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Autore: summers001    26/09/2020    1 recensioni
Brienne/Jaime | Modern-AU | breve cameo di Catelyn Stark e Selwyn Tarth
“Mi prendi in giro?” sbottò Brienne. Probabilmente sapeva della cotta che si era presa nei suoi confronti. Probabilmente voleva solo prenderla in giro per ottenere qualcosa, come quando faceva lo sguardo dolce alle cassiere nei ristoranti per farsi scalare qualche cervo d’argento dal conto.
Jaime si voltò verso di lei finalmente. Gli occhi erano bassi, si muovevano veloci. Trovavano gli occhi di lei e poi sfuggivano di nuovo titubanti. Era imbarazzato, non riusciva a sostenerne le accuse. “Ti sembro in grado di farlo?” ammise a voce bassa poi lui, prima di tornare dentro ed abbandonarla all’ingresso.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Brienne di Tarth, Jaime Lannister
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Per un’ora in più
 
 
Da giovane Brienne Tarth era quel tipo di ragazzina che sfuggiva agli eventi. Era scaltra, astuta, dotata di atteggiamento evitante. Evitava tutto: le feste tra amici, le cene in famiglia, le gite di classe, le recite a scuola. Soprattutto le recite a scuola.
Era stata una ragazzina problematica, doveva ammetterlo. Attaccabrighe, scontrosa, a tratti anche presuntuosa. Le si perdonava tutto perché in fondo era intelligente ed estremamente onesta a sé stessa. Era dotata di un cervello persino fuori dalla norma. Pochi erano gli insegnati che riuscivano a capirla, tra tutti quelli di matematica in particolare, cosa che non la stupì mai. Tra l’altro pochi erano quelli che ci avevano provato.
Col tempo era cambiata. Alle scuole superiori aveva imparato ad incanalare tutte quelle energie nello sport. Le piaceva praticare judo. Amava mantenere la posizione per poi atterrare l’avversario con mosse studiate. Nel judo almeno erano tutti uguali. Non importava che aspetto avessi, quanto fossi forte o alta. Prima o poi riusciva sempre a trovare un avversario alla sua altezza.
Da adulta aveva dovuto lasciare. Il lavoro cominciò a prenderle tempo. Progettava sistemi di sicurezza informatica. Lavorava per le banche e gli ospedali. In entrambi i casi riceveva continue chiamate anche alla sera tardi, per controllare questo o quel codice, ricucire la sottile rete informatica bucata da un hacker e poi tornare a dormire. Jaime continuava a dirle che avrebbe dovuto essere quella la sua vera professione, l’hacker.

Jaime Lannister era l’unica persona che aveva scalfito la sua superficie e le era entrata sottopelle. Jaime era un pomposo, arrogante, viziato. Di quelli convinti che il bel aspetto ed una facoltosa istruzione l’avrebbero portato ovunque. O almeno questo era il velo che gli avevano cucito addosso. In realtà, lavorava sodo quanto e più degli altri per potersi difendere da tali insinuazioni. Per assunto davano tutti per scontato che avesse ottenuto il suo lavoro dalla direttrice della banca solo perché era bello e ci andava a letto. Ed era sua cugina. Ed in effetti non sbagliavano, ci andava a letto per davvero, ma quel posto se l’era meritato. Cercei era solo un dolce premio da impiegato del mese. Cominciava prima degli altri ed andava via dopo gli altri, ma la gente vedeva solo quello che voleva vedere. Col tempo Jaime decise di lasciarli fare. In pochi sapevano cosa realmente facesse come responsabile del settore compra-vendita. Era così fottutamente bravo da poter vendere ghiaccio agli eschimesi se solo se lo fosse messo in testa.

L’arrivo di Brienne in azienda cambiò qualcosa. Cercei era riluttante nella sua assunzione, ma le era stata altamente raccomandata. Doveva un favore milionario alla Banca di Ferro, che aveva chiesto Brienne come assicurazione. Brienne allora fu assunta.

Dapprima rivali, i due diventarono grandi amici. La mattina si vedevano al bar per fare colazione. Del suo cornetto Jaime rubava sempre la punta, lasciando Brienne a mordere la crema. Continuava a dire che non voleva niente, che stava bene con una tazza di caffè ed era solo una tazza di caffè quella che prendeva fino ad ora di pranzo.

Jaime non avrebbe saputo dire quando era cambiato qualcosa, in quale momento aveva iniziato a vedere la sua amica in modo diverso. Quello che era certo era che si spicciava sempre un po’ prima al mattino per trattenersi a bere il suo caffè sempre più lentamente. Oppure che si tratteneva nel tardo pomeriggio con una scusa oppure un’altra per aiutarla nelle sue faccende. Non sapeva dare un nome a quello che gli stava succedendo. Per lui era soltanto innocente voglia di godere del piacere della sua compagnia, anche se a volte cercava di spiarle nella scollatura della camicia o oltre le forme dei pantaloni.

Per quel che riguardava Brienne invece, era sicura di avere una cotta per il bel scapolo dei Lannister. L’esperienza però le diceva che non poteva ambire a prede così succose: era priva di ogni tipo di abilità sociale; frenata da innumerevoli inibizioni frutto dell’ampia famiglia in cui era cresciuta; intelligente, introversa e strana; un miscuglio di caratteristiche peculiari che non erano neanche mitigate dal bel aspetto. Col tempo però Brienne aveva imparato a mettere da parte la sua cotta per poter coltivare qualcosa di più importante, nel momento stesso in cui Jaime aveva iniziato a mostrare interesse nei suoi confronti.

