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Autore: _Il colore del vento_    12/10/2020    7 recensioni
Dal testo:
"Le dita tremanti di Walburga tracciano il contorno delle labbra della sposa, labbra secche e sottili, immancabilmente imbronciate.
Lei ci prova a sorridere, Walburga lo sa - piccole increspature che le deformano il viso come crepe -, ma è un gesto che le richiede troppa fatica. Una fatica immane.
E poi, ad essere onesti, il sorriso non le dona neanche."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Famiglia Black, Walburga Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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𝑨𝒏𝒅 𝒐𝒏𝒄𝒆 𝒂𝒈𝒂𝒊𝒏 𝒔𝒉𝒆 𝒘𝒐𝒖𝒍𝒅 𝒔𝒍𝒆𝒆𝒑,
𝒔𝒉𝒆 𝒘𝒐𝒖𝒍𝒅 𝒘𝒂𝒌𝒆
𝒂𝒏𝒅 𝒔𝒉𝒆 𝒘𝒐𝒖𝒍𝒅 𝒘𝒂𝒍𝒌
 

 

Lame di luce filtrano tra i pesanti drappeggi alle finestre, spezzando la densa oscurità della camera, e la riportano indietro – ancora una volta, si sente riemergere dalle tenebre.
La sua mente ottenebrata si scrolla di dosso gli ultimi strascichi di sonno, come l'orlo di una veste impigliata tra i rami e liberata a forza, con uno strattone.

Le assi di legno sotto i piedi nudi sono gelide, scricchiolano leggermente sotto il suo peso, ma Walburga non se ne cura.
L'enorme specchio a figura intera la osserva muto da un angolo della stanza, una pozza argentea attorniata da rovi e rose intarsiati nel legno scuro.
Il vecchio specchio di sua madre.

Walburga muove un passo un po' malfermo, poi un altro e un altro ancora.
Un braccio esile si solleva e la mano sfiora la superficie vitrea: lo specchio le restituisce l'immagine di una sposa infelice.
«Per Salazar, sorella, almeno sforzati» la riprende suo fratello Alphard - il sorriso scanzonato di lui è un piccolo lampo nel vetro, proprio al di sopra della sua spalla.

«Sforzati di sorridere. Celebriamo un matrimonio, stamane, non un funerale.»

Per Alphard tutto è sempre stato così facile, naturale: persino il suo sorriso non è che un guizzo di leggerezza.
Lei non risponde (non lo aveva fatto).

Le dita tremanti di Walburga tracciano il contorno delle labbra della sposa, labbra secche e sottili, immancabilmente imbronciate.
Lei ci prova a sorridere, Walburga lo sa - piccole increspature che le deformano il viso come crepe -, ma è un gesto che le richiede troppa fatica. Una fatica immane.
E poi, ad essere onesti, il sorriso non le dona neanche.

La sposa è giovane, Walburga sa anche questo, ma non dimostra affatto la freschezza dei suoi anni.

L'austero abito bianco presenta un taglio severo, stringendole la gola fin sotto il mento (forse è per quello che si sente opprimere?), e le spalle gracili disegnano spigoli aguzzi sotto il tessuto. 
C'è un contrasto strano tra la stoffa candida del vestito e il malsano pallore del viso, quasi spiacevole.
I capelli scuri sono ordinatamente tirati all'indietro e una piccola ruga le attraversa la fronte.

«Sforzati, sorella» ripete la voce di Alphard, in un sussurro, prima di sfumare in una bassa risata.
Nello specchio non lo vede più. È rimasta solo la sposa dagli occhi tristi, ora.
Walburga le volta le spalle, lasciandola lì dietro lo specchio, immobile e malinconica tra i rovi e le rose, e segue la scia della risata di Alphard che si perde in corridoio.


Supera l'orologio a pendolo proprio mentre un rintocco sordo riecheggia nell'aria, mescolandosi alla risata di Druella.
«Oh, l'ora del tè!»
La sua figura sinuosa è stretta in un elegante vestito color porpora e i capelli scuri le danzano lungo la schiena.

