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Autore: goldenef    28/10/2020    2 recensioni
Perdendo Fred, pensavo di aver perso tutto. La bontà, la forza d’animo, la determinazione che sempre mi avevano caratterizzato sembrarono d’improvviso un ricordo lontano, intangibile. Dopo la Guerra non fui in grado di guardarmi allo specchio per intere settimane, chissà quanti mesi. A fatica mi alzavo dal letto, mi costringevo a mangiare solo quando ero sicura che sarei crollata a terra se non mi fossi nutrita. Continuavo a pensare a lui, al fatto che probabilmente — anzi, di sicuro — non avrebbe mai e poi mai voluto che mi riducessi così, a un mucchio di ossa e malinconia. Ciò nonostante, non riuscivo ad uscire dal vortice di sconforto al quale mi ero completamente lasciata andare; ma non c’era da stupirsi. D’altronde, non volevo affatto.
 
« Non può piovere per sempre, Angelina. »
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Angelina Johnson, Fred Weasley, George Weasley | Coppie: Angelina/George
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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     Ringrazio di cuore Sia_, senza la quale questo esperimento di scrittura non sarebbe mai nato. L'iniziativa parte dal gruppo Facebook Caffè e Calderotti.
    Traccia da seguire: "Le era venuta, in realtà, una strana voglia di tornare a casa. Una voglia piccola, ma improvvisa e forte. Non era nemmeno tanto tornare a casa, ma tornare e basta. (Mastrocola)". Personaggi: Fred Weasley.
     Ho preso questa citazione e l'ho divorata, facendola completamente mia. Buona lettura.










All’epoca non c’era nulla che potessi desiderare di più della vita che avevo. Potevo vantare il mondo fra le mani, eppure non lo sapevo. Ma, in fondo, ho sentito che è sempre così, quando sei giovane. Tipico. Dai tutto per scontato, come se ti fosse dovuto (da chi, poi, non si sa), come se nessuno avesse il potere di portartelo via. Ho scoperto a mie spese che il potere lo hanno sempre avuto le persone sbagliate.

Quando Fred Weasley venne assassinato, il due di Maggio del 1998, il mio mondo si ribaltò completamente. Mi fece a pezzi, mi straziò, mi devastò quel dolore. Tuttavia mi insegnò molto, forse tutto. Capii ogni mio errore, rimpianto, le gioie che mi ero lasciata sfuggire, quelle che niente e nessuno mi avrebbe potuto riportare indietro, neanche il più potente degli incantesimi eseguito dal più abile dei maghi. Imparai a prestare attenzione prima di definire qualcuno mio amico, che non era una cosa da poco, anzi, era fondamentale avere una persona (o, magari, anche più d’una) nella propria vita da considerare tale. Imparai a prendere le cose con leggerezza, ma anche a dar loro il giusto peso; a chiedere aiuto se necessario e a offrirlo se opportuno. A esserci, per gli altri e per me stessa.

Perdendo Fred, pensavo di aver perso tutto. La bontà, la forza d’animo, la determinazione che sempre mi avevano caratterizzato sembrarono d’improvviso un ricordo lontano, intangibile. Dopo la Guerra non fui in grado di guardarmi allo specchio per intere settimane, chissà quanti mesi. A fatica mi alzavo dal letto, mi costringevo a mangiare solo quando ero sicura che sarei crollata a terra se non mi fossi nutrita. Continuavo a pensare a lui, al fatto che probabilmente — anzi, di sicuro — non avrebbe mai e poi mai voluto che mi riducessi così, a un mucchio di ossa e malinconia. Ciò nonostante, non riuscivo ad uscire dal vortice di sconforto al quale mi ero completamente lasciata andare; ma non c’era da stupirsi. D’altronde, non volevo affatto.

Angelina

 

 

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Girandomi sul fianco, ancora profondamente assonnata, mi stropiccio gli occhi con una mano. Ne apro soltanto uno, poi, per lasciarlo abituare alla luce del giorno. Il mio sguardo incontra un ragazzo, sdraiato accanto a me, dai capelli rossi e un numero piuttosto elevato di lentiggini su tutto il volto. Sorrido appena, perché lo trovo uno spettacolo così sereno ed innocente che per qualche attimo ancora mi concedo di non pensare ad altro, facendo finta di non ricordare i giorni precedenti a oggi, a questo preciso momento.

