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Autore: Ziseos    23/09/2020    1 recensioni
Sono passati due anni da quando la Resistenza ha sconfitto la flotta del Primo Ordine su Crait, e da allora si è preparata attendendo il momento propizio per porre definitivamente termine al suo dominio.
Alcune rimanenze della Repubblica cominciano a riemergere dall'ombra, ma la forza inoppugnabile del nuovo impero sembra soffocare qualunque tentativo di rinascita.
Dopo un lungo viaggio per la galassia alla ricerca di antiche reliquie jedi che possano accrescere la sua conoscenza, Rey arriva sul pianeta di Xirasìa e avverte un tremito nella forza: gli equilibri stanno nuovamente cambiando, qualcuno proprio come lei è minacciato, ed è suo compito proteggerlo dalle mire di Kylo Ren, che per tutti è ormai una figura fredda e sanguinaria.
Genere: Guerra, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kylo Ren, Rey
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
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CAPITOLO 1

L’ignoto

 

Pianeta Xirasía – Oltre l’Orlo Esterno

Fuori dall’oblò della navicella lo spazio sembrava silenzioso ed immobile come non mai, il suo buio intenso avvolgeva l’orizzonte per anni luce procurando un intensa sensazione di vuoto che pareva inghiottirla.
Era una visione rara, non le era mai capitato di trovarsi sospesa nel nulla più assoluto, lontana dalle potenti luci emanate da miriadi di pianeti intorno a lei. Eppure, era così.
Fu la prima volta in cui avvertì un senso di pace mai provato prima, le sembrò di essere distante dal suo corpo, lontana da tutto, dai suoi pensieri, dalle responsabilità … da lui.
Era di nuovo sola, dopo tanto tempo.
Se non fosse stato per quella sola luce di fronte a lei, l’unica che avesse visto ormai da giorni.
Xirasìa era un pianeta relativamente piccolo, rispetto a quelli che aveva visto fino a quel momento. Da lontano pareva avvolto in una costante foschia, che a stento lasciava intravedere il suolo perlopiù deserto, seppur costellato qua e là di macchie che indicavano la presenza di vegetazione.
L’unico sole del sistema era tremendamente lontano, tanto da non riuscire ad illuminare a sufficienza il pianeta stesso. Nonostante ciò, dopo giorni di buio assoluto, a Rey sembrò quasi accecante, tanto che dovette strofinarsi più volte gli occhi per permettere alla vista di metterlo a fuoco.
“Qui Rey. Mi preparo alla discesa verso Xirasìa, dovrei atterrare nel giro di pochi minuti.” – disse schiarendosi la voce e premendo un tasto per la configurazione olografica . Dall’altra parte si udì solo un crepitio di suoni, ma nulla di concreto che indicasse se avessero ricevuto il suo messaggio o meno.
Da quando era entrata nel sistema di Tsis Tau giorni prima, le comunicazioni erano state sporadiche e continuamente disturbate da forze gravitazionali che sfuggivano alla sua conoscenza. Era pur vero che quel settore era stato loro sconosciuto fino a quel momento, e recarsi lì era come fare un completo tuffo nell’ignoto.
Aveva quasi temuto di morire per davvero, dopo aver effettuato un salto nell’iperspazio per poter arrivare fin lì e ritrovarsi in mezzo al nulla … senza contare che uno dei motori della nave ne aveva risentito parecchio.
Forse ci avrebbe impiegato più di qualche minuto ad arrivare a destinazione.
Mentre la nave cominciava la sua lenta discesa verso il pianeta, Rey si voltò a guardare i suoi unici compagni di viaggio, se così avesse potuto definirli.
Non si separava mai da quei testi antichi, da quando li aveva prelevati dall’isola di Luke su Ahch-to due anni prima, ed erano diventati l’unico contatto per capire di più su quello che era lei stessa.
Jedi.
Quanti misteri ancora sentiva di dover risolvere su di loro.  Nei due anni trascorsi a viaggiare per la galassia alla ricerca di manufatti jedi, aveva approfondito la sua conoscenza sulla loro storia e sulla Forza stessa. Eppure le sembrava di perdere sempre qualcosa, per un insegnamento appreso  ve ne era subito un altro che non riusciva a comprendere e che pareva volerle sfuggire, come ad invitarla ad andare avanti, a scavare sempre più a fondo.
Forse quel giorno sarebbe riuscita ad aggiungere un altro tassello mancante, sentiva che delle risposte la attendevano sul pianeta che in quel momento era proprio sotto di lei.
 
