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Autore: sese87    03/10/2020    6 recensioni
Tokyo, Giappone. Bulma e Vegeta si incontrano in una giornata di pioggia. Inizieranno una relazione proibita tra studente e professore?
Storia liberamente ispirata a "Il Giardino Delle Parole" di Makoto Shinkai.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Il Giardino Delle Parole
 

Prologo
 

Il rombo del
Tuono
Nel cielo
Nuvoloso
Forse pioverà.
E quando accadrà resterai
Con me?

(Man’yoshu, Volume 11, verso 2513)

 
 

Tokyo era una città frenetica, un’esplosione di colori al neon, cartelloni pubblicitari con studentesse pettorute e gonne troppo corte, una pachinko gigante, dove si vinceva senza entusiasmo, per perdere ancora, imbambolati da ipnotiche luci intermittenti.
In Giappone esistevano più di duecento gusti diversi di KitKat. «E due lattine di birra.»
Ma non sarebbero bastati a sfamare l’ansia sociale della perfezione, di una vita costellata da tappe necessarie: scuola, università, lavoro; senza tempi morti nel mezzo.
Né l’onta si sarebbe spenta rintanandosi in casa, o si sarebbe corso il rischio di essere etichettati come reclusi, paradossalmente degli “outsider”. La vita andava affrontata di petto.
«Prego.»
 

In una città così grande non c’era spazio per gli stranieri. L’occidente era “pop”, ma i suoi imbarazzanti stereotipi, l’informalità spiccata erano meglio in vacanza o cantati al karaoke. «Un pacchetto di sigarette gusto fragola, grazie.»
Difficile anche stringere amicizie sincere. Con Olong aveva preso una cantonata: si era rivelato un vero maiale. Con Blue, invece, era andata anche peggio: non aveva capito fosse uno dei professori!
Era dunque storia già scritta che, dalla peculiarità della sua chiassosa persona, non ci si fosse aspettato che una sciocca, senza che nessuno avesse avuto la grazia di difenderla o andare oltre.
Lei, i bei voti, non se li procurava flirtando! 

La stagione delle piogge si addiceva al suo pessimo umore. Aveva un effetto lenente osservare le gocce increspare la superficie del lago e diventare un tutt’uno con esso. Il cielo che si trasformava in acqua, accarezzato dalle fronde degli alberi, e le foglie, tremanti, rispondere al vento, in attesa del tuono.
I giorni di pioggia gli piaceva passarli sotto un’azumaya del parco Shinjuku, a leggere sulle fronde del lago, tra gli alberi di ciliegio, in quel periodo ancora verdi. Era lì che i suoi pensieri sbocciavano, esplodevano insieme ai tuoni per poi…sciogliersi in un nulla di fatto. Il modo giusto di replicare non aveva importanza, se arrivato in ritardo.
Vegeta era dotato di loquacità e grande intelletto; poca cosa contro di loro. Avrebbe forse dovuto cedere, e accettare senza pensarci troppo?  

«Ehi!» La lattina di birra si arrestò ai suoi piedi, saltellando sui gradini del pergolato in legno, rotolando sul sentiero bagnato. Bulma si chinò a raccoglierla, con un po’ di difficoltà nel reggere la borsetta, la spesa e l’ombrello trasparente, con i tacchi che le affondavano nel pietrisco fangoso.
«Non si getta spazzatura per terra, non te l’hanno insegnato?» E si avvicinò al ragazzo che l’aveva gettata, per restituirgliela.
Il quale sollevò appena la testa dal libro che non stava neanche più leggendo per guardarla confuso: una straniera dai capelli verderame; talmente concentrato su se stesso, non si era accorto del suo approcciarsi.
Allora Bulma, il braccio ancora allungato verso il ragazzo, ripeté la frase in giapponese, ma con un terribile accento americano.
Lui le sorrise senza bontà e lei, naturalmente, si stizzì, restituendogli la lattina in grembo. Poi, senza altre cerimonie, gli si sedette accanto. «È un giardino pubblico, mi siedo dove voglio.» Aggiunse, notando la sua espressione dura sciogliersi in una breve inflessione di fastidio.  

Che peggiorò, quando la sconosciuta tirò fuori un pacchetto di sigarette dalla borsetta e iniziò a sbuffare vapori dolciastri al profumo di fragola.
Vegeta avrebbe preferito restar solo, Tch, gaijin!
Raccolse la propria roba e restituì i passi alla breccia; il sentiero coperto da una nebbia di pioggia. 

