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Autore: Ofeliet    28/09/2020    1 recensioni
Vienna, 1804
Un ballo alla reggia imperiale, un gruppo di narratori impropri e una Cenerentola con entrambe le scarpette.
{ holytalia | accenni aushun | historical canon | queer romance }
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Nuovo personaggio, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Sacro Romano Impero, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia mi è stata commissionata, e l'ho scritta nel giro di tre giorni. Non riesco a capire perché continuo a lavorare così bene sotto pressione, ma almeno i risultati ci sono.
Che dire, che dire? Mi è stata chiesta una holytalia, quindi questa è sicuramente una holytalia.

Dato che ha un setting molto storico, qualche appunto qui e lì:
- Prussia, per quanto sia stato successivamente riconosciuto come stato tedesco, ha origini di ordine religioso e inizialmente era stazionato nella zona del baltico (tanto che l'estinta lingua prussiana era di fatto una lingua di ceppo slavo) rendendolo quindi un esterno a quel circoletto privato quale erano gli stati tedeschi dell'impero da almeno un millennio buono
- Croazia, ovviamente, è un OC e un pov necessario alla storia per diverse ragioni. Non serve sapere molto di lui, dato che la sua caratterizzazione si riassume in "Croazia il divorziato? no, Croazia l'omertoso!"
- Veneziano e Hre qui non sono mochi come nella serie originale ma hanno l'aspetto di ragazzini di tredici/quattordici anni.

- il vestito di Venezia/no è questo. Non ne avevo uno preciso in mente quando scrivevo ma è quello che più si avvicina alla mia idea finale.
- sì, Ungheria nella serie canonica è una serva pure lei, ma personalmente visto che l'impero austro-UNGARICO si chiamava così tendo a rifiutare questa ipotesi e a rendere la nazione una consorte di titolo e di fatto invece di una col fazzolettino in testa che si accontenta di stare appresso a Venezia/no. Di conseguenza sì, ha un suo guardaroba ed è anche alla moda.
- ho avuti tanti dubbi sulla questione del valzer che balla la holytalia (visivamente ho preso tanto spunto da questa clip, anche se il ballo in sè è una mazurka), ma alla fine mi ci sono rassegnata. Esistono testimonianze di questo ballo "indecente" a Vienna già dall'inizio dell'800 quindi ho placato la mia anima di accuratezza storica a riguardo.
- anche se è una cit piccolissima, durante il medioevo Venezia/no aveva tanti fratelli quanti erano i vari comuni presenti nel nord Italia.
- sono una mosca bianca, ma a me non piace l'idea della AusHun innamoratissima (soprattutto quasi onsesided nel canon) perché questo impero aveva tanti problemi e dubito fortemente che non avesse una ripercussione nelle loro interazioni, quindi li ho resi una coppia paritaria e che se può mettersi i bastoni tra le ruote senza rovinare se stessi lo farebbe molto lietamente
- Francia è stato proprio il villain per eccellenza dell'800, non è menzionato spesso perché è il mio personaggio preferito *inserire meme di Gerry Scotti*
- Slovenia è un altro OC, trattato come fratello stretto di Croazia, ma è una creatura pacifica che vive in mezzo al disagio quindi siate buoni con lui
- la menzione del matrimonio di Croazia è riferito all'unione della corona croata e quella ungherese ai tempi del medioevo, il che lo rende di fatto un primo marito che verrà divorziato formalmente solo dopo la prima guerra mondiale, e non poteva farlo prima perché l'alternativa era finire sotto l'impero ottomano come era successo a Bosnia e Serbia






Vienna, 1804


Non aveva la minima idea di chi fosse stata l’idea di indire un ballo.

Prussia si era posto la domanda, e non era riuscito a darsi una risposta. La sua mente certo era impegnata altrove, su un fronte francese e un leader che non voleva in alcuna maniera sottovalutare. In Napoleone, Prussia riusciva a scorgere le stesse attraenti qualità del vecchio Fritz, flauto escluso.
Era per quello che trovava l’idea di un ballo ridicola, o comunque un dispendio di tempo e di soldi che non potevano assolutamente permettersi in un periodo delicato nel quale si trovavano. Era stato nuovamente ignorato nonostante le sue proteste a riguardo fossero state energiche. Come temeva, Prussia era consapevole di non essersi perfettamente integrato in quel circolo riservato quali erano i paesi germanici. Dava la colpa alle proprie radici, che cercava di occultare il più possibile, ma nessuna nazione all’interno dell’impero sembrava dargli un riguardo che si riservavano tra di loro.
La sua era certo una situazione ridicola, ma non poteva fare altro se non stringere i denti e sperare che tutti i presenti dimenticassero presto quali fossero le sue origini e considerassero la sua presenza come se fosse antica del precedente millennio. Era una fantasia che lo coglieva spesso con l’avvento del nuovo secolo, insabbiando ogni sensazione della sua infanzia e seppellendo sotto la neve ogni ricordo che ne aveva.
Prussia era convinto che se si fosse convinto per primo, gli altri non avrebbero tardato a seguire il suo esempio. Malta probabilmente gli avrebbe dato dello stupido, ma Malta non gli scriveva più da cinquant’anni e di conseguenza non poteva avere la minima idea di cosa gli passasse per la testa.
Prussia si reclina sulla sedia dello scrittoio, sentendola scricchiolare in maniera abbastanza minacciosa come le altre tre che l’hanno preceduta, e medita la maniera migliore con cui bidonare l’evento di quella sera. Austria certamente sarebbe stato più contento di lui dell’eventuale forfait, ma Prussia non aveva davvero voglia di sentire su di sé sguardi di sconosciuti che giudicavano la sua mancata etichetta, che non aveva comunque intenzione di imparare. Non ne trovava l’utilità.
