Libri > Twilight
Ricorda la storia  |      
Autore: CatherineC94    03/10/2020    1 recensioni
Quante volte le avevo detto che lei era l’unica ragione per protrarre quell'esistenza tormentata? Perché non riusciva a comprendere quando fosse il cardine di tutto, quanto lei governasse ogni cosa, quanto lei determinasse ogni cosa?
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note iniziali.
Dopo circa dieci anni ho deciso di pubblicare questa storia; questa volta spero davvero di essere degna e di non aver creato una storia tipica del fandom. Ci troviamo nel capitolo che ho preferito più di tutti in New Moon, da tempo avevo avvertito il bisogno di scrivere questa One Shot e con la lettura di Midnight Sun questa necessità si è tramutata in realtà; spero di aver reso al meglio ciò che ho progettato nella mia mente e soprattutto spero di aver rispettato l’IC. Non so bene se ritornerò a scrivere su questi due ragazzacci, ho scoperto in effetti di essere molto affine alla prospettiva di Edward e non quella di Bella, come credevo anni or sono, però ciò che conta è che l’ho fatto, in un certo senso chiudendo un cerchio. Ritroverete quindi i dialoghi originali, per far si che tutto sembri plausibile.
Questa la dedico a tutti coloro che hanno sofferto per amore, quello vero; a tutti coloro che al posto del cuore hanno trovato solo briciole e che hanno sperato fino alla fine di ritrovarsi un Edward che provasse in tutti i modi a salvare un sentimento vero e puro. Non abbattetevi, prima o poi arriverà una persona che ci amerà nonostante ciò che siamo.
 
DESCLAIMER: I personaggi, dialoghi appartengono a Stephenie Meyer, io li ho utilizzati senza fini di lucro.


 
So easy for you to leave




Ritornare nella piccola stanza di Bella fu un tuffo nella memoria che avevo tentato disperatamente di sopprimere a tutti i costi, durante quei duri mesi lontani da lei; tentai invano di scordare ogni cosa. In ogni istante, che pareva un secolo il suo volto mi aveva tormentato fino all’inverosimile mostrandomi in realtà ciò che ero: un essere orribile innamorato fino alla perdizione di una creatura così buona ed innocente.
I dettagli, che i mie occhi avevano captato attraverso le loro capacità sovrumane avevano marchiato a fuoco ogni angolo della mia mente, come quella notte gloriosa di un tempo, quando le mostrai il mio essere e credetti che il nostro amore non fosse sinonimo di follia, bensì di possibilità.
Ricordavo ancora il dolore lancinante che il mio essere aveva provato piegato dall’ansia e dal dilemma di non essere accettato; io, un mostro. Un essere ignobile che aveva ucciso, mutilato distrutto esseri umani ero stato accettato ed amato incondizionatamente da lei; senza alcuna riserva dentro avvertì una vampata di felicità, mista al senso di colpa più fosco per ciò che le avevo causato.
Mi guardai intorno, colmato dal suo respiro.
Le pareti stipate da libri, lucette e quadri sbilenchi mi provocarono un sorriso spontaneo assieme agli abiti che alla rinfusa aveva posto sulla sedia di fronte al letto, probabilmente prima di partire per l’Italia; a quel pensiero nel profondo mi sentì sopraffatto dalle emozioni. Dolore, paura, rabbia e tanta felicità; vederla viva e tra le mie braccia era stata la gioia più grande.
Mi voltai e finalmente decisi di osservarla.
Osservare forse era riduttivo, adorarla forse si avvicinava al mio più intimo desiderio.
Era cambiata dall’ultima volta in quella oscura foresta; il viso era un po’ smunto, magro e gli occhi solcati da rughe profonde dettate dal dolore. I capelli, molto più lunghi di come li ricordavo ricadevano asimmetrici sulle lenzuola color viola che mi ricordarono le notti abbracciati a raccontarci storie, sentimenti e amori quasi impossibili. Quanti mesi erano passati dalla mia scelta scellerata? Nemmeno un anno, eppure la donna che avevo davanti sembrava diversa, provata dal dolore e ancora una volta mi sentì inutile, infinitesimale; lei era così buona, amorevole e coraggiosa.
