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Autore: Lost on Mars    29/09/2020    2 recensioni
È un raro, assolato giorno di primavera del 1979: in una radura nascosta nel cuore dell'Inghilterra, James e Lily pronunciano il loro sì più importante e scoprono per la prima volta quante diverse emozioni possono celarsi dietro una semplice parola di sole due lettere.
"«Non so quanto durerà, Lils. [...] Ma affronteremo tutto, minuto per minuto.»
«E cosa faremo nel prossimo minuto, signor Potter?»
«Credo che la stiano cercando per il lancio del bouquet, signora Potter
«Per quello ci sarà il minuto successivo.»"
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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LA DURATA DI UN PER SEMPRE
 

 
James Potter aveva sempre avuto la grande fortuna di avere il sonno facile ed estremamente pesante. Era difficile che impiegasse molto tempo per addormentarsi o che si agitasse durante la notte: ad Hogwarts, persino prima delle partite di Quidditch, era sempre riuscito a dormire placidamente, tranquillo come un bambino.
Tuttavia, quella notte di primavera, proprio non riusciva a chiudere occhio. Eppure, quella appena trascorsa era stata una giornata davvero impegnativa: aveva passato tutta la mattinata a farsi aggiustare l’abito elegante da una vecchia strega, amica di sua madre, dal momento che la giacca gli andava piccola sulle spalle e il bottone faticava a chiudersi; nel primo pomeriggio, invece, Sirius, Remus e Peter avevano fatto irruzione in casa sua, erano rimasti per circa un’ora e poi lo avevano trascinato a Londra, dove avevano cominciato a bere alle cinque del pomeriggio, saltando da un locale all’altro; Sirius si era poi cimentato in un karaoke, anche se faticava addirittura a reggersi in piedi… evidentemente l’ultimo giro di tequila che avevano fatto doveva avergli dato il colpo di grazia.
Era tornato a casa a mezzanotte inoltrata, trascinandosi dietro Sirius, che aveva riacquistato un microscopico barlume di lucidità grazie all’aria fredda della notte. Aveva trangugiato due grandi bicchieri d’acqua e aveva controllato di aver messo la sveglia per la mattina seguente, poi si era infilato nel letto, convinto di addormentarsi non appena avesse toccato con la testa il cuscino.
Così non era stato, e dopo un’ora buona passata a rigirarsi alla ricerca di una posizione comoda, si trovava ancora lì, sotto le coperte leggere, con gli occhi che non volevano chiudersi, a fissare il soffitto. Si alzò a sedere sul materasso e lanciò una veloce occhiata alla sveglia sul suo comodino: era l’una e cinquanta. Sulla parete destra della stanza, addossato al muro, c’era il letto di Sirius. Sirius aveva vissuto a casa di James per poco più di un anno, prima di riuscire a prendersi un appartamento tutto suo con i soldi del vecchio zio Alphard, ma quel letto era sempre rimasto lì: c’erano delle volte in cui non gli piaceva affatto dormire tutto solo nella sua nuova casa.
James osservò con un pizzico d’invidia il suo migliore amico dormire profondamente in una delle sue posizioni strambe, con entrambe le braccia sotto il cuscino, una gamba stesa e l’altra che quasi fuoriusciva dal letto.
Sospirò, infilandosi le mani tra i capelli per grattarsi un po’ la testa. Certo che Sirius riusciva a dormire: mica era lui quello che l’indomani avrebbe dovuto sposarsi.
James non riusciva ancora a credere che quel giorno fosse arrivato. Quando lui e Lily avevano scelto la data, aveva anche detto che fosse troppo lontana, che avrebbero dovuto sposarsi prima, per via della guerra, ma Lily aveva insistito affinché il matrimonio si facesse in primavera, ribadendo più volte e con estrema risolutezza che non sarebbe successo nulla di catastrofico fino alla data che avevano scelto.
L’ottimismo di Lily in quel frangente l’aveva fatto sorridere, e in quel momento, mentre ci ripensava, quasi non si accorse dello stesso sorriso spontaneo e intenerito che gli si era formato sulla labbra, nella penombra della stanza. In effetti, si disse, l’ottimismo di Lily era solo una delle tante cose che l’avevano fatto innamorare di lei.
Lily aveva sempre avuto la straordinaria capacità di vedere il buono in ogni situazione, anche la più tragica, di risollevarsi anche dopo una caduta brutale. Negli ultimi anni aveva affrontato così tante cose difficili con lucidità e bontà disarmanti, e ne era uscita sempre cambiata. Sempre più bella. Sempre migliore.
James si chiese cosa stesse facendo. Nemmeno lei riusciva a dormire? Oppure stava già sognando, nella sua stanza d’infanzia?
Era così strano starsene in un letto senza di lei, nella sua vecchia casa e non in quella nuova di zecca, a Godric’s Hallow, dove avevano finito di sistemare tutti i mobili nemmeno un mese prima.
Decise di alzarsi dal letto. Girovagò per qualche minuto nella stanza, poi si affacciò alla finestra: la strada era vuota e silenziosa, in nessuna delle villette adiacenti alla sua si vedevano ancora luci accese. James convenne che l’intero paese probabilmente dormiva sonni tranquilli e che lui era il solo che non riusciva a chiudere occhio. Guardò di nuovo la posizione delle lancette sulla sveglia: le due e quattro minuti.
Controvoglia, si ritrascinò nel letto e cercò con tutte le sue forze di addormentarsi. Provò a pensare al giorno seguente, ma immaginare la cerimonia, Lily nel suo misterioso vestito, e tutti i loro amici a guardarli non faceva altro che tenerlo sveglio. Allora, proprio come gli diceva suo padre da bambino, si mise a contare gli gnomi. Uno gnomo scavalca il muretto, due gnomi scavalcano il muretto, tre gnomi… ma neanche quello sembrò aiutarlo abbastanza. Allora si rassegnò e decise di starsene semplicemente sdraiato con gli occhi chiusi.
Non osava pensare alle occhiaie spaventose che avrebbe avuto al sorgere del sole.
