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Autore: Lunastorta98    25/10/2020    1 recensioni
"È certo che un uomo può fare ciò che vuole, ma non può volere che ciò che vuole".
Questo concetto, che viene direttamente dalla filosofia di Arthur Schopenhauer, riassume perfettamente la condizione di Remus Lupin: un uomo follemente innamorato di una e una sola donna; un mostro che sa di non poterla avere.
Questa One Shot tenta di descrivere e riassumere tutti i pensieri che assillano la mente di Remus dal momento in cui si rende conto di amare di Ninfadora Tonks al momento in cui si concede, per una volta, di lasciarsi andare.
La storia si articola su due temporalità: un momento iniziale e felice, in cui i due trascorrono attimi di piacevole compagnia (pochi mesi dopo che si sono conosciuti) e un momento in cui Remus tenta di allontanare Ninfafodora “per il suo stesso bene”, come si costringe a credere (qualche mese dopo la dichiarazione di Tonks).
Genere: Erotico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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È sbagliato sognare?


La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro:
 leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare.
- Arthur Schopenhauer


Entrando al numero 12 di Grimmauld Place in quella notte autunnale, la prima cosa che Remus avverti fu l'odore del sangue. L'imminente luna piena acuiva i suoi sensi e, per tale motivo, non gli fu difficile distinguere quell'inconfondibile odore acre e ferroso tra tutti gli altri che regnavano in casa. Preoccupato - e al tempo stesso particolarmente attratto da ciò che sentiva - avanzò nel corridoio. Nel camminare, dovette appoggiarsi con una mano al muro dato che la vista, solitamente buona, in quel momento, era appannata: un turno particolarmente lungo e in solitaria lo aveva sfinito. Chiamò Sirius, ma l'ora tarda e la mancata risposta dell’amico gli fecero intuire che lui stesse dormendo, così scese le scale con circospezione. Si affacciò alla porta del soggiorno stando all’erta, ma si rilassò, trovando davanti a sé Ninfadora intenta ad armeggiare con bende, bacchetta e una boccetta di Dittamo. Notando che l'entità della ferita non sembrava essere grave, Remus si appoggiò allo stipite della porta con la spalla e incrociò le braccia al petto.

«Non credo che ti convenga tenerla così, la bacchetta.» disse infine trattenendo una risata nel notare la strega con lo strumento magico tra le labbra nella perfetta imitazione di un cane che regge un bastone.

Lei sobbalzò perché, profondamente concentrata sul medicarsi e sull’insultare la sua sbadataggine e le miriadi di scale presenti in casa Black, non si era accorta che qualcuno fosse entrato. “Vigilanza costante!” le avrebbe ringhiato addosso Alastor, assegnandole poi una qualche assurda punizione da portare a termine rigorosamente senza l’ausilio della magia.
Ripresasi dallo stupore, Tonks alzò gli occhi verso Remus e lo guardò male. Biascicò qualcosa che, con un notevole sforzo, il mago capì assomigliasse a un "Potresti anche aiutarmi!”. Reprimendo con difficoltà un’altra risata, lui annuì e avanzò nella stanza.

«Dai qui.» disse gentilmente una volta che le fu davanti, liberandole le labbra «Cosa ti è successo?»
«Quelle dannate scale… ho fatto un volo!» sbottò lei in risposta. «Sappi che è tutta colpa tua!»
«Colpa mia?» L’uomo alzò un sopracciglio in una espressione sorpresa. «Come può essere colpa mia? Non ero neppure in casa, fino a poco fa.»
«Appunto!» notando lo sguardo interrogativo del mago di fronte a lei, aggiunse: «Ti aspettavo: sei tornato più tardi del previsto. Sarei venuta a cercarti non appena avessi finito qui…» accennò al braccio.

Remus aprì la bocca in una espressione ancora più sorpresa. Sorrise subito dopo e, poggiata la bacchetta di Tonks sul tavolino davanti al divano dove sedeva la ragazza, piegò un ginocchio fino a che non fu a terra. Le si avvicinò mormorando un “Lascia, ti aiuto.” e prese le bende. Con lo sguardo puntato alla ferita, pulì con estrema delicatezza il sangue, cercando di evitare che quel particolare odore gli accendesse i sensi. Recuperò dalle mani di Tonks la boccetta di Dittamo e, dopo averla aperta, ne fece scivolare qualche goccia sul graffio.

«Ahi!» esclamò lei iniziando ad agitare e scuotere il braccio.
«Stai ferma!» la richiamò divertito, ma perentorio.

Lei obbedì e lo osservò: sorrise compiaciuta nel vederlo lì, inginocchiato davanti a sé, intento ad aiutarla. Certo, non potè che maledirsi ulteriormente dal momento che si stava mostrando ancora una volta così goffa, ma soprattutto fragile, davanti a lui; doveva ammettere, però, che l’idea di Remus preoccupato per lei non fosse male.
Nel frattempo, riprese le bende, Lupin tamponò lentamente il graffio.

