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Autore: SkyDream    10/11/2020    4 recensioni
[Ship KageHina] [Brotp NatsuxShoyo]
E' una tempesta spaventosa quella che sta colpendo Miyagi. I ragazzi del
terzo anno ricordano bene cosa successe l'ultima volta: le strade che correvano come fiumi, il vento che spezzava gli alberi e le urla della gente.
Lo ricorda bene anche Hinata, che ha appena scoperto che sua sorella è scappata da scuola durante una tempesta di quella portata.
Lo ricorda bene anche Kageyama, che gli afferra il bavero della felpa e gli urla che è una follia.
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Dal testo:
Non era mai stato un fervente religioso, tutt’altro, ma si scoprì a pregare qualche nume del cielo perché quella tempesta non si scaricasse sulle loro teste.
Sarebbe bastato del vento da est, un fenomeno paranormale, una volontà divina: qualunque cosa, purchè si scatenasse lontano da loro.
Lontano da Shoyo che, come un fratello idiota, si era solo preoccupato per la sua sorellina.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Karasuno Volleyball Club, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~ Rain On My Skin~
[Velatamente KageHina]

«Non mi sarei mai aspettato una simile svolta stamattina».
Sugawara rabbrividì e si strinse un po’ di più nella sua divisa nera, si era avvolto una morbida sciarpa bianca attorno al collo che formava un avvallamento dove affondò le mani in cerca di riparo.
Le nuvole all’orizzonte si erano accalcate le une sulle altre in poche ore, i lampi erano sempre più visibili e il vento cominciava ad alzarsi promettendo fiumi di pioggia.
Non era una novità, in inverno era già capitato che a Miyagi si condensassero delle tempeste tremende, era perfino stato istituito un protocollo locale in caso di emergenza.
Quella mattina sembrava solo nuvoloso, così tutti i ragazzi si erano diretti a scuola senza alcun pensiero, non sapendo che una manciata di ore dopo sarebbero stati in pieno allarme rosso.
«Hai parlato con il rappresentante del consiglio? Attuiamo le regole di due anni fa?» Asahi si poggiò al bordo della finestra accanto ai suoi amici, gli occhi di tutta la scuola erano rivolti verso il cielo turbolento, nell’attesa dell’inferno che da lì a poco si sarebbe scatenato.
Uno spiffero d’aria lo fece trasalire, quasi fosse un avvertimento.
«Sì, chi si sposta con i mezzi pubblici o a piedi è costretto a rimanere qui. Chi può essere venuto a prendere e abita nei quartieri limitrofi, è autorizzato ad andare fino a nuovo ordine.» Daichi rispose senza riuscire a nascondere il suo nervosismo, nessuno di loro rientrava nel quartiere della scuola e avrebbero dovuto aspettare. Di nuovo.
Ricordava il suo primo anno di liceo: Lui, Suga e Asahi avevano dovuto aspettare dentro la classe fino al mattino successivo senza poter avere contatti con i propri genitori.
Le linee elettriche erano andate in down, staccando anche i riscaldamenti centrali, le strade correvano come fiumi e le macchine più piccole erano trascinate via dalla corrente insieme ad una moltitudine di detriti e rami.
Aveva avuto la nausea quella volta, Sugawara lo aveva notato dal suo colorito divenuto cinereo e lo aveva preso per mano fino a farlo sedere al suo banco - accanto quello dove si era addormentato Asahi -, vicino il muro che dava al corridoio dove tutti, bene o male, si erano seduti tentando di riposare.
Daichi aveva passato la notte a studiare insieme al suo amico, in un’insolita parvenza di normalità e al lume di quel telefono troppo carico, che poteva solo far luce al sorriso rassicurante di Suga mentre risolveva le equazioni con gli occhi lucidi di pianto proiettati tra quelle righe di carta.
L’idea di rivivere tutto di nuovo gli diede il voltastomaco. Voleva tornare a casa, al sicuro, e sapere che anche i suoi familiari e amici lo erano.
«Le montagne del nord, dove vive Hinata, sembrano già in piena tempesta.» intervenne Suga alzando lo sguardo alla sua destra e rompendo quel silenzio che, comunque, sarebbe durato poco.
