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Autore: andekry    26/10/2020    0 recensioni
Primo anno.
A diciannove anni, Zoey si trasferisce a New York per studiare al Brooklyn College e diventare un'insegnante d'italiano. Ma Kai, un ragazzo incontrato durante il viaggio, le stravolgerà i piani, rendendo il suo primo anno di università imprevedibile. E lei non sa che il ragazzo fastidioso e insopportabile che le ha tenuto compagnia durante il volo AA199 si trasformerà nella persona più importante della sua vita e in poco tempo si renderà conto di non riuscire a fare a meno di lui.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kai Parker
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VOLO AA199

"Mamma", ridacchiò, "ti prometto che starò bene." Alzò gli occhi al cielo, accennando un sorriso mentre sua madre l'abbracciava per l'ennesima volta.

"Lo so, tesoro, sono solo preoccupata. Hai preso il passaporto? E il biglietto?" si staccò e cominciò a metterle a posto i capelli.

"Sì, mamma", sospirò, "ho preso tutto e ho già fatto il check-in online. Devo solo far imbarcare le valigie." Tirò su la spallina dello zaino e cercò di calmare sua madre e le sue mani che le ronzavano attorno alla faccia. "Papà fai qualcosa per favore."

"Clarissa, ha 19 anni, se la caverà benissimo", disse il padre Tom poggiando le mani sulle spalle della moglie, tentando di tranquillizzarla. Poi guardò la figlia con un sorriso e un pizzico di nostalgia negli occhi. "Mi mancherai, formichina", disse dolcemente con la voce leggermente rotta dal pianto.

"Non la smetterai mai di chiamarmi così, vero?" si avvicinò e lo abbraccio appoggiando la testa sul suo petto.

"Mai", sussurrò Tom accarezzandole la testa.
La ragazza si allontanò e li guardò entrambi cercando di trattenere le lacrime. "Mi mancherete, abbiate cura di voi."

***

Mancava solo mezz'ora all'inizio dell'imbarco, ma quella mezz'ora sembrava durare in eterno. Era seduta di fronte alla vetrata che dava sulle piste e osservava gli aerei decollare, atterrare, osservava i marshaller lavorare, mentre teneva in mano il passaporto e il biglietto, e lo zaino sulla poltrona di fianco a lei. Picchiettava il piede a ritmo di Feel So Close di Calvin Harris che suonava nei suoi AirPods. Era talmente immersa nei suoi pensieri che non si era accorta del ragazzo che tentava di attirare la sua attenzione. Cercava di usare le parole ma il volume della musica era troppo alto perché lei lo sentisse, così picchiettò il dito sulla sua spalla, il che la fece sussultare. Lei si tolse una cuffia e si voltò verso di lui. Sembrava avere la stessa età della ragazza; era alto, forse 1.85, e aveva i capelli castano scuro, con un ciuffo che tendeva leggermente a sinistra. Indossava una felpa nera semplice e dei bermuda dello stesso colore, mentre ai piedi portava delle semplici Air Max. Gli occhi sembravano azzurri, anche se la ragazza non riuscì subito a vederli bene.

"Scusa se ti disturbo, volevo solamente chiederti se potevi togliere lo zaino dalla poltrona." disse in inglese, facendo un mezzo sorriso di cortesia. "Vorrei sedermi."

"Oddio, scusami, certo!" rispose lei mortificata, spostando immediatamente lo zaino e mettendolo per terra tra le sue gambe.

Le labbra del ragazzo si unirono in una linea sottile che andava a formare un sorriso imbarazzato e fece un cenno con la testa. "Grazie." si sedette di fianco a lei, poggiando il suo zaino per terra, per poi appoggiarsi allo schienale. "Prima volta a New York?"

La ragazza si tolse anche l'altro AirPod e mise entrambi gli auricolari nella loro custodia. "No, in realtà sono nata lì. Mia madre è di New York, ma ci ho vissuto solamente per due anni. Mio padre è di Milano e ci siamo trasferiti qui quando ero ancora una bambina." disse abbassandosi per infilare le cuffie nella tasca dello zaino.

"Figo", disse il ragazzo con un'espressione compiaciuta. "Ecco perchè il tuo inglese è ottimo. Mi sembrava strano che una persona italiana avesse una pronuncia così buona."

Lei si voltò aggrottando le sopracciglia, confusa.

"Non fraintendermi, non sto dicendo che gli italiani non sappiano l'inglese, ma", si passò una mano sul collo visibilmente a disagio, "da quanto ho potuto constatare durante questa mia vacanza, la vostra pronuncia lascia un po' a desiderare."

La ragazza assunse un'espressione lievemente infastidita e lo guardò dritto negli occhi. "Posso chiederti quante lingue parli tu?"

"L'inglese e qualche parola in spagnolo, perchè?" la guardò socchiudendo gli occhi.