Ero stato un codardo forse, animato dalle intenzioni più nobili ma più sbagliate che mai; decisi di respirare un po’ d’aria, voluttuoso, bramante della sua essenza.
Lo feci, e i miei polmoni si riempirono di lei.
Con un lampo di trionfo mi resi conto che il mostro era stato domato, schiacciato dall’immagine di Bella morta, esanime e con gli occhi vacui; provai  a ricompormi, inutilmente.
«NO! Edward…vi prego lasciatelo!» urlò Bella spaventandomi.
Il mio cuore morto per  un attimo si inondò  di commozione ed amore profondo; anche se l’avevo fatta soffrire nei suoi sogni era preoccupata per me.
Ancora una volta mi apparve davanti la visione che molto tempo prima ebbe mia sorella, quando ancora non avevo portato Bella nella nostra radura; l’avevo vista spenta, morta dentro, ingrigita a causa del mio abbandono.
Un ringhio arrabbiato scosse il  mio petto, mentre velocemente mi avvicinai al bordo del letto sedendomi.
Eppure lei era lì, che dormiva e nel suo volto rividi la ragazzina che con fiducia si era donata a me stesso; allungai la mano per accarezzarla. La mia mano fredda fu cosparsa da una sorta di scarica elettrica e come un tempo chiusi gli occhi beandomi di quello stato di grazie ed armonia.
«Ah!» urlò all’improvviso spalancando gli occhi e lasciandomi basito.
Non pensavo che sarebbe successo così presto e non avevo racimolato il coraggio necessario per dirle ciò che mi angosciava nel profondo.
I suoi occhi, il miracolo più grande assieme alla sua vita, mi osservavano intimoriti e quasi increduli; specchiarsi in quella profonda pozza marrone fu un intenso ritorno a casa, al nucleo del mio cuore freddo e smunto dal dolore.
«Ti ho spaventata?» chiesi ansioso; la vedevo davvero scossa come se io non fossi là  per davvero.
«Oh, merda» esclamò con la voce intrisa dal panico, una fitta di paura colpì anche me. Forse era sotto shock, nessuno avrebbe potuto biasimarla in alcun modo dopo tutto ciò che aveva affrontato e visto; ancora una volta un’ondata di risentimento verso me stesso e verso il pericolo che avevo procurato.
«Che c'è che non va, Bella?» domandai agitato.
«Sono morta, vero?» chiese a bruciapelo.
La guardai devastato; davvero pensava che io fossi un sogno? Davvero era convinta che per poter vedere me servisse la morte? Se avessi potuto in quel momento avrei pianto; non meritavo tutto ciò, non meritavo il suo amore. E io avevo gettato tutto al vento, convinto di qualcosa che aveva quasi portato alla morte entrambi; la osservai e la vidi biascicare incontrollatamente:
«Sono annegata. Merda, merda, merda! Charlie ci resterà secco» .
«Non sei morta» le risposi piccato, convinto che questa volta l’avrei protetta per davvero.
«E allora perché non mi sveglio?», chiese con gli occhi ricolmi di lacrime.
«Sei già sveglia, Bella» le dissi rendendomi conto che sarebbe stato davvero complesso.
«Certo, certo. È ciò che vuoi che io pensi. E poi, quando mi sveglierò, sarà il peggio del peggio. Se mi sveglierò, il che non avverrà, perché sono morta. Orribile. Povero Charlie. E Renée, e Jake...».
Peggio del peggio.
Quelle parole furono come una duplice pugnalata al cuore.
Malfermo mi imposi di non perdere il controllo, mai come in quel momento avrei volto piangere per la sofferenza che stavo provando di fronte alle sue parole. L’avevo davvero distrutta nel profondo; non sarei mai riuscito a rimediare, avrei dovuto fare del mio meglio.
E poi quel nome, Jake. Nel mio cervello apparvero immagini, il giovane bambino Black; di nuovo, il risentimento irrazionale che un tempo avevo provato per quel Newton ricomparve prepotente. Mi era parso di intuire attraverso i pensieri di mia sorella che quel tipo avesse allacciato una sorta di amicizia con Bella durante la mia assenza; come se non bastasse era un Licantropo. Soffocai una risposta che si sarebbe dimostrata stupida e forse infantile, concentrandomi su di lei.
