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Autore: ASelba    21/09/2020    8 recensioni
[Storia interattiva, iscrizioni aperte fino al 20/10]
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Fabrizio sospira e osserva ad occhi socchiusi l’affresco sulla parete principale del nostro tablinum: la figura minuta di Ulisse si slancia contro il ciclope Polifemo, supportato dai compagni superstiti. Sono stato io a dipingerlo personalmente anni fa, una volta saputo essere uno dei suoi episodi preferiti dell’intero poema. Non sono così presuntuoso da pensare che il mio operato sia migliore degli artigiani più esperti, ma è di sicuro notevole paragonato alla mediocrità che sembra affliggere le botteghe di Roma.
«Secondo te ha avuto paura, prima di morire?» Mi chiede.
«Non saprei.» Gli dico. «Tutti gli uomini hanno paura della morte, in fondo.»
[...]
Ottaviano arriva un mese più tardi a Roma, e per la prima volta riesco a dare un volto al nome che ormai è sulla bocca di tutti.
È un ragazzino. L’armatura copre un corpo che non ha ancora finito di crescere, le spalle sono magre, il viso un arco affilato incorniciato da capelli biondissimi.
Si dice che gli uomini straordinari siano amati dagli dei. In quel momento, seppi che Ottaviano era uno di quelli.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Semidei Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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The Golden Imperator

I


L’ultima volta che vediamo Cesare, è durante i Lupercalia. È una giornata abbastanza fredda, di fine inverno, e le pietre della strada sono scivolose sotto i sandali. Fabrizio mi segue, nonostante gli abbia detto di restare al fianco di sua madre, la mia signora. Le donne della nostra casa ci precedono di qualche passo, ma con la folla che si riversa tra le botteghe e gli archi del Foro è difficile rimanere uniti.
            «Stammi vicino.» Dico, allungandogli una mano sulla spalla.
            «Non vado da nessuna parte!»
            Nonostante le sue parole, devo trattenerlo affinché non si spinga in avanti e corra tra le prime file. Si è fatto più alto in questi mesi, ma è pur sempre un bambino, con le gambe magre e le ossa spigolose che gli premono da sotto la pelle. La tunica che indossa è ancora bordata di porpora, e il bordo della camicia che tiene sotto gli sporge dalle pieghe del colletto. Il vento gli ha spettinato i capelli, rendendo inutile il lavoro degli schiavi di questa mattina.
            Sospiro e lo seguo.
            I Lupercalia sono l’ultima festa dell’anno e durano tre giorni. I sacrifici si mischiano ai festeggiamenti della popolazione, e la città sembra instancabile e piena di vita ad ogni ora, anche nel pieno della notte. Non amo la confusione, ma le tradizioni vanno osservate e gli dei onorati.
            Fabrizio raggiunge la madre ridendo, e scalpita per allungare la testa verso la strada. La mia signora sorride, gli sistema la catenina della bulla che indossa e con un gesto amorevole lo avvicina a sé. Mi avvicino, ma rimango un passo dietro loro.
            Non passa molto tempo prima che i luperci arrivino in città, per la parte finale della loro corsa. Ci sono ragazzi snelli e uomini dalle spalle larghe; hanno i corpi cosparsi di grasso e i volti impiastricciati di fango, i fianchi stretti nelle pelli delle capre sacrificate per l’occasione. Rallentano il passo e si avvicinano alla folla, agitando le fruste che tengono in mano. Dall’altra parte della strada, una ragazza mostra fieramente il ventre gonfio dalla gravidanza, aspettando di essere colpita: è un’usanza antica come il mondo, e si dice favorisca la fortuna e la fecondità.
            Anche Fabrizio e la mia signora allungano i palmi verso la strada. Il luperco che li raggiunge è un uomo alto, con i capelli tenuti corti come quelli dei soldati. La sua espressione è mascherata dallo sporco che ha sul viso, ma i suoi occhi sono vivaci e scuri come quelli di una lince, estremamente divertiti. Agita la frusta e Fabrizio ride quando lo colpisce appena sulle mani.
 

