merita di essere felice.
E
lui vorrebbe essere ancora presente, per lei.
Ed
in fondo è merito suo se è riuscito ad affrontare quella situazione con
freddezza e compostezza.
“...non muoia, per favore, signor Aizawa.”
--
“Andiamo,
Erichan,” mormora All Might, prendendo la mano della bambina.
Eri,
però, stringe un’ultima volta quella di Aizawa, per salutarlo.
Chiyo ha detto che
non è in pericolo di vita, ma le sue condizioni non sono buonissime. Non è
Aizawa l’unico ritornato in fin di vita, quella guerra ha causato perdite e
sofferenze inaudite nelle fila degli hero.
E
l’idea che possa non aver portato a nulla lo uccide più della consapevolezza
che non ha potuto fare niente, che se ne è dovuto rimanere al sicuro sotto il
tetto della Yuuei mentre gli altri combattevano.
Mentre
Aizawa dava ogni energia per i suoi studenti, quasi perdendo un occhio,
arrivando a tagliarsi un piede.
E’
stima profonda quella che prova per lui.
Aizawa
è un grande eroe, immenso.
“Signor
All Might, guardi!”
Toshinori riabbassa gli
occhi sulla bambina, a quel richiamo, “Che succede, piccolina?”
“Si
è mosso! Ha stretto la mia mano! Ha visto? Perché non si sveglia?”
“Non
è così semplice.”
“Ma
la signora col bastone l’ha curato, vero? Ha detto che non morirà.”
“Non
morirà senz’altro, Erichan.”
“E
allora perché non si sveglia?”
Toshinori si abbassa
sulle ginocchia, un po’ a fatica, per essere alla sua altezza.
Gli
occhioni scarlatti di Eri sono carichi di lacrime,
rossi per quelle versate anche nei giorni passati.
Ha
pianto tanto, fin da quando li ha visti combattere in televisione, al
telegiornale. E’ scoppiata in lacrime, preoccupata e spaventata per Midoriya e Aizawa.
Quando
sono tornati entrambi feriti, in un primo momento è corsa da Midoriya, abbracciandolo stretto.
Ma
si sarebbe ripreso, il ragazzo. Per lo meno fisicamente.
Avventato
e folle, era stato, ma coraggioso, eroico e fortunato, senz’altro.
Quando
aveva capito che Midoriya sarebbe stato benone –anche se All Might
è ancora preoccupato per lui-, si era piazzata al capezzale di Aizawa e se non
fosse stato per lui, Deku e Mirio
che la portavano via a turno, pur di non farla stare tutto il giorno in
ospedale, non si sarebbe più mossa.
Si
è davvero affezionata, ad Aizawa. Innegabile e impossibile dire il contrario.
Dopotutto,
è normale sia così.
Da
quando vive al dormitorio degli insegnanti, è con Aizawa che ha più contatti. Ci
sono anche gli altri, ma è Aizawa che si è preso a carico la bambina.
Per
via del suo quirk, certo.
Ma
ha preso la cosa molto, molto seriamente.
Le
sta insegnando a leggere e a scrivere. Si è vestito da Babbo Natale per lei, a
Natale. Ogni sera la accompagna in stanza, le rimbocca le coperte e lascia
sempre la porta socchiusa cosicché, dice lui, in caso di incubi può sentirla,
avendo la camera di fianco.
E
anche per far entrare il gatto, Sushi, se avesse voluto andare a farle
compagnia, visto che la bambina si divertiva molto, in sua presenza.
Col
passare dei giorni, dei mesi, Aizawa ha iniziato a comportarsi sempre di più
come un padre, con lei.
Un
padre protettivo ed estremamente orgoglioso.
“Lasciamolo
riposare, Erichan. Sono sicuro che domani sarà sveglio.”
Eri
sospira, si allunga come può come a volergli rimboccare le coperte, anche se
non ci arriva, “Lo ha detto anche ieri...”
“Domani
forse è il giorno buono.”
Eri
annuisce, seppur sembra tutt’altro che convinta, prende di nuovo la mano di All Might per seguirlo e lascia
andare Aizawa con un’ultima occhiata.
“Il
suo piede non tornerà, vero?”
“Temo
di no, piccolina.”
“Ma camminerà, vero? Camminerà di nuovo?”
“Certo
che sì. Ci sono molte tecnologie che lo permettono.”
“Se
solo sapessi usare meglio il mio potere...”
“Non
pensare a queste cose, giovane Eri. Un giorno imparerai, e il tuo potere sarà
di grande aiuto.”