“Sei assente.” Le disse Jaime, sorseggiando la sua tazza di caffè una mattina. Jaime aveva uno strano modo di stare a tavola: metteva sempre le braccia incrociate in un atteggiamento difensivo. Si sporgeva sulla tazza ed ogni tanto ci soffiava sopra. Toccava tutto. Aveva quell’irrequietezza tipica dei bambini: giocava con le posate, faceva ruotare ogni bicchiere e grattava via le pellicine di ogni bottiglia d’acqua che gli capitava a tiro. Non gli importava di attirare così l’attenzione degli altri clienti, ma quando glielo si faceva notare recuperava compostezza ed iniziava a vibrare coi piedi.

“No.” Rispose solo Brienne, sgranocchiando la sua colazione.

“E una pessima bugiarda.”

Brienne invece teneva la tazza di caffè sempre con entrambe le mani, come a succhiarne il calore. Le dita della destra ancorate al manico, quelle della sinistra che sfioravano il bordo opposto. Per quanto fosse alta e formosa, quel gesto la faceva apparire delicata ed a tratti persino sofisticata. A tavola era sempre composta ed educata, come se chiunque l’avesse cresciuta avesse tenuto molto alle sue buone maniere. “E’ l’anniversario di matrimonio di mio padre e Catelyn.” Confessò alla fine sospirando, pensando alla sua matrigna “Daranno una cena.” Concluse e bevve un sorso.

“E allora?” fece Jaime, che vedeva in quella ricorrenza solo un’occasione per divertirsi e cenare ad un bel tavolo. S’immaginò casa di lei, il suo amorevole padre e sua moglie che erano soliti inviarle pacchi di cibo già cucinato, i fratelli e le sorelle coi loro figli che magari avrebbero voluto giocare con lei. Non poteva farci nulla, le famiglie acquisite gli regalavano un senso di tenerezza, forse perché al contrario del signor Tarth, il megalomane signor Lannister non aveva più voluto nessuno a fianco.

“E allora ci saranno anche i suoi bellissimi figli, le loro bellissime mogli ed i loro bellissimi bambini. Ed io sarò la sola fallita sotto gli occhi di tutti.” Borbottò lei in tono di disapprovazione.

“Sei un esperto informatico,” la rimbeccò lui, che di certo non aveva bisogno di ricordarle tutti i suoi successi “ti ha voluto così tanto la banca di ferro da convincere mia cugina ad assumerti.”

“Già, ma per Catelyn conta solo la famiglia, il matrimonio, i figli.” Elencò Brienne.

“Sei un completo fallimento allora.” Concluse Jaime e prese a sorseggiare caffè, come a tirarsi fuori.

“Già.”

Jaime cercò di nascondere un mezzo sorrisetto dietro una mano. Erano le solite cose che suo padre ripeteva costantemente ogni volta che si ritrovavano ad uno dei suoi pranzi senza fine con gli altri soliti azionisti. Le sue fossette sulle guance e gli occhi vispi lo tradirono, Brienne li notò e gli tirò un calcio da sotto al tavolo.
“Scusa, scusa.” Si precipitò a dire lui, prima di prendere l’ultimo sorso di caffè che quasi gli andò di traverso. “Posso venire con te.” Propose alla fine, dopo vari colpi di tosse. “Per farti compagnia.”

“Ti annoieresti a morte.”

“Mal comune mezzo gaudio.” S’apprestò a giustificare lui “E poi spero in qualche favore.”

“Tipo?”

“Ci faremo venire qualcosa in mente.”

Brienne sospirò, lo guardò ancora studiando l’espressione di lui distrattamente deliziata dal caffè o dalla situazione in cui si era messo. Cercò di pensare alle ragioni che c’erano dietro alla sua scelta: la voglia di inserirsi in un contesto familiare, fame di attenzioni o forse semplicemente come al solito apprezzava la sua compagnia, come Brienne stessa apprezzava quella di lui. Cercò di convincersi che fosse quella la ragione che covava dietro ad una simil proposta ed accettò tendendogli la mano. 
 
***
 
“Brienne!”

“Ciao papà.” Lo abbracciò lei. Il broncio che aveva si rifletteva anche sull’entusiasmo di vedere il padre, che però non le diede tanto peso, abituato forse a quei suoi abbracci così tanto calorosi.

Selwyn Tarth era un uomo ancora prestante tutto sommato. Aveva poco meno di cinquanta anni, lui e sua moglie avevano avuto Brienne entrambi molto giovani. “E per fortuna!” le diceva sempre, continuamente, riferendosi al caratterino particolare con cui lei era nata. “Oh e tu sei…” fece poi notando l’uomo che si accompagnava alla sua bambina. Catelyn lo raggiunse subito, con una mano dietro la sua schiena che Brienne notò subito.

Sebbene fosse felice per il padre, che si fosse risposato ed avesse qualcuno accanto, ogni tanto un piccolo spicchio acerbo di gelosia le si incastrava tra i denti. Aveva imparato però a contenerla e si limitò ad ingoiare sonoramente un grumo di saliva che le si era accumulato dietro la lingua, per poi salutare la nuova signora Tarth con un sorriso ed un “ciao”.