«Per fortuna hai la pelle dura, Ninfadora. Credo che non debba neanche fasciartelo.» decretò tirandosi su in piedi «Ti fa male?»
«Soffro più per il fatto che tu continui a chiamarmi per nome…» mormorò distrattamente controllando il graffio di cui, adesso, si poteva intuire la presenza solo dal lieve rossore che colorava la pelle della strega. Perché ci stesse mettendo tutto quel tempo se, per curarlo, sarebbe bastato così poco era una domanda a cui Tonks, probabilmente, non avrebbe mai sputo rispondere. Meno male che sei un Auror… pensò afflitta.
«Ti ci abituerai prima o poi.» scrollò le spalle con semplicità

Remus recuperò dalla tasca interna della giacca la propria bacchetta e fece evanescere ciò che aveva usato per curarla. Posò lo strumento sul tavolo, accanto a quello di Tonks e si tolse infine il mantello, lasciandolo cadere malamente sul bracciolo del divano.
Preso posto accanto a lei, si lasciò andare in un lungo sospiro: stanco, con gli occhi gonfi per il sonno e la vista ancora appannata, Remus non poteva evitare di provare una piacevole sensazione all’idea che lei lo avesse aspettato e che stesse per uscire a cercarlo.
Si conoscevano ormai da diversi mesi, la loro amicizia era qualcosa a cui teneva particolarmente ed era convinto che anche lei, in qualche modo, dovesse pensare lo stesso. Erano anni che Lupin non si svegliava conscio del fatto che qualcuno, quel giorno, lo avrebbe fatto sorridere: che fosse per una caduta o per una battuta pronunciata al momento giusto, che fosse per un mutamento involontario nel suo aspetto o per una trasformazione ben studiata, Remus sapeva che Tonks sarebbe riuscita a rallegrare la sua giornata.

«Tutto bene?» lo riscosse la voce dell’Auror
«Si, scusa.» rispose immediatamente strofinandosi gli occhi «Non sei stanca?»
«A dire il vero, no…» ammise per poi alzarsi «Ma domani ho un turno al Ministero e mi converrebbe provare a dormire dato che Scrimgeour ha deciso di convocarci presto.» Sospirò per poi aggiungere un “Andiamo?”.

Tonks tese la mano a Remus per aiutarlo ad alzarsi. Lui la guardò in silenzio poi annuì lentamente e si mise in piedi, accettando il suo aiuto. Quel contatto gli provocò un brivido che gli percorse tutta la schiena, vertebra per vertebra, ma si costrinse a non darci peso.
Recuperate bacchette e mantello, si avviarono lungo il corridoio e risalirono le scale diretti ognuno verso la propria camera da letto - che il caso volle fossero una di fianco all’altra. Durante il tragitto, Lupin sentì la strega brontolare a mezza voce qualche altro insulto alle scale e ne sorrise.

«Dunque, sarà bene salutarci.» esordì Remus in un sussurro «Buonanotte!»
«Buonanotte e riposati.» salutò lei per poi voltarsi e dirigersi verso la porta della propria stanza.

Qualcosa nel modo in cui Tonks pronunciò quelle parole gli fece capire quale fosse il vero motivo per cui lei lo avesse aspettato, pronta a raggiungerlo in caso di necessità. Nonostante la certezza che la sua deduzione fosse esatta, la chiamò e chiese ugualmente:

«Ninfadora… perché non sei andata a riposare se domani hai un turno al Ministero?» pronunciò la domanda lentamente
Tonks si fermò con la mano sulla maniglia «Beh… te l’ho detto! Hai fatto tardi e-»
«E sai che tra pochi giorni c’è la luna piena.» concluse per lei. Non ebbe bisogno che lei confermasse le sue parole, gli bastò la sua reazione: leggermente irrigidita, aveva abbassato lo sguardo come colta in flagrante. «Da quando controlli il calendario?» chiese ancora, curioso.
«Da quando tu non fai distinzione tra un giorno di normale lavoro e uno in cui dovresti concederti una pausa.» ammise lei tutto d’un fiato.

Tonks rimase con lo sguardo basso: sapeva che a Remus non piaceva che lo si trattasse con riguardo, sapeva che lui si sarebbe reso utile per l’Ordine in qualsiasi momento e in qualsiasi modo, ma non poteva evitare di pensare a quanto vulnerabile lui fosse nei giorni immediatamente prima il plenilunio e quanto fosse spossato nei giorni immediatamente dopo.
Lupin, dal canto suo, non rispose. In quel momento avrebbe semplicemente voluto dire che lei non avrebbe dovuto preoccuparsi di queste cose, che avrebbe servito l’Ordine al massimo delle sue possibilità. Eppure, quello che fece fu qualcosa che sorprese lui per primo. Avanzò nel corridoio, riducendo al minimo la distanza che lo sperava dalla Metamorfomagus e le si fermò davanti. Improvvisamente avvertì tutto intorno a sé farsi buio e si rese conto di aver chiuso gli occhi solo quando li riaprì. Ma, nel farlo, non vide più Tonks difronte a sé: lei c’era, eccome se c’era, ma era tra le sue braccia.
Sentendosi stringere dall’uomo, Ninfadora, per un attimo, rimase immobile, irrigidita dal quel contatto inaspettato. Rialzò finalmente lo sguardo come ad accettarsi che ciò fosse reale e, avendo conferma della piacevole situazione, ricambiò la stretta.
Non era la prima volta che si abbracciavano, ma non era mai successo in una situazione del genere. Quelli che si erano scambiati fino ad allora erano abbracci insignificanti, di quelli che si danno a un amico dopo una battuta accompagnati da una pacca sulla spalla o, al massimo, di quelli che si danno quando si rivede con piacere qualcuno dopo un periodo di tempo più o meno prolungato. 
Questo abbraccio era diverso.
Stringendola a sé, Remus stava ringraziando Tonks per l’affetto che lei sembrava nutrire per lui nonostante la sua condizione. La ringraziava per aver pensato a lui e per essersi preoccupata.
Di tanto in tanto, al buio e nel silenzio della sua stanza, l’uomo fantasticava immaginando che Ninfadora si fosse innamorata di lui. Pensieri di cui si inebriava, ben conscio che la realtà non avrebbe mai corrisposto a tali fantasie. Ma erano gesti semplici come quello che permettevano alla sua mente di volare e formare immagini felici: tutte le volte che rimanevano insieme a parlare, i turni di guardia che condividevano, le risate in compagnia di Sirius e quelle che, invece, facevano tra loro. Lei che era sbadata e lui che la aiutava mostrandosi sempre disponibile. Lui che soffriva silenziosamente e lei che riusciva sempre a farlo stare meglio.