La porta del suo piccolo studio si apre, e il Sacro Romano Impero entra senza nemmeno annunciarsi. Era un qualcosa che non faceva mai, l’impero andava e veniva a suo piacimento, convinto di essere padrone di tutto il terreno su cui camminava. Certo non era troppo lontano dalla realtà, ma era anche vero che l’impero non potesse minimamente sfuggire alla rigida impostazione della sua giornata.
Per questo una tale visita lo coglie un po’ di sorpresa, Prussia era certo che non fosse in programma nessun incontro ufficiale con l’impero, il quale invece aveva un’aria sospetta ed era curiosamente solo.
Questi si chiude la porta dietro con cautela, e lo guarda. Inizialmente Prussia non capisce, e piega la testa di lato, grattandosi confuso una guancia. La nazione davanti a lui aveva acquistato un centimetro in più, ma sembrava anche essere dimagrito. Le sue guance erano un po’ più scavate di quanto lo ricordava, e le occhiaie si erano fatte più evidenti. Sembrava essere perseguitato da preoccupazioni, preoccupazioni che Prussia sapeva essere più che legittime. Tutti sapevano quale fosse la sua condizione, e molti di loro ponderavano quanto a lungo questa sarebbe durata. Prussia non voleva darci retta, ma erano preoccupazioni che toccavano anche lui.
« Mi devi un favore. » dice quindi il Sacro Romano Impero, attirando la sua attenzione.
« Favore? »
« Sì, un favore. »
« Che favore posso farti, io? » gli chiede, piegando la testa e cercando di comprendere quali schemi ci fossero nella testa dell’impero che aveva di fronte. Il Sacro Romano Impero era visibilmente nervoso. Sembrava più un ragazzino umano che sfuggiva a un genitore a cui aveva mancato di rispetto e-
« Ho bisogno che inviti una persona. » dice, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
« Io? Non puoi invitarla tu? »
« No! » esclama l’altro, come se la sua situazione fosse palese e fosse lui lo sciocco che si rifiutava di capire. « Io non posso, altrimenti Austria- »
Prussia non sa dire se il suo rivale venga menzionato apposta per metterlo in azione. Era uno scenario da copione, bastava dire che Austria non volesse che una cosa fosse fatta perché lui desiderasse ardentemente di fare solamente quella. Dargli il tormento gli provocava una soddisfazione infantile che non sapeva descrivere a parole definite, ma della quale non riusciva ciclicamente fare a meno.
« Austria? Cosa vuole Austria? »
« Lui non deve sapere che io ho invitato questa persona. Per questo devi essere tu a mandargli l’invito. »
« Invito? Per la festa di stasera? » Prussia fa una pausa, reclinandosi nuovamente sullo schienale. « Non è un po’ tardi per inviare un invito formale? Non farebbe in tempo per- »
« Questo non è importante! » lo interrompe l’impero. « Tu devi solo scriverlo di tuo pugno, al resto di penso io. »
Prussia aveva una buona opinione del Sacro Romano Impero, e poteva anche ammettere di essergli almeno un po’ fedele e affezionato. Inoltre non gli stava certamente chiedendo di invadere un paese alleato, o di uccidere qualcuno e farlo passare per un incidente. E poi si trattava solo di una lettera, Prussia era certo che non era mai successo niente per un singolo invito, scritto da lui poi. E inoltre era un’occasione d’oro per infastidire Austria, e se l’impero chiedeva aiuto a lui e non alla miriade di stati tedeschi che gli erano sottoposti sembrava che con grande probabilità fosse un qualcosa che lo avrebbe irritato e probabilmente allettato per due settimane buone. Non poteva assolutamente lasciarselo sfuggire.
Sorridendo, Prussia apre il cassetto estraendone della carta da lettere e facendo la punta alla piuma d’oca, intingendola con un certo entusiasmo nel calamaio. La tiene tra le dita e la gira con qualche scatto, guardando l’impero davanti a sé.
« E va bene. Chi è il nostro destinatario? »

Croazia non amava particolarmente gli eventi sociali. Forse perché l’ultimo a cui aveva assistito come partecipante era un matrimonio, ma soprattutto perché il suo carico di lavoro triplicava e terminava solo all’alba. Le altre nazioni che servivano presso la casa tedesca sembravano invidiargli il ruolo di favorito di Austria, ma ben poco sapevano quanto simile posizione fosse tediosa e a tratti stressante per uno come lui.
Non valeva nemmeno la pena chiedersi come fosse finito in una simile posizione, perché doveva sovrintendere al cibo che veniva preparato nelle cucine, controllare che le preparazioni della sala da cena e quella da ballo procedessero senza intoppi e tenere in riga chiunque pensasse che poteva prendersi una pausa dopo a malapena mezzora di lavoro.
Croazia aveva un bel po’ di grattacapi, e stentava a credere che erano secoli che era intrappolato in simile posizione da delle nazioni che un tempo credeva amiche.
« Slovenia dov’è? Ancora non è tornato? »
« Ha detto che andava a prendere dei fiori edibili nel giardino. » replica una cameriera che era seduta al tavolo della cucina. Erano le tre del pomeriggio, e solo in quel momento si era seduta a pranzare. Croazia si passa una mano tra i capelli, sentendoli sudati. Nelle cucine la temperatura era insopportabile, ma non poteva abbandonarla prima che i cuochi mettessero a disposizione i primi assaggi delle pietanze di quella sera, così da poterle finalmente approvare e smettere di pensarci.
« E Venezia? » chiede una voce insolita per quel luogo, con tono abbastanza stizzito. « Dov’è Venezia? »
Croazia si gira in direzione della sua provenienza, e con una certa sorpresa e sgomento trova all’uscio l’impero. L’apparizione è così insolita che per un attimo Croazia teme di avere un’allucinazione dal troppo calore. L’impero non era mai sceso nelle cucine, almeno non in una situazione così indaffarata e in quell’orario. Certo poteva sperare di essere furtivo, ma di certo non era mai sfuggito alla sua attenzione, tanto che Austria mensilmente lo chiamava per chiedergli il conto delle volte che si era avventurato nei piani inferiori.
