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Autore: crazy lion    19/10/2020    1 recensioni
Storia in parte collegata alla mia long Cuore di mamma a causa di accenni a qualche evento, ma che può comunque essere letta anche da chi non segue quella fanfiction.
I bambini sono vulcani di parole, energia, fantasia e sentimenti e combinano marachelle che hanno un senso solo nella loro mente semplice. La piccola Rayla ha cinque anni e vuole soltanto un gelato, ma finisce per perdersi in un mare di persone. Ha paura e non sa come ritrovare la mamma. Che fare? Grazie al cielo, una donna di buon cuore di nome Demi si offre di aiutarla.
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare veritiera rappresentazione del carattere di questa persona, né offenderla in alcun modo.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Demi Lovato, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DEMI E LA PICCOLA RAYLA


 
 

INTRODUZIONE

 
Questa storia nasce da un sogno che ho fatto stanotte. Qui racconto con esattezza quanto è successo. Una volta sveglia, alle cinque del mattino, ho iniziato subito a scrivere per paura di dimenticarmi qualcosa, o proprio tutto, e non potevo lasciarmi sfuggire un sogno del genere.
 
Non sempre i sogni hanno senso, ma questo mi è piaciuto parecchio. Ultimamente non ricordo molto quello che sogno, ma ho deciso di riportare, diciamo così, su carta questo e di dare più senso ad alcuni eventi che nella mia testa apparivano confusi. Spero che il prodotto finale sia una fanfiction quantomeno carina. Come sempre, ci ho messo tutto il mio impegno.

 
 
Rayla era in macchina con la mamma. Purtroppo non stavano andando al parco giochi, ma a comprare delle scarpe.
"Ti prometto che domani ti ci porterò, va bene?"
La donna, sulla trentina, si scostò una ciocca di capelli biondi, lunghi e uguali a quelli della figlia, dal viso, perché il vento di ottobre glieli aveva fatti andare davanti agli occhi.
"Okay," mormorò la piccola, "però una promessa è una promessa."
Il viaggio non durò ancora a lungo e le due si fermarono di fronte a un grande negozio nel centro di Los Angeles. La donna aiutò la figlia a scendere e la prese per mano. Per l'ora successiva le fece provare varie scarpe e Rayla doveva ogni volta non solo guardarsi allo specchio di un camerino per capire come le stavano, ma anche e soprattutto camminarci dentro per sapere se le sembravano comode o meno.
"Bene, abbiamo trovato un paio di scarpe da ginnastica che ti stanno, finalmente!" esclamò la mamma, sorridendo. "Ora compriamo degli scarponi per quando andremo in montagna la settimana prossima e poi possiamo andare a casa a giocare."
Come aveva fatto prima, la donna prese a guardare fra gli scaffali i numeri delle scarpe e i loro colori. Rayla, seduta su un divanetto lì accanto, uno di quelli senza schienale che utilizzano i clienti in negozi del genere, sbuffò. Non ne poteva più, era circondata da  bambini di età diverse che provavano scarpe, scarpe e ancora scarpe, la mamma la stava facendo girare come una trottola e, a dirla tutta, la testa le vorticava. Lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. Voleva il gelato e sapeva benissimo dov'era il bar, l'aveva visto poco tempo prima. Perché non andarci da sola? Tanto, all'insaputa della mamma, si era presa qualche spicciolo dalla propria  scatolina in cui i genitori le mettevano qualche soldino una volta a settimana. Però la mamma le aveva sempre detto di non allontanarsi, di restare vicina a lei e così anche il papà. L'avrebbe fatta arrabbiare se le avesse disobbedito? Era anche vero che lei, ormai, era grande, o almeno si considerava tale, perciò poteva cavarsela da sola in quella situazione. Il tempo di mangiare il gelato e tornare. Avrebbe fatto prestissimo e la mamma non si sarebbe nemmeno accorta della sua assenza. Facendo il minimo rumore perché non notasse che si stava alzando, la piccola camminò a passi veloci ma delicati e in poco tempo si allontanò. Ma non riuscì a trovare il bar come era stata sicura di poter fare. Ben presto si perse fra i corridoi, che le parvero tutti uguali a differenza delle scarpe che erano diverse. All’improvviso tutto le apparve enorme e lei troppo piccola. Non conosceva nessuno. Come sarebbe uscita da quella situazione? La testa le girò tanto che fu costretta a tenersi a uno scaffale per non crollare a terra. Procedette a passi lenti, le gambe erano così deboli che non avrebbe avuto la forza di correre. E per andare dove, poi? Incrociò quella che doveva essere una commessa che le passò accanto senza notarla e alla quale Rayla pensò di chiedere aiuto, ma le parole le morirono in gola. E se quella donna non l’avesse ascoltata? O l’avesse sgridata per essersi allontanata? Certo, aveva sbagliato, ma le urla non l’avrebbero aiutata in quel momento. Il cuore prese a martellarle nel petto, mentre un sudore freddo le colava giù per la schiena. Tremò con violenza. La mamma aveva capito che non c'era più? La stava cercando? Sì, perché le voleva bene. Ma sarebbe riuscita a trovarla in quella confusione di persone? Il negozio era molto grande e affollato e lei aveva fatto parecchia strada. Non la sentiva chiamarla a gran voce. Perché? Non voleva disturbare gli altri e aveva chiesto una mano a qualcuno, dimostrando più coraggio di lei? La bambina non smise di camminare fino a quando non trovò un altro dei divanetti e si accomodò, con le manine in grembo. Non poteva fare altro se non restare in attesa. Rimase immobile, quasi senza respirare, per quelle che le parvero ore, ma che in realtà furono pochi minuti. Alcune persone la guardarono, ma dovettero pensare che i suoi fossero nei paraggi, perché non le chiesero niente e andarono dritte per la propria strada.
 