Alla fine della corsa, Marco Antonio tiene un discorso molto sentito. I suoi modi sono eleganti e le parole raffinate come quelle di un poeta, a discapito della rozzezza di cui si racconta sia capace. È pur sempre vero che parlare tra i soldati è diverso che farlo a una folla. Fabrizio ascolta con attenzione, il suo viso è rosso per il freddo invernale e le dita giocano distrattamente con l’orlo della sua tunica. Percepisco la sua ammirazione senza che dica nulla.
            Cesare è seduto su un trono dorato, vestito di porpora e con una corona di alloro posata sui capelli fini. Siamo lontani e il suo viso rimane solo una macchia confusa, ma la sua postura tradisce anche la sua espressione. Marco Antonio si volta verso di lui, ancora avvinghiato da luperco, e gli porge un diadema decorato come dono. Per un’istante, Cesare sgrana gli occhi. Rifiuta.
            Non sono nato a Roma. La mia patria è fatta di rocce aguzze e sgraziate, coste frastagliate, paesaggi brulli e città di marmo. Ma la Grecia non è poi così diversa dall’Italia, e gli uomini restano pur sempre uomini, che siano schiavi o grandi dittatori. E non mi serve essere un uomo libero per capire l’associazione implicita in una tale dimostrazione. Cesare come Romolo. È un pensiero aberrante, pericoloso anche solo da pronunciare.
            Ci sono molte cose non dette, perché dare forma alle parole rende le cose vere. Lepido, in piedi accanto a Cesare, stringe i pugni sulla sua veste, livido. Marco Antonio si getta in ginocchio, alza la corona dorata e la folla si esibisce in fischi di scherno e grida indignate. Il rifiuto di Cesare viene coperto dalle proteste, rimane un cenno muto nell’aria del pomeriggio.
            Gli uomini sono tutti uguali nei loro desideri. E so che, se avesse potuto, avrebbe accettato.

 
Fabrizio sospira e osserva ad occhi socchiusi l’affresco sulla parete principale del nostro tablinum: la figura minuta di Ulisse si slancia contro il ciclope Polifemo, supportato dai compagni superstiti. Sono stato io a dipingerlo personalmente anni fa, una volta saputo essere uno dei suoi episodi preferiti dell’intero poema. Non sono così presuntuoso da pensare che il mio operato sia migliore degli artigiani più esperti, ma è di sicuro notevole paragonato alla mediocrità che sembra affliggere le botteghe di Roma.
            «Secondo te ha avuto paura, prima di morire?» Mi chiede. I suoi occhi vagano ancora sulla scena, ma capisco a cosa si riferisce. La notizia dell’assassinio di Cesare ha raggiunto ogni angolo della città, veloce come i piedi di Mercurio. Un atto di una brutalità estrema, che mi stringe lo stomaco dal fastidio.
            «Non saprei.» Gli dico. So che si aspetta una risposta di un certo spessore, ma non ho nulla del genere da dargli; non questa volta. «Tutti gli uomini hanno paura della morte, in fondo.»
            Fabrizio annuisce piano. Mi aspetto un’altra domanda, ma non arriva nulla.
 
 
Si dice che gli uomini straordinari vengano amati dagli dei.
            È una credenza come un’altra, un conforto per l’animo irrequieto, una storia sussurrata nelle orecchie di un bambino che fa fatica ad addormentarsi.
            Cesare era un uomo straordinario ma l’amore degli dei non lo ha salvato, perché lo hanno ucciso lo stesso. Fabrizio mi dice questo durante una delle nostre lezioni, e so che è un pensiero che ha indugiato a lungo nella sua mente, giorni interi, ma che solo ora, nella confortante intimità della nostra casa, trova forma.
            Dovrei rimproverarlo per una frase del genere, ammonirlo. La presunzione è la rovina degli uomini, e gli dei restano pur sempre dei; immortali e vendicativi. Non si può cambiare l’ordine naturale del mondo.
            Eppure non dico nulla. Ho pregato mentre mi laceravano la schiena a frustate, facendomi schiavo. Ho urlato e implorato col sangue e le lacrime mentre mi trascinavano via dalla mia amata Rodi.
            Nessuno ha ascoltato le mie suppliche.