Perché lei doveva sapere, lei doveva essere a conoscenza dell’amore disperato che provavo verso di lei; forse pensava che fossi ritornato per funestarle la vita, forse non ero degno di lei.
«Mi rendo conto che tu possa avermi scambiato per un incubo. Ne hai ammazzati molti, in mia assenza?» provai con profonda utopia a divertirla per alleggerire la situazione in qualche modo.
Per la mia Bella di un tempo sarebbe stato un invito troppo forte da lasciar andare; ma questa Bella era diversa, come privata della sua essenza. Gli occhi, i suoi caldi occhi,  erano un tunnel infinito e muto così sconfortante che per attimo non riuscì a scherzare ulteriormente.
«Certo che no. Se fossi all'inferno, tu non saresti con me» asserì sincera.
La guardai scosso ancora una volta, la considerazione che aveva di me era davvero assurda… io ero un essere che andava al di là della bontà. Avevo ucciso, mi ero nutrito del sangue umano, eletto giudice supremo e senza remore avevo deciso la vita e la morte di un paio di membri della sua specie; tuttavia lei continuava ad immaginarmi come un essere che aveva la misericordia divina del suo Dio. Gli atti che avevo e che stavo compiendo erano l’emblema della mia dannazione; nessun Dio mi avrebbe mai perdonato.
«Perciò... è successo davvero? » domandò.
«Dipende. Se ti riferisci al fatto che abbiamo rischiato di farci massacrare in Italia, la risposta è sì»  convenni stanco. Le immagini mi tormentavano ancora prepotenti; aveva rischiato se stessa per salvarmi, era venuta in quel covo di mostri solo per aiutare me, un essere ignobile.
 «Strano. Sono stata in Italia davvero. Sai che non ero mai andata più a est di Albuquerque?» gracchiò di rimando.
Certo che mi ricordavo di Albuquerque, dei viaggi con la sua sconsiderata ed infantile madre, ricordavo tutte le conversazioni che avevamo avuto e specialmente quella. Conscio del desiderio di introdurla al mondo con moto di orgoglio proveniente da chissà quale anfratto mentale mi ripromisi che l’avrei fatta viaggiare, vedere il mondo che ancora non aveva esplorato.
«Forse è meglio che torni a dormire. Stai delirando» le suggerì alzando gli occhi con finta esasperazione.
 «Non sono più stanca. Che ore sono? Quanto ho dormito?» indagò col suo solito fare analitico.
 «È l'una di notte passata. Direi che dormi da quattordici ore» risposi ripercorrendo quell’arco temporale lì, nella piccola stanza a contemplarla per non perdere nemmeno uno dei suoi respiri.
«E Charlie?» domandò con voce incrinata dalla colpa.
Un altro punto triste della faccenda era proprio l’Ispettore Capo Swan; era  furioso verso di me, anche se non riuscivo a captare alla perfezione i suoi pensieri, la rabbia funesta verso la mia persona mi aveva colpito come un gancio destro alla boxe. Quando avevano riaccompagnato Bella a casa, per un istante aveva temuto che mi avrebbe arrestato; non poteva fargli un colpa. Le poche immagini provenienti dai suoi ricordi, che avevo comunque recepito dai suoi pensieri mi fecero trasalire, per non parlare dei suoni; era Bella che  urlava durante il sonno. Perciò lo compresi quando con furia mi aveva intimato di non mettere piede in casa loro; sospirai amaro facendole un breve riassunto: «Dorme. Devo farti presente che in questo momento sto infrangendo le regole. Be', tecnicamente no, perché mi ha vietato di oltrepassare la porta di casa tua e io sono entrato dalla finestra, ma... be', ecco, l'intenzione era quella».  Il suo volto per un attimo si chiazzò di rosso, probabilmente era infastidita dal comportamento del padre.
«Charlie ti ha bandito da qui?» sibilò.
«Cosa ti aspettavi?» le risposi con voce desolata; capivo alla perfezione le azioni del padre. Al suo posto avrei fatto di peggio; preservare una figlia, proteggerla da ogni cosa e da chiunque. Non meritavo il suo perdono, mi ero dimostrato un essere spregevole e senza alcun rispetto per i sentimenti di sua figlia facendola soffrire terribilmente.