 
 
Demi girava per quel negozio da ore. Aveva preso un paio di scarpe con i tacchi e ne stava cercando uno di doposci per l'inverno, se avesse nevicato – ne dubitava, ma non si poteva mai sapere –, o comunque per tenersi calda nelle giornate più fredde. Mackenzie e Hope, le bambine che aveva adottato pochi mesi prima dopo anni di pratiche e di difficoltà, erano a casa della nonna e lei si era presa un pomeriggio per fare shopping e avere un po' di libertà. Adorava fare la mamma e aveva desiderato adottare un bambino con tutto il cuore, ma gestire una bambina che ora aveva nove mesi e un'altra di cinque anni, che tra l'altro aveva subito un grossissimo trauma a causa di ciò che le due avevano passato, non era facile. Sperava che prima o poi sarebbe riuscita a convincere Mackenzie ad andare da una psicologa, come la piccola aveva fatto in precedenza nelle altre famiglie affidatarie. Per ora, però, la piccola non ne voleva sapere, diceva di essere stanca di quelle persone e l'assistente sociale che seguiva il loro caso le aveva consigliato di non forzarla ad andarci, per il momento, e di riparlarne una volta che l'adozione sarebbe stata finalizzata in tribunale, probabilmente l'anno seguente, ovvero nel momento in cui la loro situazione si sarebbe rivelata più stabile. La ragazza sospirò e cercò di non pensare a tutti i problemi, psicologici e non, che quel trauma provocava alla sua piccola e che gestiva al meglio che poteva con l'aiuto della famiglia e del migliore amico Andrew, non che delle assistenti sociali Holly e Lisa, che seguivano rispettivamente lei come adottante e le bambine. Era lì per rilassarsi, non per riempirsi la testa di pensieri. Una volta a casa, avrebbe ripreso la sua routine quotidiana, fatta di tutte le preoccupazioni che assillano una mamma.
Su, Demi, rilassati.
Trasse un respiro profondo e, proprio allora, trovò ciò che cercava. Esultò quando capì che le stavano a pennello. Anche se non aveva le bimbe con sé, avrebbe comunque potuto fare un giro nel reparto bambini per vedere se c'era qualcosa di carino da comprare loro, sperando di azzeccare la taglia. Si stava dirigendo proprio lì, quando qualcosa di strano all'entrata del reparto delle scarpe da donna catturò la sua attenzione. Una bambina era seduta da sola su un divanetto e fissava il vuoto. Che stesse male? E soprattutto, dov'erano i suoi genitori? La ragazza rimase a debita distanza e aspettò alcuni minuti. La picocla irmaneva lì a tremare e, a guidicaer dal viso arrossato, forse anche a piangere. Non arrivava nessuno, per cui Demetria si avvicinò con cautela per non spaventarla.
"Ciao" disse, a voce piuttosto alta per sovrastare la confusione che avevano intorno.
Come si era aspettata, la piccola non rispose e si limitò a guardarla, come studiandola, poi tirò su col naso.
"Lo so, la mamma ti avrà detto di non parlare con gli sconosciuti. Ed è giusto ascoltarla, ma se mi dici cosa ti è successo, io posso aiutarti. Sono amica di una…" Che poteva dire? Nicoleth era amica di sua madre, ma come definirla? Quella bambina avrà avuto al massimo sei anni. "Conosco molto bene una fatina che lavora qui dentro. Se mi racconti cosa ti è capitato, posso chiamarla e insieme proveremo ad aiutarti." Le si avvicinò ancora, fino a trovarsi a pochi centimetri da lei. "Io resto qui e aspetto."