“Jaime Lannister, signore.” Era educato lui, sapeva comportarsi bene. Rispettava chi era più grande e saggio di lui. Nella sua voce non c’era la solita nota di narcisismo ed arroganza che tutti gli apostrofavano. Era il Jaime che stava sempre con Brienne, non quello che aveva a che fare con gli estranei. Era persino dolce: fece i complimenti a Selwyn e Catelyn per la casa, per il suo vestito, per la famiglia numerosa che riusciva ancora a riunire almeno una volta all’anno. “È bellissimo” le disse.

Jaime non avrebbe mai voluto confidarlo, ma amava le riunioni di famiglia. Come Brienne, aveva perso la madre molto giovane. Se non fosse per le foto appena a colori che suo padre teneva gelosamente conservati nel cassetto dell’enorme ribalta sistemata in soggiorno, non se ne sarebbe neanche ricordato l’aspetto. Avrebbe voluto che suo padre si fosse risposato, proprio come aveva fatto Selwyn Tarth, ma chi avrebbe mai potuto voler sposare quel vecchio burbero arrivista di Tywin.

Selwyn lo fece accomodare in salotto, mentre Catelyn pregò Brienne di aiutarla in cucina. Cat era il tipo di donna che credeva che compito delle donne fosse quello di sfamare i mariti e portarne in grembo i frutti, mentre quello degli uomini di offrire una casa, uno stipendio e proteggerle, sebbene ormai in modo figurativo. Non negava alle sue figlie la possibilità di lavorare, ma credeva che prima o poi il loro lavoro sarebbe dovuto essere messo da parte per poter fare spazio alla famiglia, che prima o poi arriva per tutti. Non arrivarci sarebbe stato assurdo, impensabile. Brienne a trenta anni era assurda ed impensabile. E poi un giorno, guarda qua, si presenta con un uomo come Jaime Lannister, erede di un impero finanziario, affascinante, educato, intelligente. Decisamente troppo per lei. L’eccitazione era nell’aria, impossibile da ignorare.

“Bel colpo!” fece invece Catelyn, abbandonando la solita compostezza, liberandosi in un gesto goliardico a simboleggiare la fine di una lunga attesa.
Brienne rimase sbalordita, immobile ad occhi aperti a fissare quella scena infantile e decisamente inappropriata per una donna della sua età. “Grazie?” rispose, più come se fosse una domanda che una vera affermazione.

“Figurati, cara, aspettavamo da tempo.” Disse indicando Jayne, la moglie del suo primo figlio Rob, dietro di lei. Jayne le sorrise e fece volare gli occhi al cielo, suggerendole di dover sopportare solo per quella sera, solo per una sera all’anno.

“Ora non ce lo dobbiamo far scappare.” Prese la sua figliastra per le spalle e la portò davanti ai fornelli “Un uomo si conquista in due modi: del buon cibo e del buon sesso.” Sentenziò. Persino Jayne si voltò a guardarla sbalordita. “Più tardi ti mando foto del mio libro di ricette, così puoi iniziare a provarne qualcuna. Vedrai, non è poi così difficile…” cominciò a blaterare.

“Cat,” cominciò Brienne, cercando di spiegarle tutta la faccenda “io e Jaime non stiamo insieme.”

“Ma certo che no.” Rispose Catelyn facendole l’occhiolino subito dopo. Prese lei e Jayne per il polso, distogliendo anche la nuora dai fornelli. La pancia ingombrante di lei la fece quasi ruzzolare in avanti e dovette appendersi al bancone per mantenersi in piedi. Catelyn la aiutò e poi cominciò con un eloquente “allora” prendendo a blaterare ancora delle sue folli teorie e tecniche, che comprendevano quasi sempre il vino ed un buon pranzetto. Brienne staccò il cervello e sperò che presto qualcosa bruciasse sul fuoco per interrompere quell’imbarazzante conversazione.
 
***
 
Nell’altra stanza Selwyn Tarth aveva placcato Jaime.

Per anni Jaime aveva visto suo fratello Tyrion venire bombardato di domande dai genitori di Tysha, guardato di sottecchi, mai degno della loro fiducia. Dall’altro lato sapeva della reputazione che si trascinava dietro: figlio Twyn, magnate di un impero; scapolo a quasi quarant’anni. Insomma, Selwyn aveva tutto il diritto di pensare che ci fosse qualcosa di strano. Come per esempio il fatto che si fosse scopato per anni quella stessa sua cugina che dirigeva l’impero, che proprio Jaime tanto rifiutava. Invece non arrivò niente di tutto quello che pensava sarebbe potuto arrivare.

Selwyn lo fece accomodare in salotto da soli, prima di raggiungere gli altri. Si mise sul divano accanto a lui e lo guardò sorridendo. “Brienne non ha mai portato nessuno da farmi conoscere.” Disse “Neanche un amico.” Aggiunse, come se sapesse. “Devi essere speciale per lei.”

