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Autore: GuapaLocaa    13/09/2020    1 recensioni
[Spoiler 7x13]
Bellarke - Clarke POV
What if? - Missing moments
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Come si comporta la testa quando perde il suo cuore?
Come la maggior parte del fandom non riesco ad accettare che Bellamy sia morto in questo modo, come un traditore e soprattutto solo, ucciso dalla persona che ama. Questo è il mio modo di sfogare la frustrazione.
Così è come spero che si senta Clarke dopo aver fatto quello che ha fatto, così è come spero che vadano le cose.
Un What if per celebrare il mio amore per questo personaggio, sperando di restituirgli la dignità che merita.
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May we meet again Bellamy
Yu gonplei ste odon
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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The head without the heart

Clarke cadde a terra, sulle ginocchia, come in trance; il rumore dello sparo impresso a fuoco nella mente.
Era avvenuto tutto in pochi secondi e, prima ancora che potesse rendersene conto lei stessa, piena d'adrenalina, aveva premuto quel dannato grilletto.
Lo aveva centrato in pieno petto, in quel cuore così grande che più volte aveva lodato o addirittura invidiato.
Maledetto Blake, perché non si era spostato? Poteva evitare il colpo ed invece era rimasto lì, immobile, con gli occhi fissi nei suoi.
L’aveva guardata, l’aveva guardata e non aveva avuto paura, non aveva esitato, neanche per un momento, neanche quando aveva capito che era troppo tardi.
Lo aveva avvisato di non metterla alla prova ma lui non le aveva creduto. Si era fidato della sua migliore amica e compagna di avventure di una vita, la sua co-leader che, fin dal giorno uno, lo aveva affiancato nella guida di quei cento delinquenti che erano diventati la loro seconda famiglia.
Neanche per un momento aveva esitato di fronte alla grande Wanheda, perchè lui era l'unica persona al mondo che non si era lasciata impaurire dalla sua aria da dura, che non l'aveva mai trattata come lo spietato Comandante della Morte che era diventata, continuando a vederla, piuttosto, come quella ragazzina impaurita, quasi diciottenne, a cui aveva insegnato a tenere in mano un fucile per la prima volta.
Lui confidava nel fatto che lei non sparasse davvero e, ancora una volta, aveva sbagliato su tutta la linea.
Aveva ucciso l'unica persona che non aveva mai smesso di credere in lei, che l'aveva appoggiata nelle situazioni più difficili, l'unico che aveva scoperto l'inganno di Josephine, che teneva a lei così tanto da rifiutarsi di lasciarla andare, riportandola indietro dal mondo dei morti; lo stesso uomo a cui lei, dopo il Praimfaya, aveva parlato attraverso una radio ogni singolo giorno per sei anni, e il cui corpo adesso giaceva lì, inerte, sul pavimento del grande salone, circondato da una pozza di sangue.

Nemmeno alle sue orecchie c’era ragione che suonasse abbastanza convincente da giustificare il peccato che aveva commesso, la scelleratezza delle sue azioni.

Lo aveva fatto per Madi, si ripeteva, senza credere troppo ai suoi stessi pensieri.
Se non gli avesse sparato, lui avrebbe confessato tutto al Pastore e la vita di chi aveva di più caro al mondo sarebbe stata nuovamente in pericolo.
Lo aveva fatto perché era necessario, inevitabile. Lo aveva fatto per dimostrare a sé stessa che la testa doveva sempre vincere sul cuore, ma ora che il suo cuore non batteva più non ne era poi così sicura.
Clarke si sentiva avvolta in una bolla, svuotata di tutto, non si curava neanche più del quaderno di Madi abbandonato accanto al cadavere di quello che era stato l'uomo più importante della sua vita dopo suo padre o del portale che stava per chiudersi alle sue spalle; gli occhi vitrei fissavano attoniti la macchia rossa che si spargeva sulla candida tunica di Bellamy. Era stanca di combattere, di dover perdere le persone che amava una dopo l'altra. Il nuovo inizio che Monty ed Harper avevano sperato per loro non si era rivelato altro che l'ennesima guerra da guidare, l'ennesima prova di sopravvivenza e lei aveva smesso da troppo tempo ormai di contare tutte le volte in cui aveva dovuto fare del male a qualcuno per sopravvivere.
Quel re ribelle che durante l'atterraggio sulla terra l'aveva sfidata al grido di "facciamo quel che diavolo vogliamo" era stato l'unica vera ragione per cui Clarke era sempre rimasta a galla senza affogare nei sensi di colpa: aveva condiviso con lei il peso della corona in modo che nessun altro dovesse sopportarlo.
Insieme ne avevano passate così tante da riuscire a perdonare l'una gli errori dell'altro, anche se si fosse trattato di un crimine così grande da schiacciare la propria coscienza. Quando nemmeno la stessa Clarke era riuscita ad assolvere sé stessa, il più grande dei Blake lo aveva fatto per lei.

Quella sensazione di pace, quel perdono che tanto agognava lo aveva trovato soltanto in Bellamy.
Non l'aveva mai abbandonata; aveva sfidato un intero esercito per lei, si era fidato. Aveva salvato il suo cuore ma, quando più aveva avuto bisogno di lei, Clarke non era stata capace di salvare la sua testa: si era arresa senza nemmeno provarci.
Aveva scelto la strada più facile perché, a dir tutta la verità, la grande Wanheda era la peggiore dei codardi e aveva paura di cedere a quei sentimenti a lungo celati nell'angolo più recondito delle sue viscere e, adesso che l'altra metà della sua anima non c'era più, si domandava se avesse veramente senso continuare a sopravvivere.

La risposta, nella mente della bionda, si faceva ogni istante più chiara.
Stava facendo la scelta giusta per porre fine a quel ciclo di dolore che aveva provocato a troppe persone.
Per una volta sola, nella sua vita, Clarke mise a tacere la testa.
Strinse la presa sul calcio della pistola rimasta nella sua mano, la puntò alla tempia e per la seconda volta premette il grilletto.

Aprì gli occhi, poi battè le palpebre una, due, tre volte: l’arma si era inceppata.
Ancora una volta il destino si stava facendo beffa di lei.
Forse non meritava l’eterno riposo, si disse; forse questa era la giusta pena per espiare tutte le sue colpe: una vita di sofferenza in cui avrebbe dovuto convivere col rimorso.

Un colpo di tosse, debole, in lontananza ruppe l’eco dei suoi pensieri.

Si voltò istantaneamente verso Bellamy. Non era morto.

Non era morto.

Cercò di metabolizzare l’informazione: c’era ancora speranza.

Forse, dopotutto, non era ancora pronta a lasciare questo mondo. La testa aveva ancora un cuore che batteva per lei.
  
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