«Non occorre che tu ti preoccupi per me…» sussurrò Remus poggiando la fronte sulla spalla della ragazza.
«Non lo faccio perché devo farlo. Io tengo a te.» rispose lei come fosse la cosa più naturale al mondo.

Lupin fece scivolare lentamente le mani dalla schiena di Ninfadora e le poggiò sui suoi fianchi, scostandosi quanto bastava per poterla guardare in volto. “Io tengo a te.”, l’ennesima frase che avrebbe alimentato i suoi sogni era stata pronunciata con semplicità. Non con leggerezza, ma in modo così diretto che Remus si sentì spiazzato.
Il mago si sorprese di nuovo per quello che fece: avvicinò il viso a quello della strega e, con un ultimo sguardo ai suoi occhi, poggiò le labbra sulle sue. Poi di nuovo il buio.
E Ninfadora rispose al bacio.
Fu un bacio casto, un semplice sfiorassi di labbra, quelle sottili di lui su quelle carnose di lei. Eppure significava molto di più. Remus tornò a guardarla e sciolse definitivamente l’abbraccio, mordendosi appena un labbro. Tonks lo lasciò fare, ma non si allontanò di un solo passo. Al contrario, lo prese per mano e poggiò l’altra sulla sua guancia, sfiorando con il pollice una sua cicatrice.

«Scusa, devo essere particolarmente stanco…» iniziò Remus. «Dovremmo… dovremmo andare a dormire.» e nel dirlo, si ritrasse.
«Aspetta!» lo trattenne lei stringendogli di più la mano.

Ma Lupin scosse il capo e si liberò con delicatezza della sua presa. Le sorrise dolcemente, lo sguardo improvvisamente triste. Si girò ed entrò nella propria camera chiedendosi la porta alle spalle e lasciando cadere il mantello su una sedia lì vicino. Passandosi una mano sul volto, l’uomo si avvicinò al proprio letto e vi si sedette. Stancamente, una volta sciolto il nodo alla cravatta, iniziò a sbottonarsi la camicia liberandola dal rimbocco che aveva fatto nei pantaloni. Si tolse le scarpe e i calzini e, dopo aver posato la bacchetta sul comodino, si lasciò cadere all’indietro sul letto. Si coprì il volto con entrambe le mani chiudendo gli occhi e si diede dello stupido un numero indefinito di volte. L’abbraccio andava bene, certo. Ma baciarla? Che razza di idiota! Era sicuro di poter affermare che, con quel bacio, fosse riuscito a rovinare la loro amicizia.

“Ma lei ha risposto!” si fece avanti una voce nella sua testa.
“Solo perché l’ho colta alla sprovvista…”
“Va bene. Però ti ha chiesto di rimanere, non di andartene.”
“Sicuramente avrebbe voluto chiarire la sua posizione.”
“Ti ha aspettato in piedi fino alle tre di notte…”
“Si preoccupa, le faccio pena. È evidente!”
“Sei un idiota.”
“Sono un idiota.”

Gli era successo innumerevoli volte di chiudersi in monologhi interiori con la parte di lui che era riuscita ad accettare il fatto di essersi innamorato di Ninfadora. Una parte che veniva osteggiata costantemente da un Remus che si convinceva di provare verso di lei sentimenti di sincera e profonda amicizia. La stessa parte che, se anche si fosse convinta di amare la ragazza, gli avrebbe ricordato costantemente che lui si sarebbe potuto solo permettersi il lusso di ammirarla da lontano.

“A volte mi chiedo se con te si possa sperare di vivere davvero!” parlò una terza voce.
“Ah, ci sei anche tu…”
“Potevi anche divertirti per una sera, no?”
“Divertirmi. Vorrai dire far divertire te?”
“Io sono te! Che ti piaccia o no, lo sai.”
“Purtroppo…”
“Sei un idiota.”
“Sono un idiota.”

Nei suoi monologhi interiori non poteva certo mancare quell’altra parte di lui, quella che più ripudiava di sé, quella che, soprattutto in sere di quel tipo, con la luna piena a meno di quarantotto ore di distanza, tornava a farsi sentire insistentemente. Quella parte che gli diceva continuamente di lasciarsi andare ai suoi desideri e che, per fortuna, era ostacolata sia dal Remus innamorato che da quello razionale.
L’uomo allontanò le mani dal volto quel tanto che bastava per poterle osservare: inutile, la vista era ancora tremendamente appannata. Eppure sentiva che la stanchezza e il sonno lo avevano abbandonato. Si mise nuovamente a sedere e volse lo sguardo alla porta.
Sussultò per la sorpresa nel vedere Tonks in piedi a pochi passi dal letto. Quando era entrata? Come aveva fatto a non sentirla?
Si studiarono in silenzio per una manciata di secondi, un tempo che sembrò infinito. Fu Tonks a muoversi per prima e, nel farlo, avanzò verso di lui, fino ad essergli difronte.

«Ti da fastidio che io sia entrata?» chiese guardandolo dall’alto della sua pozione.
«No, ma per-»
«Bene.» lo interruppe.

Si fece più vicina, le gambe che sfioravano le ginocchia dell’uomo. Remus si alzò con tanta irruenza che credette di perdere l’equilibrio. Assicuratosi di essere ben saldo sulle gambe, fece per parlare, quando lei lo abbracciò e le parole gli morirono in gola.

«Non mandarmi via.»
«Perché sei qui?» chiese a mezza voce lasciando le braccia lungo i fianchi.
«Ho liberamente interpretato il tuo allontanamento come un invito a seguirti!» ridacchiò lei.