«Qual è la versione?» mormorò provando ad aggiustare i suoi bellissimi capelli, la guardai ipnotizzato.
 «In che senso?» dissi incerto.
 «Cosa racconto a Charlie? Con quale scusa giustifico un'assenza di... quanto tempo sono stata lontana da casa?» farfugliò.
Ah certo, cosa raccontare al padre.
In effetti non ci aveva pensato ed era strano perché solitamente non avrei lasciato nulla al caso; nei momenti antecedenti però, i mei pensieri  erano diretti verso di lei. Le suggerì senza mezzi termini che mia sorella Alice avrebbe  inventato qualcosa su due piedi; sarebbe stato così.
Poi arrivò la domanda, e sentì che l’imbarazzo provocato dallo stesso disagio inadeguato mi investiva; Bella mi chiese cosa avessi fatto duranti quei terribili mesi.
Cosa avevo fatto?
Avrei potuto dire che mi era limitato a recitare la parte della mia stessa ombra; non avevo più desiderio di esistere o di fare altro. Più che altro non avrei mai immaginato i pericoli che avevo sottovalutato lasciandola su due piedi; il tormento intrise le mie parole mentre provavo a scusarmi anche se sapevo che di scusanti non ce ne erano.
Bella mi osservava meditabonda e a tratti irata.
Le mie mani cercarono quelle della giovane donna, come se quel contatto avesse potuto salvami dal mio affogare in un mare di colpa e di terrore. Come avevo potuto lasciarla sola?  Contro Victoria, con un branco di Licantropi instabili; per attimo la  mia lucidità parve venir meno.
La vidi trattenere il fiato per poi adottare un’espressione neutra e composta mentre metteva insieme gli argomenti migliori per contro ribattere alle mie scuse.
«Smettila» esclamò con un tono quasi tremulo con gli occhi ancorati ai miei; sembrava che da un momento all’altro dovessi dissolvermi. Una strana ombra attraversò il suo sguardo colpendolo molto duramente; ancora sentì un profondo senso di colpa risalire lentamente dai recessi della mia mente.
Quel cuore che un tempo era stato risanato poteva sbriciolarsi senza rimedio?
«Edward, smettila, una volta per tutte. Non puoi ostinarti a vederla così. E non puoi lasciare che sia... il senso di colpa... a condizionarti la vita. Non puoi considerarti responsabile di tutto ciò che mi accade. Non è colpa tua, fa soltanto parte della mia vita attuale. Perciò, se inciampo e finisco sotto un autobus, o qualunque cosa mi capiti, devi renderti conto che non sei obbligato a provare alcun rimorso. Non puoi scappare in Italia perché non sei riuscito a salvarmi. Anche se mi fossi lanciata da quello scoglio per morire, sarebbe stata una scelta mia, non colpa tua. So che è nella tua... natura sentirti responsabile di tutto, ma davvero non puoi permetterti di esagerare in questo modo! È un atteggiamento sconsiderato. Pensa a Esme, a Carlisle e...» ammise con voce tremula e distorta da una sofferenza che mai avevo avvertito prima.
Io? In colpa?
Non aveva mai compreso davvero la misura del mio amore per lei. Non c’erano dubbi al riguardo, perché io non mi ero mai sentito in colpa a parte quei terribili momenti antecedenti a quei mesi meravigliosi passati insieme. Spesso, quando chiudevo gli occhi avvertivo le sue urla in quella scuola di danza; quelli erano artigli prepotenti, coloro che mi avevano in parte smosso ad abbandonarla.
Però, il pensiero di lei, morta… un abisso di sconforto mi scosse.
La notizia della sua morte era stata la svolta precisa alla mia stupida e superflua esistenza; avevo compreso che starle vicino comportava un rischio continuo per la sua umanità, quindi aspettare la sua morte mi era parso il sistema migliore. Lei morta, io l’avrei seguita, se esistere con Bella era impossibile, almeno perire assieme mi era parsa l’unica via; il mondo con i suoi colori non avrebbe avuto senso senza il suo profumo, il suo sorriso e i suoi grandi occhi:
«Bella, sono andato dai Volturi perché credevo fossi morta» ammisi.