“Anche
Deku-san lo dice sempre.”
“E
sarà così, vedrai.”
Eri
annuisce di nuovo, più sicura di prima, attaccandosi per un attimo al braccio di
Toshinori, “Sì, e quando ci riuscirò la prima persona
che voglio aiutare è il signor Aizawa!”
Yagi non risponde,
si limita a sorriderle teneramente e carezzarle i capelli, mentre raggiungono
la macchina per lasciare l’ospedale.
Giustamente,
la piccola si preoccupa solo di quello che vede. Delle braccia di Midoriya, della gamba di Aizawa. Forse, effettivamente, è
abbastanza empatica da aver capito che Deku non sta
bene neanche emotivamente, ancora scosso da quella guerra, quanto e più di
tutti gli altri.
Quello
che di Aizawa preoccupa All Might,
però, non è affatto quel piede che non c’è più, ma che può essere rimpiazzato.
Sono
gli occhi.
Non
sanno neanche come stanno, gli occhi di Aizawa.
Su
di essi, Chiyo non ha avuto coraggio di pronunciarsi.
Se
avesse perso la vista, chi potrebbe aiutare Eri col suo potere? In generale, se
fosse rimasto cieco Aizawa ne morirebbe.
Se
c’è una cosa che ha capito di lui, nel poco tempo in cui lo ha conosciuto, è
che Aizawa non ama sentirsi inutile. Tanto quanto non ama stare al centro
dell’attenzione e delle telecamere.
Per
questo motivo, quando finalmente Aizawa si sveglia, la prima cosa di cui si
preoccupa Hizashi è quella.
I
suoi occhi.
Deve
guardarlo. Deve vedere.
E
quasi cade sulle ginocchia nello scorgere le iridi nere fissarlo, sfibrate, sì,
ma ben vigili, vive.
Ci
vede.
Oh,
ci vede, grazie al cielo.
“Yo, Shota...”
E
Aizawa alza un sopracciglio, “Che fai lì per terra?”
Ah,
è caduto davvero sulle ginocchia, allora. Beh, poco male.
Con
tutta la pena che gli ha fatto prendere, quando se l’è visto sfilare sotto gli
occhi sulla barella diretto in ospedale, quello è il minimo.
“Niente,
è che da qui ho una visuale migliore...”
“Ma
di che stai parlando?”
“Certo
che sei bello vigile per avermi quasi spezzato il cuore, Shota!
Pensavo che fossi morto!”
Aizawa
volta il capo e fissa il soffitto, “Ah, per quello. Anche io pensavo di essere
morto.”
“Accidenti
a te, Shota!” si alza in piedi e lo raggiunge in un
lampo.
Però
non aggiunge niente, Yamada.
Non
c’è granché da aggiungere, allo sguardo cupo di Aizawa. Chissà che passa per
quel cervello incasinato.
“I
ragazzi stanno tutti quanti bene. Sono stati davvero in gamba. E anche Midoriya, Bakugou e Todoroki stanno bene. Li hai salvati, Shota.”
Aizawa
chiude gli occhi, “Loro hanno salvato me.”
“Sì.
Me lo hanno raccontato. E sono felice che lo abbiano fatto.”
Aizawa
sospira, poi si gira di nuovo verso di lui, “Dov’è finito il tuo inglese?”
Yamada per un attimo
sbatte le palpebre, poi, dopo un secondo di silenzio, scoppia a ridere. “E tu
di questo ti preoccupi?!”
Piangerebbe
volentieri, Hizashi, ma sa che se lo facesse davanti
ad Aizawa finirebbe per farlo preoccupare e rattristarlo anche se non lo vuole
dare a vedere.
E’
felice, che sia vivo.
Ha
avuto paura. Paura davvero.
Paura
di dover rivivere di nuovo il dolore provato con Shirakumo.
Ha
avuto paura anche quando Recovery Girl gli ha detto
che no, non rischiava più la vita.
Ha
avuto paura finché non ha rivisto quegli occhi neri, e se ne accorge solamente
adesso.
E’
felice, che sia vivo.
Dio,
quant’è felice.
Così
tanto che non gli viene neanche una parola in inglese.
“Papà!”
Aizawa
sgrana gli occhi, fissa la figurina di Eri dietro le spalle di Yamada e per un attimo gli manca il fiato.
Non
l’ha chiamato davvero così. Ha sentito male.
Deve
esserserlo immaginato. La bambina è sempre stata
molto educata e accorta, non si è mai presa certe libertà, neanche con Midoriya e Mirio.