Remus non rispose, ma sorrise tra sé e sé. Una cosa certa a quel punto era che la loro amicizia non era stata miseramente distrutta da un atto così sconsiderato quale era stato il suo.
Nonostante ciò, non poteva comunque permettere che lei gli rimanesse accanto, specialmente in un momento come quello: sentirla così vicina - con il suo corpo giovane e bello sul proprio, con il suo profumo che gli arrivava dritto alle narici - non faceva altro che accrescere in lui la voglia che quel bacio diventasse ben altro.

«Temo che tu abbia interpretato male…» posò le mani sulle sue spalle cercando di allontana. «Ti avevo dato la buonanotte, no?»
«Si, però poi mi hai baciata, no?» chiese con il medesimo tono sarcastico usato da lui.
«Ho chiesto scusa.»
«Non le voglio le tue scuse. Voglio rimanere qui con te…» e nel dirlo, Tonks scostò la camicia del mago facendo passare le mani sotto il tessuto di modo da sfiorargli direttamente la pelle.
«Io non… non credo sia una buona idea.» nonostante lui parlasse, non riusciva a imporle di fermarsi.
«Perché no? Cosa pensi che possa succedere?» scherzò lei «Pensi di baciarmi di nuovo? O di fare… qualcos’altro?» chiese in modo allusivo.
«Buon Dio, Ninfadora! Perché fai così?» esclamò alzando gli occhi al cielo «Mi dispiace, non avrei dovuto baciarti, lo so. Tuttavia non è saggio che tu mi stia così vicino, non… non credo di essere in grado di agire molto razional-»

Tonks non gli permise di concludere la frase. Poggiò le labbra su quelle del mago stringendosi a lui. Dal canto suo, Remus non fece nulla per interrompere quel contatto, anzi. Le prese il viso tra le mani rispondendo al bacio. Si mise poi a sedere sul letto tirandola con delicatezza giù con sé. Comprese le intenzioni dell’uomo, la donna gli si avvicinò e si sedette a cavalcioni su di lui.
Remus si staccò dalle sue labbra per il tempo necessario a guardare come si fosse seduta. Non che occorresse davvero vedere per capire, almeno in quel caso.
Tonks sorrise mentre prendeva tra le mani il colletto della camicia dell’uomo. Pochi istanti dopo, l’indumento era stato sottratto al suo proprietario e giaceva immobile a terra. Remus tentò di coprirsi piegando le braccia davanti al petto: non avrebbe mai voluto che lei lo vedesse. Se non aveva modo di nascondere le cicatrici sul volto, di quelle sul corpo aveva sempre fatto di tutto perché nessuno potesse averne una immagine.
Il mago abbassò lo sguardo e si morse il labbro ritraendosi con il busto per allontanarsi da lei, ma Ninfadora non accennò a muoversi, ben salda sulle sue gambe. Pochi istanti dopo, alzò le mani e prese i suoi polsi costringendolo a mostrarsi.

«Ninfadora…» si lamentò lui.
«Sssh!» tagliò corto lei.

Lo fece sdraiare per poi percorrere una delle cicatrici sul suo petto con un la punta dell’indice della mano destra. Remus distolse lo sguardo voltando da un lato la testa e, questo, diede a Tonks l’occasione di avvicinare le labbra al collo dell’uomo. Lupin si sentì avvampare non appena avvertì quel contatto sul proprio corpo. E poi non ragionò più.
Al diavolo la vergogna. Al diavolo la paura di poter rovinare il rapporto che li legava. Al diavolo la sua parte razionale. In quel momento, il se stesso innamorato e l’altro, il lupo, si erano coalizzati e la ragionevolezza di Remus si era ridotta fino a scomparire.
Le dette giusto il tempo di lasciare un paio di baci sul proprio collo prima di invertire le loro posizioni, rigirandosi con lei sul letto. Una volta su di lei, col peso del corpo sulle mani, salde contro il materasso accanto al volto della giovane donna, in modo da non gravarle addosso, Remus la osservò, condannando quella strana condizione per cui non riusciva ancora a vedere bene.
Tonks si lasciò sfuggire un risolino nel vedere il rigido e composto Remus agire in quel modo, ma quando lui le si avvicinò col chiaro intento di baciarla, lei lo fermò.

«Un momento!»
«C-cosa?» balbettò lui
Lei rise di nuovo «Sveglia Remus. Svegliati!»


È certo che un uomo può fare ciò che vuole,
ma non può volere che ciò che vuole.
- Arthur Schopenhauer


E improvvisamente Remus ci vide benissimo.
Si svegliò di soprassalto, il respiro pesante e affannato come dopo una lunga corsa. Si tirò su a sedere e si guardò intorno deglutendo. Dovette passare un minuto buono prima che l’uomo realizzasse cosa fosse successo e altri due o tre minuti prima che riuscisse a stabilizzare il proprio respiro. Deglutì ancora per poi battere diverse volte con le mani sulla propria testa, stringendo infine alcune ciocche di capelli tra le dita.

