La
ragazza che amava la morte
La
connessione importante che mi
sforzavo a trovare e che, invece, fino ad allora mi sfuggiva
– sebbene sapessi
che ci fosse, perché doveva esistere senza alcun dubbio -,
d’un tratto mi fu
chiara al tal punto che mi meravigliai di non esserci arrivata prima.
La
risposta era lì, accanto a me, sul mio stesso palcoscenico,
ma era nascosta
nell’ombra e, solo in quel momento, aveva deciso
volontariamente di fare la sua
entrata, mostrandosi alla luce dei riflettori, imitando una di quelle
tipiche
scene in cui il personaggio, che indossa la veste del salvatore,
risolve in men
che non si dica la situazione. La visita del misterioso ladro e la
serie di
morti a Seattle, erano due eventi collegati e non isolati come,
all’inizio,
credevamo tutti. Il mandante e l’esecutore era
un’unica persona. Ne parlai
prima ad Alice, poi alla sua famiglia e infine ai licantropi di La
Push, di
questa mia scoperta e anche a loro, tutto fu molto più
chiaro. Ora erano pronti
ad agire, pronti a scendere in battaglia a rischiare la loro vita per
difendere
me, ancora una volta. Ancora una volta ero io la causa di tutti i loro
problemi, ero io la vittima, ero io colei che Victoria voleva, per
vendicarsi della
morte del suo compagno James. Era tutta colpa mia, di nuovo e come
sempre, fino
a quel preciso momento. Jasper dava lezioni sia alla sua famiglia che
ai
giovani licantropi su come uccidere vampiri neonati. Io, invece, me ne
stavo in
disparte, inutile e di peso. E questo mi faceva soffrire, mi faceva
vedere
quanto il mio essere umano - e con esso la mia sfortuna - era fuori luogo e causa di
ogni male. Edward
mi diceva di non preoccuparmi, che sarebbe andato tutto a meraviglia,
ma per
quanto le sue parole potessero sembrare rassicuranti,
l’ansia e la preoccupazione mi attanagliavano il cuore e lo
stomaco. E se
qualcuno di loro non sarebbe tornato? Se qualcuno dei miei amici
avrebbe perso
per sempre un compagno? La colpa sarebbe stata mia. Più li
guardavo allenarsi,
sicuri di sé, più un’idea si faceva
strada nella mia mente: “ E’ me ciò che
vuole, quindi è me che deve avere”. Solo
così sarebbe finita, solo così nessuno
avrebbe sofferto. Solo io sarei morta. L’idea di essere
l’agnello sacrificale
mi inorridiva e mi terrorizzava, ma se ciò avrebbe voluto
significare la
salvezza delle persone che amavo, mi sarei sacrificata anche
lì e subito.
Infondo al cuore sapevo che questa era la sola via d’uscita e
ne avevo paura lo
stesso. Eppure, non riuscivo a togliermi quell’idea dalla
mente e più passavano
i minuti più me ne convincevo. Dopotutto, è nota
a tutti la frase: “ L’amore è
irrazionale: più ami qualcuno più perdi il senso
delle cose”. Nessuna frase è
stata più vera di questa e io lo sapevo bene,
perché se avessi pensato di
seguire quella strada che stavo per intraprendere prima di conoscere
Edward, di
sicuro mi sarei data della pazza e l’avrei messa da parte
immediatamente, ma
ora come ora, mi sembrava l’idea migliore mai avuta prima.
Si, avrei salvato i
miei amici. L’unica persona di cui mi preoccupavo seriamente
era Edward; sapevo
che la mia decisone l’avrebbe fatto soffrire e, –al
sol pensiero, mi veniva la
pelle d’oca -, forse sarebbe andato dai Volturi a chiedere di
essere distrutto
e sapevo, per certo, che in un modo o nell’altro avrebbe
trovato il modo di
seguirmi. Ma non dovevo pensarci in quel momento. Troppe persone erano
state
messe in gioco e il rischio di perderle era troppo alto. Avrei seguito
il mio
piano per quanto pazzo e senza senso, ma, per me, l’unico
possibile da
attualizzare. Guardai ad uno ad uno i volti dei sette vampiri che amavo
di più
per poi passare oltre, sui volti dei lupi che, con sguardo attento,
seguivano
le dimostrazioni eseguite dai Cullen. Mi sarebbero mancati tutti, lo
so. Ma ora
ero più decisa che mai. Fortunatamente le visioni di Alice
erano bloccate dalla
presenza dei licantropi, perché se avesse potuto vedere
ciò che avevo deciso di
fare, avrebbe trovato il modo di bloccarmi e di conseguenza Edward,
tramite il
suo potere, sarebbe venuto a conoscenza del mio folle tentativo di
suicidio.
Suicidio, ecco la parola chiave. Mi sarei gettata tra le braccia del
mio
assassino, pienamente consapevole del dolore fisico che avrei patito,
ma,
forse, la felicità nel sapere che i Cullen, Forks, i
licantropi e tutte le
persone a cui volevo bene sarebbero state al sicuro, mi avrebbe dato la
forza
nell’accettare il crudele destino che è stato
raffigurato per me dalle Parche.
Già troppe volte ero riuscita a sfuggire per un soffio alla
morte, ma questa
volta sarebbe stato diverso, sarei stata io a donarmi senza alcun
indugio ad
essa. Ma per quanto strano potesse sembrare, mi sentivo pronta. Il
ritorno a
casa fu silenzioso e doloroso. Forse quello sarebbe stato uno degli
ultimi
momenti in cui Edward
ed io saremmo
stati soli e insieme. L’immagine del suo volto, il suo amore
l’avrei portato
con me e avrebbe nutrito la forza che mi era di maggiore aiuto per quel
gesto
estremo. Lo amavo, più di qualsiasi altra cosa al mondo,
più della mia stessa
vita. Si, lo avrei fatto, mi sarei messa le vesti
dell’agnello sacrificale per
invocare gli dei affinché avessero pietà e
salvassero le persone a me care. Mi
veniva da ridere perché in quel preciso momento mi ricordai
della sera al falò
sulla spiaggia trascorsa con il mio migliore amico Jacob, e in
particolare,
rammentai la storia della terza moglie. Come è strano il
destino: mi era
rimasta talmente impressa la scelta dolorosa ed eroica di quella donna
da
decidere di seguire la sua stessa strada. Nel contempo,
l’immagine di Giulietta
si fece largo tra la mente. Anch’io, come lei, mi sarei
sacrificata per l’amore
della mia vita e come Romeo, sapevo che Edward mi avrebbe seguito e, ne
ero
certa, dovunque saremmo stati dopo la morte, saremmo stati insieme,
felici e
pieni d’amore. Perché se in vita il nostro amore
è stato messo alla prova più
volte, dopo la morte niente e nessuno ci avrebbe separato. Si, ne ero
convinta,
mi sarei sacrificata. Mi sarei consegnata a Victoria, malgrado con
paura ma con
anche una gran gioia nel cuore nel sapere cosa mi aspettava
nell’aldilà.