Però,
forse proprio per questo, a una parte di sé che non vuole ascoltare perché va
completamente contro il suo carattere, essere chiamato così piacerebbe.
Chissà
se è così, che si sente davvero un padre.
In
grado di fare qualunque cosa, anche amputarsi un arto, per un figlio. Lui l’ha
fatto per i suoi studenti, sì, per il suo essere un eroe, sì.
Ma
è stata Eri ha dargli la forza.
Solo lei.
“Signor
Aizawa! E’ sveglio!”
Aizawa
si rilassa sul cuscino, vorrebbe lanciare una delle sue emblematiche
occhiatacce a Yamada, che se la sta ridendo, o a All Might, che sorride intenerito
sull’uscio della porta.
Se
lo è immaginato, forse, sì.
Ma
chissà che faccia ha fatto quando ha sentito la voce della bambina.
Che
sciocco.
Eri
corre verso di lui, è pronto a metterle una mano fra i capelli e dirle di stare
tranquillo ma lei lo stupisce di nuovo.
Usa
la sedia come perno per salire sul letto e lì si sbilancia verso di lui e lo
abbraccia, stretto. Ha le lacrime agli occhi e trema.
Anche
ad Aizawa trema la mano, che è rimasta sospesa a mezz’aria.
“Sono
contenta! Pensavo che non si sarebbe più svegliato, anche se la signora col
bastone aveva detto di sì!” pigola, stringendo nei pugnetti
il camice che indossa, “Non ho capito bene tutto quello che è successo durante
la battaglia in televisione, ma ho avuto paura che non sareste più tornati! Lei
aveva detto...che sarebbe stato via poco,” mormora ancora, strofinando il
visino sul suo petto, “Sono contenta.”
E
Aizawa abbassa la mano, finalmente. Gliela poggia sul capo e, anche se
normalmente avrebbe agito in maniera diversa, si limita a carezzarle i capelli,
senza allontanarla da sé.
“Sta
tranquilla. Per ora è tutto passato.”
“Per
ora?” Eri si stacca da lui, continuando però a stringergli fra le mani la
casacca. Lo sguardo scarlatto, lucido e tremolante, si posa sul moncherino.
Su
quello che non c’è più, lì sotto quelle lenzuola.
“Deve
andare di nuovo a fare qualcosa di pericoloso?”
“E’
il mio lavoro.”
“Però,”
soffia, chinando il capo, “Si è già fatto tanto male...”
“Guarirò.”
Eri
annuisce, allenta i pugni lasciando andare la stoffa ma, al suo posto, afferra
una delle mani di Aizawa e la stringe.
“Mi
dispiace.”
Aizawa
inarca un sopracciglio, perplesso. Il suo corpo si muove in automatico, non
riesce più a controllarlo, ormai. Non sa che cosa gli prende.
Che
effetto gli fa Eri.
Forse
tirava fuori il meglio di lui. Forse il peggio.
Un
lato che comunque non riconosceva da tempo, in sé.
Sta
di fatto che ricambia piano la stretta della piccola, carezzandogli la manina
col pollice e alzandole il volto con l’altra mano per potersi specchiare in
quegli occhi così grandi, puri e amorevoli come solo un bambino sa essere.
“Di
cosa ti dispiace, Eri?”
“Di
non poter aiutare.”
Aizawa
sospira, ha la decenza di fare un cenno a quei due impiccioni di sparire dalla
sua vista appannata e torna a concentrarsi sulla bambina, che prende da sotto
le ascelle e si fa sedere sulle gambe.
Il
moncone pulsa.
Lo
ignora.
Eri
è più importante.
“Non
è tuo compito aiutare su queste cose, Eri. Tu hai già fatto troppo, e visto troppo.”
“Ma
se sapessi controllare il mio potere, potrei aiutare. Potrei...curare del tutto
le braccia di Deku-san e...il suo piede.”
“Il
mio piede sta benissimo.”
“Non
c’è più...”
“Non
importa,” sospira Aizawa, carezzandole i capelli proprio vicino al corno. Si
sta facendo di nuovo più grande.
Per
fortuna non ha perso la vista, né il quirk, o è lui
quello che non avrebbe potuto aiutare lei. Lei che è ancora una bambina, già
così cosciente delle crudeltà del mondo, che già ne ha viste troppe. E loro
continuano a farle vedere troppo.
Come
è venuto in mente a All Might
di guardare il telegiornale con lei accanto?