"Conosci solo una lingua e hai il coraggio lamentarti della pronuncia di una persona che probabilmente, anzi quasi sicuramente, ne sa più di una?" domandò lei scocciata. "The audacity."

Il ragazzo aprì la bocca, cercando le parole giuste per difendersi, ma non ce n'erano. "Però l'inglese è una lingua internazionale, dovrebbero conoscerla tutti. E anche bene. Magari tu potresti insegnarmi l'italiano." alzò le sopracciglia con le labbra che formavano un ghigno.

Lei alzò gli occhi al cielo, visibilmente irritata, mentre si appoggiava allo schienale della poltrona. "Scaricati Duolingo."

"Attenzione. Il volo AA199 diretto all'aeroporto JFK di New York sta cominciando l'imbarco. Imbarcheremo i gruppi in ordine crescente. Trovate il numero del vostro gruppo sulla carta d'imbarco. Vi preghiamo di rispettare la suddivisione e di presentarvi con la carta d'imbarco e il passaporto già in mano. Grazie."

La ragazza infilò il telefono nella tasca della sua felpa e si alzò, afferrò il suo zaino e se lo portò sulla spalla. Guardò il ragazzo per un'ultima volta. "E' stato un piacere conoscerti." Forse, pensò. Senza dargli il tempo di rispondere, si incamminò verso la fila dei numerosi passeggeri diretti a New York, controllando il numero del suo gruppo. Si mise in fila anche lei, aspettando il suo turno e controllando ogni tanto il telefono.

"Certo che potevi almeno presentarti, tesoro. O per lo meno darmi il tempo di rispondere prima che te ne andassi."

Lei chiuse gli occhi e sospirò irritata, prima di voltarsi e guardare il ragazzo in faccia. "Hai intenzione di starmi addosso per tutto il viaggio?"

Lui rise, probabilmente la trovava divertente. "Dipende. In che gruppo sei?"

La ragazza rimase in silenzio per qualche secondo, ma poi si decise a rispondere. Lui avrebbe sicuramente insistito. "Gruppo 5."

Il ragazzo spalancò la bocca, ma lei non riusciva a capire se fosse davvero sorpreso.

"Anche io, che coincidenza", e rise ancora. Per quanto lei già non lo sopportasse, doveva ammettere che aveva davvero un bel sorriso. In realtà, era proprio un bel ragazzo, ma gli apprezzamenti si limitavano esclusivamente all'aspetto fisico. "Magari avremo anche i posti vicini sull'aereo."

Lei scosse la testa, girandosi di nuovo e facendo qualche passo avanti mentre la fila avanzava. "Non dare al destino strane idee."

***

Posto 19A. 
Tirò fuori dallo zaino il necessario per il viaggio e lo mise nella cappelliera sopra la sua testa, prima di sedersi al suo posto al finestrino. Tirò fuori il telefono e scrisse a sua madre per aggiornarla e dirle che tutto stava andando bene. Ma quando alzó lo sguardo, subito incrociò quello del ragazzo che aveva conosciuto non molto prima al gate. Si stava avvicinando sempre di più controllando di volta in volta il numero del posto sul biglietto. "19B", disse.

Lei sgranò gli occhi, del tutto incredula. Non voglio crederci, pensò portandosi una mano sulla fronte.

Il ragazzo la guardò e scoppiò in una sonora risata, divertito dalla situazione. "A quanto pare non mi sbagliavo", e alzò lo zaino per riporlo nella cappelliera. Dopodiché si sedette al suo posto, proprio quello di fianco alla ragazza. "Non è giusto, il finestrino lo volevo io", fece labbruccio.

"Te lo cedo volentieri se prometti di non stressarmi durante il viaggio", sbuffò.

"Nah, puoi tenertelo", disse facendo un gesto con la mano e giocherellando con il cuscino e la coperta che si trovavano sul sedile e che la compagnia offre a ogni passeggero per i viaggi di  lunga tratta. "E non prometto nemmeno di darti fastidio durante il volo", disse con un ghigno voltandosi verso di lei.

Ottimo, pensò la ragazza, devo farmi 8 ore di viaggio con uno sbruffone di fianco.

"Dai, piccola", la stuzzicò col gomito, "sto scherzando."

"Piccola?" si poteva leggere l'irritazione sul suo volto, "ma chi ti credi di essere?"

Lui appoggiò la testa al sedile, chiudendo gli occhi. "Certo che sei permalosa", aprì solo un occhio per vedere la sua reazione. "So dramatic!" disse poi trattenendo una sorriso.

"Come scusa?" alzò le sopracciglia sorpresa dall'audacia del ragazzo.

Lui sorrise, senza dire nulla. Tenne la testa appoggiata al sedile e gli occhi chiusi e ci furono trenta secondi di silenzio. "Quindi", si voltò verso di lei, "come ti chiami?"

"Zoey."

Il ragazzo accennò un sorriso e allungò la mano. "Bel nome. Io mi chiamo Kai."

 

  
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