La voce di quella donna era dolce, Rayla non aveva paura di lei, ma la mamma le aveva sempre detto di stare attenta, perché anche le persone più gentili possono essere cattive e, se non le conosci, non puoi mai sapere. Tuttavia, quella ragazza era amica di una fatina! Avrebbe tanto voluto esserlo anche lei, ma le uniche di cui aveva sentito parlare si limitavano a rimanere chiuse nei libri di favole. Chissà perché e ocme is eran onicontrateq elule due. Poteva fare un tentativo.
"La conosci davvero una fata?" domandò con voce flebile.
Il sorriso di Demi si allargò.
"Giuro!"
"E anche tu sei una fatina?"
"No, io sono una semplice umana."
"E come fai a conoscere una fata?"
La ragazza si abbassò verso di lei. Non sapendo  come spiegarlo e non volendo rovinare tutto, mormorò:
"È un segreto, non posso dirlo."
La bambina, intrigata, la osservò con più interesse. Le paiceva il suo sorriso, la spingeva a ugardarla con maggiore intensità. I capelli castani scendevano ulngo le saplle della aragzza come una bellissima cascata e la sua voce era angelica.
"Mi chiamo Rayla" rispose infine.
"Rayla, eh? Mi piace molto come nome. E anche la tua voce.”
Era delicata come un petalo di rosa. La bambina usava un tono molto basso, per cui Demetria doveva starle vicina per sentirla.
“Grazie.”
“Posso sedermi qui accanto a te?"
La piccola annuì.
"E quanti anni hai?"
"Cinque."
Come Mackenzie pensò la ragazza con un sorriso a illuminarle il volto.
Le chiese di descrivere bene la sua mamma e fece un breve giro con lei per capire se riuscivano a trovarla. Tuttavia non si allontanarono troppo e la ragazza si augurò che la donna, arrivando lì e vedendole, non avrebbe pensato che volesse rapirla o cose del genere. Sarebbe potuto capitare e la cantante l'avrebbe ritenuta una reazione normale.
"Anch'io mi sentirei così" mormorò.
"Cos'hai detto?" le domandò Rayla, la manina stretta in quella più grande di lei.
Demi gliela accarezzò, era piccola e liscia e le ricordò tanto quella della sua bambina.
"Niente, tranquilla. Torniamo ai divanetti."
"Ma non cerchiamo più la mamma?"
Gli occhi della bimba si riempirono di lacrime e la sua voce, mentre aveva posto quella domanda, si era frantumata in mille schegge. Demi rispose in fretta per evitare che scoppiasse in pianto, non avrebbe mai voluto che lo facesse a causa sua.
"Ma certo, solo in un altro modo."
Le sorrise per incoraggiarla e la bambina tirò un sospiro di sollievo, ricambiando quel gesto.
"Pensavo che non volevi più aiutarmi."
"Ma scherzi? Certo che voglio aiutarti!"
Le prese le manine nelle proprie e gliele scaldò. Erano gelide.
“Ho un po’ freddo” ammise la piccola.
Da una finestra aperta entrava un vento fresco e per nulla piacevole.
“Sì, anch’io.”
Demi fu sincera e le due si scaldarono le mani e le braccia a vicenda.
“Cosa facciamo adesso?”
La cantante abbassò la voce.
"Chiamiamo la fatina."
Rayla le si fece più vicina per ascoltare la conversazione, ma in particolare la voce di quella creatura magica.
"Io sono Demi, comunque. Ho dimenticato di presentarmi, scusa." Data la situazione, se n'era scordata ritenendo più importante trovare la madre della piccola. "E ho ventisei anni."
Gli occhi azzurri della bambina si illuminarono.
"Anche il tuo è un bel nome!"
"Ti ringrazio.” Povera piccola, doveva essere terrorizzata. Tremava e stringeva le mani l'una contro l'altra. Demi si domandò se fosse anche a causa sua, ma si rispose di no: per fortuna Rayla sembrava fidarsi e grazie al cielo aveva incontrato lei e non un malintenzionato.