 
Dorcas era agitatissima. Era in piedi dalle sei del mattino, mentre le altre dormivano ancora. Per prima cosa era scesa al piano di sotto e aveva aperto tutte le finestre, constatando felice che era una meravigliosa giornata: il cielo era di un azzurro intenso, nemmeno una nuvola all’orizzonte e il sole splendeva prepotente, cosa più unica che rara. Aveva fatto una colazione leggera, aveva preparato qualcosa da mangiare anche per le sue amiche e poi era tornata al piano di sopra, dove aveva controllato che tutti i loro abiti fossero in ordine e al loro posto, pronti per essere indossati. Alle sette meno cinque, impaziente, aveva svegliato Mary e Marlene, che si erano lamentate per il fatto che erano stati tolti loro cinque lunghissimi minuti di sonno. Alle sette in punto, invece, la sveglia sul comodino di Lily aveva suonato e la ragazza aveva aperto gli occhi lentamente, per nulla infastidita dal trillo squillante. Allungando un braccio, spense la sveglia, poi si stiracchiò e si tolse le coperte. Il letto che tanti anni prima era appartenuto a Petunia e in cui quella notte aveva dormito Dorcas, era vuoto e già perfettamente rifatto. Sentì delle voci concitate provenire dalla camera che era stata dei suoi genitori, dove avevano dormito Mary e Marlene.
Ormai era passato più di un anno da quel giorno tremendo.
Lily ricordava alla perfezione che erano circa le nove del mattino di un giovedì di novembre e che la lezione del professor Lumacorno era iniziata da pochissimo; ricordava persino l’argomento che il professore aveva cominciato a spiegare quel giorno, e che aveva scritto solamente due righe d’appunti, quando Gazza era entrato in classe, annunciando che proprio lei era richiesta nell’ufficio del Preside. In un primo momento, Lily ricordava di essere rimasta perplessa e di aver guardato James, in fondo all’aula, perché credeva si trattasse di qualcosa inerente al loro compito da Caposcuola, ma ripensandoci, si era detta che le parole di Gazza non lasciavano luogo a dubbi: aveva detto solo “la signorina Evans”.
Davanti i due grandi gargoyle posti all’entrata dell’ufficio di Silente, vi aveva trovato la professoressa McGranitt, e quello le era sembrato ancor più strano, perché erano le nove del mattino di un normalissimo giovedì, e quell’ora la professoressa sarebbe dovuta essere in qualche aula a fare lezione. La donna aveva pronunciato la parola d’ordine che le avrebbe fatte entrare nell’ufficio del Preside: Silente era seduto sulla grande sedia dietro l’ampia scrivania, disseminata di pergamene e oggetti molto curiosi, lui l’aveva guardata da dietro gli scintillanti occhiali a mezzaluna e l’aveva invitata a sedere con un tono calmo e a tratti affettuoso e, con molta delicatezza, le aveva dato la terribile notizia.
Lily non aveva proferito parola e di fronte a lui non era riuscita nemmeno a piangere, ricordava poi che ad un certo punto il silenzio era stato spezzato dalla McGranitt, che sempre molto dolcemente le aveva detto che, se voleva, poteva saltare le lezioni per qualche giorno.
Ma lei riusciva solo a pensare che, a partire da quell’ordinario giovedì, sarebbe stata per sempre sola al mondo, senza più una famiglia da cui tornare per Natale, senza nessuno a cui comunicare i suoi risultati scolastici, senza più le torte di compleanno della mamma, né gli attrezzi con cui il papà le aggiustava la bicicletta. C’era sempre Petunia, certo, ma non credeva che l’avrebbe rivista tanto presto o tanto facilmente, dato il loro turbolento rapporto.
Se fosse tornata indietro nel tempo, Lily avrebbe detto a se stessa di non focalizzare tutti i suoi pensieri sulla terribile prospettiva della solitudine, perché a ben vedere, quella non c’era mai stata. Aveva avuto sempre i suoi amici accanto e, ad un certo punto, senza sapersi spiegare come, né per quale motivo, aveva lasciato che anche James le prendesse la mano, prima sfiorandole delicatamente le dita e dopo stringendogliela con forza. E ad un tratto aveva di nuovo una famiglia da cui passare il Natale e il compleanno, anche se doveva ammettere che le torte che faceva sua madre erano di gran lunga più buone di quelle di Euphemia Potter.
«Buongiorno!»
Dorcas entrò in camera, facendola sobbalzare. Era appoggiata allo stipite della porta e aveva uno sguardo luminoso, ed era un po’ buffa, con i capelli scuri racchiusi ancora nei bigodini. Lily si stiracchiò, allungando le braccia in alto, poi si stropicciò gli occhi.
«Ehi» mormorò Lily, mentre scalciava via le lenzuola e con i piedi tastava il pavimento alla ricerca delle ciabatte.
«Hai dormito bene?» le chiese ancora l’amica, dolcemente.
«Sì, molto» rispose Lily, sorridendole. Si alzò, forse un po’ troppo velocemente perché ebbe un breve giramento di testa, poi raggiunse Dorcas sotto la porta e insieme uscirono in corridoio. «Ho dormito così profondamente che non ho nemmeno sognato!»
«Meglio così» le disse Dorcas. «Oggi avrai bisogno di un sacco di energie! Ho già preparato la colazione, Mary e Marlene sono appena scese. Appena finite di mangiare ci prepariamo al volo e portiamo tutto a casa di James, poi faremo il trucco, e poi i capelli e solo alla fine ci vestiremo, e poi…»
«Frena, Dorcas» la riprese Lily, ridendo divertita. La mora era pervasa da un’eccitazione febbrile. «Sembra quasi che debba sposarti tu!»
«Ma sarà il giorno più bello della tua vita» disse Dorcas, mentre iniziavano a scendere le scale per andare in sala da pranzo a fare colazione. «Deve essere tutto perfetto, nel minimo dettaglio.»
«Sarà una cosa semplice» puntualizzò Lily. «E sarà comunque bellissimo.»
Avevano deciso di celebrare il matrimonio in una piccola radura non molto lontano dalla cittadina dove vivevano i Potter. James le aveva più volte chiesto se lei non volesse farlo a Cokeworth, ma Lily aveva deciso che l’inizio della loro vita insieme doveva aver luogo in un posto diverso. Eccetto il ricordo dei suoi genitori, Cokeworth non era custodia di ricordi felici: in quella casa sentiva ancora l’eco delle urla e dei litigi con Petunia, e se pensava al parco giochi o alle strade di campagna che circondavano la città, le venivano in mente tutte le giornate passate con Severus, e il fatto che erano bastate poche settimane per mandare in frantumi anni di amicizia.
Non voleva che assieme a tutte quelle cose ci fosse anche il suo matrimonio. Dorcas aveva ragione: sarebbe stato uno dei giorni più belli della sua vita, doveva avere un posto a sé, doveva segnare l’inizio di un nuovo capitolo.
«Ecco la sposa!» strillò Marlene non appena Lily mise piede nella sala da pranzo. Mary fece una smorfia infastidita: aveva sempre odiato il baccano di prima mattina. Marlene ignorò quella sua reazione. «Allora, come va? Sei agitata? Hai lo stomaco chiuso?»