Forse per quello la sua apparizione gli desta curiosità, insieme alla stizza di gestire la sua presenza in un momento così caotico.
La cucina, infatti, si paralizza e tutti si affrettano a inchinarsi non appena notano la chioma bionda e la pelle pallida del nuovo arrivato. L’impero guarda per terra, e solo poi muove qualche passo all’interno della cucina. Il suo aspetto non appartiene minimamente al luogo che lo circonda.
« Ho chiesto dove è Venezia. » ripete, rivolgendosi direttamente a lui. Croazia fa velocemente mente locale. A spaccare la legna? No, allora forse in giardino? Nemmeno. Croazia fa fatica a ricordare, tanto è indaffarato, e si sente infastidito da una richiesta così imperativa e con pessimo tempismo. Non riesce a ricordare.
« Non- Venezia ha il giorno libero. »
Sta mentendo. Ovviamente sta mentendo, ma non gli va di ammettere la propria mancanza e non ha tempo di accettare punizioni o prediche a riguardo. E poi se Venezia aveva offeso o infastidito l’impero, certamente gli doveva essere grato perché gli stava facendo guadagnare tempo per pensare a come rimediare al pasticcio in cui si era cacciato.
Il viso del Sacro Romano Impero diventa ancora più pallido. Sembra non fosse quella la risposta che si aspettava. « Va bene. » gli risponde, abbassando il capo leggermente. Croazia nota che ha qualcosa in mano, ma non fa in tempo a inquisire che l’impero gli ha già voltato le spalle, improvvisamente spiritato.
Non era un buon segno, ma almeno abbandonando la cucina l’atmosfera si rilassa e i cuochi riprendono a parlare tra di loro, spettegolando su quella visita insolita.
Croazia si acciglia, ma dopo un momento di esitazione si decide a seguire l’altra nazione. Non ha voglia di sentire i rimproveri di Austria nel caso succeda qualcosa. Quando riesce a raggiungerlo a una distanza ragionevole, Croazia nota che l’impero non è ancora risalito ai piani superiori che gli spettano, ma sembra puntare nella direzione degli alloggi dei servi. Forse non gli aveva creduto per l’assenza di Venezia, e stava andando a controllare.
Croazia non riesce a ricordare dove l’ex repubblica si trovi, ma prega con tutto se stesso che non sia in stanza.
L’impero non bussa alla porta, ed entra praticamente subito. Croazia trattiene il fiato, ma nessun suono viene dalle stanze da letto della servitù, e dopo qualche minuto vede l’impero uscire e finalmente sgattaiolare via ai piani superiori.
Un simile atteggiamento lo insospettisce, e dopo aver atteso un po’ è lui stesso a dirigersi verso le camere da letto. Una volta all’interno sembra non ci sia niente, ma camminando tra i letti non gli ci vuole molto a notare un qualcosa di nascosto sotto i cuscini. Era il letto di Venezia.
Gli basta scostare il cuscino per vedere la carta pregiata di una lettera sotto di essa. Croazia sospira, dandosi dello sciocco per essersi preoccupato per niente. Era una faccenda tra impero e repubblica, e ora poteva lasciare tranquillamente la situazione in mano alla seconda.
Il fascino di Venezia, nonostante l’aspetto giovanile, non gli era sconosciuto. L’intera penisola settentrionale sembrava erede di una bellezza insolita e accattivante che attirava l’attenzione di chiunque, e permetteva loro di piegare gli altri al loro volere. Venezia, nella sua delicata posizione di repubblica dentro la polveriera del suo territorio, non sembrava essere esente da una tale capacità. Croazia, dal canto suo, poteva dire di averne visto solo e soprattutto il lato spietato che poco si addiceva al suo viso delicato e alla corporatura che sembrava potersi spezzare alla prima folata di vento. Lui sapeva che era la cosa più lontana dalla realtà dei fatti.
Venezia certo era diventato una nazione serva, ma con una punta di invidia si trova a considerare come non ci abbia impiegato molto a scalare i ranghi all’interno di quella casa. La nazione si scrolla la faccenda di dosso le spalle ugualmente, lasciandola cadere ormai svuotata di ogni preoccupazione.
Qualsiasi fosse il contenuto, lui ne voleva rimanere ignorante. Austria avrebbe dovuto investire in un’altra spia, perché lui era troppo oberato di lavoro per farne una.

L’aria del giardino era certamente più fresca rispetto alla cucina. Venezia sente una folata di vento sul viso arrossato, e si appoggia al muretto sentendo le gambe improvvisamente stanche. Non aveva alcuna voglia di tornare all’interno, ma quello era probabilmente l’unico posto che gli era concesso in una tale residenza senza che gli venisse fatta alcuna domanda.
Venezia si addormentava ogni notte col terrore di dimenticare le sue feste tenute al palazzo ducale, su quanto fosse servito e riverito, e trattato dignitosamente da repubblica invece di essere un mero servo alle dipendenze di più di un impero che lo avevano trattato come una mera consegna da parte di Francia.
No, Venezia sapeva di aver commesso peccati atroci e gesti infami, ma non si considerava ugualmente meritevole di una tale fine. Non sapeva nemmeno dire se fosse tale.
La sua crescita, certo, si era arrestata una volta terminata l’epoca del Rinascimento e sembrava non voler progredire. Venezia guardava le nazioni che lo circondavano, più giovani ma già adulte, e provava tanta frustrazione a riguardo. Non riusciva a comprendere quale fosse la mancanza alla quale non fosse in grado di sopperire.
Probabilmente vista la sua condizione di nazione serva sarebbe rimasto intrappolato nel corpo di un ragazzino fino alla sua morte.