E Jaime non seppe che rispondere. L’uomo lo teneva per le mani come un figlio, in un gesto così intimo che lo portò a chiedersi se non si fossero già incontrati anche solo per sbaglio. Pensò a Brienne, a quella testarda onestà che la caratterizzava, al modo in cui riusciva a leggere le persone, a quella spaventosa empatia che dimostrava ogni volta e capì, guardando suo padre, che la mela non era caduta tanto lontano dall’albero. “Lei lo è per me.” Gli confidò. Sì, Brienne era speciale per lui. Era l’unica che si era presa la briga di conoscere il vero Jaime, l’unica a dimostrargli sincero affetto e vera stima. Certo che era speciale.

“Anche per me.” Gli sorrise lui. “Per questo devo chiederti di non farle del male…” cominciò a dire lui, ma Jaime aveva cominciato a fare segno di no col capo, proprio come un bambino e Selwyn gli sorrise. “Ti ha mai raccontato della volta che quel ragazzino la invitò al ballo della scuola?”
Jaime sorrise. Non se l’era mai immaginata al ballo della scuola, né tanto meno come una ragazzina. Doveva essere stata la prima volta per lei. Sperò tanto che il ragazzo che l’aveva portata si fosse innamorato dei suoi occhi.

“Venne persino qui da me a chiedermi il permesso. Io non ero convinto, ma Cat… Beh, Cat è romantica. Fu lei a convincere me.” Disse, guardando per aria, dove forse riusciva a rivivere tutto il ricordo. “L’hanno ridicolizzata davanti a tutti, lui ed il suo gruppetto di vigliacchi. Il suo insegnante di matematica la riportò a casa. La mattina dopo presentò la domanda per il college e si mise in testa questa cosa dell’informatica.”

“Si è messa in testa l’idea giusta.” La difese Jaime. Non poteva dire non di essere rimasto turbato. Come si era permesso un figlio di puttana del genere di farle del male? Si sporse appena, mantenendosi fisso sul divano. Scorse la sua figura in cucina, sulla porta, con le mani tese che sorreggeva un lungo piatto colmo fino all’orlo e sicuramente pesantissimo. Le lunghe gambe erano avvolte in jeans aderenti e morbidi che la fasciavano fino alle caviglie. Il busto coperto da una camicia bianca, appena aperta sul petto, che sotto la luce giusta avrebbe potuto lasciar intravedere le sue forme. Brienne notò l’amico, chiuse gli occhi e sorrise imbarazzata. Brienne era capace di ridere e sorridere con tutto il viso. Ogni muscolo della sua faccia si rilassava, gli occhi le si illuminavano e la bocca si apriva da parte a parte. Se avesse avuto le mani libere, se ne sarebbe portata una nei capelli, Jaime ne era sicuro.

“Lei lo sa?” lo richiamò Selwyn alla realtà.

Jaime non ebbe bisogno di chiedere cosa. Era stato colto in fallo ad ammirare l’unica figlia di quell’uomo, senza neanche avere bisogno di immaginarsela nuda. Anche se per un momento aveva sperato che quella luce artificiale, gialla e cupa fosse la luce giusta per quella camicia. “No.” Rispose distratto.

“Beh, io sento un odorino squisito!” cambiò bruscamente argomento Selwyn, gridando ad alta voce. Si alzò e guardò Jaime per farsi seguire. Raggiunse sua moglie in sala da pranzo, chiamò dando una voce verso il piano superiore i suoi figliastri Rob, Sansa, Arya, Bran e Rickon. Jayne, che sorreggeva un pancione, li raggiunse camminando piano dopo poco.

“Di cosa parlavate così intensamente?” chiese Brienne interessata, sottovoce, quasi nel suo orecchio. Le loro spalle si stavano sfiorando e fu Jaime a notarlo. Sentiva le sue parole calde sul viso tanto era vicina.

“Del tuo professore di matematica.” Rispose Jaime semplicemente, ignorando come questo fosse entrato nei loro discorsi o quale fosse l’oggetto principale. Le portò una mano sulla schiena, desiderando a tutti i costi di toccarla. Aveva una bella postura, dritta, regale addirittura. Si raddrizzò allora e le spostò la sedia per farla accomodare.

“Oh no,” borbottò Brienne tra sé e sé “ti ha detto che avevo una cotta per lui?” chiese allarmata, sicura che suo padre avesse ripetuto ancora una volta quella solita storiella, di quando Brienne Tarth si era presa una cotta per Renly Baratheon, l’insegnante di matematica più giovane della sua scuola. Ne aveva parlato quando Rob aveva presentato Jayne alla famiglia, quando Arya aveva portato Gendry, persino quando la sorella di Cat aveva annunciato le sue seconde nozze alla veneranda età di cinquanta anni suonati. Ad ogni cavolo di riunione di famiglia.

Jaime le si accomodò accanto, strinse la mano ai suoi fratellastri, presentandosi all’intera combriccola e poi le rivolse la sua attenzione. “L’hai appena fatto tu.” Le confidò sorridendo, felice come se avesse scoperto chissà quale segreto, con le fossette sulle guance pronunciate che non le facevano capire più niente. Le aveva messo una mano sulla coscia, una cosa che faceva spesso ed innocentemente quando voleva raccontarle un fatto in privato. Quella volta però Jaime si voltò per parlare con Rob, discussero per un po’ dell’andamento del mercato e suo fratello si fece consigliare titoli su cui investire non appena ne avrebbe avuto l’opportunità. Con eleganza e gentilezza, Jaime lo invitò persino a passare per l’ufficio, dove gli avrebbe fatto vedere uno o due schemi da tenere a mente durante gli acquisti. Per tutto il tempo la mano di Jaime era ancora là, la stringeva con le dita e la massaggiava sempre nello stesso punto col pollice. La pelle le si sarebbe consumata presto in quel punto. Sotto il suo tocco si sentiva così accaldata da desiderare che si spostasse oltre, che continuasse ad accarezzarla in ogni altro punto.