"Anche a me da piccola è successa una cosa del genere, sai?" le disse, per metterla più a suo agio.
"Davvero?"
"Sì, ero andata al supermercato con mia mamma in bicicletta, non ricordo perché sono scesa in strada, prima di arrivare al parcheggio, lei è andata avanti e non mi ha più trovata. Io non ruiscivo a vederla."
Lì da sola, con le macchine che le passavano accanto senza che nessuno le chiedesse niente, Demi si era spaventata da morire. Il suo cuore aveva perso più di un battito e, quasi senza respirare, non aveva saputo che fare.
"E alla fine che è successo?"
"Ho respirato a fondo, contato fino a dieci e poi mi sono messa a urlare "Mamma!" con tutto il fiato che avevo in gola. Si era accorta della mia assenza ed è venuta subito. Sono scoppiata a piangere e mi ha abbracciata."
Aveva sette anni, allora, ma ricordava quell'episodio come se fosse avvenuto il giorno precedente. Inalò quanta più aria poté e la rilasciò piano. Non doveva farsi prendere da quelle paure infantili che i ricordi le provocavano, o avrebbe spaventato Rayla ancora di più.
Senza perdere altro tempo, la ragazza tirò fuori il cellulare e compose il numero di Nicoleth.
Non la chiamò in ufficio – lavorava lì come Direttrice – perché non aveva il recapito e pserò che la donna tenesse il cellulare acceso, anche se una parte di lei ne dubitava, dato che era al lavoro.
"Pronto?"
Una voce gentile rispose al secondo squillo.
"Pronto Nicoleth, sono Demi, la figlia di Dianna."
"Oh, ma certo, so benissimo chi sei" ridacchiò l'altra, "ho riconosciuto subito la voce. Ora sto lavorando, ma se vuoi fare due chiacchiere…"
A Demetria non piaceva interrompere le persone, ma in quel caso fu necessario. Non conosceva benissimo Nicoleth, parlavano poco e non di cose profonde, in fondo lei non era sua amica, però non voleva che l'altra interpretasse male la sua chiamata e nemmeno offenderla in qualche modo liquidandola subito.
"Con piacere, magari un'altra volta. Ti ho chiamata per un altro motivo: sono nel tuo negozio, all'entrata del reparto donne, e c'è un'emergenza."
Ci fu un secondo di pausa. Demi immaginò che Nicoleth stesse processando la parola emergenza collegata al proprio lavoro.
"Oh. Che… che tipo di emergenza?"
Il suo respiro accelerò e si fece più forte, così la ragazza le spiegò in fretta quanto stava succedendo e mormorò alla piccola:
"La fatina si chiama Nicoleth, ma non dirlo a nessuno, d'accordo?"
Lei annuì.
"Ora vado al microfono e faccio un annuncio, ci metterò pochissimo. Come hai detto che si chiama la bambina?"
"Rayla. Ti ricordi l'età?"
"Sì." Ci fu un rumore secco, la donna doveva aver fatto cadere una sedia o qualcosa del genere nella fretta. "Tra poco sentirete l'annuncio. Forse la madre ha già cercato qualcuno per trovarla, ma in ogni caso è meglio farlo, così arriverà più in fretta."
"Perfetto, grazie Nicoleth."
"Figurati, grazie a te per avermi avvertita. Ah, non farò il tuo nome. Ho paura che orde di fan ti arrivino addosso, e vista la situazione non è il caso. So che ami stare con loro, ma hai anche bisogno di rimanere tranquilla."
Demi sorrise.
"Amo i miei fan ma sì, non è il momento. Ti ringrazio."
Dopo un altro saluto, la  cantante chiuse la chiamata.
"Ha detto che arriva?" chiese Rayla stringendole di nuovo la mano.
"Sì, tra un po' sentiremo la voce della fatina, promesso. Aspetta, aspetta."