L’unica colpa che avvertivo era stata quella dovuta alla mia scellerata scelta di andar via e glielo spiegai con un violento groppo alla gola, che chiariva il mio indissolubile legame con lei.
«Sarei andato in Italia anche se non fossi stato il responsabile della tua morte anche se non fosse stata colpa mia. Certo, avrei dovuto agire con più cautela e parlarne prima con Alice, anziché prendere per buona la versione di Rose. Ma, sinceramente, cos'altro avrei potuto pensare, quando il ragazzo mi ha risposto che Charlie era al funerale? Quante probabilità c'erano? Probabilità…Le probabilità sono sempre contro di noi. Un errore dopo l'altro. Non criticherò mai più Romeo» aggiunsi sincero.
Parlando di Romeo tornarono a galla i nostri discorsi e un senso di nostalgia misto a felicità mi riportò a molti mesi prima, quando con tenerezza la vedevo commuoversi di fronte al destino tragico dei due amanti. Avevo criticato Romeo e poco tempo dopo ero incappato nel suo stesso errore, dettato da un profondo amore che trascendeva il tempo ed ogni cosa; sorrisi tra me e me, lei mi aveva cambiato.
Lei era ormai tutto per me, tutto.
 «Continuo a non capire», disse.
E poi fece una domanda che non compresi nella sua totalità.
Se fosse morta?
Quante volte le avevo detto che lei era l’unica ragione per protrarre quell’esistenza tormentata? Perché non riusciva a comprendere quando fosse il cardine di tutto, quanto lei governasse ogni cosa, quanto lei determinasse ogni cosa?
«Non ricordi cosa ti ho detto una volta?» domandai in cerca di qualche appiglio.
 «Ricordo tutto quel che mi hai detto» mormorò affranta.
Quel tono, quella frase mi suggerì che aveva provato a rimuovere il tutto ed eccolo il mostro affiorare baldante ricordandomi quanto male le avessi provocato. In effetti ero un mostro e di fronte ai suoi occhi avrei voluto piangere, singhiozzare  e mostrarle il sentimento che provavo; mi sconvolgeva distruggendomi.
«Bella, temo che tu sia vittima di un equivoco. Pensavo di avertelo già spiegato chiaramente. Non sono in grado di vivere se al mondo non ci sei tu, Bella» ripetei convinto di fronte alla sua espressione impietrita. Sembrava sul punto di crollare, tentai di afferrarla con tutto me stesso; allungai le mani ma Bella si ritrasse.
Quel gesto mi impietrì.
 «Sono confusa » ammise.
«Sono un bravo bugiardo, Bella. Devo esserlo» convenni spontaneo mentre diventava più pallida di me; in preda al panico la vidi perdere il respiro e provare a trattenere le lacrime. Angosciato la strattonai, ignorando il brivido elettrico che le mie mani percepirono sfiorando le sue braccia; aggiunsi angosciato: «Lasciami finire! Sono un bravo bugiardo, ma tu mi hai creduto troppo in fretta. È stato... atroce. Quando ti ho detto addio, nella foresta...».
Lei mi guardò distrutta, le immagini che sicuramente affiorarono nella sua testa erano uguali alle mie; le peggiori in assoluto.
Eccolo il momento del coraggio dove avrei giocato il tutto per tutto.
Spesso mi ero chiesto se lanciarsi nel vuoto fosse così difficile; ma pensandoci bene non era il lanciò in sé a far paura, ma il momento prima, quando le gambe si staccavano da terra. Dovevo buttarmi, senza pensare al dopo; la paura più grande?
Che lei mi rifiutasse come meritavo di esserlo.
«Non ti saresti arresa lo sapevo bene. E non volevo farlo perché sapevo che sarei morto anch'io, ma temevo che, se non ti avessi convinta che non ti amavo più, avresti impiegato ancora più tempo a riprendere una vita normale. Speravo che, dimostrandoti di averti dimenticata, tu potessi fare altrettanto».
«Un taglio netto» aggiunse atona.