Mi sfugge un sospiro ruvido, così mi accorgo di star morendo di sete. Ho la bocca secca, mi punge la gola. Con uno sforzo mi tiro a sedere, passandomi le dita fra i capelli neri. Di solito mi sveglio lentamente, al mattino, con tutta la calma di cui ho bisogno, e oggi non fa differenza. Mi trascino verso il bagno, faccio pipì e mi lavo le mani. A questo punto il mio sguardo incontra i miei stessi occhi nello specchio. Ho le occhiaie scure in aggiunta all’aspetto di una che non dorme, si stressa troppo e non è mai abbastanza idratata. Resto a contemplarmi un altro po’, le iridi nere a ispezionare tutto ciò che non va: i capelli che per anni mi sono impegnata a domare e rendere lisci, seppur contro ogni natura, si stanno ora ribellando, riacquistando ogni ciocca il volume di un fusillo. Mi fisso una forcina poco sopra l’orecchio sinistro, quantomeno per avere una visuale completa di ciò che mi circonda, poi spengo la luce ed esco dal bagno.

Prendo la caraffa di succo di zucca in frigorifero e ne verso un generoso bicchiere, aggiustandolo con l’aggiunta di un paio di cubetti di ghiaccio. Nel mentre, non posso fare a meno di pensare, ma più penso più mi sgretolo. È successo davvero? Sono andata a letto con George Weasley?

« Per la barba di… » Un tonfo sordo provenire dal piano di sopra mi fa sobbalzare e, con un gesto automatico, mi porto la mano laddove nella divisa della scuola si sarebbe trovata la tasca interna porta-bacchetta. L’avevo cucita io stessa. Il fatto che adesso non vi sia alcuna tasca, tantomeno alcuna divisa, mi fa sprofondare il cuore dal petto alla bocca dello stomaco in un istante.

Sono inguaribile. La Battaglia di Hogwarts ha lasciato una ferita eterna in chiunque vi abbia coraggiosamente partecipato, persino chi si era fatto da parte ne continua a risentire al giorno d’oggi, dopo cinque anni.

Scopro ben presto che il rumore che tanto mi ha spaventata dev’essere George, perché subito vi segue uno sbadiglio rumoroso. Potrei giurare di immaginarlo mentre si stiracchia, occupando tutto il letto matrimoniale.

Un nodo alla gola comincia a causarmi un brutto malessere, il sangue mi si gela nelle vene al pensiero di rivedere il volto del ragazzo che si sta alzando proprio ora dal miomaterasso. A prima vista, con la coda dell’occhio, penserò sempre di vedere Fred. Sarà la malinconia, la  falsa speranza; non so. C’è comunque da dire che a distanza di un paio d’anni da che avevo conosciuto i gemelli avevo abilmente imparato a distinguerli l’uno dall’altro, prevalentemente in qualità di persone, più che esteticamente, sotto la luce di atteggiamenti e movimenti molto differenti fra loro. Fred era sempre stato il più divertente, quello che adorava fare la prima mossa, applicare le sue idee non appena gli balenavano per la testa. George, sotto il titolo di indiscutibilmente perfetto partner in crime, lo aveva sempre seguito di pari passo in tutte le sue follie, spesso e volentieri architettate insieme, ma si distingueva per la parte leggermente più saggia della coppia, quella lungimirante e matura — e, diciamolo, più rapida nel pensare a soluzioni salva-vita dell’ultimo secondo, quando già erano sprofondati nei guai fino al collo.

Senza neanche badarci, questi pensieri mi fanno sorridere. La memoria di Fred, ancora così vivo e gaio nei miei ricordi, mi rende serena, così come il rimembrarlo facilmente assieme a George, un unico pacchetto di due turbolenti piantagrane. È bella e mi scalda il cuore l’assoluta consapevolezza che i miei anni migliori alla Scuola di Hogwarts sarebbero stati decisamente più noiosi e scarni senza quelli che inizialmente definivo meri “disturbatori”, ma che a conti fatti si erano rivelati fra gli amici più validi che avessi.