Ci fu il suono squillante di una sorta di campanello, poi la voce di Nicoleth riempì l'aria.
"Avvisiamo che la piccola Rayla, di cinque anni, aspetta la mamma all'entrata del reparto donne. È con una ragazza con i capelli castani che l'ha trovata e si è premurata di avvisarci subito."
Il campanello trillò di nuovo, poi più nulla.
"E adesso?"
"E adesso aspettiamo. Ma sono sicura che, se contiamo fino a dieci, la mamma arriverà subito” la incoraggiò Demetria. “Vuoi provare?"
La piccola annuì e nei suoi occhi si accese una fiammella di speranza. Demi era un angelo venuto ad aiutarla, come quelli che la mamma le diceva essere presenti sulla Terra, persone che davano una mano ad altre nei momenti difficili. La conta iniziò. Rayla non sbagliò nemmeno un numero – Demi aveva avuto il dubbio, subito dopo averlo detto, che la piccola non sapesse arrivare fino a quel numero – e stava per cambiarlo con cinque quando l'altra l'aveva sorpresa. La ragazza fece saettare lo sguardo in più direzioni, mentre Rayla smise di respirare. E se la mamma non fosse arrivata? Se per qualche motivo non avesse sentito la voce della fatina Nicoleth? Magari potevano udirlo solo alcune persone. Ma Demi non le avrebbe mai mentito, ne era sicura. Allora perché non succedeva niente? Strinse gli occhi e ricacciò indietro le lacrime. Era passato poco tempo, forse la mamma era lontana e ci avrebbe messo un po' ad arrivare, ma il groppo in gola che le si era formato non ne voleva proprio sapere di sciogliersi.
Fu questione di qualche secondo e una donna entrò nel loro campo visivo. Era molto simile a Rayla per il colore dei capelli, degli occhi e i lineamenti dolci del viso. Anche la corporatura magra di entrambe si assomigliava.
"Mamma!" urlò la bambina alzandosi e correndole incontro.
Era arrivata, finalmente. Demi aveva sempre avuto ragione. Il groppo in gola sparì e la bambina riprese a respirare con regolarità. Avrebbe potuto volare leggera come l'aria in quel momento.
L'espressione della donna si rilassò e il suo volto serio si aprì in uno dei sorrisi più luminosi che Demi avesse mai visto, uno di quelli che illuminano tutto intorno a loro.
"Amore mio!" esclamò, gettandole le braccia al collo e sollevandola. "Ma perché ti sei allontanata, eh?"
Le diede un grandissimo bacio.
"Scusa, volevo andare a prendere un gelato da sola, ma mi sono persa e sono arrivata qui, poi mi ha trovata la signora."
L'attenzione della mamma di Rayla si rivolse a Demi. La riconobbe e stava per dire qualcosa, poi si trattenne.
"La ringrazio. Non so come ho fatto a perderla, ero girata e quando mi sono voltata verso di lei era sparita."
"Non si preoccupi. È rimasta tutto il tempo con me da quando l'ho trovata e conosco la Direttrice, quindi ho avvisato subito."
"Io sono Harper, comunque."
"Io Demi."
"Ho tutti i tuoi album" mormorò l'altra, poi le due si guardarono intorno, ma nessuna delle persone che passavano di lì sembrò riconoscere la cantante, forse perché non erano presenti molti giovani.
"Grazie, spero ti piacciano."
"Sì, moltissimo."
"Ah, ma allora tu sei la cantante che ascolta la mamma!" trillò Rayla e Harper le disse di fare silenzio.
"Sì, esatto."
"Mi sembrava, ma pensavo che mi sbagliavo."
Demi sorrise.
Anche Mackenzie, a volte, usava l’indicativo al posto del congiuntivo ed era una delle cose più adorabili del mondo.
"Ora devo proprio andare, perdona… ehm, mi perdoni" si scusò Harper.