Non appena la navicella entrò in contatto con l’atmosfera del pianeta, la coltre di nebbia che aveva visto poco prima sembrò dissiparsi mano a mano che si avvicinava al suolo; ad un primo sguardo le parve essere su Dantooine, date le lunghe distese di verde che la circondavano, puntellate qua e la da qualche albero vecchio e nodoso spogliato della chioma. Ma fu un paesaggio breve, perché poco dopo di fronte a lei apparve lo scenario che aveva immaginato.
Come descritta nei testi sacri, Xirasìa era una terra quasi magica. Uno strapiombo segnava la fine della zona più rigogliosa e dava inizio alla Conca degli Antichi, una sconfinata zona desertica formatasi milioni di anni prima dopo l’impatto di una cometa.
Giganteschi canyon concentrici parevano spalti di un’arena immensa, al cui centro era situata un’antica costruzione nascosta nella roccia e difficilmente visibile ad occhio nudo, che lei sapeva però essere lì. Secondo i testi, avrebbe dovuto attendere lì vicino prima di entrare, da sola non le sarebbe stato permesso.
Individuò una sporgenza abbastanza pianeggiante e sufficientemente grande nelle vicinanze, e si preparò ad atterrare. Non sapeva che tipo di atmosfera avrebbe incontrato dato non aveva molte informazioni su quel posto, tranne che sul luogo specifico a cui era diretta, per cui decise di indossare un respiratore che aveva portato con sè per sicurezza.
Dopo giorni seduta nella cabina di pilotaggio, anche solo lo sgranchirsi le gambe le sembrò un azione difficile, sembrava che i suoi muscoli si fossero atrofizzati tutti d’un tratto. Con un mugolio di dolore si strofinò un polpaccio dolorante.
Dopo quel viaggio si sarebbe dovuta riposare assolutamente.
 
Da quando erano fuggiti da Crait due anni prima qualcosa in Rey si era consolidato, delle nuove certezze l’avevano resa più sicura e l’avevano fatta sentire completa. Eppure, qualcosa in lei si era anche spezzato.
Non appena la Resistenza era riuscita a trovare un posto sicuro in cui rifugiarsi nuovamente, ed essersi assicurata che i suoi compagni fossero pronti a continuare senza di lei, aveva sentito il bisogno di allontanarsi per qualche tempo. Desiderava essere lì con loro, ma aveva ancora bisogno di risposte, e di rimanere sola per qualche tempo.
Ogni notte rivedeva davanti a sé quelle dita protese verso di lei, e sentiva le sue parole eccheggiare nella sua testa.
“Ti prego.”
No … non devi pregarmi.
“Vieni con me.”
Non posso … non voglio … o non devo?
Scosse la testa cercando di dissipare nuovamente quei pensieri.
Ora doveva essere lucida, concentrarsi su quello che la attendeva lì fuori. Prese gli antichi testi, li avvolse in un panno per proteggerli, e li ripose delicatamente nella sua sacca.
Lì avrebbe trovato altre risposte.
Da quanto aveva letto, il clima era solitamente secco in quella zona ma al calare della sera venti gelidi avrebbero preso a soffiare tra le gole della valle in cui si trovava, per cui optò per indossare un mantello che potesse coprirla anche sul volto, onde evitare che la sabbia si infiltrasse in ogni dove; sistemò i capelli in una lunga treccia che lasciò cadere morbida e indossò degli occhiali protettivi con visione notturna, che avrebbe usato per sicurezza, data la poca luce che arrivava sul pianeta anche di giorno.
Vestita in quel modo le pareva di assomigliare ad uno dei numerosi mercanti Abednedo che aveva visto da bambina nei mercati di Jakku. Non che le mancasse quel pianeta, ma in ogni luogo che visitava, riusciva comunque a rivedere qualcosa che le ricordasse quel posto chiamato per lungo tempo “casa”, o “prigione”, in base ai giorni.
 