«Sono tranquillissima» rispose pazientemente Lily, mentre si raccoglieva i lunghi capelli rossi in una coda morbida dietro la testa. Prese posto a tavola e iniziò ad imburrare due fette di pane tostato. «Perché dovrei essere agitata?»
Marlene fece per rispondere, ma poi si bloccò, e si limitò a scrollare le spalle.
«Lascia stare, Lils» le disse Mary. «È solo uno stupido luogo comune, quello delle spose agitate e nervose. Credo che tu sia solo… felice, no?»
Lily sorrise, mentre si allungava leggermente per prendere un barattolo di marmellata. «Sì, direi di sì. Cioè, non vedo l’ora che arrivino le undici, vorrei saltare tutta la fase del trucco e del vestito e ritrovarmi subito lì, davanti a James.»
Quando rialzò lo sguardo dalle sue fette di pane, per prendere la caraffa con il succo d’arancia, ritrovò tutte e tre le sue amiche a guardarla imbambolate, con sguardo sognante. Sospirò divertita e alzò gli occhi al cielo: forse era strano che fossero più eccitate di lei per il matrimonio, ma immaginò che nulla nella sua vita era mai stato realmente normale, quindi andava bene così. Era tranquilla perché in quel momento non c’era altra cosa al mondo che volesse che non fosse sposare James. Nei giorni precedenti, si era presa il lusso di non pensare a nient’altro che non fossero i preparativi e aveva vissuto in una bolla di tranquillità, si sentiva fluttuare come in un sogno: fuori imperversava feroce la guerra contro Voldemort, che si faceva più pericoloso e più forte ogni singolo giorno, ma era profondamente convinta che in quelle ventiquattro ore sarebbe andato tutto per il meglio. Ancora una volta, dovette dare ragione a Dorcas: doveva essere tutto perfetto.
Quando ebbero finito di fare colazione, Marlene incantò le spugne sul lavandino e i canovacci affinché lavassero e asciugassero i piatti, andarono a turno in bagno e si vestirono con abiti sobri. Dorcas impiegò un po’ per sciogliersi i bigodini, ma aveva approfittato del tempo che le altre avevano passato in bagno per infilare i loro abiti, i trucchi, gli accessori e le scarpe in una borsa, precedentemente incantata con l’incantesimo estensivo irriconoscibile. Lily chiuse tutte le imposte e le finestre, chiuse a chiave la porta di casa, pensando che forse non vi avrebbe più messo piede, e si ritrovò sulla veranda assieme alla altre. Una volta essersi accertate che non ci fosse nessuno nelle vicinanze, si presero per mano e si smaterializzarono.
 
Sirius se ne stava stravaccato lungo la prima fila di sedie bianche, le braccia incrociate dietro la testa, e osservava tranquillamente il cielo terso attraverso le fronde degli alberi.
«La smetti di camminare avanti e indietro?» fece ad un certo punto, per poi lasciarsi sfuggire un pesante sospiro.
«E tu la smetti di startene sdraiato come un animale?» ribatté James, fermandosi finalmente sul posto, dopo dieci minuti buoni di camminata nervosa.
In tutta risposta, Sirius fece un verso che doveva assomigliare al ringhio di un cane. Udì Remus e Peter ridere dietro le sue spalle, appoggiati alla corteccia di un grande albero.
Erano da poco passate le nove del mattino quando aveva sentito un sonoro “pop” provenire dal piano di sotto, due secondi dopo gli era giunta alle orecchie la voce squillante di Marlene, e quelle delle altre ragazze, poi quella di sua madre, e solo all’ultimo, quella più flebile e delicata di Lily che ricambiava il saluto.
Era già arrivata. E lui, chissà per quale strampalata e assurda tradizione, non poteva nemmeno vederla. Nemmeno cinque minuti dopo, infatti, sua madre era salita al piano di sopra, e aveva intimato a tutti e quattro i ragazzi di sparire all’istante e di andare a controllare che tutto l’allestimento fosse in ordine.
In tutto ciò, James aveva indossato solo i pantaloni e la camicia bianca, il resto giaceva ancora nell’armadio, mentre Sirius era stato costretto a rimanersene nel suo vecchio pigiama grigio. Fortunatamente, Remus e Peter si erano presentati già vestiti a festa e se ne stavano ancora sotto il grande albero a sghignazzare per i battibecchi tra James e Sirius.
«Dai, ragazzi, datevi da fare!» Fleamont Potter era appena sbucato dal nulla, e si faceva strada tra qualche arbusto. «Con questo sole, oggi, sarà il caso di tirare su il tendone, o ci squaglieremo tutti come ghiaccioli!»
In effetti, pensò Remus, lui cominciava già a sentire caldo, con il suo completo elegante: certo, era fatto di un tessuto pesante, dato che era l’unico completo che avesse, ma quella era comunque una giornata insolita per essere solo aprile: normalmente, in quel periodo pioveva incessantemente, mentre il clima di quel giorno aveva sapore d’estate.
«Le do una mano io, signor Potter!» si offrì Peter, per poi ricordarsi che, nella fretta della smaterializzazione, aveva lasciato la bacchetta in camera di James. «Oh, ho dimenticato la bacchetta in casa, vado a riprenderla.» E così dicendo, anche Peter scomparve all’improvviso dalla loro vista.
Fleamont rise di gusto. «Quant’è sbadato, il povero Peter!» esclamò bonariamente, poi si avvicinò James e a Sirius, dando un colpetto sulla spalla del figlio. «Ho appena visto la tua fidanzata, James. Tua madre e le sue amiche la stanno probabilmente torturando, con tutti quegli aggeggi per i capelli.»
«Almeno tu l’hai vista» bofonchiò James, mentre cercava di buttare Sirius per terra, per impedirgli ancora di poltrire sulle sedie degli ospiti. «E tu – riprese, rivolto all’amico – vatti a vestire. Qui ci pensiamo io, Remus e papà.»
«Perché io vengo sempre tirato in mezzo?» s’intromise allora Remus, sarcastico, avvicinandosi a tutti loro. Già stava tirando prontamente fuori la bacchetta, mentre Sirius, controvoglia, si smaterializzava un’altra volta.
James non aveva nemmeno fatto caso al tono divertito di Remus e già era pronto a rispondergli. Solo quando si rese conto dell’espressione serena sul suo volto leggermente scavato e percorso dalle cicatrici, si disse che il nervosismo e l’agitazione gli stavano giocando decisamente degli orribili scherzi. Aveva difficoltà persino a concentrarsi per fare un banalissimo incantesimo di lievitazione, roba da primo anno, tant’è che lui, suo padre, Remus e un trafelato Peter appena ritornato dopo aver recuperato la sua bacchetta – scivolata misteriosamente sotto uno dei due letti – dovettero rifare tre volte l’incantesimo, perché il tendone continuava a non sollevarsi dal lato di James.