«Dannazione!» soffiò tra i denti digrignati «Dannazione! Dannazione…» il tono lasciava trapelare esasperazione crescente

Non era la prima volta che Remus sognava scene come quelle e, ad ogni risveglio, reagiva nel medesimo modo. Se solo avesse potuto, avrebbe gridato; non potendo farlo, esternava la sua frustrazione con metodi alternativi: si rigirava nel letto battemmo i pugni contro il materasso o scalciando le coperte o, come in quel caso, torturandosi i capelli.
Se qualcuno lo avesse visto in quei momenti, avrebbe stentato a riconoscere in quell’uomo la posatezza e la calma a cui spesso veniva associato. Ma prima di essere gentile e dai modi garbati, prima di essere riservato e silenzioso, Remus era pur sempre un essere umano e, in quanto tale, nel silenzio della sua stanza, si concedeva di aprirsi ad esternazioni più naturali.
Tutta quella frustrazione non era dovuto al sogno in sé, nonostante la natura dello stesso fosse già discutibile, ma era strettamente legata al soggetto che vedeva. La scena che gli si presentava in testa partiva come ricordo, un evento reale: quella notte di inizio novembre dell’anno prima, Tonks lo aveva davvero aspettata alzata, si era davvero fatta male, gli aveva davvero rivelato di tenere il conto dei giorni del mese in vista del plenilunio e lui l’aveva davvero abbracciata. Ma tutto ciò che puntualmente si materializzava nel sogno a seguito di quell’abbraccio non era mai avvenuto. Quella notte di diversi mesi prima, aveva concluso Remus poco tempo dopo, era stata la prima in cui aveva realizzato di provare qualcosa di molto forte per la ragazza; quella notte, Remus comprese di essersi innamorato di Ninfadora.
Ma perché quel ricordo tornasse così prepotentemente e perché si trasformasse, evolvendosi in conclusioni così agognate, era qualcosa a cui Lupin non sapeva - o non voleva - trovare risposta.
C’era anche da considerare che da poco più di tre mesi, Tonks si era dichiarata in quel modo che  lui non avrebbe saputo definire se non "peculiare" e questa consapevolezza lo rendeva, al tempo stesso, l’uomo più felice e più triste del mondo. Quella sera aveva finto di non capire, aveva sviato, riportando l'attenzione della strega al turno di guardia che stavano condividendo. Uno degli ultimi turni che avrebbero condiviso.
Da quel giorno, infatti, Remus si era allontanato, era diventato freddo e distaccato. Sempre gentile, ma le parlava solo quando non poteva fare altrimenti. Imponendosi di non comunicare con lei a parole, l'uomo aveva cominciato a guardarla di nascosto, osservandola in ogni minimo suo movimento, in ogni sua espressione. Così facendo, però, era conscio di star alimentando quel sentimento sbagliato che gli infiammava il petto. E ogni volta tornava nella sua stanza e vi si chiudeva. E ogni volta immaginava e sognava, ad occhi aperti e non.
E ogni volta soffriva.
E faceva soffrire lei.
Lo vedeva, il dolore nei suoi occhi. Vedeva la sua delusione ogni volta che Moody le comunicava un cambio di turno e lei scopriva che Remus si fosse fatto sostituire. Il mago vedeva ed era a conoscenza delle conseguenze del suo comportamento, ma la sua parte razionale, quella che lui si ostinava a considerare tale, si illudeva che ciò che faceva fosse giusto. Tonks sarebbe andata avanti, avrebbe capito che sarebbe stato meglio per lei dimenticarsi di uno come lui e Remus sapeva che, per riuscirci, doveva tenerla a distanza. Non poteva neppure esserle amico, non in quella delicata fase di passaggio. Quando Ninfadora avesse scoperto che quei sentimenti non rappresentavano nulla di più di una semplice cotta e che, come tale, sarebbe stata facile da dimenticare, solo allora, sarebbero potuti essere amici. Solo a quel punto Remus avrebbe potuto continuare a bearsi della sua compagnia, innamorato follemente come mai lo era stato in vita sua e come mai lo sarebbe stato in futuro.

«Ninfadora...» scandì lentamente coprendosi il viso con le mani e trattenendo alcune lacrime che improvvisamente minacciavano di uscire, come ogni volta in cui il suo pensiero ripercorreva, tappa dopo tappa, ciò che avrebbe voluto avere, ma che non avrebbe mai potuto ottenere. 

Toc toc!

L'uomo puntò lo sguardo alla porta. Lo aveva forse immaginato, o qualcuno stava bussando? Remus accese la candela che aveva sul comodino, o ciò che di essa ne rimaneva, per illuminare l’ambiente e guardò l’orologio: le tre e quarantanove. Chi poteva essere in piedi a quell'ora e, per di più, chi poteva anche solo pensare che lui fosse sveglio?
Si alzò lentamente dal letto intuendo che, chiunque fosse, non se ne sarebbe andato tanto facilmente. Nello scostare le lenzuola e nell'avvicinarsi al bordo del letto per alzarsi, il mago avvertì una strana sensazione al basso ventre: l'ennesimo sogno su Ninfadora, aveva procurato in lui l'ennesima reazione fisica di desiderio. Sospirò e si mise lentamente in piedi. Camminando verso la fonte del suono si sistemò i pantaloni, improvvisamente scomodi all'altezza del cavallo.
Arrivato alla porta, la aprì quanto bastava per potersi affacciare, nascondendo la quasi totalità del proprio corpo alla vista di chiunque avesse trovato fuori. Ma proprio lì davanti, avvolta da una vestaglia da notte di cotone viola, si trovava Tonks.
Remus aprì appena di più gli occhi, sbigottito dall'imprevista visita della ragazza. Un momento dopo, aveva nuovamente addosso la maschera che si costringeva a usare con lei.

«Cosa ci fai qui?» mormorò con freddezza.
«Remus...» lo sguardo della strega era basso, osservava un punto indefinito tra i propri piedi. «Scusa se ti disturbo a quest'ora, ma-»
«Ninfadora, è notte fonda. Torna a letto.» fece per richiudere la porta.
«Aspetta!» si aggrappò con le mani alla superficie di legno che li separava «So che non mi vuoi introno, ma ti prego...»
«Questo non è proprio il momento.» e per una volta non lo era davvero, data la situazione in cui Remus verteva. «Sono sicuro che Sirius sarà più che felice di ascoltarti.»