Vengo distratta. George fa il suo ingresso in cucina pigramente. È bello, ha i capelli scompigliati e la maglietta bianca che ha usato per dormire ha una macchia di dentifricio sotto il colletto. Esiste visione più dolce di quella?

« Buongiorno, G », mormoro appena, quasi avendo paura di svegliarlo effettivamente costringendolo ad una conversazione.

Adesso che è qui sento un piacevole conforto, come se ‘ora sì che andrà tutto bene’. La verità è che mi sento uno schifo. E devo avercelo dipinto in faccia, perché già mentre il ragazzo ricambia il mio saluto un lampo di preoccupazione gli attraversa le iridi castane, calde. Come quelle del gemello.

« Cos’è questo broncio? », domanda dolcemente. Si avvicina a me, mentre ancora sto processando una risposta sensata da dargli, vista tutta la roba che ho in testa, e mi abbraccia con delicatezza.

Appoggio la testa sul suo petto ampio, sospirando mesta. Per un attimo mi chiedo se è possibile affrontare dei problemi, delle conversazioni difficili senza effettivamente farlo. Non so se mi spiego: in questo momento vorrei con tutto il cuore rimanere in silenzio, non proferire verbo a riguardo, perché mi lacererebbe il petto; allo stesso tempo sarebbe l’ideale che George capisse tutto alla perfezione senza che io debba dir nulla e mi tranquillizzasse, giurandomi che andrà tutto bene.

D’improvviso accade qualcosa di sbalorditivo. « Non può piovere per sempre, Angelina », dice.

Sento il cuore a mille. Ne percepisco i battiti sulle tempie, sui polsi e dentro l’arteria principale sul collo. Alzo la testa e cerco il suo sguardo. Ricambia, carezzandomi gentilmente uno zigomo. Che abbia sentito? Che si sia intrufolato nei miei pensieri? In tal caso non saprei come reagire. Forse dovrei arrabbiarmi, ma non è ciò che ho appena desiderato?

Mi prende per mano e senza dire nulla mi porta al piano di sopra. Mi manca l’aria, ho dei tremendi capogiri. Non volevo questo. Si è appena svegliato, meriterebbe almeno un’ora senza la pesantezza di tutta la situazione a gravargli sulle spalle. Come se non stesse già soffrendo abbastanza! Sono un’ipocrita, mi sento stupida, fuori luogo, sbagliata e tremendamente infelice. Non è giusto che adesso George debba consolare me. Lui…

Ci ritroviamo in terrazzo, la vista sui campi inglesi che si estendono a perdita d’occhio, completamente immersi nella natura. Si respira (e ci si sente addosso) aria pulita, quiete e silenzio.

« Quando… » La voce gli si spezza prima ancora di terminare la parola. Sospira, poi ritenta, ma sembra cambiare idea. Riesco a vederlo soffrire mentre si appoggia alla ringhiera del balcone. Mi avvicino timidamente ed appoggio una mano sulle sue, congiunte e terribilmente fredde. « Mi sento vicino a te, Angelina. Sento che, al di fuori della mia famiglia, sei la persona con cui mi trovo meglio in questo periodo così… assurdo. Anzi, forse preferisco addirittura la tua compagnia a quella dei miei fratelli. Sono contento di avere una persona esterna su cui contare » Deve notare il mio volto corrucciato mentre cerco di non scoppiare a piangere, perché non continua il discorso, si blocca. Non che io lo veda, è chiaro. Ho lo sguardo incollato sulla punta delle mie stesse scarpe, non oso nemmeno alzare la testa. Devo restare forte. Lui sembra indeciso, poi opta per continuare. Sa bene che lo sto ascoltando, forse sa meglio di me quanto io abbia bisogno di sentire quelle parole. « Questa notte non abbiamo sbagliato nulla, Angelina. Non l’abbiamo tradito »