“Ho sempre detto a Brienne che avrebbe dovuto fare l’hacker e fregare le banche.” Concluse Rob quella breve parentesi di economia, tirando in ballo la sorellastra che era rimasta silenziosa dall’inizio della conversazione.

“Anch’io.” Aggiunse prontamente Jaime, facendo sorridere tutti in stanza. Selwyn Tarth addirittura, che stava sorseggiando il suo solo calice di vino che gli era concesso, tossì e si colpì più volte con un pugno al petto per mandare giù il sorsetto.

“Tu lo dici per farmi spiare le foto sul computer di tuo fratello.” Ribatté Brienne in tono perentorio, colpendolo col dorso della mano in un gesto distratto. Jaime finse di esser stato colpito ed imprecò un “ouch!”, a cui seguì lo sguardo compiaciuto di lei che lui si fermò ad ammirare.

La cena continuò allegramente. Furono stappate altre due bottiglie di quel vino rosso che Selwyn aveva comprato da un suo amico di Dorne, uno spumante fresco che usarono per festeggiare accanto alla torta, fino a che Brienne non si ritrovò a reggersi la pancia esattamente come Jayne stava facendo.

Brienne notò quella sera che Jaime non aveva incrociato le braccia in quel modo semi difensivo con cui si metteva sempre a tavola. A volte addirittura si sporgeva nella sua direzione per apprezzare il cibo. Pretendeva di assaggiarlo accanto alla sua faccia e poi si complimentava con la cuoca. Era stato allegro e gioviale e l’aveva guardato più di una volta con sguardo complice. Altre volte invece le sue scarpe firmate ed eleganti avevano urtato contro i sandali e le caviglie di Brienne, che confuse quei gesti per morbide carezze fatte sotto la tovaglia. Erano rimasti sempre agganciati almeno per qualche centimetro di pelle.
Per Brienne pareva naturale all’inizio, poi nei suoi sguardi leggeva come se ci fosse un segreto da nascondere e la cosa la mandava in visibilio. Era quella complicità che era intossicante, che le dava dipendenza, che non riusciva a farla smettere. E poi c’era il suo odore, quel misto di dopobarba e camicia inamidata, il vino ed il calore della sua pelle.

“Vado a prendere i cioccolatini in auto.” Esordì Jaime subito dopo il dolce. Le mise una mano sulla schiena e vi rimase un secondo più del solito. Voleva forse lanciare un messaggio. Neanche si ricordava più come si facesse, come si flirtasse, se stesse osando troppo oppure no. Si schiarì la voce imbarazzato e si avviò.

I passi di lei rimbombavano per niente leggeri sul vialetto mentre lo seguiva. “Mi spieghi che succede?” gli urlò Brienne.

“Cosa?” chiese Jaime con voce acuta, quella con cui mentiva di solito. E non era solo la voce a tradirlo: c’erano gli occhi, quell’atteggiamento evitante. Quel tentativo infruttuoso di guardarla e sostenerne lo sguardo, prima di finire a contarsi i passi. Raggiunse l’auto, aprì la portiera e quasi si sporse per recuperare la scatola di costosi cioccolatini comprati per l’occasione.

“Sono riuscita a contare fino a quattro prima di là.” Fece lei indicando indietro, come se si potesse riferire a qualche minuto in passato.

Jaime aggrottò le ciglia, poi si ricordò della mano che le aveva messo sulla schiena poco prima. Si sporse a recuperare la scatola fingendosi impegnato per evitare di darle una risposta precisa, che in realtà neanche lui stesso aveva.

“Mi prendi in giro?” sbottò Brienne. Probabilmente sapeva della cotta che si era presa nei suoi confronti. Probabilmente voleva solo prenderla in giro per ottenere qualcosa, come quando faceva lo sguardo dolce alle cassiere nei ristoranti per farsi scalare qualche cervo d’argento dal conto.

Jaime si voltò verso di lei finalmente. Gli occhi erano bassi, si muovevano veloci. Trovavano gli occhi di lei e poi sfuggivano di nuovo titubanti. Era imbarazzato, non riusciva a sostenerne le accuse. “Ti sembro in grado di farlo?” ammise a voce bassa poi lui, prima di tornare dentro ed abbandonarla all’ingresso.
 
***
 
“Jaime, gradisci altro? Ho un liquore amaro fatto personalmente dalla mia Catelyn.” Chiese Selwyn abbracciando sua moglie, che gli rifilò un sorriso imbarazzato che nascose umilmente abbassando il capo.

“Rimani un altro po’.” Lo invitò Catelyn con fare premuroso.

“Mi dispiace, ma…” cominciò lui ribellandosi, spiando Brienne che ormai indisposta teneva le braccia conserte e lo sguardo truce di chi ha qualcosa da dire ma aspetta il momento giusto.

“Solo un assaggio.” Lo pregò Selwyn e Jaime dovette accettare.