"Dammi del tu, se non ti dispiace."
"Giusto, tu fai sempre così ed è anche questo che mi piace di te" mormorò. "Comunque, è stato bello conoscerti e, soprattutto, non so davvero come ringraziarti per quello che hai fatto."
Non la conosceva, eppure Harper si era fidata, forse perché aveva sentito che lei e la Direttrice avevano un certo tipo di rapporto e a Demetria fece piacere. Non era da tutti avere una reazione del genere.
Anni prima, quando era uscita dalla clinica da pochi mesi, aveva incontrato con Andrew una bambina in un parco. Si chiamava Amelie, anche lei di cinque anni e lui la conosceva, era figlia di amici di famiglia, e il ragazzo aveva chiamato la madre al cellulare mentre Demi aveva fatto giocare la bambina sull'altalena. Chissà perché quel giorno il destino, o Dio, o entrambi, le avevano messo sulla strada un'altra bimba in difficoltà.
"Non mi devi ringraziare, ho fatto solo quello che andava fatto, non sarei riuscita a comportarmi in modo diverso, sarebbe stato disumano."
Aveva ragionato e agito con la testa e con il cuore, tutto qui, ma si sentiva felice nell'essersi comportata in quel modo. Aiutare chi è in difficoltà è sempre bello, perché è più quello che si riceve che quello che si dà, questo era quanto la mamma le aveva sempre insegnato. Era stata utile a quella bambina, certo, ma Rayla l'aveva fatta sorridere, le aveva ricordato la sua piccola Mackenzie e riportato alla mente alcuni ricordi di quand'era piccola.
"Bene. Rayla, saluta e ringrazia Demi, su."
La bimba le si gettò fra le braccia.
"Grazie, grazie, grazie! Sei bravissima, buonissima e ti voglio bene."
Parlò a macchinetta, con la spontaneità tipica dei piccoli.
"Anch'io, Rayla. E sei stata molto coraggiosa, oggi, proprio come le fatine."
Non le veniva in mente una fata che avesse dimostrato di avere vero coraggio, in realtà, ma sperò che quelle parole avrebbero sortito un qualche effetto sulla bambina. Fu così, perché il sorriso della piccola si allargò.
"Sì, sì! Sono la fatina più coraggiosa del mondo. Allora ciao."
"Ciao, Rayla."
Si allontanò con la mamma.
Rimasta sola, Demi si asciugò un paio di lacrime che le sfuggirono. Aveva trascorso pochi minuti con quella bimba, eppure in quel breve lasso di tempo e anche se non avevano parlato un granché e si erano conosciute appena, le due avevano affrontato insieme la paura della piccina e questo valeva tanto. Sorridendo dato che tutto era finito nel migliore dei modi, Demi andò alla cassa dimenticando le scarpe per le figlie, pagò e uscì.
Quando arrivò da sua madre, Mackenzie le corse incontro.
Perché ci hai messo tanto, mamma? le chiese, scrivendo dato che a causa del trauma aveva smesso di parlare, una delle altre cose che col tempo Demi sperava di rioslvere con il futuro aiuto di una logopedista.
"Perché ho fatto compere e aiutato una bambina in difficoltà."
Mac si pettinò con le mani i riccioli lunghi e neri.
Ah, allora sei stata brava. Ora sta bene?
Demi le diede un bacio.
"Sì, è di nuovo con la sua mamma."
Dopo aver preso in braccio Hope e salutato e ringraziato la madre, tornò a casa con le sue bambine, il dono più prezioso che la vita le avesse fatto e sapendo una cosa: non avrebbe più dimenticato la piccola Rayla. Forse lei si sarebbe scordata di quel giorno, nel tempo, o magari no, ma l'importante era che ora la bambina fosse di nuovo felice e al sicuro.
 