Gli era sembrato di vedere una testolina arancione correre fin troppo velocemente, conosceva bene quel rumore di scarpe e non ci pensò due volte prima di allontanarsi dalla finestra e seguirlo.
Voltò l’angolo appena in tempo, seguito dai suoi amici, per vedere Kageyama afferrare il colletto di Hinata.
«Sei forse impazzito, idiota? Dove credi di andare con una situazione simile? Sbaglio o anche tu due anni fa sei rimasto incollato a scuola?» Le urla del loro kohai rimbombarono tra le mura del corridoio, cogliendo l’attenzione di qualche studente che usciva dai bagni. Fortunatamente non erano in un corridoio principale.
«Due anni fa mia sorella era rimasta a casa, oggi non ho alcuna intenzione di rimanere incollato qui con te!» Shoyo schiaffeggiò le mani che si stringevano sulla sua felpa, costringendo l’altro a mollare la presa.
I due si fissarono con quello che - apparentemente - sembrò odio reciproco.
Solo Suga, abituato alle loro litigate, si accorse del lampo d’affetto e preoccupazione che balenava nei loro occhi. Kageyama aveva preso a mordersi un labbro, stringeva i pugni così forte da far sbiancare le nocche.
«Si può sapere come hanno fatto a far scappare una bambina delle elementari?» Tobio si allontanò dal suo amico nel tentativo di ristabilire, innanzitutto, i proprio spazi personali e poi, in secondo luogo, di trovare una soluzione il meno suicida possibile.
«Di questo si occuperà domani mia madre, presto i telefoni smetteranno di funzionare e non potrò nemmeno chiamarla. Devo sbrigarmi!» Shoyo afferrò il cappotto, la solita sciarpa verde - avvolgendosela alla meno peggio - e aprì la finestra che dava sul cortile interno.
Kageyama non riuscì ad afferrarlo una seconda volta, ma si ritrovò a urlargli degli insulti mentre, aggrappato con rabbia al bordo della finestra, lo guardava correre verso il patibolo. Le mani tremavano come impazzite.
Daichi fu tentato, per un momento, di seguire Shoyo e riportarlo dentro - previo poi legarlo con qualche corda rubata in palestra - ma fu a sua volta fermato dal suo setter.
Sugawara gli poggiò una mano sulla spalla, invitandolo a fidarsi. Erano spaventati, per Shoyo e per la situazione per nulla rosea, ma dovevano mantenere il sangue freddo se volevano uscirne tutti sani di mente e soprattutto vivi.
Cosa che, almeno Hinata, non era riuscito totalmente a fare, gettandosi a braccia aperte contro il loro nemico.
Daichi portò la propria mano su quella di Suga, accettando l’invito e rassicurandolo: Non si sarebbe gettato in cortile.
Si rivolse poi verso Kageyama: «Che diavolo è successo?».
«La sorellina di Hinata è scappata da scuola perché tutti i suoi compagni erano tornati a casa, mentre sua madre è rimasta intrappolata sulle montagne. Hanno chiuso tutte le vie per i monti a nord, sono stati già colpiti e a quanto pare le strade sono totalmente inagibili.» Tobio non riuscì a richiudere la finestra, quasi sperasse di vederlo ritornare indietro. La accostò solamente, proprio come lui stesso si era accostato al muro adiacente, con gli occhi ancora proiettati verso quella strada coperta da una spessa coltre scura di nuvole.
«E’ scappata? Hanno allertato le forze dell’ordine?» Suga fece un passo avanti, cominciava a capire perché Hinata fosse così ansioso. Era sempre stato avventato, ma in questo caso era quasi giustificato.
«Sicuramente lo avranno fatto! Hanno anche allertato la madre che, spaventata, ha ben pensato di telefonare a quell’idiota!» Tobio portò le dita alla fronte, rimanere con le mani in mano lo frustrava come poche cose.
Non era mai stato un fervente religioso, tutt’altro, ma si scoprì a pregare qualche nume del cielo perché quella tempesta non si scaricasse sulle loro teste.
Sarebbe bastato del vento da est, un fenomeno paranormale, una volontà divina: qualunque cosa, purchè si scatenasse lontano da loro.
Lontano da Shoyo che, come un fratello idiota, si era solo preoccupato per la sua sorellina.
«Vieni, Kageyama, scendiamo all’ingresso con qualche scusa e aspettiamolo sotto. Quando tornerà saremo subito lì per dargli una mano!» Sugawara portò una mano sulla sua spalla dandogli qualche colpetto. Quel sorriso candido fu rassicurante più di qualunque parola.
 