Premette il pulsante per l’apertura del portellone laterale, e si preparò a scendere.
All’esterno della nave l’oscurità sembrava essere calata di colpo, ancora più che prima, come se in quel punto la luce non arrivasse nemmeno. Eppure non era una sensazione di buio totale.
Intorno a lei piccoli punti nelle rocce presero a illuminarsi uno ad uno, seguendo un ordine già prestabilito da tempo, come ad indicarle una via da seguire. Non capì subito cosa fossero, nonostante una parte di lei sembrava saperlo. Seguì la scia di luci con cautela, accendendo il visore notturno e tenendo ben saldo al suo fianco il suo vecchio e fidato bastone, che uso per controllare se il terreno davanti a lei fosse stabile.
La strada indicata dalle luci sembrava discendere sempre di più in un circolo concentrico verso il centro del pianeta, allontanandola passo dopo passo dalla nave.
Andando avanti nella discesa il buio si fece sempre più intenso, e in proporzione anche le luci aumentarono di intensità divenendo quasi accecanti.
Rey si avvicinò cautamente a una delle pareti del cunicolo sfiorando con le dita la nuda roccia per esaminare meglio la fonte della luce.
Cristalli. No, cristalli kyber.
Ne aveva visti molti raffigurati nei libri, sapeva che ne esistevano di vari tipi, cristalli legati alla forza ed usati per millenni da Jedi e non solo. Eppure sentiva qualcosa, come se ci fosse un non so che di sbagliato in quei cristalli.
Estrasse una lama dalla cintola, e procedette a scavare piano per tentare di liberare il prezioso minerale dalla sua trappola di sedimento roccioso.
Era quasi riuscita a liberarlo quando una voce si rivolse a lei, riecheggiando sulle pareti fino a lei:
“Quei cristalli non sono ciò che cerchi. So perché sei qui, non soffermarti su di essi.”
Rey ritrasse velocemente la lama e parò il bastone davanti a sé, girandosi con fare guardingo per capire da dove provenisse la voce.
“Da quanto mi seguite?” – disse con tono intimidatorio continuando a guardarsi in torno e mantenendo una posa difensiva.
“Non ti ho seguita, sei tu ad avere seguito delle indicazioni. Io sono qui ad attendere, ed oggi la lunga attesa è finita.” – rispose la figura, avanzando con passo sicuro e silenzioso verso di lei.
“Io sono Rey. Vengo per conto della Resistenza, ho compiuto un lungo viaggio per arrivare qui..”
L’altro interlocutore le si parò davanti, muovendosi con un passo talmente leggero che quasi pareva muoversi sospeso da terra.
“Io sono Rrok’Akan. Aspettavo l’arrivo di un Jedi da molto tempo… non abbiamo visite da secoli qui su Xirasìa. Ma sapevamo che sareste tornati un giorno.”
Ora che era più vicina, Rey poteva osservarla meglio: la creatura era poco più alta di lei, dalla corporatura esile e flessuosa nascosta da una lunga veste bianca. Come lei portava una mantella che le copriva parte del volto, lasciando solo intravvedere gli occhi dal taglio e dall’aspetto ferino, e una cranio sovrastato da placche ossee che parevano formare un mosaico. Ancora più evidenti erano delle orecchie lunghe ed appuntite che si muovevano in ogni direzione per captare ogni minimo suono attorno a loro.
La sua voce era ferma e profonda, e sembrava attirarla a sé.
“Vieni, ti mostrerò ciò che cerchi.”