Non attese una risposta e chiuse la porta appoggiandovisi poi con la schiena. Alzò la testa al soffitto maledicendosi per il suo comportamento: odiava trattarla in quel modo, ma era l'unico modo. Non poteva esistere alternativa.
Si sistemò nuovamente i pantaloni in un gesto quasi meccanico e fece per tornare a letto quando dei rumori lo bloccarono: un tonfo proveniente dal corridoio seguito da altri suoni sordi gli fecero capire che Tonks era crollata in ginocchio e stava battendo debolmente contro il muro. Fu un momento: Remus tornò velocemente sui suoi passi e spalancò la porta, solo per avere conferma dei suoi pensieri.

«Ninfadora...» gli si strinse il cuore nel vederla in lacrime. Voltò il viso da un lato di modo da distogliere lo sguardo e sottrarsi a quella visione, sebbene sentisse ancora i suoi singhiozzi. I muscoli facciali dell'uomo si contrassero in una espressione tra il triste e il sofferente. «D'accordo, entra.»

Si chinò e, prendendola da sotto le ascelle, la tirò su delicatamente. Lei si mise in piedi e lo abbracciò di scatto, temendo che lui potesse cambiare idea in qualsiasi momento e decidere di ritrarsi. L'uomo richiuse la porta per poi poggiare le mani sulla sua schiena. La tenne stretta a sé diversi istanti, forse minuti, prima di capire che, se avesse continuato ad avvertire in quel modo il suo corpo sul proprio, sarebbe stato molto difficile scacciare dalla mente le immagini che ancora vedeva chiare davanti agli occhi.
Era imbarazzante. Non avrebbe saputo definire in altro modo quella situazione.

«Remus...?» sussurrò lei contro il suo petto.
«Non. Fare. Domande.» scandì lentamente intuendo cosa lei volesse far notare. «Ti avevo detto che non era il momento...»
«M-mi dispiace… è solo che ho avuto paura. Ho fatto un sogno, un incubo. Non potevo andare da Sirius, dovevo accertarmi che tu... che tu fossi qui.»
«Era solo un sogno.» la voce voleva essere tagliente, voleva minimizzare. Ma non ci riuscì. Remus parlò con un tono di una dolcezza disarmante.
«Non mandarmi via.» la donna alzò lo sguardo verso il volto del mago, implorante.

Remus sciolse piano l'abbraccio e inspirò profondamente guardandola. La tenne per una mano conducendola al proprio letto e la lasciò solo quando effettivamente raggiunsero i piedi del baldacchino sul quale prese posto. Le dette le spalle per il tempo necessario a lei per togliersi la vestaglia. Sentì le doghe scricchiolare, segno che la strega si era seduta e poi sdraiata.
Lui rimase sul bordo del letto, i gomiti poggiati sulle cosce e il mento sostenuto dalle mani unite. Cosa fare? Ormai l'aveva fatta entrare in stanza; ormai le aveva permesso di stendersi sul suo letto. Abbassò lo sguardo e scosse piano la testa.

«Posso avvicinarmi?» chiese Tonks, ma Remus non dette parvenza di averla sentita.

Eppure l'uomo l'aveva sentita, ma altrettanto chiaramente aveva deciso di ignorarla, non sapendo quale fosse la cosa migliore da fare. Fu per questa ragione, pensò lui, che la ragazza gli si avvicinò ugualmente, inginocchiandosi sul letto alle sue spalle e passando le braccia sotto le sue per abbracciarlo. Remus vide comparire nel proprio campo visivo le mani di Tonks e sentì la pressione delle sue dita contro il proprio petto in un gesto insicuro e dolce. Contemporaneamente, il mago registrò una seconda sensazione sulla schiena, esattamente al suo centro, tra le scapole: Tonks vi aveva poggiato la fronte.
Il silenzio che regnò per diversi minuti era pregno di così tanta tensione che entrambi ebbero la certezza di poterlo tagliare con un coltello. Remus si mise dritto a sedere, senza allontanarla, ma anche e soprattutto senza toccarla, stringendo le mani in grembo. Rimase semplicemente immobile, lo sguardo basso, il labbro inferiore tra i denti in una morsa dolorosamente stretta. 

Mi manchi...
«Mi manchi...»

Ciò che Remus pensò solamente, Tonks lo sillabò, dando voce a un sentimento che accompagnava entrambi da troppo tempo.

«Abito qui. Non vedo come tu possa sentire la mia mancanza…»
«Come potresti vederlo se non rimani nella stessa stanza in cui mi trovo anche io per più del tempo strettamente necessario?»
«Ninfadora è un periodo complesso per tutti, dovresti capirlo. Ci sono molte cose da fare per l'Ordine e-»
«Non trattarmi come se non mi fossi resa conto che mi eviti da quando abbiamo avuto quella conversazione qualche mese fa. Sarebbe un insulto alla mia intelligenza che, vorrei solo rammentarti, tu stesso hai riconosciuto più volte!»

Remus tacque nuovamente e si mosse sul posto nel tentativo di sedersi più comodamente, cercando una posizione che fosse confortevole. Ma non era il modo in cui era seduto ad essere scomodo, quanto la situazione stessa in cui si trovava. Una situazione così tanto sperata quanto temuta; una situazione che lo vedeva nuovamente vicino alla donna che amava e dalla quale, invece, avrebbe dovuto stare alla larga. Per il suo stesso bene, più che per il proprio.
Fraintendendo le intenzioni del mago e pensando che questi stesse per alzarsi e allontanarsi da lei, Tonks serrò le mani intorno al tessuto della camicia del suo pigiama e, allo stesso tempo, gli si avvicinò maggiormente facendo aderire il proprio torace alla sua schiena. 

Resta con me...
«Resta con me.»

Ancora una volta, gli stessi pensieri affollavano le loro menti, ma solo una di loro ebbe il coraggio di trasformarli in parole.