 
Ottaviano arriva un mese più tardi a Roma, e per la prima volta riesco a dare un volto al nome che ormai è sulla bocca di tutti.
            È un ragazzino. L’armatura copre un corpo che non ha ancora finito di crescere, le spalle sono magre, il viso un arco affilato incorniciato da capelli biondissimi.
            I suoi soldati lo seguono in fila; al suo fianco cammina un ragazzo altrettanto giovane. Non è a cavallo e i suoi passi sono sicuri, anche se zoppica appena strascicando i sandali sul ciottolato.
            C’è qualcosa di indecifrabile nella sua espressione, qualcosa che mi innervosisce. Ha gli occhi più chiari che abbia mai visto, simili a vetro, induriti da una risoluzione che non dovrebbe appartenere a qualcuno della sua età.
            Le persone si voltano nella sua direzione, liberano il passaggio. Mentre cammina sopra la sua testa la luce si fa più abbagliante, il sole della mattina sfolgora e gli riempie i capelli di luce, li rende simili a oro, come una benedizione.
            Si dice che gli uomini straordinari siano amati dagli dei. In quel momento, seppi che Ottaviano era uno di quelli.


 

Note 
Lupercalia: Antica festività romana. Si celebrava a febbraio, dal 13 al 15, giorni considerati funesti, in onore del dio Fauno nella sua accezione di Luperco, cioè protettore del bestiame ovino e caprino dall’attacco dei lupi. Le celebrazioni comprendevano vari passaggi, nella prima parte venivano sacrificate delle capre e un cane, dalla cui pelle si ricavavano poi le vesti dei luperci e le loro fruste. Nella seconda parte, si svolgeva una corsa attorno al Palatino, intesa come un rito di scongiuro. Era l’ultima festività dell’anno, in quanto per i romani l’anno nuovo iniziava il primo marzo.
 
Luperci: Erano i sacerdoti dei lupercali. Divisi in due e, durante Cesare, in tre gruppi, erano sotto la guida di un unico magister. Il loro compito era quello di correre e saltare colpendo il terreno e le persone in cui si imbattevano, in particolare le donne incinte, per propiziare la fortuna e la fertilità. Si racconta che, in occasione dei lupercali del 44, Marco Antonio fosse tra i luperci.
 
Bulla: Amuleto di buona fortuna indossato dai bambini. Serviva a proteggerli dalle malattie e veniva abbandonato una volta raggiunta l’età adulta. Era comunque gelosamente custodito e in alcune occasioni poteva essere indossato ancora, per esempio per le cerimonie pubbliche o l’elezione a generale dell’esercito. Poteva essere di vario materiale, in base alla posizione sociale, e si andava dall’oro al cuoio o al metallo. Le bambine indossavano invece la lunula, un pendente a forma di mezzaluna.
 
Tablinum: Era un ambiente della domus, di solito adibito a studio o a biblioteca. Qui il padrone della casa poteva amministrare i suoi affari oppure, come in questo caso, i precettori potevano fare lezione ai bambini della casa o ad altri schiavi, secondo le disposizioni che venivano date.
 

 
Buongiorno a tutti!
 
Ringrazio intanto per essere passati. Era da un po’ che avevo in mente questa ideuzza, e alla fine mi sono convinta e l’ho messa per scritto. Lo so da me che è un azzardo, ma tentare non nuoce, e chissà che non esca qualcosa di interessante.
Allora, partiamo dal presupposto che questa storia è un’interattiva. Ebbene sì! Lo so che da questo breve prologo non si percepisce, ma vi giuro che lo è! Avevo solo bisogno di introdurre un po’ l’ambiente e soprattutto il periodo storico.
La storia si svolgerà durante gli anni successivi alla morte di Cesare e l’elezione di Ottaviano Augusto come primo imperatore di Roma. Coprirà quindi il secondo triumvirato e la seconda (o terza, dipende da come calcolate Silla) guerra civile.
Ora, mi direte voi, tutto molto bello, ma cosa ci azzeccano i semidei qua dentro? Beh, zio Rick non si è mai speso troppo su come se la passassero i semidei nell’antichità, ma c’erano, e sicuramente non avevano un campo dove addestrarsi felicemente ed evitare di essere divorati dai mostri. Ma erano anche altri tempi e il culto era sicuramente più sentito quindi… Perché no?
 Ora, un po’ di informazioni puramente di servizio. Non ho idea di quanti personaggi mi servano (lo so, pessimo biglietto da visita) quindi credo mi calibrerò in base alla vostra partecipazione.
Potete mandarmi quante schede volete, non avete limiti, l’unica cosa che vi chiedo di rispettare sono alcuni punti che, per questione di coerenza storica, bisogna prendere in considerazione:

Età: dai tredici anni in su. A Roma il passaggio alla vita adulta avveniva verso i sedici anni (in alcuni quindici, come Virgilio, ma era raro!) quindi badate a questo quando create la scheda. Il cursus honorum era riservato solo ai cittadini della classe senatoria, quindi provenienti da famiglie patrizie. Si iniziava a diciassette anni, con dieci anni di servizio militare, e poi si poteva iniziare la carriera politica con le varie magistrature.
 
Discendenza divina: Vanno bene tutti, a parte le solite restrizioni per le dee vergini. Evitate le cacciatrici perché non penso di riuscire ad inserirle bene nella storia. Ovviamente, se il vostro personaggio è romano avrà discendenza da dei romani, ma volendo potete farlo anche greco, ovviamente discendente da greci. In questo periodo Roma ha province anche in oriente, perciò il vostro greco può vivere felicemente nella sua patria oppure essere in Italia.
 
Status sociale: potete sbizzarirvi quanto vi pare! Ovviamente a roma non c’erano solamente patrizi e plebei, ma una moltitudine di figure: soldati, mercanti, artigiani, venditori, schiavi, prostitute, artisti, oratori. Le donne, tralasciando le classi più agiate, lavoravano come gli uomini, potevano essere proprietarie di osterie, di tintorie o botteghe a conduzione familiare! Oppure c’era anche la sfera sacra, con sacerdoti e sacerdotesse, oracoli; oppure medici, indovini insomma, di tutto e di più!
 
Nomi: I nomi! Importantissimi, ovviamente devono essere adeguati al contesto storico. Molti nomi italiani derivano dal latino o dal greco, quindi vi basta cercare delle liste. Per i cognomi potete prendere in prestito quelli reali delle vere gens esistite se fate personaggi di un certo ceto sociale, altrimenti potete limitarvi solo al nome. Personaggi greci ovviamente con nomi greci!
 
Se avete qualche dubbio potete chiedere a me, oppure vi invito a fare qualche ricerca! Sono informazioni facili da reperire e magari vi divertite anche! Vi lascio, per ultimo, il templare da compilare. Se volete partecipare lasciatemi un commento indicandomi magari il numero di schede e la discendenza del vostro personaggio, insomma le solite cose ahah. Le schede mandatemele pure via messaggio privato, nominate così: The Golden Imperator- scheda (nome personaggio).
Spero partecipiate in tanti! Un bacione e alla prossima, si spera!

Selba <3

 
Nome:
Età:
Discendenza divina: (è consapevole di essere un semidio?)
Status sociale: (è ricco? Povero? Che lavoro fa o a che carriera aspira? È sposato, ha figli?)
Famiglia: (in vita oppure no? Ha parenti, amici stretti o conoscenze particolari come maestri o precettori a cui è legato?)
Breve storia personale: (se parlate di schiavi, come ci sono diventati? Se parlate di soldati, hanno già finito il loro addestramento? Sono figli di nobili mandati a studiare in qualche città greca? Hanno combattuto durante la guerra civile? Ecc…)
Descrizione fisica:
Descrizione caratteriale:
Partito: (La guerra civile vede Augusto e Marco Antonio fronteggiarsi e scontrarsi. Il vostro personaggio prende palesemente la parte di uno dei due? Fa parte dell’esercito di uno dei due, oppure è un politico che li sostiene? O è neutrale?)
Orientamento: (molto in generale. Considerate che i romani erano molto più aperti di noi, perciò non era strano avere rapporti con entrambi i sessi, ma il mondo è bello perché è vario e sicuramente c’erano delle preferenze.)
Altro:
   
 
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