Alla fine, riuscirono miracolosamente ad incantare il tendone in modo che rimanesse in piedi da solo. Sia le sedie bianche che il modesto arco nuziale, adornato con edera e gigli bianchi, erano all’ombra, e James dovette convenire che era meglio così: non aveva bisogno anche del calore del sole a farlo sudare ulteriormente, l’agitazione faceva già il suo dovere, e anche solo con la camicia indosso si sentiva soffocare. Si permise di accasciarsi su una delle sedie e fare dei respiri profondi: Peter stava ancora dando una mano a suo padre, stavano controllando la stabilità dell’incantesimo che reggeva il tendone, mentre Remus gli si era appena seduto accanto.
«Come va?» gli domandò, pacato. Poteva sembrare una domanda banale, ma in quel momento era forse l’unica cosa che James volesse sentirsi chiedere. Lo guardò negli occhi ambrati, permettendosi di emettere un grande sospiro.
«Tu ci crederesti se ti dicessi che non ero così terrorizzato da quando Piton è quasi morto per colpa nostra?» rispose sinceramente James. Remus aggrottò le sopracciglia, per il ricordo che James aveva appena rievocato: quella notte era stata tremenda per tutti loro. Lui non ricordava molto, perché c’era la luna piena e si era trasformato, ma gli altri gli avevano raccontato tutto. James aveva attraversato in forma umana metà del passaggio segreto, prima di riacciuffare Piton e di trascinarlo all’esterno, e aveva confessato a tutti loro di aver avuto paura. Non tanto per il fatto che avrebbero potuto incontrare Remus nella sua forma di lupo mannaro, ma per il fatto che Piton probabilmente ci avrebbe rimesso la pelle, e lui non lo voleva, un morto sulla coscienza. Era stata così terribile, quell’esperienza, che per ventiquattro lunghissime ore James si era addirittura rifiutato di rivolgere la parola a Sirius, artefice dello scherzo che aveva quasi mandato Piton verso morte certa.
Remus, dopo aver sospirato, rispose: «Sì, ci crederei.» Fece una breve pausa. «Stai facendo un passo importante, una scelta che in qualche modo cambierà per sempre un aspetto della tua vita.»
«Ma è una scelta che mi rende felice» continuò James. «Perché mi sento così agitato?»
«Perché è una cosa che non puoi controllare» gli fece notare Remus. «Non si tratta di qualcosa che puoi brillantemente risolvere o affrontare con le tue capacità. Non so, forse hai paura che Lily molli tutto e scappi via?»
«Dici che potrebbe farlo?!» esclamò James, agitandosi ancor di più. Remus si sbatté una mano sulla fronte, appuntandosi mentalmente di non far venire altre idee del genere a James.
«No, non lo farebbe mai» lo tranquillizzò. «Andrà tutto bene, vedrai, tra poco tutta l’ansia scomparirà.»
«Voglio dire, è insolito che proprio io provi tutto questo nervosismo, o no?» incalzò James, forse più rivolto a se stesso che a Remus. «Io non sono mai stato nervoso, sono l’immagine della calma e della razionalità.»
A Remus venne spontaneo ridere, ricordandosi del primo appuntamento che Lily e James avevano avuto, durante l’ultimo anno di scuola ad Hogwarts: nemmeno quella notte James aveva dormito ed era stato irrequieto finché non era sceso in Sala Comune e aveva visto Lily ad aspettarlo, appoggiata al davanzale della grande finestra. Era  come se l’unica persona che potesse far agitare James fosse proprio lei, ma in senso buono: in sua compagnia, James perdeva qualsiasi aria di strafottenza, era gentile, attento, alle volte addirittura un po’ impacciato… e con il tempo, aveva smesso di avere molti atteggiamenti che potevano essere considerati infantili. Era comprensibile che James fosse nervoso, lo era sempre stato, quando si trattava di Lily, perché lei era una delle poche persone a mondo che avevano conosciuto il lato vulnerabile e sensibile di James, una delle poche che aveva strappato tutti i veli dietro i quali spesso lui si nascondeva ed era arrivata a guardarlo davvero senza più barriere.
«Io credo che sia norma-» tentò di dire nuovamente Remus, ma in quel momento, Sirius tornò, apparendo su una sedia in mezzo a loro. Si era vestito, anche lui con dei semplici pantaloni neri eleganti e una camicia bianca, e si era addirittura legato i capelli corvini e tra le braccia teneva la giacca di James e il farfallino. Alla vista di quel cravattino, James fece una smorfia schifata.
«Io ho già detto che non lo metto, questo coso» bofonchiò.
«Io non lo stavo per prendere, infatti» si giustificò prontamente il moro. «Ma tua madre si è accorta che era rimasto nell’armadio, e ha rimediato.»
«Io non lo metto» ribadì ancora James, incrociando le braccia. In quel momento, tornò anche Peter, che aveva finito di aiutare il signor Potter con gli incantesimi. James rimase a fissare un punto indefinito in mezzo all’erba verde e rigogliosa, per poi puntare nuovamente lo sguardo su Sirius. «Hai visto Lily?»
Sirius scosse la testa. «Non ho avuto il permesso di uscire dalla tua stanza, a quanto pare la tengono segregata in salotto, ma sentivo quello che dicevano… si stava lamentando con Dorcas, perché le voleva fare un’acconciatura molto strana, a quanto ho capito.»
«Lily odia le cose troppo strane…» mormorò James, riflessivo.
«E quindi, Dorcas?» s’intromise a quel punto Peter, sempre rivolto a Sirius, rivolgendogli al contempo uno sguardo complice. Remus alzò gli occhi al cielo… la storia stava per ripetersi, per la quattordicesima volta da quando avevano finito la scuola.
«Dorcas cosa?» ribatté Sirius, evidentemente infastidito da quella domanda. «Ve l’avrò ripetuto milioni di volte-»
«Quattordici» gli ricordò Remus, ma Sirius lo ignorò.
«Io e Dorcas non siamo fatti per funzionare. Ci abbiamo provato, per ben tre volte, e nessuna delle tre è andata a finire bene.»
«In ogni caso» intervenne nuovamente Remus, per calmare le acque. «Oggi è il giorno di James e Lily e di nessun altro, intesi?»
«Scusate…» biascicò Peter imbarazzato, di certo non voleva che Sirius avesse quella reazione. Il fatto era che si vedeva da lontano quanto lui stesse male per il distacco avuto con Dorcas: erano passati dallo stare insieme al diventare quasi sconosciuti in pochissimi mesi.
«Non preoccuparti, Coda» gli disse James, rivolgendogli un sorriso rassicurante. «Vorrei ricordarti che non saremmo qui oggi, a morire d’ansia per il mio matrimonio, se non fosse stato per te.»