Nelle belle giornate, la luce del sole si rifletteva contro le finestre del Politecnico. Il prato del cortile si riempiva di studenti e qualcuno, dalle panchine, disegnava il chiaroscuro delle pareti di cemento.
All’interno l’edificio era bianco, luminoso. Sembrava una serra, con le scalinate laterali che, nei giorni più limpidi, parevano ti portassero in cielo.
In quel bianco asettico, da ospedale, Goku pensava a Vegeta. E allenava i propri ricordi ritrovando il suo volto tra le nuvole, che lentamente scorrevano nel cielo, sopra i grattacieli, oltre la finestra della classe.
Non lo vedeva da tempo; l’ultima volta non era stata piacevole.
«Non penso che cambierà mai.» Crilin aveva rispettato il suo silenzio fino a quel punto, prima che la conversazione s’infiacchisse e lui sbandierasse la penna per iniziare a prendere appunti. Non condivideva il desiderio di Goku. «Vegeta è un caso perso.»
«So bene che ha la testa dura!» Aveva già provato a scalfirla. Il sorriso, però, tornò ad illuminargli il volto. «Ma riuscirò a convincerlo, ne sono sicuro.»  

«Mi dispiace di essere giunto in ritardo.»
Vegeta guardò Goku dal rubinetto del bagno su cui era chino. Raccolse un po’ di acqua fresca e iniziò ad umettarsi uno zigomo prima che si gonfiasse. Aveva ricevuto un pugno da Recoome, il vicino di casa che gli dava sempre il tormento, Vegi-chan! Vegeta in certe occasioni non riusciva mai a starsi zitto.
«Non importa, non avevo chiesto il tuo aiuto, né eri stato invitato.»
Goku gli sorrise. «Già, avresti potuto sbrigartela da solo.» Nonostante la notevole differenza di altezza e di forza.
Vegeta richiuse il rubinetto. «Che c’è? Pensi che non potrei prenderlo a calci in culo, quell’idiota?» Si asciugò con il bordo della maglietta, con movimenti nervosi, scattosi. «Figurati se devo aspettare che tu mi difenda.» Suo fratello minore. Uscì dal bagno.
«E comunque perché ce l’ha tanto con te, che gli hai fatto?» Goku lo seguì grattandosi la folta zazzera. Ma Vegeta non rispose e la notò allora la scatola di dolcetti lasciata sul tavolo, «E questi?»
«Ai fagioli rossi.»
«So benissimo cosa sono. Che diamine me li hai portati a fare?»
«Per rifocillarti lo spirito. Non puoi mangiare sempre ramen precotto!»
«E pensi che cambierò idea solo perché sei carino con me?»
«Andiamo, Vegeta, dammi un po’ di tregua!»
«Tanto tu te ne andrai via.» In Europa. Mentre lui sarebbe rimasto a fare i conti col resto. Lanciò un’occhiata al cesto della lavanderia che non era riuscito a raggiungere; Recoome aveva voluto rubargli le mutande. «Poi cosa diamine ci vai a fare, in Europa?»
«Farà bene al mio curriculum accademico…migliorare l’inglese.»
«Non ho avuto bisogno di andarci per imparare l’inglese.» Era bastata la sua determinazione. «Né per migliorare il mio curriculum.» Il suo destino, in fondo, pareva essere stato già scritto, mentre Goku era libero di fare ciò che volesse. Ma lui non avrebbe permesso ad altri di decidere per lui la sua sorte: l’avrebbe spuntata!
«Non sono una talento naturale come te!» Goku cercò di lusingarlo per ravvivare il suo buon umore. «Ho bisogno di studiare.» E tanto anche. Vegeta, invece, capiva sempre tutto al volo. «Ma neanche il talento riuscirebbe a salvarti, questa volta.»
«Che intendi dire?»
«Gira voce che il posto di Blue lo daranno ad un esterno.»
«E non è quello che volete tutti?» 