«Sono qui con te.» fece notare l'uomo.
«Hai capito cosa intendo! Mi hai fatta entrare solo perché sono pateticamente crollata a terra in lacrime...» sospirò lei in risposta «Non me ne vanto, certamente; non è così che vorrei che tu mi vedessi. Ho paura e non è facile ammetterlo, per me.»

Remus si mosse nuovamente, ma questa volta lo fece davvero e, con una torsione del busto, si girò a guardarla. Fronteggiarla in modo così diretto si rivelò essere una mossa non vincente. Trovarsi il viso di Ninfadora così vicino al proprio, osservare i suoi occhi color del cioccolato ancora gonfi e le sue labbra rosee piene… tutto questo accese ancora una volta in lui il desiderio di poterla sentire più vicina.

«Baciami.»
Baciala!

Questa volta il pensiero condiviso non era tra Tonks e il Remus che aveva preso parola fino a quel momento. Ancora una volta, a parlare era stata lei, ma lo aveva fatto unitamente al Remus innamorato che era apparso prepotentemente nel sogno e che spesso, anche da sveglio, lo tormentava. Le due voci si erano accordate per avanzare la stessa richiesta.
E Remus lo fece.
Alzò una mano posandola sulla guancia destra della giovane e avvicinò le labbra alle sue fino a che la distanza che le separava non si annullò completamente. Remus era convinto che il brivido che gli percorse la schiena al contatto con la bocca di Ninfadora fosse tanto pronunciato da far tremare anche lei e ne ebbe la certezza quando la stretta che lei aveva ancora salda al suo pigiama non si fece, se possibile, maggiore.
Si girò meglio verso la strega che aveva di fronte e premette le labbra sulle sue in un bacio che sapeva di urgenza e di desiderio represso troppo a lungo. Tonks rispose al bacio e sorrise sulle sue labbra. Non ci volle molto affinché, di tacito accordo, la giovane si sdraiò poggiando la schiena al letto e l’uomo, chinandosi in avanti con lei in modo da non interrompere il bacio, le si ritrovò addosso.
Remus fece passare un braccio tra il corpo di Tonks e il materasso e, allontanandosi dal suo volto quanto bastava per poter riprendere fiato, la osservò: le labbra già rosee della giovane, adesso sembravano essersi colorate e riempite fino ad essere del colore del fuoco. Allo stesso modo, i capelli della Metamorfomagus avevano virato, raggiungendo tonalità più accese.

«Fallo di nuovo…» sussurrò Ninfadora, spostando un ciocca di capelli che era ricaduta davanti al volto del mago e portandogliela dietro l’orecchio.
«Ninfadora, io…» cominciò Remus, non sapendo neppure lui cosa dire.
«Remus, fallo.»

Lupin si concesse ancora un momento di esitazione prima di annuire silenziosamente e avvicinarsi al suo volto. Le diede un leggero bacio all’angolo della bocca, per poi avventarsi nuovamente sulle sue labbra. Tonks fece scivolare le mani fino ai bottoni della camicia del pigiama dell’uomo e prese a aprirglieli uno ad uno finché, come nel sogno, l’indumento non cadde a terra.
E così, come la camicia, ben presto - e senza che Remus se ne fosse reso pienamente conto - anche la maglietta di Tonks scomparve, seguita dai suoi pantaloncini. Solo a quel punto l’uomo si fermò, puntellandosi sulle mani per tenersi sollevato e poter avere un punto di vista utile a osservarla. E stavolta, a differenza del sogno, ci vedeva davvero bene.
Per tale motivo, indulse qualche istante di più facendo vagare lo sguardo dal volto di lei, al suo corpo, attardandosi a studiare i suoi seni scoperti per più tempo di quanto volesse ammettere. Ninfadora arrossì violentemente seguendo lo sguardo del mago col proprio, ma sorrise e si permise di fare lo stesso. Non appena Remus se ne rese conto, si spostò velocemente sedendosi sul letto accanto a lei, abbracciandosi in modo tale da non consentirle di guardarlo.

«N-non guardare, ti prego…» mormorò cercando di coprirsi quanto più possibile.
«Voglio farlo, voglio vedere.» Rispose lei convinta.

Tirandosi su a sua volta, Tonks si mise a sedere a cavalcioni sulle gambe di Remus e, prendendogli le mani, gliele allontanò dal busto, costringendolo a rivelarsi. Una circostanza, pensò l’uomo, estremamente simile a quella vissuta nel sogno.

«Mi dispiace che tu veda… questo…»

Ninfadora non rispose, ma gli strinse le mani e mosse appena il proprio corpo indietro per osservare interamente l’uomo che aveva davanti. Erano tante e diverse le cicatrici che caratterizzavano il corpo del lupo mannaro: alcune erano così vecchie che di loro non rimaneva altro che una superficie liscia e lucida, ma difficile da distinguere; altre erano più visibili, leggermente infossate come se la pelle, una volta richiusasi, non fosse andata a riempire totalmente lo squarcio. Poi, sulla spalla sinistra, ce n’era una molto diversa dalle altre. Tonks avvicinò il viso per poterla guardare meglio e la riconobbe per ciò che era: le ferita maledetta causata dal morso che lo aveva trasformato.
L’Auror ebbe come un brivido al pensiero, brivido che Remus scambiò per ribrezzo.

«Ninfadora, capisco se quello che vedi ti disgu-»
«Mi dispiace così tanto. Devi aver sofferto moltissimo… stai soffrendo moltissimo!»