Anche gli altri tre risero e annuirono convinti, a seguito di quella informazione. In effetti, quando James era riuscito finalmente a baciare Lily per la prima volta, era stato proprio grazie a Peter, del tutto ignaro di quello che stava per succedere.
Era successo durante ad un gita ad Hogsmeade, esattamente un anno prima. Erano finalmente riusciti ad organizzare un’uscita di gruppo, loro quattro con il gruppo delle ragazze, e se ne stavano ai Tre Manici di Scopa a sorseggiare della burrobirra. James e Lily si frequentavano da un mese scarso, ma tra di loro non era ancora successo niente. Mentre si stavano raccontando aneddoti divertenti, tra cui qualcuno anche decisamente imbarazzante, Peter decise di raccontare di quella volta in cui Mia Crestfield aveva provato a stregare James con un filtro d’amore, non molto tempo prima, e lui c’era quasi cascato. Nessuno aveva fatto caso a Lily, perché si era semplicemente messa a ridere, come tutti gli altri, ma una volta usciti dal pub, mentre passeggiavano per la strada principale di Hogsmeade, si era assicurata di tenere ben salda la mano di James nella sua. Gli altri erano rimasti di qualche metro più indietro, dato che Lily camminava a passo svelto. Non aveva ancora detto una parola e James ormai aveva imparato che, in quei casi, o era arrabbiata o era semplicemente pensierosa, così le aveva dolcemente chiesto se andasse tutto bene. Lily dapprima aveva detto di sì, e nemmeno dieci secondo dopo gli aveva chiesto schiettamente se lui trovasse Mia Crestfield più carina di lei.
La sonora risata che James le aveva dato in risposta, l'aveva fatta sciogliere in un sorriso tranquillo. Si era data della stupida per essersi lasciata cogliere da qualcosa di così irrazionale come la gelosia. Le parole che poi le aveva detto lui, credeva che le avrebbe ricordate per sempre: «Il mio cervello è programmato per non riuscire a concepire che ci siano ragazze più belle di te, Evans.»
E così, Lily aveva deciso di farsi trascinare di nuovo da un’altra emozione irrazionale. Si era alzata sulle punte dei piedi e l’aveva baciato.
Attribuirono sempre il merito di tutto quello a Peter, chiedendosi cosa sarebbe successo se Lily non si fosse mai ingelosita a causa di quella stupida storia sul filtro d’amore.
Erano le dieci. Cominciavano ad arrivare i primi ospiti.
 
«Sei pronta?»
Lily si guardava allo specchio. La sua testa gridava “sì”, ma in qualche modo, quell’affermazione non riusciva ad uscirle dalla bocca a voce alta. Riuscì semplicemente ad annuire. Dopo un’accesa discussione sull’acconciatura, era riuscita a farsi lasciare i capelli sciolti dietro la schiena, fermati solo da qualche forcina ai lati per non farli andare sul viso. Sulla testa le avevano poi messo un grazioso cerchietto ricoperto di fiori bianchi, molto piccoli e graziosi.
«Mary?» domandò allora, rivolgendosi all’amica. «Se piango, fammi smettere, d’accordo?»
Mary l’assecondò, nascondendole il fatto che nessuna di loro avrebbe mosso un dito, in quella circostanza: Lily odiava piangere di fronte a qualcuno, ma non era sicura di riuscire a trattenersi, quel giorno. Le sue amiche, però, erano dell’idea che le lacrime di felicità non andavano mai nascoste.
Erano quasi le undici in punto, ormai tutti i loro pochi invitati dovevano essere arrivati e aver preso posto. Anche la mamma di James, ad un certo punto, le aveva lasciate sole e si era unita a tutti gli altri all’interno della radura.
Ora toccava a lei. Arrivare, percorrere quei dieci, quindici passi verso l’uomo di cui era innamorata, guardarlo negli occhi, fare il discorso che aveva scritto e letto centinaia di volte, ma che aveva già dimenticato, dirgli che non aveva idea di come fosse successo, ma che era pienamente convinta di voler passare tutti i suoi giorni assieme a lui. Sembrava facile a dirsi.
Dorcas, Mary e Marlene erano le sue damigelle, Sirius sarebbe stato il loro testimone.
Certo che doveva essere proprio innamorata per aver accettato che Sirius Black in persona ricoprisse un ruolo così importante. Quando James gliel’aveva proposto, con il solito sorriso innocente e il tono di chi vuole ottenere qualcosa a tutti i costi, Lily non aveva nemmeno provato a controbattere, si trattava di una battaglia già persa in partenza. Sirius per James era come un fratello, e aveva avuto modo di diventare per lei un ottimo amico, un confidente, soprattutto dopo la morte dei suoi genitori: Sirius, in un certo senso, anche se la sua esperienza era radicalmente diversa, riusciva a capirla meglio di tutti gli altri.
In realtà, pensò Lily, aveva rivalutato l’intero gruppo dei Malandrini, da quando aveva cominciato a stare con James. Peter la faceva sempre divertire un mondo, ed era sempre pronto a tirarla su di morale, se notava che c’era qualcosa che non andava. Remus era indubbiamente il suo preferito: avevano un sacco di interessi in comune di cui parlare, erano entrambi molto precisi, studiosi, inoltre lui aveva un animo sensibile ed era una persona infinitamente altruista, senza tralasciare il fatto che in lui trovava sempre un valido alleato per scoraggiare le idee folli e avventate di cui spesso e volentieri James e Sirius si facevano promotori.
Giunsero all’inizio della radura. Lily intravide tra gli ultimi alberi l’allestimento che era stato preparato. Era stato steso un lungo tappeto bianco sul terreno, che arrivava fin sotto l’arco nuziale. Ai lati, alcune file di sedie erano già occupate: tutti gli invitati, ancora ignari della presenza di Lily, le davano le spalle, per cui lei non riusciva a riconoscere nessuno di loro. Non erano molti, avevano preferito fare una cerimonia semplice e intima, con i membri dell’Ordine con cui collaboravano ogni giorno, le uniche persone di cui, d’altronde, si fidavano. Un’enorme tenda, anch’essa bianca, fluttuava sopra tutti loro e riparava dai caldi raggi di sole ed era adornata da nastrini arancioni. Fiocchi dello stesso colore erano apposti ad ogni sedia. Sotto l’arco, James se ne stava in piedi impaziente, si sistemava gli occhiali sul naso ogni due secondi e ogni tanto lanciava qualche sguardo a Sirius, alla sua destra, bisbigliandogli qualcosa. Dietro di lui, se ne stava un mago con dei grossi baffi bianchi, che indossava una tunica di un intenso blu scuro.