 
Tutto sembrava precipitare, sentiva il suo corpo cadere infinite volte in un vortice senza fine, privo di luci. Alcune mani sembravano spuntare dal nulla cercando di afferrarlo, forse per impedirgli di continuare a cadere, ma qualcosa dentro di lui gli impediva di afferrarle.
Anzi, le scacciava via con rabbia, continuando la sua infernale discesa verso un fondo che sembrava non arrivare mai.
Un vento caldo, lo colpì all’improvviso frenando finalmente la sua caduta.
Non era più in un incubo buio, ma in mezzo ad un deserto completamente illuminato, che lo accecava costringendolo in ginocchio. Non appena le sue mani toccavano il suolo incandescente, la sua solita veste nera cominciava a lacerarsi, svelando enormi cicatrici sottopelle che teneva celate sotto le vesti.
Una per una le ferite parvero aprirsi nuovamente, il sangue scendeva a rivoli sottili, gocciolando e condensandosi sulla sottile sabbia sotto di lui.
Perché era li?
Una voce sussurrò dietro di lui:
“Ti prego…”
Si voltò di scatto cercando di sguainare la sua spada, ma la sua cintola era completamente vuota, non c’era nulla con sé che potesse servirgli.
“Ben … ti prego.”
Una mano afferrò la sua, stringendola piano e tirandolo a sé.
Lui si voltò prontamente di scatto pronto a sferrare un colpo, si protese verso la figura e … si fermò.
Una bambina di poco più dieci anni lo fissava negli occhi, senza muoversi, nemmeno il suo movimento brusco l’aveva fatta desistere dallo stare lì. I suoi occhi parevano scrutare dentro di lui, ma il suo sguardo non aveva nulla di inquisitorio o severo, parevano piuttosto tristi, come se vedessero qualcosa di lui che non comprendeva.
“Ben?” – chiese la bambina.
Lui rimase in silenzio, sentiva che la gola e le labbra stavano diventando secche, si sentiva incapace di dire o fare nulla.
“Perché mi hai costretta? Perché lo hai fatto?”- disse nuovamente, mentre la voce pareva spezzarsi.
Kylo vide i suoi occhi diventare lucidi poco a poco, non capiva cosa volesse da lui. Non capiva chi fosse, non l’aveva mai vista prima, eppure gli sembrava di avere un dejà-vu, sentiva di conoscerla ma la sua identità sembrava sfuggirgli.
Continuò a guardare i suoi occhi cercando di percepire qualcosa. Erano di un verde intenso, tanto profondi, così diversi dai suoi, scuri e carichi di dolore.
“Noi siamo uguali. Ma io ho fatto la mia scelta, speravo mi seguissi anche tu.” – la bambina si staccò piano da lui.
Lui le tese quasi inconsciamente una mano, come per trattenerla a sé, ma lei era come intangibile, sfuggiva alla sua presa.
Un’altra voce lo chiamo da dietro, Kylo non sapeva se voltarsi, aveva paura che la bambina sparisse ancora prima che lui potesse capire qualcosa di lei. Lanciò un occhiata fugace dietro a sé, e scorse una figura di spalle, seduta anch’essa sulla sabbia.
La donna aveva lunghi capelli bruni, che spiccavano sulla sua carnagione chiara cosparsa qua e là da lievi lentiggini. Aveva addosso solo una sottile veste bianca, che la rendeva quasi una creatura eterea, illuminata dalla forte luce del sole. Non sembrava stranita dal trovarsi li, sembrava anzi abituata a quel posto, come ne facesse parte integrante.
Seppur tentennando, si voltò lasciandosi la bambina alle spalle, e prese a strisciare verso la figura digrignando i denti ad ogni sforzo fatto per muoversi, che riapriva nuovamente le ferite. Sentiva di doverla raggiungere, e si trascinò verso di lei.
Lei si voltò per guardarlo. Sorrideva, un sorriso sincero che nessuno gli rivolgeva da tempo.
“Ben.”
Spalancò di colpo gli occhi.
Il freddo della stanza gli invase le ossa non appena gettò a terra le lenzuola fradice, ansimando sommessamente.
Era stato il solito incubo a svegliarlo anche questa volta.
Si passò una mano sulla fronte, scoprendola matida di sudore misto a sottili rivoli di sangue , come se avesse appena finito di trascorrere qualche minuto vicino alle fornaci di Mustafar.
Non era la prima volta che la sognava, ma ogni notte gli sembrava sempre più lontana da lui. Per quanto tentasse di negarlo a sé stesso, aveva distrutto l’unica opportunità che aveva per tenerla a sé, per tornare alla luce.
E cosa aveva guadagnato da tutto quello? Aveva un impero, era a capo della più grande flotta della galassia.
Eppure era vuoto, non sentiva nulla dentro di sé, come se le sue emozioni fossero morte due anni prima sul freddo pianeta di Crait.
Dopo tanto tempo, pianse.
Era solo.
Come lei.
Come era stato sempre.
  
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