 «Esatto. Ma non avrei mai immaginato che sarebbe stato così facile! La consideravo un'impresa quasi impossibile. Ero sicuro che intuissi la verità e mi aspettavo di dover mentire a denti stretti per ore prima di insinuare l'ombra del dubbio dentro di te. Ti ho mentito e ti chiedo scusa... scusa per averti ferita, scusa perché è stato un tentativo inutile. Scusa se non ti ho protetta da ciò che sono. Ho mentito perché volevo salvarti e non ha funzionato. Scusami. Ma come hai potuto credermi? Dopo che ti ho ripetuto migliaia di volte che ti amavo, com'è stato possibile che una sola parola frantumasse la tua fiducia in me?».
Sbalordita mi osservava come se non credesse ad una sola parola di quelle pronunciate poco prima; il mio equilibrio mentale già precario vacillò. Racimolai le ultime forze provando a spiegarle quanto io gli appartenessi con tutto me stesso.
«Lo vedevo nel tuo sguardo, sembravi sinceramente convinta che non ti volessi più. L'idea più assurda e ridicola... come se io potessi mai trovare il modo di esistere senza aver bisogno di te!» quasi urlai nel tentativo di farle comprendere il doppio filo che mi univa a lei..
Provai ad incitarla, quasi pietrificata non accennava ad una reazione; sembrava ferma ed impassibile come quel giorno a Port Angeles. Sapevo bene che le sue reazioni non erano uguali a quelle comuni, tuttavia non la vedevo reagire finché un luccichio improvviso cosparse le sue guance.
Il mio cuore, o tutto ciò ch’era rimasto si strinse dal dolore.
Quella era la terza volta che la facevo piangere, come quella stessa sera in macchina ritornando dal ristorante, quando mi disse che non le importava, che mi avrebbe amato a dispetto della mia antura. Chissà quante volte aveva pianto in mia assenza? Mi sentivo un reietto, un essere che meritava la distruzione. Quante volte avevo letto sulle anime gemelle? Io ero stato ingrato.
Trovare una persona che avrebbe  ricambiato i miei sentimenti, che mi avrebbe accettato nonostante me stesso  mi era parso impossibile; eppure ci ero riuscito. Non contento di questo, nel momento più difficile avevo deciso di lasciarla e adesso non era chiaro se lei mi avesse accettato di nuovo.
«Sapevo che era un sogno»  singhiozzò.
Un altro fendente, un altro alterco verso me stesso. Lei pensava che fossi un sogno, lei era sicura che io fossi la parte più incredibile, più buona che potesse mai esistere. Non ero degno, non era giusto.
 «Sei incredibile» risposi quasi irritato dalla sua considerazione di me; era lei il sogno, era lei la meraviglia.
«Cosa devo fare per convincerti? Non stai dormendo e non sei nemmeno morta. Sono qui e ti amo. Ti ho amata sempre e sempre ti amerò. Ho pensato a te, visto il tuo volto nei ricordi, durante ogni minuto di lontananza. Dirti che non ti volevo più è stata una terribile bestemmia».
Scosse la testa, non mi credeva così avvicinai il mio volto al suo quasi implorandola.
«Come fai a credere a una bugia e non alla verità?» risposi roco.
 «Amarmi non ha mai avuto senso per te l’ho sempre saputo» disse con voce concitata.
La guardai distrutto mentre in tutti i modi provavo ad avvicinarmi per baciarla; quel contatto che per mesi avevo bramato in quel momento mi parve essere l’apoteosi. Lei mi rifiutava; mi sentì perso, sconfitto e meritevole di quel suo scostarsi. Le lacrime invadevano il suo volto, mentre le sue parole mi  dimostravano quanto la prospettiva di perdermi avesse influito su di lei; straziata, come solo un cuore che aveva amato e poi era stato distrutto mi fissò quasi pregandomi di non spazzare via quel poco che era rimasto. La paura mi paralizzò ulteriormente, mentre una nuova consapevolezza si instaurò dentro; e se dopo tutto quello che le avevo causato non volesse più sottostare a quel sentimento irrazionale che ci aveva legato?