Pensava alle rose del giardino francese del parco Shinjuku, alle perle d’acqua tra gli steli spinosi, ai petali profumati, gialli come soli bagnati, rossi come fuoco intriso di incenso, rosati come le labbra che tutte le invidiavano. I fiori erano più belli e vibranti sotto la pioggia.
Nemmeno a Bulma dispiaceva il maltempo. Aveva seguito lo sfarfallio degli aironi tra i timidi riflessi del sole; gli uccelli nascondersi tra i rami, nei loro nidi, ai primi accenni di pioggia. Si era lasciata abbracciare dagli aceri nodosi e sormontare dagli altissimi liriodendri, lungo i sentieri all’inglese dove erano sbocciati i suoi pensieri, blu come il mare del suo sguardo, finché non aveva trovato riparo, sotto l’azumaya, nella parte giapponese.
Non era abituata a non essere amata: nessuno pareva capirla sul serio.
Si accese una sigaretta; spire di fumo alla fragola volteggiarono nella sua bocca, prima di essere espirate.
Bulma le scompose con dita sottili e curate, inspirò un’altra boccata.
«Qui non è permesso fumare.» Vegeta posò il proprio zaino per terra, deciso a sedersi, dove preferiva sempre sedersi: all’angolo del pergolato, rivolto al lago.
«Come non è permesso gettare spazzatura per terra.»
«Non l’avevo gettata. Mi era caduta.»
«Ma poi non l’hai raccolta.» Gliela aveva lasciata accanto. Non capì il ghigno che le rivolse. «Vieni sempre qui?»
«Potrei fare la stessa domanda, e chiarire, se è il caso che io torni o meno.»
Sbuffò sfacciatamente un’altra nuvola di fumo dolciastro. «Non un amante della compagnia.»
«No.» Tirò fuori un libro dallo zaino. Iniziò a leggere.
«Cosa leggi?»
Tirò fuori anche gli air pod.  
Alcuni uccelli spiccarono il volo da un ramo di ciliegio; scoppiarono coriandoli di pioggia. 

Era un libro sottile, dalla copertina rigida e rossa. In bianco, sulla costa, a caratteri cubitali c’era scritto Soyuz, “An Insight into Russia’s flagship spacecraft, from Moon missions to the International Space Station”.
Il modello che cercava lo avrebbe trovato a pagina 17: la navicella spaziale Vostock, “Oriente”. La sua capsula di rientro era sferica, monoposto.
Avrebbe tanto voluto studiarla. «Ehi! Quello è il libro che sto cercando!»
Goku si volse verso la ragazza che aveva parlato. Una straniera dai capelli color ottanio. «Dici a me?»
«A chi altrimenti?» La biblioteca era vuota. Erano rimasti solo loro due in una jungla di libri. Il sole tagliava gli scaffali con la sua ultima luce morente.
«Mi dispiace, ma l’ho preso prima io.» E se lo ficcò nello zaino.
«Potresti almeno lasciarmi fare delle fotocopie.» 

«E così mi ha dato questo in cambio.» Del silenzio per aver fotocopiato un libro intero.
«Un KitKat alla fragola?» Crilin notò che era scaduto da un mese, ed era sbriciolato in più parti.
«L’alternativa era il caffè, ma a me non piace.»
«E come ha detto di chiamarsi?»
«Bulla mi sembra.» Una tipa bizzarra, «Non mi ha neanche detto grazie.»

Bulla…«Non l’ho mai sentita.»
Vegeta li guardò entrambi, in silenzio, scocciato e affranto: non voleva la loro compagnia e Goku pareva non comprenderlo. Affatto. «Comunque, se avete finito di blaterare sciocchezze lasciate il libro e andatevene.» Doveva assolutamente prepararsi per la prossima lezione, o lo avrebbero licenziato sul serio.
 

Continua…

 

 


Salve! :D Ebbene, un’altra AU! Inizialmente avrebbe dovuto essere una OS per la mia raccolta “Oltre l’orizzonte degli eventi”, ma poi ho deciso che sarà una piccola long.
Spero che questo brevissimo “sneak peek” vi sia piaciuto, i prossimi aggiornamenti saranno più lunghi.
Alla prossima :) Nota sul Politecnico - questa università è inventata, mi ero dimenticata di specificarlo! Cercavo un’università che fosse vicina al parco Shinjuku, come la scuola dell’anime. Da quelle parti (almeno basandomi sulle mie ricerche) esiste un Politecnico di design che però non avrebbe fatto al mio caso. Nella descrizione degli ambienti e delle lezioni ho quindi tratto ispirazione da diverse università giapponesi.

 

 

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