Lily sorrise, intenerita nel vederlo così agitato. Le ricordò il giorno in cui le propose di sposarlo.
Era agosto, Lily era da poco tornata nella casa dei suoi genitori, era la prima volta che ci metteva piede da quando aveva saputo della loro morte. Petunia non si era nemmeno fatta viva per reclamare qualche diritto sulla casa.
James, quei primi tempi, aveva deciso di farle compagnia e avevano vissuto lì insieme per un paio di mesi, finché Lily non aveva deciso che si sarebbe attivata per metterla in vendita.
Una mattina, si era alzata e non aveva visto James nel letto: aveva pensato che fosse strano, dato che era un gran dormiglione e che si svegliava sempre prima lei, ma aveva deciso di non dare molto peso alla cosa. Sul suo comodino c’era un biglietto, sul quale c’era scritto, nella scrittura spigolosa e frettolosa di James: “buongiorno, vieni in giardino appena ti svegli”. Senza farsi troppe domande, allora, era scesa dal letto e si era diretta in cucina, la porta sul retro che portava di fuori era aperta.
Uscita in giardino, aveva visto che James aveva apparecchiato il vecchio tavolo in ferro battuto, sopra il quale c’era una colazione con i fiocchi: pancakes, pancetta fritta, due uova, del pane affettato e una ciotola con della frutta fresca. Lui era seduto su una delle sedie, ma non appena l’aveva vista, era balzato in piedi e le aveva dato calorosamente il buongiorno. Lily gli si era avvicinata, dandogli un tenero bacio a fior di labbra, e poi gli aveva chiesto a cosa dovesse quella colazione così particolare. Lui aveva cominciato ad agitarsi e non aveva saputo dare una vera e propria risposta, dunque aveva liquidato il tutto invitandola a sedere e ad iniziare a mangiare insieme. Dopo qualche minuto, aveva fatto finta di aver dimenticato qualcosa dentro il frigorifero ed era rientrato frettolosamente in casa, Lily aveva pensato che si trattasse di qualche dolce, o di una bottiglia d’acqua fresca, ma quando era tornato, James non aveva in mano nessun vassoio e nessuna bottiglia, ma una semplice scatolina nera.
Tuttavia, Lily si era resa conto di quello che stava succedendo solo quando aveva visto James inginocchiarsi sull’erba un po’ ingiallita e aprire la scatolina. James era tutto sudato per l’agitazione, ma ben presto il resto della sua maglietta cominciò a bagnarsi perché Lily non gli aveva dato nemmeno il tempo di formulare la fatidica domanda che gli si era letteralmente buttata addosso e aveva cominciato a piangere come una bambina.
Quando una musica lenta, quasi fiabesca, cominciò a disperdersi nell’aria, Lily ritornò con i piedi per terra. Erano tutte e quattro nella radura, tutti erano girati verso di loro, ma Lily non riusciva a fare altro che a guardare di fronte a sé, dritto negli occhi scuri di James.
 
Per un breve istante, James sentì di non riuscire più a respirare. Quando il mago baffuto dietro di lui aveva incantato flauti e violini affinché iniziassero a suonare, il suo sguardo si era immediatamente posato all’inizio del lungo tappeto bianco ai suoi piedi.
In quel momento, capì perché l’avevano tenuta lontana da lui per tutta la mattina: era una visione mozzafiato, nel vero senso della parola.
Lily sembrava emanare una luce tutta sua. Indossava un abito avorio, lungo fino a terra. La gonna in organza scendeva dritta e morbida e sul corpetto c’erano dei graziosi ricami floreali, anch’essi di un tenue color panna. Tra le mani piccole, teneva stretto un mazzo di semplici margherite. Lo stava guardando, puntava gli occhi verdi e brillanti nei suoi e gli sorrideva, con le labbra colorate di malva. Dietro di lei, Dorcas, Mary e Marlene camminavano in fila indiana, indossavano tutte e tre lo stesso abito rosa salmone.
Quando James si rese conto che i polmoni avevano cominciato a funzionare di nuovo correttamente, Lily era arrivata circa a metà del tappeto, e pochi secondi dopo l’aveva raggiunto sotto l’arco nuziale. Erano l’uno di fronte all’altra, anche a James venne istintivo sorridere.
«Ciao, Evans» bisbigliò, per poi stringere le labbra.
«Ciao anche a te, Potter» fece di rimando lei, che invece continuava a sorridere radiosa.
Il mago baffuto di fianco a loro si schiarì la voce ed iniziò a parlare, in un tono di voce allegro, ma in qualche modo solenne: «Oggi, siamo riuniti per unire questi due giovani maghi in una sola anima…» iniziò, ma anche i suoni giungevano ovattati alle loro orecchie, era come se fossero entrati in un’altra dimensione dove esistevano solo loro due, l’uno di fronte all’altra, a guardarsi negli occhi come avevano fatto milioni di volte prima, ma con la consapevolezza che quella volta c’era qualcosa di diverso. Di magico.
«E ora, credo che gli sposi abbiano qualcosa da dire» annunciò il mago. Lily e James si scambiarono uno sguardo complice, era il momento delle loro promesse. James strinse con delicatezza le piccole mani di Lily nelle sue, invitandola a cominciare. Lily fece un grande sospiro e per un secondo parve ricordarsi che non erano da soli. Si voltò verso sinistra, e vide le sue amiche in prima fila, e ancora Remus e Peter, seduti vicino ai genitori di James. Dietro di loro, c’erano i loro amici Alice e Frank Paciock, lei aveva già gli occhi lucidi, e poi c’erano Fabian e Gideon, Emmeline Vance, Amelia Bones, e con grande stupore, Lily pensò di avere le allucinazioni quando, in fondo, vide anche la professoressa McGranitt, con un sorriso tenero sul volto segnato dall’età.
«Ho scritto un discorso, mesi fa, e l’ho letto centinaia di volte, cercando di impararlo a memoria, proprio come ci si aspetta da una come me» esordì alla fine, rialzando gli occhi su James. «L’unico problema è che adesso non ricordo nemmeno mezza parola di quello che ci ho scritto, quindi credo proprio che mi toccherà improvvisare.»
A quelle affermazioni, seguì una piccola risata generale. Le labbra di James si incurvarono verso l’alto.