Ha sempre avuto l'atteggiamento sicuro di una padrona di casa, Druella, anche lì dove non era padrona di niente.

«Te lo devo proprio dire, cara cognata» esclama, voltandosi verso di lei con un sorriso impertinente sulle labbra rosse e piene.
Un ricciolo le accarezza la guancia ed è bella, così sfacciatamente bella, che Walburga non può che starla ad ascoltare impotente.
«Questa casa mi mette i brividi! Non riuscirei mai a viverci da sola.»

Druella allarga le braccia e l'ampia gonna purpurea si apre attorno a lei - sembra un fiore imbrattato di sangue appena sbocciato.
«Così cupa e fredda. Davvero da brividi.»
Walburga non commenta (non lo aveva fatto).
Dalle sue labbra scivola un'altra risata, proprio mentre dall'orologio si spande l'ultimo rintocco.

«Ma è tanto pretendere un po' di quiete in questa casa? Vorrei solo silenzio.»
Orion la guarda, alla fine del corridoio, incorniciato dalla porta d'ingresso del suo studio.
È lì che ha sempre trascorso le sue giornate, perso fra le pagine dei suoi libri.
La scruta in silenzio e il fastidio sul suo volto lascia rapidamente spazio all'apatia.

È un istante e il corridoio di casa diventa la navata di una chiesa – la sposa infelice dentro lo specchio trema.
Dovrebbe muoversi, procedere, ma i piedi le sono diventati improvvisamente pesanti come piombo.
Orion l'attende alla fine della navata e resta perfettamente immobile, quando gli arriva di fronte.

Potrebbe sorridergli, ma non ci riesce (non lo aveva fatto, del resto).
Avrebbe potuto amarlo (non ci era riuscita): non si erano mai capiti.

E così la porta dello studio di Orion si richiude dietro di lui con un tonfo, un suono che ha un qualcosa di definitivo, come il coperchio di una bara che viene sigillato per sempre.
Come un baule chiuso di scatto sugli averi di tutta una gioventù.

Sirius ansima, trascinando le sue cose lungo le scale.
È quasi arrivato agli ultimi gradini.
Walburga stringe con forza il corrimano, sporgendosi oltre la balaustra.

Solo perché ha sempre saputo che sarebbe andata così, non vuol dire che ora faccia meno male – o che la rabbia divampi meno impetuosa.

«Non osare mettere piede fuori da questa casa» urla, le dita ormai livide e le guance esangui.
Sirius, già così distante, solleva su di lei un ultimo sguardo triste - ha gli stessi occhi della sposa intrappolata dietro lo specchio - e sorride, malinconico.
Anche lui ha sempre avuto la leggerezza di Alphard.
E di più, anche, molto di più: grazia, delicatezza, disinvoltura. È tutto quello che lei non è stata mai.

«Cosa farai, altrimenti, madre? Mi fermerai?» domanda – è l'ultima sfida che le pone.

Potrebbe farlo, sì. Potrebbe corrergli dietro o estrarre la bacchetta, costringendolo a restare.
Potrebbe fermarlo, ma non è così che funziona, no.
(Non lo aveva fatto, non lo aveva fermato).

Walburga stringe il corrimano, vi si aggrappa, anzi, perché le ginocchia quasi le cedono.
Urla, urla tanto da farsi venir male alla gola, ma i suoi strepiti precipitano giù, giù lungo le scale, fino ad arrestarsi in un atrio completamente vuoto.
Sirius è svanito e la rabbia e la delusione non possono più raggiungerlo –disseminati dietro di sé, ha lasciato i cocci delle aspettative infrante e calpestate.


Walburga barcolla leggermente, con la gola e il petto in fiamme e le mani che tremano.
È stanca, si sente già mortalmente esausta.
(Non è facile stare dietro al proprio passato).
Volta le spalle alla scalinata e ripercorre il corridoio, in direzione inversa.