Remus si aprì in una espressione di stupore: dalle labbra schiuse alle sopracciglia alzate, tutto faceva intendere quanto quella frase lo avesse sorpreso. Allora quel brivido, pensò, non indicava né ribrezzo né disgusto. Era dispiacere, compassione.
Remus la abbracciò di scatto, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo: una mano poggiata sulla sua schiena, per tenerla vicina a sé e l’altra immersa nei suoi capelli, ancora rossi, ma leggermente meno accesi di prima. Tonks, dal canto suo, gli si fece più vicino, portando le gambe introno alla vita dell’uomo e incrociando le caviglie.
Rimasero fermi in quella posizione per diversi minuti, come se tutta l'urgenza di prima fosse scomparsa. Fu Remus - e se ne sorprese lui per primo - a interrompere quel contatto, così intimo nella sua semplicità: si rigirò lentamente sul letto facendo sdraiare Tonks e tornando su di lei. La guardò in silenzio e avvicinò le labbra alla sua fronte che poi baciò in un gesto estremamente dolce. Fece quindi scivolare le mani lungo il corpo della donna, fino al suo intimo, unica barriera rimasta a coprirla e, lentamente, glielo tolse. Tonks, dopo averlo aiutato, si premurò di liberare anche Remus degli ultimi indumenti che aveva indosso.
Remus si spinse contro di lei, chiudendo per l'ennesima volta la distanza che li separava fino a sfiorare le sue labbra piene. Lei gemette al contatto, bramosa di approfondire quel bacio, tanto agognato quanto i precedenti. L’uomo lasciò che una delle sue mani si perdessero nuovamente tra i suoi capelli, ormai fermi sul rosso scuro. L'altra mano risalì il corpo di Tonks, raggiungendo con estrema lentezza il suo seno, sfiorandolo prima con dolcezza, poi con una rinnovata urgenza che costrinse la ragazza ad ansimare. E poi furono le mani di lei a farsi strada sul suo corpo, dalla schiena martoriata dalle cicatrici, al suo petto in cui il cuore martellava a ad un ritmo frenetico.
Stavano sbagliando, Remus lo sapeva bene, ma lei aveva un influsso impensabile sulle sue emozioni e sulla sua forza di volontà. Influsso così forte, da essere irresistibile.

«Ninfadora, io non posso.» si costrinse a dire, cercando di allontanarsi nuovamente.
«Guardami negli occhi, Remus.» quando lui obbedì, lei continuò «Dimmi che non mi vuoi.»
«Io non...» la frase rimase lì, in sospeso, interrottasi nel momento in cui la ragazza agganciò le gambe al bacino dell’uomo, entrando in collisione con la sua evidente erezione.

Remus non poteva rifiutarsi, non era in grado di dire di no a quegli occhi, a quel petto che si alzava e si abbassava al ritmo del suo respiro, alle sue guance dalla sfumatura porpora evidente, alle sue labbra rosse.
E fu allora che Remus, sistemandosi meglio tra le gambe di Ninfadora, sprofondò dentro di lei: era calda, accogliente ed era più che pronta per lui. La bocca di Remus si schiuse famelica sulle labbra di lei e le liberò solo per poter lasciare una scia di baci umidi lungo la curva del collo fino ad arrivare al suo seno. Ninfadoraora si lasciò sfuggire un gemito, che risvegliò l’istinto più primordiale del mago. Non le interessava se lui le stesse lasciando dei segni, mordendole i capezzoli o graffiandole la schiena. Non le interessava e, anzi, non le fu difficile comportarsi allo stesso modo, puntando le unghie sulla schiena dell’uomo. Remus ebbe improvvisamente fretta di sentirla fremere tra le sue braccia, di vedere il piacere stravolgerle il volto, di sentire le sue urla, mentre veniva scossa da brividi di piacere.
Ma, allo stesso tempo, Remus Lupin sapeva quanto tutto ciò fosse dannatamente sbagliato.
Si sentiva sbagliato, Remus, mentre la ragazza sotto di lui era scossa dai fremiti causati da ciò che stavano facendo e le sue mani accarezzavano il suo corpo; si sentiva sbagliato, Remus, mentre le sue labbra succhiavano il suo collo candido e le sue orecchie erano riempite dai gemiti di Ninfadora; si sentiva sbagliato, Remus, mentre osservava la ragazza contorcersi, in un’espressione di puro godimento, lasciando che anche il suo piacere esplodesse dentro di lei e lei raggiungesse l'orgasmo.

 

Ogni errore è una conclusione dall'effetto alla causa, 
conclusione che ha valore.
- Arthur Schopenhauer

 

Quella notte, le pareti della stanza di Remus al numero 12 di Grimmauld Place furono testimoni di un atto che il mago aveva solo immaginato e sognato ripetutamente nell'arco di quei mesi di forzato allontanamento dalla ragazza.
Quando la luce dell’alba lo inondò, svegliandolo, il corpo nudo di Tonks era ancora avvinghiato al suo e Remus poté notare i segni che aveva impresso sulla sua pelle. Quei segni che, alla luce fioca della candela, era riuscito ad ignorare, ma che ora erano vividi ai suoi occhi. Proprio in quel momento Remus realizzò il grave errore che aveva fatto. Uno splendido errore. Un errore che avrebbe ripetuto dieci, cento, mille volte. Un errore che, per quanto piacevole, rimaneva sbagliato.
Remus fu molto veloce a convincersi del fatto che, se aveva ceduto la notte precedente, lo aveva fatto solo perché sapeva che quella sarebbe stata la prima e ultima volta. Si convinse che, per quell’unica volta, non era stato sbagliato realizzare un sogno che lo accompagnava da mesi. Si convinse che, per quell’unica volta, avrebbe potuto accettare di essere stato egoista.
Ma allo stesso tempo, all’alba di quel nuovo giorno, Remus si sentì tanto sbagliato quanto lo si era sentito la notte precedente. 

Remus si sentì tanto sbagliato quanto si sentiva di esserlo da anni. 

 
  
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