Shoyo non aveva portato con sé un ombrello.
Correva così veloce che sarebbe comunque stato inutile, afferrò i lati del suo cappello di lana e se lo portò ancora più giù, quasi potesse evitare quegli spifferi d’aria che gli solleticavano la nuca.
La scuola di Natsu si trovava in fondo alla strada tutta in discesa, la pioggia cominciava ad intensificarsi, appesantendo i vestiti che indossava. L’idea di poter perdere la sua unica sorellina lo convinse ad accelerare il passo.
La vide nella sua mente, una di quelle sere nere alle medie quando - malefica - la frustrazione lo coglieva impreparato e lui si rifugiava in giardino a piangere per quella squadra che tanto desiderava e non aveva.
Natsu era arrivata con un pallone in mano, le scarpine rosa affondate nell’erba umida.
«Gioco io con te, va bene?».
Così piccola e genuina, con quei capelli sparati in aria e il sorriso di chi vorrebbe consolare ma non ha la più pallida idea di come si faccia.
Quel ricordo lo ferì come una pugnalata al petto, la pioggia fece traboccare i confini della strada, allagando anche i marciapiedi e facendo slittare, rapido, il piede di Shoyo.
Il ragazzo riuscì a non rompersi una costola solo grazie a tutte le scivolate in campo che Daichi, ogni giorno, gli faceva provare.
Si risollevò ignorando il cappotto bagnato e la sciarpa macchiata di fango.
Aveva i minuti contati, si sarebbe preoccupato più tardi del suo aspetto.
Un lampo illuminò la strada alle sue spalle facendolo sussultare. Le auto diminuivano ogni minuto in più, le ultime rimaste quasi faticavano a muoversi tra quelle onde che si ampliavano sempre più rapidamente.
La pioggia si intensificò costringendolo a passarsi una mano tra i capelli fradici, macchiandosi di fango anche la fronte.
L’ennesimo tuonò squarciò il cielo, talmente potente da attivare l’antifurto di qualche auto in lontananza.
Shoyo si fermò un solo istante a prendere fiato, sentiva la gola fredda per quell’aria inspirata con troppa forza. Alzò gli occhi e vide una sagoma, interamente vestita di rosa e con due codini, se ne stava seduta sulla panchina alla fermata del bus con le ginocchia al petto.
«Natsu! Natsu, sono io!» Shoyo non pensò più alla fatica, a quel ginocchio che prima aveva comunque sbattuto a terra. Tutto sparì di fronte la visione di sua sorella, sana e salva.
La bambina alzò il capo a quel richiamo e parve illuminarsi in volto. Alzò le braccia nella sua direzione  urlando il suo nome.
Shoyo la strinse in un abbraccio quasi disperato, sentiva una gioia incontenibile esplodergli in petto.
«Si può sapere che cosa ti è saltato in mente? Dovevi rimanere a scuola, al sicuro!» Shoyo aggrottò le sopracciglia in un’espressione seccata, per quanto comprendesse lo stato d’animo della sorella minore.
«Se n’erano andati tutti, ero rimasta solo io con la mia insegnante e ho avuto paura. E’ cattiva, mi rimprovera sempre e io non ci volevo rimanere. Voglio restare con te, torniamo a casa, Oniichan!» La voce della piccola era quasi supplicante mentre si aggrappava al cappotto fradicio del suo fratellone.
Shoyo diede una rapida occhiata, nei dintorni non vi era alcun luogo sicuro in cui rifugiarsi, decise quindi di tornare alla Karasuno. Lì avrebbe potuto aspettare finchè la situazione non sarebbe rientrata, non sarebbe stato solo e soprattutto avrebbe potuto accertarsi che tutti stessero bene.
In particolar modo una persona si era mostrata preoccupata nei suoi confronti e, doveva ammetterlo, non vedeva l’ora di mostrargli come fosse riuscito nel suo intento.
«Sali sulla schiena e reggiti forte, Natsu, abbiamo un po’ di strada da fare!».
Shoyo riprese a camminare, stavolta passando per le stradine parallele, lì dove i corsi d’acqua prendevano meno velocità e gli permettevano di contrastare quella forza che lo voleva, a tutti i costi, vedere a terra.
 