Il cartello fuori dalla camera di Regulus è leggermente inclinato – lo raddrizza piano con le dita, sfiorando leggermente la maniglia fredda.
Dalla sua camera non proviene alcun rumore.
Regulus è sempre stato taciturno, del resto, non ha mai voluto causarle problemi.
 
Persino l'ultima sera, prima di sparire, non dice nulla.
È nervoso e preoccupato, questo lo intuisce persino lei, ma non parla, non apre bocca.
Prima di andare, la saluta con un rapido bacio sulla guancia – ma nessun sorriso. «Buonanotte, madre.»

Anche Regulus ha sempre fatto un'immensa fatica a combattere contro il peso di se stesso, incapace come lei di lasciarsi andare ad attimi di leggerezza. Incapace di essere libero.

Potrebbe trattenerlo, chiedergli cosa c'è che non va.
(Ma, ancora, non lo aveva fatto. Non era andata così).

L'ha visto sparire nella pioggia, dalla finestra del salotto.
L'ha visto andar via con i suoi segreti e ora non le resta che quel silenzio dietro la porta.

Walburga si stringe le braccia attorno al corpo, stretto in un vestito nero. 
Si è sempre trovata bene, fasciata in abiti scuri. Perfettamente a suo agio.
Sembra, dopotutto, che i funerali le si addicano più di un matrimonio.

«Mi dispiace, cara.»

La mano di sua cognata Lucretia è una carezza sulla spalla, delicata come i petali che piovono sulla tomba vuota di Regulus.
Potrebbe piangere, ma non è così che va.
(Non è così che è andata).
Lei, quel giorno, non è riuscita a versare neanche una lacrima.

Forse, se Regulus l'avesse fatta arrabbiare come aveva fatto Sirius, se l'avesse turbata e scossa come aveva fatto il suo primogenito, sarebbe stato anche capace di farla piangere – la rabbia le è sempre venuta più naturale dell'amore.

Sospira.
È così stanca.

«Vieni, cara, vieni. È ora di dormire.»
La voce gentile di Lucretia la guida fino alla camera da letto – la sua voce è un filo sottile che si srotola lungo un labirinto di voci e ricordi.

(«Sforzati, sorella»).

 («Così cupa e fredda. Davvero da brividi»).

 («Vorrei solo silenzio»).

 («Mi fermerai?»).

(«Buonanotte, madre»).

Walburga chiude gli occhi, sprofondando nelle lenzuola.

È così stanca; stanca di risvegliarsi ogni giorno, stanca di vagare nelle stanze del suo passato.
Stanca di ricordare i propri fallimenti e i propri errori, stanca di rivivere tutto ciò che non ha mai fatto o detto.

Stanca.



 
«Vieni, cara, vieni. È ora di dormire.»



 
 

Note:

Salve!
Non ho molto da dire per commentare questa storia.
Semplicemente, ho da poco visto "The Haunting of Bly Manor" e - senza fare spoiler per coloro che la stessero seguendo- c'era un personaggio in particolare che mi ha fatto subito pensare a Walburga.
La frase, nello specifico, che ha fatto scattare la scintilla è quella del titolo (ripetuta nella serie ritmicamente, quasi ossessivamente, come una cantilena):


"She would sleep, she would wake and she would walk.
She would sleep, she would wake and she would walk.
And once again she would sleep, she would wake and she would walk."


Insomma, non è perfetta per la Walburga anziana, ormai sola, rinchiusa a Grimmauld Place?
L'ho immaginata così, bloccata in una sorta di loop, fino alla fine dei suoi giorni. Mi rendo anche conto di aver un po' (tanto) smussato gli angoli della Walburga che conosciamo nei libri, attraverso il suo ritratto, e della donna che dev'essere stata. Questo poiché ho preferito soffermarmi su una Walburga ormai al capolinea, spossata.
Spero vi piaccia.
Un bacione!
  
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