 
 
NOTE:
1. Andrew è un personaggio originale, quindi inventato da me, qui solo accennato ma presente molto di più in altre mie storie, Cuore di mamma cmopresa.
2. L’episodio della bicicletta e del supermercato è inventato. Non l’ha vissuto Demi, ma è successo a me, anche se in modo un po’ diverso. Sono non vedente, io e mia mamma eravamo andate al negozio in tandem e lei aveva un pedale mezzo rotto. Si è fermata per sistemarlo e io, pensando che fossimo giunte a destinazione, sono scesa. Solo dopo qualche secondo mi sono resa conto che non era così e che ero rimasta indietro. Urlando più volte, cno le macchine che mi passavano accanto, mi sono fatta sentire e lei è venuta a prendermi. Un bello spavento, davvero!
3. Amelie compare nella mia mini long Il coraggio di lottare.
4. Ho fatto molte ricerche per trattare al meglio, in Cuore di mamma, il trauma di Mackenzie. Qui l’ho solo accennato in modo vago perché la storia non verteva su di esso.
 
 
 
ANGOLO UTRICE:
riprenderò Cuore di mamma a inizio prossimo anno. Ho fatto la scaletta di tutti i capitoli, è pronta, devo solo scrivere. Non è stato un anno facile, mi sono odiata per non essere riuscita a scrivere a causa di problemi di salute, familiari, e del Coronavirus che, anche se grazie a Dio non ha colpito né me né nessuno dei miei, ha scatenato molta ansia in tutto il mondo, me compresa. Quando avevo ripreso a scrivere, mettendo giù alcune pagine del nuovo capitolo, mi sono successe due cose molto pesanti che mi hanno bloccata. Non mi va di parlarne qui, ma sono stati due fatti che mi hanno abbastanza traumatizzata e che ci vorrà tempo per affrontare.
Per cui, per ora mi sto concentrando su scritti più corti non riuscendo, nonostante la scaletta, a trovare la concentrazione necessaria per qualcosa di così complesso come quella long.
La amo, la continuerò, la finirò e poi la revisionerò, non ho perso la passione per quella storia, credetemi, e mi odio dal profondo del cuore per non aggiornare da mesi, perché sembra che non me ne freghi niente. In realtà non è così. Nonostante le situazioni che sto vivendo, la deperssione e l’anisa di cui soffro da anni e il dolore che provo, farò di tutto per tornare a scrivere al massimo a gennaio e portare a termine il progetto che ha segnato in profondità questi ultimi miei quattro anni.
   
 
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