Il pensiero fosco lo riscuote, facendogli visualizzare di nuovo un giardino straniero che era stato arrangiato con cattivo gusto. Croazia probabilmente non si era accorto della sua assenza, e poteva ancora permettersi una breve visita al letto per riposarsi, tanto era sicuro che lo avrebbero messo a servire durante la festa. Ungheria adorava vantarsi di lui come di un nuovo acquisto, come se fosse un rotolo di seta pregiata che aveva strappato a una nave nemica prima di affondarla.
In effetti nel palazzo erano presenti molte nazioni germaniche. Era indubbio che la festa fosse indetta in loro onore, o più palesemente per tenerli impegnati dal complottare contro la casa dominante dell’impero.
Il pensiero di Sacro Romano Impero gli fa storcere la bocca. Non pochi secoli prima era così ansioso di unire i loro territori, ma una volta che era diventato una sua proprietà non lo aveva degnato di uno sguardo.
Venezia non ci aveva dato peso, sapeva che i vestiti servili erano tutt’altro che gradevoli alla vista, ma un tale atteggiamento nei suoi confronti lo aveva spiazzato. Era una repubblica che aveva dominato il mediterraneo a lungo, ma ora non era altro che un servitore che non meritava alcuna attenzione.
Una volta dentro il corridoio che porta alle stanze Venezia sente dei passi e si accosta al muro, vedendo passare Croazia. Forse si era accorto della sua assenza, ma sembrava aver già controllato le camere da letto e di certo non le avrebbe visitate di nuovo. Venezia sapeva che sarebbe stato ugualmente punito, quindi era meglio allungare il suo riposo fino a quanto a lungo poteva.
La stanza da letto è vuota, e con calma si sfila il grembiule, ricadendo sul letto con una vaga rassegnazione. Uno strano fruscio però attira la sua attenzione. Inizialmente Venezia vorrebbe ignorarlo, ma questo continua con ogni suo movimento, spingendolo frustrato a cercarne la fonte.
C’è una busta sotto al suo cuscino. Venezia la prende tra le mani, rigirandola tra le dita. Non c’è un mittente, ma è scritto quello del destinatario, ed è il suo. Si trova a ponderare se si tratti di uno scherzo, ma dalla fattura della carta sembrava essere un po’ troppo dispendioso.
Accigliandosi quindi Venezia apre la busta e ne estrae un singolo foglio, che legge prima lentamente e poi con sempre più avidità. Era un invito ufficiale per la festa di quella sera.
Era persino firmato a titolo di Prussia. Un simile mittente gli fa storcere il naso, non gli aveva mai rivolto parola e non l’aveva incontrato privatamente. Non riusciva a capire perché questi gli avesse mandato un invito. In fondo Prussia era una sorta di straniero nel circolo germanico, aveva sentito Austria parlarne in maniera sdegnosa, cosa che immediatamente aveva acceso la sua simpatia per la suddetta nazione.
Non gli importava perché gli fosse stato rivolto un invito, ma Venezia era certo che era più che disposto ad accettarlo. La sua mente inizia a muovere velocemente gli ingranaggi, a pensare come poteva sbrigarsi a poter combinare il tutto, e una volta trovata la soluzione infila l’invito nella busta e la nasconde nella fodera del cuscino, passandosi quindi le mani sul viso.
Non molto dopo è al pozzo e sta tirando su il secchio pieno di acqua, che porta velocemente in cucina. Croazia certo è sorpreso di vederlo, ma Venezia vede che non ha forza di mettere in piedi alcuna ramanzina, e si infila velocemente tra le altre cameriere che stanno iniziando a portare le prime pietanze alla sala da cena. Venezia sorride cordialmente e spettegola con loro, guardandosi poi intorno e familiarizzando col luogo del quale sarebbe dovuto essere l’indiscusso padrone una volta che avrebbe fatto la sua entrata.
Il tramonto giunge subito dopo, e le prime carrozze iniziano ad affollare il viale del palazzo imperiale.
Venezia sente l’aria farsi carica di eccitazione, ma non ci partecipa. Aiuta a portare le pietanze della cucina ma non sale nemmeno una volta alla sala dove stanno consumando il cibo, ed è solo quando sente le prime note del complesso orchestrale della tenuta che silenziosamente si defila dal passaggio. Si sente osservato, è Croazia, ma sembra non commentare la sua fuga. Anzi, sembra che se potesse fare lo stesso lo farebbe senza esitare, e con questo pensiero Venezia sparisce nelle camere da letto. Sono nuovamente vuote, tutti sono impiegati a servire, tutti tranne lui.
Venezia si avvicina al proprio letto e ne tira fuori il baule, di cui apre la serratura e ne estrae un piccolo specchio. Il suo viso sudato è un qualcosa a cui deve porre rimedio con dell’acqua fredda, e dopo di quello si sente immediatamente meglio, quindi sistema lo specchio in modo tale che possa vedere la sua intera figura e si spoglia davanti a esso. Il suo corpo continuava a non essere particolarmente bello, e con una certa stizza Venezia gli dà le spalle, estraendo una sottoveste pulita e delle calze, che infila nella speranza di coprire velocemente il suo corpo. Si allaccia subito anche le scarpette da ballo, vinte a dadi contro una Boemia ubriaca che insisteva per giocare con lui dopo l’investitura di un nuovo imperatore. Solo dopo prende il corsetto. Lo aveva messo di rado, e lo aveva sempre fatto con un aiuto. Quello che aveva tra le mani era certo di fattura aristocratica e gli ci vogliono un paio di tentativi prima di riuscire ad allacciarlo correttamente, seguito subito dalla lunga sottoveste di seta.
