Ogni lasciata è persa
È proprio così.
Una sera esci e vorresti
tornare a casa presto, perché domani mattina hai tantissima voglia di alzarti
prestissimo e di andare a correre, sul lungo mare, con l’alba che sorge
dall’acqua; ma poi rimandi, perché tu e tuo fratello avete una sola chiave e
lui vuole a tutti i costi fare una partita a carambola con gli amici, e un’altra ancora, e tu ti decidi a
piantarlo e rincasare solo quando è già l’una inoltrata. Pazienza pensi: restiamo
qui al mare fino a domenica, ci saranno altre mattina, dormirai in questa e
alla prossima correrai.
Invece ti vengono a dire che
quella prossima mattina non sarai lì in villeggiatura.
Te lo viene a dire tuo padre,
che ti trascina quasi via a forza da una partita di calcio appena conclusasi,
in cui ti stancato e ti sei divertito, proprio quando pensi che bella cosa
essere in vacanza e non vedi l’ora di tornare alla casa in affitto per
rimpinzarti di panini al wurstel.
Da tempo sono abituato a
simili scherzi del “destino”. Uso le virgolette perché non so se un cristiano
possa parlare di destino se come dicono è Dio che muove ogni cosa, e che niente
accade per caso.
Da tempo mi succede: sono
felice, spensierato, non mi manca nulla, e proprio quando pensi che tutto giri
per il verso giusto, ecco accade qualcosa: il computer si rompe e tu non puoi
terminare il video che hai intenzione di mostrare ai tuoi compagni alla festa
dei tuoi diciotto anni, o tua madre, mentre sei spaparanzato a leggere fumetti
nel caldo luglio ti da una bella strigliata affinché tu ti metta a studiare
(senza impegno) per i test di medicina di settembre, o la ragazza che tanto ti
piace e con cui sembrava fatta per tutti ti liquida con un “solo amici” poco
dopo il primo appuntamento che ancora ti aveva lasciato qualche speranza…
Sono i momenti peggiori: passare
dal massimo della gioia al massimo del malumore in un attimo, e non puoi fare a
meno di pensare che il destino ce l’abbia con te, o che Dio voglia punirti, o
che la sfiga è bastarda, e cose del genere.
Questo è uno di quei casi: le
mie vacanze si interrompono prima del tempo, il che di per sé è un trauma per
un ragazzo; trauma doppio nel caso tu, al ritorno da una soddisfacente partita
a calcetto circondato da alberi, mare, fontanine, ed affetti, devi correre a fare
i bagagli, perché si parte subito, perché la nonna è in coma.
I propri errori li si capisce
spesso quando ormai è troppo tardi.
La nonna da tempo era ridotta
malino, una parabola discendente la sua: si scorda le cose, non riconosce le
facce di chi gli sta intorno, cade mentre cammina, viene ricoverata in una
bella clinica di campagna, e via discorrendo fino alla fine.
È stato solo mentre con
fretta riponevo in valigia le mie cose, nel frenetico via vai di buste, valige
e pensieri, che tutti i motivi di rammarico nei confronti di nonna mi sono
tornati in mente.
Quante volte ho rimandato di
andarla a trovare?
I miei genitori andavano da
lei ogni domenica, e mio fratello lì seguiva diverse volte. Io invece no. Io
preferivo restare a casa la domenica pomeriggio.
Credo che le volte che sono
andato a trovarla dopo che ha abbandonata casa sua per vivere in quel ritrovo
per anziani si possano contare sulle dita di una mano, due ad essere buono con
me stesso.
Non sentivo mai veramente il
bisogno di andare da lei spesso quanto i miei o anche mio fratello.
Tra le varie scuse che potevo
accampare per giustificare il mio egoismo giovanile c’era anche quella che
ormai non mi riconosceva.
Solo ora mi viene in mente
che una carezza è sempre gradita, anche se non puoi sapere da chi viene.
Perdonami nonna.
Perdonami se ti sono stato
poco vicino. Perdonami se sono stato ingrato di quel periodo, quando ancora
capivi le cose, e non ridevamo sulla tua demenza per sdrammatizzare un po’.
Quel periodo in cui le mattine d’estate le passavo da te, a disegnare, a farmi
raccontare i “fattarielli” della volpe e del lupo, ad invocare la Befana perché
facesse comparire qualche cioccolatino. Quel periodo in cui a tavola i tuoi
strepitosi maccheroni al formaggio sotto il forno erano una sicurezza, il mio
piatto preferito, e poi dopo pranzo andavo in soggiorno a vedere Dragonball con
papà e mio fratello, e poi salutarti e darci appuntamento per domani.
Perdonami se qualche volta ho
pensato “Oggi no, la settimana prossima”, perché a un certo punto sei
peggiorata e non ci sono state più occasioni.
Perdonami del mio
menefreghismo, che mentre venivamo portati via dal campetto mi ha fatto dire
“Dobbiamo per forza partire?”
Spero che tu ora sia in
Paradiso: magari hai ritrovato il nonno, ed hai scoperto, con tua grande gioia
che ha smesso di fumare!
Spero che tu ora sia in
Paradiso, e che la mente ti sia tornata a posto. Così da lassù, ogni volta ti
affaccerai potrai dire:
“Che bello mio figlio!”
“Che bella mia figlia!”
“Che belli i miei nipoti!”
“Antonio! Andrea! Daniela!
Antonio e Raffaele! Lucia, Antonio e Simmaco!”
Ci riconoscerai, un’altra
volta, e non dirai mai più quel “E chist’ chi è?” che ci faceva sempre
amaramente sorridere.
Grazie per avermi insegnato
la lezione, e cioè che “Non rimandare a domani ciò che puoi fare oggi” è forse
il più saggio di tutti i consigli.
Voi che avete letto ora, non
pensate che questo sfogo sia per cercare la vostra commiserazione, che mi
piaccia mostrare agli altri il dolore delle brutte esperienze che provo per
farmi consolare dalla vostra attenzione, per questo vi chiedo di non commentare questa "fic".
Queste righe che ho scritto
per il funerale, e che qui ho pubblicato, non sono per me, ma per voi. Affinché
non commettiate il mio stesso errore.
Affinché diate retta a voi
stessi quando volete tornare presto a casa per andare a correre di primo
mattino il giorno dopo.
Affinché non commettiate
l’errore di rimandare a domani i cari, che avete solo per oggi.
Ciao Nonna Lucia.