Non ci capisco più niente. Un turbinio di pensieri, sensi di colpa e sentimenti incontenibili inizia a farmi girare la testa. Mi aggrappo alla ringhiera, lentamente mi lascio scivolare in basso fino a sedermi a terra, un fischio assordante nelle orecchie e il mondo attorno a me che comincia a perdere di saturazione. Non mi accorgo che George mi ha retto fino a questo preciso momento, che molla la presa sui miei fianchi. Veloce come un rettile, senza neanche sapere di preciso dove si trova, riesco ad agguantare nuovamente il braccio del ragazzo, nel mentre che provo a controllare il respiro. Sento il cervello sul punto di scoppiare, una fortissima pulsazione in prossimità della fronte mi rimbambisce. Inizio a pensare, più o meno lucidamente, a tutto ciò che potrebbe aiutarmi al momento (acqua e zucchero, sdraiarmi a terra, un paio di schiaffi…) ma poi una consapevolezza disarmante mi investe in pieno come un treno in corsa.

« Non mi sento bene », riesco goffamente a biascicare, la lingua insieme alla mandibola che si muovono a fatica per strutturare una frase talmente semplice. Lascio passare qualche secondo, percepisco in lontananza il tocco… umido? di George sulle tempie. La leggerissima percezione dei suoi polpastrelli bagnati mi fanno sentire subito meglio. Riesco a sentire nuovamente dalle orecchie, adesso, distinguendo suoni e parole dolci, sussurrate, che a questo punto possono provenire da una persona soltanto.

Mi sale un’immensa tristezza. Prima ancora che me ne accorga sto piangendo come una bambina. Mi è venuta, in realtà, una strana voglia di tornare a casa. Una voglia piccola, ma improvvisa e forte. Non è nemmeno tanto tornare a casa, ma tornare e basta.

Ben presto realizzo che non mi sono mai sentita così, mentre parallelamente è come se avessi la soluzione sulla punta della lingua: è qualcosa che ho vissuto, che mi ha aiutata, salvata, di cui ho estremamente bisogno in questo momento. Forse è per l’assenza proprio di questa cosa qui che mi manca l’aria.

Di colpo capisco: l’unico posto a cui avevo sempre saputo di appartenere, nel quale mi sentivo completa e con il cuore talmente pieno d’amore da minacciare un’esplosione atomica, è  esattamente quello che adesso non posso raggiungere. Le braccia di Fred.

 

 

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Con il tempo capii. Penso sia ciò che la gente chiama crescita, sviluppo, esperienza o qualunque altra sciocchezza di quelle. Fatto sta che prima o poi ti svegli e capisci di aver capito.

George era diventato una parte fondamentale di me, mi era entrato dentro come una luce che prima prende la mira e poi ti colpisce al cuore, condannandoti ad un bagliore senza principio né fine, senza tempo. Se Fred era stato il mio tramonto, la perdita più grande ed incolmabile che potessi subire, George ne era l’alba. Fred era stato un viaggio bellissimo, ma a metà strada me l’avevano portato via, senza che potessi far nulla per tenerlo ancora con me. Per anni lo percepii come un tormento infinito, che girava in tondo e puntualmente ricompariva, ma la verità è che avevo perso di vista l’obiettivo: il viaggio stesso. Mi stavo concentrando su tutte le cose sbagliate. Mi ero persa e tutto ciò che ero in grado di fare era lamentarmene. Cosa avrebbe pensato Fred di me? Poi arrivò George, e fu il ritorno a casa più bello di tutta la mia vita, quando finalmente è tutto okay.

Gli uomini sognano il ritorno, più che la partenza. La verità è che non siamo capaci di allontanarci granché senza punti di riferimento, o quantomeno una bussola. Ma l’avventura mi aveva lasciato tanto. Tutto ciò che avevo era proprio quel che avevo dato e di cui ero convinta mi avessero derubato. Ma quell’amore, quel dolore erano e sarebbero stati per sempre, profondamente miei.

George era l’alba, il viaggio di ritorno. Assieme a lui, continuavo eternamente a tornare. Così ebbi finalmente chiaro cosa fosse davvero l’amore: casa.

   
 
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