Ora la sua figura era più bella, e con cura Venezia estrae il vestito che aveva intenzione di indossare. Se Ungheria avresse riconosciuto l’abito che aveva abbandonato nel fondo del suo guardaroba di certo non avrebbe evitato le frustate, ma Venezia non voleva pensare a quello mentre lo indossava. Non era particolarmente dettagliato, ma donava certamente alla sua figura più che a quella della nazione imperiale.
Truccarsi allo specchio non è invece così difficile, ed è solo dopo essersi rimirato che esce dalle stanze e sgattaiola dentro passaggi riservati ai servi, apparendo poi all’inizio della scalinata e iniziando a salirla coi passi calcolati. Il marmo sotto ai piedi era gelido per le sue scarpe sottili, ma Venezia si stringe il suo invito e lo porge ai paggi che presiedono l’ingresso.
Non lo riconoscono, forse per via del trucco oppure perché la luce delle candele non è mai particolarmente intensa, ma lo lasciano passare dopo aver esaminato la sua lettera.
Venezia aveva già valicato simile corridoio, ma mai in una simile veste. Di solito era armato di un panno per spolverare, e nient’altro gli era concesso.
Ora invece aveva indosso un vestito forse non all’ultima moda, ma che rendeva giustizia alla sua figura.
La musica proveniente dalla sala da ballo ottiene presto la sua attenzione, e Venezia con passi calcolati si dirige verso di essa. Le note della musica svaniscono non appena la danza termina, e le coppie si separano, rendendo quasi un corridoio dentro al quale poteva liberamente passare. Nonostante questo Venezia attende che i ballerini riprendano fiato, e inizino le note di un altro ballo. Non riconosce i tempi subito, tanto è preso dai propri pensieri.
Per un momento Venezia ha un ripensamento, si chiede se lo hanno già riconosciuto, se la punizione che lo attende poi ne vale la pena, ma si ricompone in quello successivo. Lui era una fiera repubblica, e persino partecipare a una festa come quella era suo pieno diritto.
Con passo deciso quindi Venezia attraversa la sala, girando tra i vari commensali che non si sono indugiati a ballare. Non cerca di partecipare ad alcun pettegolezzo o a prendere qualcosa da bere. La luce delle candele è nuovamente fioca, e Venezia spera non lo riconoscano subito. Cerca di non tremare, anche se è piuttosto difficile.
L’atmosfera, nonostante tutto, è piacevole. Col passare dei minuti Venezia si rilassa, riesce persino a scambiare due parole con un nobile del quale ha già dimenticato il titolo, e scambia complimenti con qualche dama che era rimasta a decorare il muro. Venezia si sente rinvigorito, tanto che continua a camminare sempre vicino ai muri della sala. Austria e Ungheria stanno nuovamente danzando insieme, e con una lieve smorfia l’ex repubblica si chiede come faccia uno come Austria a poter danzare così a lungo se faticava ad alzare qualsiasi cosa più pesante di un calamaio.
Non sa darsi una risposta, e continua a camminare, finché una voce ben chiara non lo richiama alla realtà.
« Girati. » gli comanda. Il sangue gli si gela immediatamente, e la bocca non riesce a pronunciare nemmeno una delle scuse che si era già preparato per l’occasione.
Venezia obbedisce, come dovrebbe obbedire un servitore, e si trova davanti l’impero.
L’incontro lo coglie di sorpresa. Non ha idea del perché si sia avvicinato, forse perché vuole rendere palese la sua identità a tutti e umiliarlo di conseguenza. Non sarebbe strano, lui al posto suo l’avrebbe sicuramente fatto.
L’impero invece gli tende la mano. Venezia la accetta senza alcuna esitazione.
Ora può guardarlo meglio, è più pallido e più magro. Se continua così Venezia pensa che lo supererà presto in altezza. Spera che il suo pensiero non sia leggibile sul suo viso, anche se mascherarsi è una capacità acquisita da quando ne ha memoria. No, il suo viso è rimasto in un sorriso tutto il tempo, come se non esistesse nessun altro in quella stanza.
Ora Venezia ha paura di guardare la coppia imperiale, anche se l’impero ora lo sta tenendo per mano non lo rende immune a qualsiasi genere di ritorsione.
« Mi- mi concedete questo ballo? » gli domanda l’impero. La sua voce, dopo che l’ha schiarita, è udibile sopra la musica della danza. Sembra voler apparire autoritario nonostante la sua corporatura sia tutt’altro che minacciosa. E lui di certo non è uno stupido a rifiutare un invito di simile portata.
« Certo, mio impero. »
Le sue parole colorano le guance di Sacro Romano Impero, facendolo sorridere più genuinamente. Non aveva mai incontrato qualcuno che si imbarazzasse per un semplice possessivo, ma l’impero sembrava piuttosto delicato a riguardo, tanto da farlo desistere dal punzecchiarlo nuovamente. Certo era che stava iniziando a sudare. Non aveva idea di cosa sarebbe successo quando la musica sarebbe terminata, e quanto velocemente sarebbe stato allontanato ora che le persone stavano iniziando a prestare attenzione al fatto che l’impero si era scelto un compagno di ballo.
Questi invece sembra non voler attendere che la musica finisca, e lo attira a sé non appena varcano il gruppo di persone che circonda la pista da ballo. Venezia sente la sua mano sul fianco. Non riconosce la musica.
« Mio impero. » sussurra, ora sinceramente imbarazzato. « Non conosco la danza. »
« Io- ti guido io. »
Venezia aveva già esperienza, di diversi tipi. Sapeva di non potersi affidare alla guida di un’altra esistenza, tanto se era una nazione che si era sempre impegnata a sopraffarti. In quel momento invece sembrava essere disposto a farsi condurre in una danza che non aveva mai imparato.
I tempi erano certamente di una moderna, che non aveva preso tempo da molto. Sapeva che i nobili la consideravano incedente ma di cui gli spartiti non potevano mai mancare a una festa danzante. E L’impero la sapeva ballare.