Come
potranno cancellare ancora una volta quella paura e quella preoccupazione
profonda e cupa che di nuovo le oscurano lo sguardo?
Dovrebbe
sentirsi protetta, con loro. Al sicuro e forse, sperava, anche felice.
Invece
no.
Tanto
da desiderare di agire anche lei.
E
non è ammissibile. Ha solo sette anni.
“Io
però...-”
“Ascolta,
Eri,” la interrompe lui, “Ascolta. Ti prometto che troveremo un modo per capire
come controllare il tuo potere, e finché io sono qui, non dovrai preoccuparti
di nulla. Non sta a te fare queste cose.”
“Voglio
rendermi utile!”
Lo
sa, Aizawa. Quante volte l’ha pensato, quante volte è stato il suo unico
obiettivo, quello.
“Lo
farai. Ma non adesso. Adesso il tuo unico compito è imparare.”
“Quando
imparerò, aiuterò anche lei, signor Aizawa!”
E
Shota abbozza un sorriso, gli angoli della bocca
virano appena verso l’alto in maniera quasi impercettibile.
Ma
c’è. E Eri lo vede, sorridendo a sua volta.
“Se
è così, però, deve stare attento a non farsi troppo male. Perché deve tornare,
sempre.”
“Hai
ragione,” sospira Aizawa, “Ti chiedo scusa.”
“Perché?”
Aizawa
tace. Non ce la fa.
Non
ce la fa a dirlo a voce.
La
prende di nuovo di peso e la fa scendere dal letto, indicandole il comodino, “Quel
confusionario ha portato un cesto di frutta. Dovrebbero esserci anche delle mele.”
“Oh,
sì!” si illumina Eri, “Ne mangiamo una? La vuole anche lei?”
“Sì.
Prendi anche il coltello, te la sbuccio,” snocciola.
Vorrebbe
dirle di smetterla di chiamarlo Signor Aizawa, che può chiamarlo in qualsiasi altro
modo le pare, e che anzi, gli farebbe piacere.
Invece
si limita a farsela risedere accanto e le sbuccia la mela.
“Le
fa male?”
“Cosa?”
“Il
piede.”
“No,”
mente, passandole uno spicchio, “Smetti di pensarci.”
Eri
prende la mela, ma per un attimo si limita a tenerla in mano e fissarla, “Non
ci riesco. Non voglio...che lei si faccia male.”
“Non
mi farò male.”
“Per
ora,” ribatte lei, riprendendo quanto detto prima da Aizawa stesso.
Nel
momento in cui Shota fa per ribattere per l’ennesima
volta, Eri scuote il capo con forza, come se volesse scacciare un cattivo
pensiero.
Si
siede sulle ginocchia con ancora la mela in mano e lo guarda.
E’
seria.
Serissima.
“Il
signor All Might ha detto
che potrebbe farle piacere se la chiamassi in un modo,” dice di punto in
bianco, “Io non so bene come sia perché non ne ho mai avuto uno vero, ma voi
siete i miei eroi e visto che adesso non posso rendermi utile, se questa cosa
può farle piacere la chiamerò così. Se a lei va bene.”
Aizawa
inarca le sopracciglia. In cosa si è intromesso, adesso, quell’altro impiccione
di Toshinori? Mai nessuno, in quella scuola di pazzi,
che si facesse i fatti propri.
In
che modo potrebbe volere che la bambina lo chiamasse, secondo lui?
Va
benissimo così, in fondo.
Ma
non per Eri, che lo abbraccia ancora, ma stavolta senza piangere né tremare.
“Ti
voglio bene, papà.”
E
Aizawa si blocca di nuovo, fissa il muro davanti a sé e per un lungo,
interminabile istante il suo cervello non è in grado di formulare alcun
pensiero.
Stavolta
non se l’è immaginato.
L’ha
detto.
L’ha
chiamato papà.
Angolino Autrice:
Non è detto che la saga finisca bene come l’ho predetta –in verità è una speranza, ma mi sento che sarà molto
peggio, molto molto peggio-
Ma già Aizawa ha sofferto tanto, troppo, e volevo tenermi leggera almeno su
questo.
Dopo gli ultimi capitoli DOVEVO scrivere qualcosa su di lui, per lui.
Spero che Horikoshi abbia pietà. Lo spero davvero,
per lui eh, perché ho già pronti i biglietti di sola andata per il Giappone e
ho già messo la mazza chiodata in borsa! *sorriso angelico*
AIZAWA NON SI TOCCA, DANNATO!
Sensei T.T
Me ne vado in lacrime,
Un bacione,
Asu