Quel liquore era così forte da dargli subito alla testa nonostante tutte le pietanze che avesse mangiato. C’erano state così tante portate che neanche si ricordava più quante o quali fossero. Cercò di nasconderlo dapprincipio, per poi cominciare a barcollare vistosamente usciti dalla porta principale.

La sera era scesa a coprire quel pietoso spettacolo che Jaime era diventato. Raggiunse l’auto, vi si appoggiò ed allungò a Brienne le chiavi per lasciarla guidare. Non le aveva mai lasciato guidare la sua auto.

Dal finestrino cominciò a guardare fuori. Le luci correvano veloci sull’asfalto, così tanto che i puntini dei lampioni diventavano una linea sfocata attraverso i suoi occhi. Le altre auto li superavano sfrecciandogli di fianco. La velocità otturava le sue orecchie e forse anche quelle di lei, che silenziosa non toglieva gli occhi dalla strada.

“Sono delle persone meravigliose, non capisco perché me li hai nascosti per tutto questo tempo.” Fece Jaime in un tentativo di scherzare. Brienne allora accelerò e la sua confusione si tramutò presto in mal di testa. Aveva una fitta alle tempie e lo stomaco sotto sopra. Si portò una mano in alto ed una in pancia per sopportare tutto meglio. “Com’è che tu stai così bene?” chiese ed attese, ma dall’altro sedile non arrivava nessuna risposta “Brienne, per favore.”

Brienne sospirò e tamburellò le dita sul volante, sempre tenuto stretto sotto le mani. Prese un altro lungo respiro e corrucciata in volto, si voltò a studiarlo per qualche attimo, cercando di capire se lui fosse serio oppure no. “Mio padre, sì, è una persona meravigliosa.” Rispose lei alla fine, nel modo più spontaneo che riuscì a trovare.

Jaime scrollò le spalle “Che ha Catelyn che non va?”

Brienne scrollò le spalle e tenne lo sguardo dritto verso la strada. Sembrò pensarci un attimo, più che sulla cosa in sé, sul condividere o meno quelle confessioni con lui. “È sessista.” Si lamentò alla fine “Oggi per esempio ha detto che gli uomini si conquistano in due modi.”

“Con il cibo e con il sesso?” ripeté Jaime, in un mantra che sapeva più di luogo comune. “Ha ragione.” Fece alla fine per stuzzicare lei.

“Pff.” Sbuffò Brienne “È ridicolo. Nessuna persona può essere così semplice.”

“Io sì. Mi piace definirmi umile.”

Per quanto lui scherzasse, le dava un certo grado di fastidio che si sminuisse così, che ironizzasse in questo modo così basso su sé stesso. “Rubi sempre dal mio pranzo e dalla mia colazione,” elencò lei, impuntandosi per smontare la sua tesi “eppure non stiamo insieme.”

Jaime sorrise: il suo colpo era andato a segno. Avrebbe tanto voluto voltarsi, cercare spudoratamente un segno del suo imbarazzo, per ammirare le guance rosse di lei. Eppure, nonostante la stesse prendendo in giro rispettò quel suo sentimento di pudore. Jaime sapeva che ogni volta che si parlava di sesso, Brienne reagiva così, come se non l’avesse mai fatto in vita sua. “Ma non facciamo sesso.” Le disse e nel dirlo le si fece più vicino. Quella vicinanza la sfidava e la ammaliava. “E il tuo professore di matematica?”

“Ma per favore,” si difese Brienne fingendo disinteresse “Renly era gay.”

“Renly? Lo chiamavi pure per nome?” fece lui sorpreso, prima di voltarsi di nuovo per tenersi la pancia.

“Che c’è, fai il geloso ora?”

Scrollò le spalle ed aspettò una risposta, ma quello che lei gli restituì fu un denso silenzio colmo di aspettative, che Jaime non volle deludere “E se anche lo fossi?” le disse. Di tutte le parole che aveva detto, quelle forse erano le più vere.

“Non ne avresti motivo.” Rispose lei. Brienne era così, di poche parole, ma ogni parola la ponderava con minuziosa attenzione. Nessuna era detta a caso.

“No?” chiese Jaime e si avvicinò ancora di più. “Te lo ricordi quel favore che mi devi?” chiese di nuovo lui. Questa se la sarebbe rimangiata volentieri, troppo da film porno, ma ormai si era lanciato e doveva continuare. Aveva quasi intenzione di tamburellarsi le labbra con un dito per incoraggiarla a dargli un bacio, ma lei lo bloccò immediatamente.

“Non ci vengo a letto con te.” Rispose Brienne.

Jaime sorrise. Sapeva di essere in sintonia con lei, che spesso pensavano alla stessa cosa, ma se ne rese conto solo allora completamente. Probabilmente avevano già passato insieme più tempo di quello che ricordava. Rimase in silenzio a ripensare a quello che si erano appena detti, a ritenersi fortunato ad avere una persona così nella sua vita. Pensò di essere felice, nonostante il mal di testa, nonostante la nausea. Non se la ricordava quella sensazione elettrizzante che il flirt gli regalava: sedurre una donna che ammirava; guardare l’imbarazzo sulle guance dell’amica di sempre, mentre se lo immaginava a fare l’amore con lei per la prima volta. Sorrise al pensiero che gli regalò tenerezza. Jaime amava l’amore, gli muoveva qualcosa di dolce dentro. Lui alle farfalle nella pancia ci aveva sempre creduto.