«Ieri, quando ti toccavo, sembravi... incerta, prudente, sebbene sempre la stessa. Ho bisogno di sapere perché. È troppo tardi? Ti ho ferita irreparabilmente? O ti sei davvero lasciata tutto alle spalle, come desideravo? Tutto sommato sarebbe... giusto. Non contesterò la tua decisione. Perciò non temere la mia reazione, ti prego. Dimmi solo se dopo tutto ciò che ti ho fatto puoi ancora amarmi o no. Puoi?» la implorai.
Perdere me stesso era poco di fronte alla perdita di Bella; sarebbe stato giusto che lei avesse deciso di tagliare i ponti con me, eppure a quel pensiero niente aveva più senso o ragione.
«Ma che razza di domanda scema è questa?» chiese nervosa.
«Ti prego, rispondi. Per favore» supplicai ancora teso.
Amami ti prego, anche se scappare sarebbe giusto, pensai. Scappa. Ti prego aspetta, non andare senza di te niente avrebbe senso… ti prego.
 «Ciò che provo per te non cambierà mai. Certo che ti amo... e tu non puoi farci niente!» concesse .
E quando sentì quelle parole di nuovo il mondo riacquisì i suoi colori, i suoni ed ogni sua caratteristica; mi avvicinai più veloce del solito perché non resistevo più. L’impellente bisogno di stringerla, baciarla ed amarla mi stava distruggendo nell’intimo angolo di me stesso; avvinsi le mie labbra alle sue, mentre l’aroma dolce del suo sangue mi investì.
Mi sentì completo, saturo di Bella; la sua tenerezza, la sua morbidezza erano la linfa vitale, la vita per me. Continuai il bacio vorace, senza trattenermi come ero solito fare piegato dall’urgenza di sentirla con me, trionfante avrei cantato per la stanza; vittorioso l’avrei stretta e ballato ogni danza che conoscevo.
Come avevo potuto privarmi della mia stessa vita?
Le spiegai il perché del mio gesto e nei miei occhi ed attraverso la mia bocca rinnovai il mio giuramento eterno; non l’avrei più lasciata. Non sarei mai stato forte come lei pensava, prima del suo tuffo nell’oceano avevo già deciso di tornare ed implorare il suo perdono; lei sembrava scettica così pronunciai ciò che aleggiava nella mia mente e nel mio cuore muto da quando, quella notte lei pronunciò il mio nome:
«Prima di te, Bella, la mia vita era una notte senza luna. Molto buia, ma con qualche stella: punti di luce e razionalità... Poi hai attraversato il cielo come una meteora. All'improvviso, tutto ha preso fuoco: c'era luce, c'era bellezza. Quando sei sparita, la meteora è scomparsa dietro l'orizzonte e il buio è tornato. Non era cambiato nulla, ma i miei occhi erano rimasti accecati. Non vedevo più le stelle. Niente aveva più senso».
Nei suoi occhi rividi le lacrime incredule; il coraggio mi aveva dato una spinta in più. Bella doveva sapere che il mio amore per lei era qualcosa  di infinito.
«Gli occhi si abitueranno» sussurrò incerta.
«Questo è il problema: non ci riescono» risposi io.
Mai si sarebbero abituati alla sua assenza, mai.
«E le tue distrazioni?».
«Faceva parte della bugia, amore mio. Non sono mai riuscito a cancellare... l'agonia. Il mio cuore non batteva da quasi novant'anni, ma stavolta è andata diversamente. Non lo sentivo più, al suo posto c'era un vuoto. Come se ti fossi portata via tutto ciò che avevo dentro» bisbigliai disperato; perderla era stato il male più atroce.
 «Curioso», borbottò.
«Curioso?».
«Volevo dire "strano"... pensavo fosse successo soltanto a me. Anch'io ho perso parecchi pezzi. Ho passato chissà quanto tempo senza respirare davvero. Anche il mio cuore. Sparito nel nulla».
In qualche angolo recondito sentì nascere la speranza; mi avvicinai poggiando la testa sul suo petto.
Il suo cuore batteva felice e speranzoso e per un attimo avrei voluto che lei potesse sentire il mio battere a causa sua; il mio era muto, ma allo stesso ricolmo di Bella. Emozionato la strinsi più forte, felice del suo amore, felice che lei avesse accettato di riavermi, felice del suo perdono.
Un cuore muto poteva urlare la sua felicità?
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: CatherineC94