«A volte, la vita è davvero sorprendente. Probabilmente, se qualcuno tempo fa mi avesse detto che oggi mi sarei trovata qui a pronunciare le mie promesse nuziali, non gli avrei creduto» continuò. «Se mi avesse detto che lo avrei fatto proprio davanti a James Potter… beh, forse gli avrei anche riso in faccia. Però è successo, e a quel punto non ho potuto farci molto – poi si rivolse unicamente a quello che in poco tempo sarebbe stato ufficialmente suo marito, dimenticandosi di nuovo dell’esistenza di tutti gli altri, e augurandosi di non piangere – un bel giorno, mi sono svegliata e ho realizzato di essermi innamorata di te. Non so cosa è stato, è successo e basta. Ed è stata una bella sensazione, mi sono sentita leggera, felice e… serena, come se a partire da quel momento tutto, nella mia vita, avesse ritrovato il proprio senso.»
Dovette fare una breve pausa, perché sentiva gli occhi lucidi. Fece di nuovo un respiro profondo. «Ho cominciato ad accettare anche tutti i miei momenti di tristezza, di debolezza… perché senza di essi forse non saremmo mai arrivati a questo punto: ogni cosa succede per un motivo, e forse tutto ciò che è successo nella mia vita aveva lo scopo di portarmi da te. Ho capito che non sono perfetta, ma che a te non importa; ho capito che posso sbagliare, e tu mi aiuterai a rimediare e a riportare tutto alla normalità. È passato a malapena un anno, eppure mi sembra di amarti da tutta una vita. Sarà per questo che sono prontissima a passarne una intera insieme a te.»
Seguì un breve silenzio. Lily riusciva a guardare solo James, che non riusciva a smettere di sorridere. Sentì qualcuno tirare su con il naso, dietro di lui: Sirius si era appena commosso, ma cercava di rimanere impassibile e di non darlo a vedere.
Toccava a James.
«Proprio come ci si aspetta da uno come me, io non ho nemmeno provato ad imparare il mio discorso, l’ho direttamente portato qui» iniziò, con voce allegra e squillante. Infilò una mano in tasca e ne tirò fuori un pezzo di carta consunto e stropicciato, scritto fittamente da entrambi i lati. Si schiarì la voce. «Il 21 febbraio del 1978, hai accettato per la prima volta un mio invito ad uscire, ed ero così incredulo che ho chiesto a Sirius di riempirmi di pizzichi per assicurarmi che non fosse un sogno. Il 13 aprile del 1978, mi hai baciato nel bel mezzo di Hogsmeade, ed è stato senza dubbio il giorno più bello della mia vita. Anzi no, quello è stato probabilmente il 16 luglio, quando mi hai detto di amarmi. O forse, ora che ci penso, anche il 9 di agosto, quando hai detto di volermi sposare. Il fatto è che quando penso ai giorni più belli della mia vita, ci sei quasi sempre tu.»
«Ci sono centinaia… forse migliaia di modi per poterti dimostrare quanto ti amo, ma oggi ho scelto semplicemente di ringraziarti, Lily. Ringraziarti per avermi reso la persona che sono oggi, perché senza di te forse sarei completamente diverso. Vorrei ringraziarti per avermi accettato con tutti i miei difetti, che non sono tantissimi, ma ci sono, e per avermi aiutato a migliorare, pazientemente. Ti ringrazio perché hai accettato i miei amici, perché sai quanto sono importanti per me e sai che non riesco ad immaginare una vita senza di loro, ed inoltre, perché accettando di sposarmi hai indirettamente accettato di sposare anche loro, dato che vivranno praticamente a casa nostra.»
Lily rise divertita, mentre non si spiegava come fosse possibile ridere e trattenere le lacrime allo stesso tempo.
«Grazie per avermi insegnato cosa vuol dire amare qualcuno fino ad impazzire e per avermi fatto capire cosa significa non avere paura, quando sei al mio fianco. Spero che non ti stancherai mai di insegnarmi qualcosa di nuovo ogni giorno, per tutti i giorni che passeremo insieme» fece una breve pausa. «Giuro solennemente di non avere buone intenzioni, Evans.»
A quel punto, Mary, anziché far smettere di piangere la sua amica, si alzò frettolosamente per allungarle un candido fazzoletto di stoffa, che Lily afferrò senza pensarci due volte per asciugarsi gli occhi, anche se riusciva a stento a trattenere delle tenere risate.
«Bene» esordì il mago baffuto. «Vuoi tu, James, prendere Lily come tua sposa?»
James fece uno dei suoi soliti sorrisi malandrini e disse: «Certo che sì.»
«E vuoi tu, Lily, prendere James come tuo sposo?»
«Sì, lo voglio» disse, con la voce che le tremava, mentre annuiva energicamente con la testa e i capelli rossi ondeggiavano avanti e indietro.
«Allora, vi dichiaro uniti per sempre!» annunciò il mago. Sollevò la bacchetta, da cui fuoriuscirono scintille argentate, che caddero sulla testa di Lily e James e poi li avvolsero, mentre si scambiavano un lungo bacio. Immediatamente, una pioggia scrosciante di applausi invase l’aria calma e tranquilla della radura. Sirius fece un fischio con le dita e poi abbracciò entrambi, ben presto si unirono anche Remus e Peter. Qualcuno iniziò a scattare loro delle foto, perché ben presto degli accecanti flash gli impedirono di vedere qualsiasi cosa.
Lily non ci capiva più niente, si sentiva solo la persona più felice dell’intero universo, e a giudicare dall’espressione allegra, commossa ed eccitata di James, valeva lo stesso anche per lui.
 
«Sirius, ti sei commosso!»
«Ma non dire sciocchezze, è stata colpa di tutto quel polline.»
«Tu non hai nessun tipo di allergia, Felpato.»
Lily non smetteva di ridere da circa dieci minuti e non riusciva a capire se fosse perché James stava prendendo in giro il suo migliore amico o perché aveva esagerato con l’acquallegra.
«Beh, e che ci sarebbe di male se mi sono commosso?» borbottò ad un certo punto Sirius. Non ottenne risposta, se non altre, grasse risate. James si sentiva esausto, ma allo stesso tempo pieno di energie. Aveva dormito a malapena due ore quella notte, ma sentiva che avrebbe potuto tirare avanti per un altro giorno, senza sentire minimamente il bisogno di riposare: sentiva scorrergli lungo tutto il corpo una strana elettricità.
Dopo la cerimonia, in mezzo alla radura erano stati fatti apparire una serie di tondi tavoli bianchi, già apparecchiati, e poi era iniziato il pranzo. Lily aveva mangiato poco e niente, si sentì sazia dopo il solo antipasto e dopo aver assaggiato il primo piatto. Ben presto, anche James si era stufato di mangiare e aveva di nuovo incantato gli strumenti musicali, insistendo affinché lui e Lily facessero il loro primo ballo.