Si domanda con quanti abbia già avuto l’onore di condividere una simile vicinanza che stava proponendo a lui, ma subito dopo Sacro Romano Impero gli pesta un piede e invece di lamentarsi del dolore Venezia sorride per la palese inesperienza che questi sta dimostrando nel cercare di portarlo attraverso la pista.
Le sue mani sono così fredde che le sente attraverso la stoffa dei guanti, senza contare che l’impero ne indossa di buona qualità mentre lui ha la pelle nuda della mano che questi gli sta stringendo. Probabilmente non sta godendo di buona salute, e Venezia cerca di reprimere un picco di preoccupazione, giustificandolo col pensiero che il suo fato dipendeva dalla condizione dell’impero stesso.
« State bene? » gli chiede quindi.
« Cosa? »
« Il piede. Vi ho pestato il piede. » il piede in effetti gli fa male, ma la musica è piacevole e Venezia sa bene di non potersi permettere di rovinare il divertimento. Senza contare che è l’impero che l’ha invitato a ballare, e sta cercando di danzare con lui in una maniera goffa che Venezia non riesce a non considerare buffa.
Forse il Sacro Romano Impero sotto era ancora un ragazzetto al quale il ducato di Milano lanciava sassi per farlo andare via. E forse lui era ancora la piccola serpe della laguna che non voleva andare d’accordo coi fratelli e si aggrappava al ricordo di un genitore che non sarebbe mai tornato a cullarlo.
No, erano cresciuti entrambi. Certo l’impero che lo teneva stretto, che era gelido di mani ma caldo di guance, non era la stessa persona. Venezia poteva guardarlo in viso e dire con certezza che aveva qualcosa di maturo dentro di sé. Le sue vesti erano più dettagliate, e certamente Austria faceva il bello e cattivo tempo in quella reggia che dovevano condividere, ma era anche lo spirito testardo dell’impero che non era cambiato – anche e nonostante le numerose lapidazioni messe in atto dai fratelli che occupavano la pianura – e anzi nonostante il corpo fragile sembravano voler continuare a bruciare senza alcun freno.
Forse erano simili in quello.
« No, sto bene. » gli sorride, questa volta con più sincerità del solito. « Continuiamo a danzare. »
Il Sacro Romano Impero annuisce. Venezia sente la mano sul fianco tremare e stavolta è lui a farsi vicino. Certo forse in pubblico è sconveniente, ma in fondo la sua reputazione giace nelle profondità del mar Mediterraneo e non ha più niente da perdere. Una volta che sono più stretti il ballo procede un po’ più tranquillamente. Venezia riesce a mimare i passi dell’altro e a farli suoi, finendo quindi col condurre a sua volta la danza. L’impero non ne appare infastidito, anzi, lo segue in ogni movimento lasciandogli poi la piena conduzione dei passi lungo la sala. Venezia non ha idea come non si siano ancora scontrati con altre coppie, ma probabilmente gli altri erano decisamente più abili nel danzare rispetto a lui.
« Vi piace la festa? » gli chiede quindi l’impero. Venezia alza la testa, e lo guarda dritto negli occhi.
« Certo? Perché lo chiedete? »
« Ecco, non siete venuto… subito. Pensavo aveste rifiutato il mio invito. » qualcosa in Venezia si blocca, tanto da farlo quasi inciampare sui suoi stessi piedi. L’invito era dell’impero. Poteva arrivarci. Prussia di certo non glielo avrebbe mai mandato di sua iniziativa, probabilmente non sapeva nemmeno chi fosse. Ma l’impero, invece, sì.
Una simile realizzazione colora le sue di guance, e Venezia cerca di calmarsi, in cerca di un argomento neutrale che riporti la calma nel suo stato di agitazione. « Ho aspettato che veniste, e poi ho pensato che forse vi ho messo a disagio- »
« No, affatto! » lo interrompe Venezia, cercando di riprendere il ritmo dei passi. « Mi avete onorato. »
L’impero non risponde, ma Venezia ugualmente fatica a guardarlo negli occhi. L’impero di certo non era cambiato nei suoi confronti. Non aveva cambiato idea su di lui.
L’unico amareggiato e ciecato dalla situazione era solamente lui.
Certo non avrebbe mai fatto i salti di gioia per una vita di servitù, ma l’impero sembrava ugualmente suo.
La realizzazione lo colpisce con un po’ di forza, e manda nuovamente colore alle sue guance. Venezia sente di starsi scaldando, e di certo non a causa della danza.
L’impero invece continua a essere gelido, ma non gli dà alcun fastidio.
La danza continua, ma Venezia sente la musica come lontana. Ora non c’è più nessuno nella sala, né altri ballerini e nemmeno gli sguardi che stava inizialmente ignorando. Non si cura dei pettegolezzi che nasceranno su di lui, e non lo turba il pensiero di essere riconosciuto e di conseguenza frustrato per una simile violazione.
Conduce la danza dell’impero che ha tra le mani e ricambia il suo sguardo senza alcun timore. Il Sacro Romano Impero apre bocca un paio di volte, come se volesse dire qualcosa, ma quando Venezia presta attenzione alle sue labbra le richiude velocemente. Non si dicono più una parola finché non termina la musica, ma Venezia sa che non ha alcun bisogno di parole.

L’espressione di Austria per tutto il resto del valzer era esilarante.
Ungheria non ci aveva impiegato molto a capire dove stesse guardando, e una volta notato l’obiettivo di tali funeste occhiate aveva stretto a sé il marito e gli aveva impedito di causare una qualsiasi scenata.