Tobio poggiò i capelli scuri alla finestra, lì dove le gocce battevano con inaudita violenza, e si ritrovò quasi ad ammirare il fragore della tempesta, il tuonare imponente e il riversarsi dell’acqua in uno scroscio incostante e disperato. Una tempesta impossibile da contenere.
Pensò, portando una mano su quel vetro appannato, che parole come “scrosciare” e “rimbombare” erano state create apposta per eventi come quelli, dove i suoni sono così rapidi e insistenti da entrarti in testa.
L’uomo aveva dovuto inventare nuovi vocaboli per spiegare la forza di quella natura devastante e incontenibile.
La città era oscurità che inghiotte tutto, lo scuote e lo illumina a sprazzi con lampi e tuoni.
E le urla del vento che, piano piano, partono da gemiti per diventare lamenti sordi a quella richiesta che Tobio non aveva smesso nemmeno un momento di formulare.
«Fermati».
Ad ogni tuono gli sembrava di vedere una testolina rossa all’orizzonte che combatteva per tornare da lui. Sentiva nelle vene un desiderio inarrestabile di uscire di lì e tuffarsi in mezzo alla pioggia per poterlo afferrare e riportarlo dentro, al sicuro tra le sue braccia e il pavimento freddo.
Invece no, doveva rimanere lucido e non fare niente di sconsiderato. Lo avrebbe aspettato.
 
Shoyo sentiva la sua sorellina piangere e aggrapparsi alla sua sciarpa con quel poco di forza che le era rimasta. Si fermò in una rientranza di una casa per tranquillizzarla e riprendere fiato.
Le passo una mano tra quelle trecce sfatte dal vento e dalla pioggia. Natsu era terrorizzata e guardava il cielo nero che continuava a scaricarsi sui loro piccoli corpi, su quella città dove era solita passeggiare serena.
«Va tutto bene, Natsu, tra poco arriveremo a scuola, okay?» Shoyo la prese in braccio, gli sarebbe costata più fatica ma avrebbe potuto proteggerla un po’ di più da quelle intemperie.
Riprese il suo cammino e si chiese se, dall’altro lato, vi fosse qualcuno ad aspettarlo.
Ne era sicuro.
 
Tobio strinse la maniglia della porta principale, sentiva il peso dello sguardo di Sugawara alle sue spalle. Lui, Daichi e Asahi non avevano smesso un solo momento di confabulare e osservare i professori che erano rimasti a sorvegliare nei corridoi. Nessuno sembrava essersi accorto della scomparsa di Hinata e la cosa, anziché sollevare Tobio, non faceva altro che infastidirlo.
Come facevano a non notare il silenzio innaturale tra quelle mura? Non lo vedevano che mancavano i colori tra quegli intonachi sbiaditi?
«Tornerà!» Esclamò Daichi avvicinandosi con una mano protesa verso la sua spalla. La bloccò a mezz’aria, il suo kohai tremava e cercava di smettere aggrappandosi all’orizzonte con lo sguardo.
 
Shoyo vide la Karasuno apparire davanti i suoi occhi. Pochi metri e avrebbe vinto.
 
Tobio abbassò la maniglia scoprendo l’androne alla forza del vento.
 
«Oniichan, ho paura!» Natsu si aggrappò ancora più forte, sentiva il respiro pesante di suo fratello, stremato dallo sforzo. Camminava appoggiato al muro per cercare di tirarsi, contro corrente. La pioggia mista al fango che continuava a scivolare lungo il suo viso.
 
«Shoyo!» Tobio urlò il suo nome con così tanta potenza da sovrastare il rumore della pioggia che continuava a riversarsi su di lui.
 