L’auto arrivò lenta e silenziosa sotto casa di lei. Brienne parcheggiò ed aprì la portiera. L’aria fresca le asciugò il sudore dietro al collo. Attese che Jaime si mettesse in piedi, prima di tirargli le chiavi in un lancio che gli rimbalzò sul petto e poi a terra, troppo ubriaco per coordinare una presa.
“Hai un’aspirina?” balbettò lui, finalmente in piedi tenendosi solo con un palmo al tettuccio della sua auto.

Brienne sospirò. Indicò con gli occhi la finestra di casa sua ed aspettò che Jaime riuscisse a capire, prima di invitarlo a salire. “Che ti è preso questa sera?” chiese poi all’improvviso, non riuscendosi a trattenere, confusa da quel suo nuovo atteggiamento, indecisa se dargli corda o continuare a sopprimere quei maldestri tentativi di seduzione, che magari avrebbe dimenticato al mattino successivo.

Jaime scrollò le spalle. “È stata una bella serata, tu sei bella, l’aria è fresca…” Che altro c’era da spiegare?

“Io?”

“Certo.” Fece semplicemente. Si girò, si portò davanti a lei, le mise le mani sui fianchi e la guardò. Brienne era in una situazione di svantaggio, visibilmente imbarazzata e Jaime forse aveva esagerato, ma cercava una reazione. Se lei non avesse voluto, se per lei fosse stato troppo, sapeva che sarebbe stata capacissima di tirargli un calcio nelle palle. “Esci con me domani. Un appuntamento.” Le disse, con voce bassa, un tono che aveva usato poche volte nella vita, solo per sedurre e l’unica che avesse mai avuto bisogno di sedurre era Cercei.

“Non credi di essere un po’ in ritardo?” fece per ironizzare. Poi Brienne ci pensò. Ripensò al loro rapporto, a quanto lavorassero bene insieme, all’amico che si era finalmente riuscita a fare per la prima volta in vita sua. Ne sarebbe valsa la pena? “Tra una settimana.” Rispose lei “Richiedimelo tra una settimana.”

Jaime aggrottò la fronte, accavallando le sopracciglia e socchiudendo gli occhi come se avesse potuto sintonizzarsi sui pensieri di lei, per capire dove volesse andare a parare. “Credi che non sia serio?”

“Credo tu abbia bevuto troppo vino stasera.”

“Posso berlo anche la settimana prossima.”

“Hai ragione. Allora niente.”

Furba, la sua donna. Furbissima. Aveva usato il suo stesso gioco contro di lui e si era allontanata. Aveva sfruttato il contatto e la vicinanza con cui sperava di conquistarla, il tono di voce che aveva ricopiato ed aveva finito per sedurre lui invece e per allontanarsi, lasciandolo lì in piedi come uno stoccafisso. Gli si fece duro solo al pensiero che lei avesse potuto giocar sporco “Io credo invece che tu abbia paura.” Disse alla fine, dando voce a quelli che erano sempre stati i suoi pensieri a riguardo.

Brienne si voltò. “Di te?” chiese, deridendolo quasi. Quel tono di voce lascivo se n’era andato ed aveva dato spazio ad un’aggressività con cui sperava di difendersi o di incutere timore.

“Che possa funzionare.”

Touchè, pensò lei. “Non voglio essere un’altra delle tue conquiste. Una di quelle che ti fanno lo sconto a pranzo” fece dura.

“Lo sei già.” Disse ridendo Jaime, come se non l’avesse notato già, come se non lo sapesse da tempo. “E poi che importa? Io sono una delle tue.”

“Non è la stessa cosa.”

“Che importa, Brienne?” chiese lui, stufo, agitando le braccia. “Pensi troppo.” Le disse e poi basta, le sì avvicinò di fretta e la baciò, stampandole le sue labbra sulla bocca con tutta la forza che riuscì a trovare. Cazzo, non era normale litigare quando la stava invitando a cena, soprattutto quando lei avrebbe soltanto voluto dire di sì. Glielo si leggeva su tutto il viso, la voglia di accettare e la paura di farlo insieme.

Si era aspettato di trovare la sua bocca restia, titubante, ma non fu nulla di tutto questo. Non appena la sfiorò, Brienne gli si sciolse tra le mani. Ricambiò quel bacio con entusiasmo e languore. Era come ridere e fare l’amore insieme. Per un attimo si immaginò che sarebbe stato quello il suo rapporto con lei: litigare, baciarsi, contorcersi e ridere come due pazzi. Si fece prendere così tanto da quella idea e dal momento, da non ricordarsi che insieme ancora non ci stavano. Le mise una mano sul seno, prima di lato, poi man mano facendosi più avventuroso e coprendoglielo del tutto.

Brienne si staccò di lui e guardarono entrambi la sua mano ancora comicamente appoggiata sul petto di lei. “E’ una dichiarazione romantica questa?” chiese poi ironica. A tratti in realtà però quasi tremava.

Jaime si allontanò, mise le mani in tasca e provò a fare qualche passo indietro prima di ricordarsi della sua andatura ciondolante e risistemarsi quindi con le piante dei piedi ben incollate a terra. “Perché deve essere tutto una dichiarazione romantica per voi donne?” scherzò, fingendo esasperazione “Magari per una volta uno vuole solo scopare.”