Certo, era palese che l’impero avrebbe voluto invitare Venezia a una tale festività, ma il fatto che ci fosse riuscito destava la sua più sincera curiosità. Non avrebbe mai pensato che quel ragazzino fragile avrebbe osato disobbedire alla sua casata più dominante, soprattutto se era sull’orlo di un inevitabile collasso. Forse per quello meritava almeno un po’ di divertimento, tanto che lei continuava a tenere stretta a sé la nazione consorte impedendogli di abbandonare la danza a metà e rovinare tutta la magia che si era creata al centro della sala dove due nazioni stavano cercando di ballare insieme in maniera impacciata.
Facevano quasi tenerezza, i due bambini.
Con un passo svelto Ungheria rigira verso di sé Austria, costringendolo a distogliere lo sguardo. La nazione tedesca sobbalza a simile cambio di ritmo e finalmente le da l’attenzione che merita.
« Avete notato qualcosa di interessante? » gli chiede, sorridendo e facendogli intendere che non tollerava il fatto che la ignorasse.
« Sì, hai visto- »
« Vedo che guardate altrove mentre ballate con me. »
Punzecchiare Austria era facile, fin troppo per lei.
Non era un mistero che non andassero più tanto d’accordo. Aveva sentito parlare qualche principato germanico sul fatto che la loro luma di miele fosse finita, e si trovava a dargli ragione. Aveva sposato Austria in maniera troppo impulsiva, e ora se ne trovava tra le mani le conseguenze.
L’altra nazione sembrava averlo intuito a sua volta, ma non si era mai pronunciata in merito.
Forse per quello invidiava un po’ la coppia che ballava al centro della sala. Era strano pensare che avessero la stessa età, ma che quei due ritenessero in sé la freschezza di una gioventù che a lei ormai era sconosciuta.
Venezia sembrava ancora nel fiore dei suoi anni nonostante avesse sulle spalle un millennio di conflitto e potere. Lo vedeva volteggiare insieme all’impero, ora rigido e poi via via più rilassato. Si stanno parlando, e si sente curiosa del loro eventuale dialogo.
Cosa potrebbero dirsi un impero e la nazione che ora lo serve?
« Non volevo mancarvi di rispetto. »
« Non dovete, infatti. » la nazione fa una pausa, poi sorride. Nota Prussia in un angolo, non ha accettato un solo invito a ballare. Probabilmente non ne era capace, anche se il suo sguardo intenso le faceva intendere che le avrebbe ben volentieri pestato i piedi se solo lei gli avesse acconsentito almeno un giro.
Era cambiato anche lui nell’ultimo secolo. Era cresciuto, sembrava molto più virile ogni volta che riusciva a lanciargli uno sguardo di sfuggita. Era una cosa inevitabile per una nazione, sempre con la dovuta eccezione che ora stava ondeggiando tra le braccia dell’altro.
Forse la sua era invidia. Il Sacro Romano Impero sembrava ancora un ragazzino che poteva scegliere un futuro brillante, nonostante le fosche e reali prospettive.
« Sono io la vostra consorte, e come tale almeno davanti a me non dovete prestare attenzione ad altri. »
« Non stavo guardando altri, solo che- »
« Austria. » la sua voce è più ferma, ora un po’ più infastidita. « Non mi aspetto delle giustificazioni. »
« Sì lo so, ma è ugualmente indecente. »
« Due ragazzini che ballano? » inquisisce allora. Austria si fa pallido, probabilmente solo ora si è reso conto che anche lei li ha notati. « L’impero è debole e infelice, e tu vuoi soffocarlo ulteriormente? »
« Non sono io, è Francia- »
« Francia di certo non gli avrebbe vietato di invitarlo ufficialmente, e condurlo per iniziare le danze in maniera dignitosa. »
Non era da lei difendere la nazione francese in quella maniera. Non era nemmeno una difesa, più una critica da rivolgere al consorte su come trattava un ragazzino che voleva solo poter tenere per mano un amore secolare.
« Adesso è un servo. Fosse una repubblica come pochi anni fa non avrei dato nessun parere a riguardo. » Ungheria alza un sopracciglio ma non replica. Austria stava mentendo, non aveva mai particolarmente tollerato nazioni italiane in generale, tanto meno una stella sfavillante quale era stata Venezia a suo tempo. Lei aveva assistito in maniera distratta a simile disprezzo, impegnata a contenere la minaccia ottomana che continuava ad accarezzare con violenza i bordi del suo territorio.
Ad Austria probabilmente era rimasto solo quello.
La danza finisce, la musica si spegne. Ci sono diversi applausi di apprezzamento nella sala, e si gira insieme ad Austria in direzione della coppia principale. Sono ancora vicini, sembrano non essersi resi conto che devono assumere una distanza dignitosa tra di loro. Sembrano davvero due ragazzini, e la cosa la intenerisce.
Venezia è il primo a rendersi conto della sua posizione e a riscuotersi. Si volta subito nella loro direzione, come se gli sguardi di Austria fossero dardi contro il suo corpo. Lo vede impallidire una volta che li mette a fuoco, e inchinarsi velocemente all’impero, congedandosi in fretta e furia e abbandonando velocemente la pista da ballo.
Ungheria lo osserva sparire tra gli altri presenti, e vede Austria tentare di seguirlo salvo accasciarsi poco dopo su una sedia. Continuava a non essere dotato di buona resistenza.
Lei invece si avvicina all’impero. Questi sembra essere piuttosto in trance, tanto che non reagisce quando lei gli tocca la spalla. Lo prende quindi per il braccio, e dopo aver pronunciato parole di commiato lo accompagna sul balcone, nella speranza che almeno un po’ di aria fresca gli faccia riprendere i sensi.
La serata, di certo, avrebbe fatto parlare un bel po’ di gente abbastanza a lungo. Nessuno aveva idea di chi fosse quella misteriosa dama, e lei di certo non avrebbe venduto il segreto tanto presto.

Croazia gli aveva permesso di ritirarsi prima a dormire, ma il rumore che c’era per tutta la mansione non lo faceva ugualmente dormire.