«Va tutto bene, piccola. Siamo arrivati.» Hinata sollevò gli occhi e scontrò quelli scuri del suo setter.
Un tuono gli fece accapponare la pelle, facendogli perdere l’equilibrio quel tanto che bastava per fargli scivolare il piede sinistro dal marciapiede su cui stava camminando.
Non che vi fosse più reale differenza tra l’asfalto e quello scalino appena pronunciato.
Kageyama si fiondò verso di lui, le braccia protese come a stringerlo.
Voleva sentire il suo corpo tra le mani, quasi a constatare che fosse reale.
Shoyo si staccò di forza la sorella dal petto e la spinse in avanti. Lì, tra le braccia della persona che, ormai da un anno, riempiva le sue giornate.
Tobio accolse la bambina stringendola con un braccio, mentre con l’altra tentò di afferrare la mano del suo amico.
Le dita non arrivarono nemmeno a sfiorarsi, e Kageyama non sentì mai più la pelle di Shoyo sulla sua.
Lo chiamò ancora, a gran voce, con l’ardente desiderio di tuffarsi e catturarlo.
Ma Hinata era stremato, stanco, e felice di vedere al sicuro le due persone a cui più teneva. Natsu piangeva con singhiozzi rumorosi,  forse accompagnata dal petto scosso da fremiti di Tobio.
E il piccolo schiacciatore fu travolto da quel fiume di pioggia che fino a quel momento aveva combattuto con tutte le sue energie. Ed era tremendamente freddo.
Prima di lasciarsi vincere dalla stanchezza, Shoyo si chiese cosa ne sarebbe stato di quel mondo quando la sua esistenza sarebbe evaporata.
Sarebbe scomparso come in un sogno?
La pioggia sarebbe cessata e il sole sarebbe tornato a scaldare, come sempre?
 
Tobio fu portato dentro a forza da Daichi e da un professore che, trovando la bambina arrampicata al suo collo, non capì immediatamente la scena che si era miserevolmente consumata davanti gli occhi del setter.
La mano ancora protesa verso la strada ormai vuota, colma solo di una forza inarrestabile che aveva inghiottito il suo amico. Per sempre, probabilmente.
E prima di battere le ciglia, Tobio si chiese cosa ne sarebbe stato di quel mondo quando avrebbe riaperto gli occhi.
Sarebbe scomparso come in un sogno?
La pioggia sarebbe cessata e il sole sarebbe tornato a scaldare, come sempre?
 
Che poi come avrebbe fatto a scaldarlo il sole, che per sedici anni non aveva fatto altro che farlo tremare di freddo?
Tobio capì che l’ultima traccia di calore l’avrebbe trovata nel ricordo fievole delle mani di Hinata che staccavano le sue dita ancorate alla felpa, prima di gettarsi nel cortile.
O forse avrebbe ritrovato calore nelle mani di Natsu che non aveva smesso di rimanere attaccata al suo petto. Allora la circondò con le sue braccia, poggiò il viso sui suoi capelli dannatamente rossi e la strinse senza smettere un attimo di singhiozzare.
 
E Tobio non sentì mai più la pelle di Shoyo sulla sua.

 
Angolo autrice: Perdonatemi per l'orario scabroso, ma non era prevista questa pubblicazione. Volevo aspettare la prossima settimana, ma chissà perchè mi è saltata in mente e ho sentito davvero il bisogno di tirarla fuori.
Ero molto indecisa se pubblicarla o meno, ma oggi mi sento esattamente come i personaggi: sommersi dalla pioggia.
In realtà, dove abito, non vediamo il cielo plumbeo ormai da mesi (cosa alquanto preoccupante), per cui immedesimarmi in una tempesta non è stato semplice. Ma non tutte le tempeste sono fatte d'acqua.
Tutti noi, adesso, ne stiamo vivendo una.
Vi giuro che, almeno per questa settimana, la pianto qui con l'angst e comincio a tartassarvi di fluff e fanfic comiche! GIURO!

Spero di portarvi del buonumore, per oggi siete autorizzati a buttarmi i pomodori in testa <3
-Eli
   
 
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