Era un momento che Lily aveva temuto per tutto il giorno: lei non era davvero adatta a nessun’attività che richiedesse coordinazione e agilità. Sorprendentemente, era riuscita a non scivolare, a non pestare i piedi a James e a non perdere l’equilibrio: la prima melodia che li accompagnò era lenta e fiabesca e il loro primo ballo fu un semplice dondolare l’una tra le braccia dell’altro. Quando la musica si fece più allegra e movimentata, non erano più i soli a ballare e l’attenzione non era più puntata solo su di loro, e Lily pregò James di ritornarsene seduti a guardare i loro amici che davano il peggio di sé. Ovviamente James accettò e si fecero grasse risate nel guardare Peter che si cimentava in un ballo scatenato o Marlene che, esageratamente brilla, aveva iniziato a gettare occhiate che nella sua testa dovevano essere seducenti ai fratelli Prewett, ma che la facevano sembrare solo incredibilmente buffa; il picco fu raggiunto quando Sirius provò ad invitare a ballare la professoressa McGranitt, che lo rimproverò come si trovassero ancora tra le mura di Hogwarts.
«Domani torneremo alla solita vita, non è vero?» domandò ad un certo punto Lily, un po’ affranta.
James si voltò rapidamente verso di lei, dimenticandosi del baccano e degli schiamazzi felici dei loro ospiti, e le accarezzò dolcemente la guancia con il dorso della mano. Lily alzò gli occhi verdi e grandi su di lui, che strinse le labbra pensieroso.
«Sì, torneremo a stanare Mangiamorte» commentò James. «Ma non sarà la vita di prima. Da domani abiteremo finalmente in quella casa meravigliosa, e avremo dei nuovi vicini che ci inviteranno a prendere il tè, ma noi ovviamente non ci andremo, così loro inizieranno a parlare male di noi, ma a noi non importerà perché comunque abbiamo cose più importanti e più pericolose a cui pensare. Poi, la sera ci siederemo a tavola a mangiare e quindi rischieremo di morire intossicati perché facciamo entrambi schifo a cucinare, però andrà bene così, perché ora staremo davvero insieme per sempre.»
Lily sorrise spontaneamente, perché nel bene e nel male, James riusciva sempre a farle incurvare le labbra all’insù. Tutto quello che lui aveva detto era rassicurante e l’aveva fatta stare meglio, ma c’era un odioso pensiero che le frullava in testa da settimane, forse mesi, e che aveva fatto di tutto per riuscire a soffocare, almeno quel giorno. C’era riuscita egregiamente, almeno fino a quel momento, quando andandosi a sedere in disparte rispetto a tutti gli altri, aveva ritrovato dentro di sé un po’ di tranquillità, che aveva rimesso in moto ogni parte del suo cervello, anche la più oscura.
«Ho solo paura di quanto durerà questo per sempre» disse a bassa voce, perché faceva terribilmente paura.
«Come minimo deve durare finché tutti i nostri sette figli non impareranno a giocare a Quidditch e non formeranno una squadra con i fiocchi» ribatté prontamente James, facendola ridere di nuovo. «Dopo posso anche morire felice.»
«Scemo» lo riprese lei, stringendogli la mano.
«Non so quanto durerà, Lils» le disse lui, stavolta seriamente e guardandola dritto negli occhi. «Ma oggi non ci dobbiamo pensare, domani si vedrà… e poi dopodomani, e il giorno dopo ancora. So che muori dalla voglia di programmare tutta la nostra vita, ma…»
«Sto imparando a gestire quella parte ossessiva di me» lo interruppe prontamente Lily, raddrizzando fieramente la schiena.
«Allora ti aiuterò io, sono il campione dell’improvvisazione, lo sai» le disse James, continuando a stringere le dita di Lily nelle sue. «E affronteremo tutto. Minuto per minuto.»
«E cosa faremo nel prossimo minuto, signor Potter?» gli chiese teneramente lei, avvicinandosi al suo viso.
«Credo che la stiano cercando per il lancio del bouquet, signora Potter» rispose a tono lui, per poi rubarle un bacio sulla labbra.
«Per quello ci sarà il minuto successivo» ribatté Lily, avvicinandosi di nuovo, stavolta per dargli un bacio vero. Appoggiò entrambe le mani sul viso di James, che era bollente sotto il suo tocco, e lo baciò con dolcezza e a lungo, desiderando che quel minuto durasse per sempre. Quando riaprì gli occhi, quelli di James erano ancora socchiusi e lui aveva un’espressione intontita, che la fece sorridere.
«Vado a decidere quale delle mie amiche si sposerà l’anno prossimo» annunciò. Afferrò il suo bouquet di margherite dal tavolo e si alzò velocemente dalla sedia, raggiungendo gli altri invitati.
James  si godette la scena.
Lily si avvicinò a Mary e Dorcas e disse loro qualcosa, subito il volto delle due ragazze si illuminò d’eccitazione. Andarono a chiamare Marlene, che nel frattempo era riuscita ad attaccare bottone con Gideon Prewett. Loro tre e un altro paio di giovani donne si radunarono in un piccolo gruppo, Lily era qualche passo più avanti e dava loro le spalle. Dopo un sonoro conto alla rovescia, lanciò all’indietro il mazzo di margherite, che atterrò dolcemente tra le braccia di Dorcas. Quest’ultima diventò tutta rossa, mentre le altre scoppiarono a ridere e Lily correva ad abbracciarla.
James notò anche che non era stato l’unico ad osservare con attenzione ed interesse il lancio del bouquet, perché vide Remus che spintonava Sirius in avanti mentre rideva sotto i baffi: poteva immaginare benissimo i vari improperi che stavano uscendo in quel momento dalla bocca di Sirius, ma non gli sfuggì lo sguardo che dopo un po’ i suoi occhi grigi riservarono a Dorcas, che ancora si rigirava le margherite tra le mani, mentre Marlene le diceva qualcosa che doveva essere molto divertente, dal momento che un secondo dopo scoppiarono entrambe a ridere di gusto.
Lily aveva ragione, l’indomani sarebbero tornati alla vita di sempre, ma quella giornata sembrava esistere lontano dalla guerra, dai Mangiamorte, da Voldemort e da tutte le cose terribili che capitavano ogni giorno. Quella giornata di sole, di festa e di musica sembrava appartenere ad un mondo lontano, e se una parte di lui desiderava rimanere per sempre prigioniero di quel mondo sconosciuto, all’altra non dispiaceva tornare alla realtà e alla quotidianità, anche se quelle due parole significavano paura, preoccupazione e fatica, perché sapeva che ci sarebbe stata Lily al suo fianco e che, assieme a lei, ogni emozione negativa poteva essere sconfitta.
Delle volte, James aveva la sensazione che loro due insieme sprigionavano un potere tale che persino la morte, al loro cospetto, sarebbe stata costretta a ritornare sui suoi passi.
 
 
 
 
 
   
 
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