Slovenia si rigira nel letto, cercando di prendere un sonno che sa bene non arriverà. Pensa di dover rinunciare persino a tentare, e magari andare in cucina per vedere se era rimasto qualcosa di buono da mangiare. Il cuoco non gli aveva mai detto no, probabilmente perché non sarebbe riuscito a dormire anche lui.
Gli mandavano i tempi alla sua casa, ormai lontani. In fondo quando suo fratello si era sposato non era cambiato niente, ma quando la moglie di questi aveva contratto il suo secondo matrimonio lui era stato trattato alla stregua di un pacchetto che andava a rimpinzare la schiera di servitori alla villa di Austria. Era un qualcosa che nemmeno un carattere placido come il suo era in grado di perdonare. Atteneva solo il giorno in cui quel pavido di suo fratello si fosse deciso di recidere la propria corona dalla moglie.
Anche una simile azione non era facile né possibile. Gli ottomani sembravano attendere con poca pazienza di inghiottire anche l’ultimo dei fratelli Balcani, forse l’unico motivo per il quale Croazia continuava a essere aggrappato alla sottana di Ungheria e accettava il suo ruolo di servitù all’interno di quel complesso matrimonio di cui faceva parte.
In fondo l’impero aveva inghiottito quello che poteva dei Balcani, e stava facendo lo stesso anche con la penisola.
Slovenia mai avrebbe creduto che l’impero avrebbe potuto sopraffare la Serenissima. Solo due secoli prima era un’azione a cui avrebbe riso e dato del pazzo anche solo a un suggerimento, e poi lo avrebbe ignorato e successivamente dimenticato. Ora, invece, condivideva la stanza con quella possente repubblica che nessun impero era riuscito a piegare fino a poco tempo prima.
La suddetta repubblica che ora stava entrando nella stanza. Slovenia ne riconosce i passi e medita se fingere di dormire, decidendo di sembrare ridicolo. Venezia accende una candela, e la stanza si illumina un poco.
Slovenia si gira in sua direzione.
Ha un aspetto insolito. Quello che gli vede addosso è un abito da ballo.
Non fa in tempo a chiedere dove l’abbia preso che Venezia lo sta guardando. Si sente giudicato anche se non ha colpe.
« Dove sei stato? » gli chiede quindi. Venezia non risponde subito, ma si siede sul letto e si slaccia le scarpe. Anche quelle sono scarpette da ballo. « Sei stato di sopra? »
Venezia si blocca. Forse non pensava che fosse così perspicace o che non facesse domande a riguardo.
« Sì, sono stato al ballo. »
« Ah, bello. » replica lui, perdendo subito interesse. « E Austria non se ne è accorto? »
« Sei piuttosto curioso stasera. »
« Se sei stato al ballo verranno a farmi domande e non vorrei essere punito al posto tuo. »
Venezia arriccia il naso. « Il vestito non ti starebbe così bene come a me. »
Slovenia sente l’impulso di ridere. Venezia era un servo come lui, ma ancora conservava così tanto orgoglio dentro di sé che era impossibile potesse contenerlo dentro il suo corpo. « E poi tu sei il fratello di Croazia. Il massimo che ti farebbero è assegnarti al giardino per due settimane. » fa una pausa. « E per te non è nemmeno una punizione. »
« Ho toccato un punto dolente? » risponde lui. Venezia sospira, probabilmente rendendosi conto di aver reagito in maniera esagerata a una mera provocazione. Ha un’aria accaldata, probabilmente ha corso per scappare nelle stanze. Il suo viso è ancora molto rosso.
Non l’ha mai visto così. Venezia di solito era calmo, posato, anche se era punito o umiliato. Non portava casualmente il titolo di La Serenissima, la sua indole rispecchiava all’apparenza un simile titolo. Ora invece respirava un po’ velocemente, il suo viso era rosso, quando prende la candela per appoggiarla al pavimento questa trema come se le sue mani fossero instabili.
Slovenia lo guarda armeggiare con i lacci dietro al vestito e slacciarli, scoprendo la sottoveste sotto, candida come l’abito. Gli da le spalle. La sensazione è strana, Venezia è maschio, ma si sente in imbarazzo a vederlo spogliarsi di un abito femminile. Lo sente armeggiare con le stoffe e finalmente riporle in un baule che chiude a chiave. Slovenia una volta lo aveva visto il baule. Venezia lo trattava come una personale tesoreria, impedendo a chiunque di avvicinarsi. Probabilmente teneva le sue cose di valore lì dentro.
Una volta che il rumore finisce sente Venezia infilarsi a letto e ben presto la luce della candela svanisce. Per un po’ tra loro c’è silenzio, si sente solo la musica provenire dai piani superiori.
« Quindi come era il ballo? » chiede lui. Non sa perché lo ha fatto. Forse è curioso, oppure si sente solo e visto che non dorme preferiva parlare con qualcuno, anche se questo era un antico nemico della sua famiglia. Venezia non gli risponde subito. Sa che l’ha sentito, e lo sente prendere fiato diverse volte ma la voce non esce dalla sua bocca. Slovenia non lo incoraggia ma nemmeno parla a sua volta, indeciso su cosa potrebbe dirgli di così importante da esitare così a lungo.
« Bellissimo. » replica finalmente Venezia dopo un po’ di tempo. La sua voce è diversa dal solito, tanto che col buio Slovenia pensa inizialmente che si sia scambiato con qualcuno il letto e sia un’altra nazione a rispondergli. Eppure nonostante un tono insolito poteva dire che era Venezia. Questi sospira ancora un paio di volte. Sembra che il fiato gli venga meno, anche se non ne comprende il motivo. Sembra che abbia corso per infinite distanze e si sia giusto appoggiato a letto.
Slovenia sente il letto frusciare, nuovamente.
Venezia apre la bocca un’ultima volta, con una voce assonnata ed esausta.
« Lui era bellissimo. »

   
 
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