“Allora vuoi solo scopare.” Fece lei come se l’avesse smascherato, ma a voce bassa, come se avesse anche paura che davvero fosse così.

Ancora una volta Jaime provò tenerezza. Non gli andava di torturarla così. “No, è una dichiarazione romantica.” Confessò.

“Sono confusa.”

“Esci con me.” Disse di nuovo lui “Esci con me domani. A fine serata sarai decisamente meno confusa. E ti prego quell’aspirina.” Chiese alla fine con una mano sulla testa, a dirle che al momento invece era lui quello confuso.

“O di più.” Lo corresse Brienne con un tono che voleva provare ad essere malizioso, anche se non ci riusciva.

“O di più.” Rispose Jaime ridendo. Voltò di nuovo gli occhi al cielo, troppo, troppo rapidamente. Non faceva che guardare in alto quella sera. Si sentiva spensierato e leggero. “Vorrei tanto salire da te.” Si fece poi serio. Si avvicinò piano e prese a baciarla di nuovo. Di nuovo lei non si oppose, anzi ricambiò con lo stesso entusiasmo.  

“Io no.” Rispose Brienne sulle sue labbra “Puzzi di quel disgustoso liquore.” Si allungò a spiegare, ma nel frattempo si spingeva verso di lui, gli girava le braccia attorno al collo ed i muscoli si tendevano, rigidi e tesi, per impedire all’emozione di farla sciogliere sul marciapiedi.

“Pessima bugiarda.” Commentò ancora Jaime.

Brienne lo guardò negli occhi. Brillavano, insolenti e contenti insieme. Aveva le labbra semischiuse, bagnate dalla saliva di entrambi. Il viso era pulito, appena coperto da un sottile strato di ricrescita della barba bionda, che sotto alla luce gialla dei lampioni appariva quasi dorata. Avrebbe potuto perdersi in quel viso. “Non puoi tornare a casa stasera. Hai bevuto.” Disse, rendendosi conto, prima ancora di formulare quelle parole di aver capitolato. Aveva vinto lui, pensò tra sé e sé mentre il cuore pompava forte in petto.

Jaime si illuminò. La guardò malizioso, perché sì, beh, lo sapeva cosa aveva capito. In realtà forse lo sapeva già da tempo, sia che a lei piacesse lui, sia che a lui piacesse lei. Se ne era reso conto solo quella sera, nonostante potesse raccontare già di migliaia di sere passate insieme, di cene, di appuntamenti, di film visti al cinema o di sbronze colossali. Ringraziò il signor Tarth per il vino, per la sbornia, per quel liquore di Cat e per averle regalato quella meravigliosa donna che gli stava davanti. Mentre la guardava e fantasticava su che faccia Brienne avrebbe potuto avere durante un orgasmo, dovette ingoiare saliva per non sbavare. Diavolo, sì, avrebbe voluto rispondere, non posso proprio tornare a casa stasera.

“Non è come pensi.” Disse poi lei all’improvviso, agitando le mani davanti al petto. “Davvero, dormirai sul divano.” Concluse, come se avesse capito a cosa Jaime stesse pensando, quasi ce l’avesse scritto in faccia. O forse si era eccitato come un ragazzino e non se n’era neanche accorto.

“Va bene.” Si arrese lui, ormai troppo rintontito per poter opporre resistenza “Sono sotto esame?”

“Qualcosa del genere.” Rispose Brienne. Tirò fuori poi le chiavi di casa, aprì la porta e lo fece entrare.

Jaime affondò immediatamente nel divano e si coprì gli occhi con il braccio. Quando li riaprì Brienne era di fronte a lui, con addosso i pantaloncini di un pigiama ed una maglia troppo larga persino per lei. Gli stava allungando un bicchiere d’acqua bianca sporca. La testa gli martellava ancora, più di prima in realtà. “Cosa non si fa per un’ora in più in tua compagnia.” Sentenziò.

Brienne gli si sedette accanto, lo guardò mandare giù la sua maledetta aspirina. Il pomo d’Adamo gli si alzava ed abbassava mentre ingoiava. Teneva gli occhi chiusi ed un sorso gli colò dagli angoli della bocca, bagnandogli il mento ed il collo. “Te ne andrai stanotte?” chiese lei, seguendo con gli occhi quella gocciolina d’acqua che lo stava accarezzando.

Jaime mollò il bicchiere, suonando di soddisfazione. “Non dire sciocchezze.” Le disse serio, strizzando gli occhi per la luce.

“Puoi biasimarmi?”

“Sì.” Rispose secco lui “Decisamente non è il mio stile.”

“E ora?”

“E chi lo sa. E’ questo il bello.”


 


Angolo dell'autrice
Ok, allor. Questa era una ff che tenevo salvata sul pc. La scrissi un giorno in treno ed a quanto pare quel viaggio deve avermi ispirata. Aspettavo di finire una multi-chapter prima di iniziare a postare One shot per mantenere almeno una parvenza di serietà. Comunque, questa è solo una sciocchezza carina e romantica che mi andava di condividere :) Spero vi sia piaciuta e non vi abbia rubato troppo tempo. Un salutone
  
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