Camelie
rosa, giacinti porpora
e
tulipani rossi
“Io
le proporrei delle gerbere. Una bella composizione
di gerbere di vari colori. Lo sa che ogni colore simboleggia qualcosa
di
diverso? Quelli gialli rappresentano benessere e lusso, mentre queste
arancioni
gioia e allegria. Le guardi, non sono stupende? Anche quelle rosa hanno
un bel
significato: ammirazione sincera. Io farei un cesto con tre vasetti di
fiori di
colore diverso...”
L’uomo
ascoltò distrattamente i consigli del fiorista
e annuì velocemente, alzando appena la testa dallo
smartphone.
“Sì,
sì, ci metta quelli che vuole, tanto non fa
differenza.”
Mario,
il fiorista, sbuffò e non lo fece neanche
discretamente. “I fiori non sono un regalo senza importanza!
Se non è in grado
di apprezzarli, dovrebbe andare a comprarli al supermercato!”
Così,
un po’ stranito, l’uomo lasciò perdere
il suo
telefono e guardò Mario con curiosità mista a
nervosismo. “Sta scherzando?”
“Assolutamente
no! Anzi, le chiedo di uscire dal
negozio al più presto.”
Il
mancato cliente, ancora scocciato, si infilò in
tasca il telefono e borbottando si avviò verso
l’uscita.
“Nonno!”
La voce di Ivan fece girare Mario verso
l’altro bancone del negozio. “Non dovresti trattare
così i clienti… Ricordi? Ne
abbiamo già parlato…”
“Guarda
che sarò anche vecchio, ma non sono
rincoglionito. Certo che mi ricordo che ne abbiamo parlato. Ma, come ti
ho già
detto, non servirò un damerino che non sa che differenza ci
sia fra un cactus e
il cu…”
“Nonno!”
Mario
sbuffò all’ennesimo richiamo. I giovani non
capivano niente. Regalavano fiori per farsi perdonare e non per
corteggiare,
passavano il tempo sui loro aggeggi luminosi e non guardavano
più in faccia
nessuno, non riconoscevano le sfumature dei colori e avevano il
cervello pieno
zeppo di macchie grigie con contorni ben definiti. Scosse la testa.
“Potresti
almeno essere più gentile? Se qualcuno non
ti piace, lo servo io, va bene? Non possiamo permetterci di perdere i
clienti,
altrimenti dovremo chiudere!”
Mario
annuì un po’ seccato e si girò
borbottando.
“Guarda,
sta arrivando la matta” disse Viviana, la
ragazza di Ivan, che si era avvicinata al fidanzato, indicando fuori
dalla
vetrina. Mario sbuffò di nuovo, ma lo sguardo del nipote,
che aveva afferrato
il suo disappunto, lo riportò al suo posto: non gli piaceva
quella ragazza e
non lo nascondeva al nipote che si innervosiva quando ne parlavano,
così
cercava di non aver motivi di discussione in negozio. Secondo Mario,
comunque,
Ivan meritava di meglio.
L'anziano
si girò verso la vetrina e osservò la donna
indicata dalla ragazza: più vicina ai sessanta che ai
settanta, la ‘matta’,
come la chiamavano in negozio, altri non era che una signora
dall’aspetto
antico, curato e custodito come un tesoro. Una donna d’altri
tempi, con un
linguaggio appropriato e una fantastica cultura floreale. I suoi
capelli bianchi
e grigi, di una sfumatura che Mario non aveva ancora definito e che
sembrava
cambiare a seconda della luce, erano corti e liberi, e le circondavano
il viso
ovale, stropicciato dal tempo, ma elegante e bellissimo. I suoi occhi
chiari si
intonavano con l’argento dei capelli e Mario era sicurissimo
che avrebbero
brillato del sorriso giusto, prima o poi.
Lei
chiedeva sempre le camelie. Camelie rosa. Veniva
considerata matta perché ogni settimana, da tre mesi a
quella parte, comprava i
fiori per portarli al cimitero sulla tomba del marito e poi, sulla
soglia del
giardino, non riusciva a entrare. Appoggiava dunque i fiori al cancello
e
scappava via in lacrime. Loro lo sapevano perché il negozio
di Ivan era poco
lontano dall’ingresso del campo santo e l’avevano
vista farlo più volte.
“Non
dovresti chiamarla ‘matta’, poverina. È
solo una
persona molto emotiva. Mi fa tanta tenerezza…” La
voce di Milena, la commessa,
era dolce e lei molto carina.
Mario
pensava che lei sarebbe stata la fidanzata
perfetta per Ivan, ma quel ragazzo non capiva un accidente.
Quando
la donna attraversò la strada diretta verso di
loro, Milena si avvicinò alla vetrina, pronta per
accoglierla e servirla.
“No,
Milena, vai dietro a preparare le rose. Servo io
la matta” disse Viviana, quasi ridacchiando.
“Perché?
L’ho sempre servita io, ogni volta le
do…”
“Sì,
le dai sempre camelie rosa. Non sarà così
difficile” ribatté, scocciata, l’altra,
che non lavorava in pianta stabile al
negozio ma, essendo la fidanzata di Ivan, il proprietario, si sentiva
la
padrona.
“Ma…
Magari oggi… E se volesse qualcos’altro? Tipo...
Tipo…” La ragazza si guardò intorno in
cerca d’aiuto. Neanche lei voleva che la
signora fosse lasciata nelle grinfie di Viviana.
“Forse
oggi vuole una pianta di elleboro” si intromise
Mario.
Il
viso di Milena si illuminò in un sorriso:
l’elleboro era il simbolo del cambiamento, della rinascita e
del
coraggio. “Oh, sarebbe fantastico!”
Viviana,
che non aveva capito lo scambio di battute
fra i due, scosse le spalle stizzita e alzò le mani al
soffitto, nervosa.
“Ivan, ma non dici niente a questi due?” Poi si
avviò verso il fondo del
negozio e rimase a guardarli con le braccia incrociate sul petto. Gli
altri
aspettarono che la donna aprisse la porta della vetrina.
“Buongiorno”
esordì la cliente.
“Buongiorno,
signora…” Milena, poverina, non aveva
capito se dovesse servirla o meno e lanciò
un’occhiata a Ivan che annuì.
La
donna, però, in quel breve momento di silenzio, mal
interpretò la sua interruzione e sorrise, presentandosi.
“Iris, mi chiamo Iris”.
Mario
spalancò occhi e bocca. “Il nome di un fiore! E
che fiore, signora Iris, se mi permette!”
La
donna abbassò lo sguardo e poi lo rialzò, come se
fosse arrossita. “Immagino che lo conosca, vero?”
chiese, con l’aria di chi
sapesse tutti i segreti del mondo, avvicinandosi al suo
bancone.
“L’Iris,
o giaggiolo, è un fiore elegante, simbolo di
fede e di speranza. Direi che è proprio il nome giusto per
lei!” La sua voce
era sincera e il suo sorriso smagliante.
“La
ringrazio” disse ancora, poi gli chiese se avesse
delle camelie. Voleva un mazzo di camelie rosa.
Mario
andò a prenderle nel retro del negozio e scelse
personalmente la sfumatura giusta: le camelie erano simbolo di
devozione eterna
e amore romantico. Quelle rosa, poi, si vestivano di nostalgia e
volontà di
ritrovarsi. Mario pensava che fosse il fiore giusto per una vedova che
aveva
perso il cuore lungo il cammino della vita.
Iniziò
a preparare il piccolo bouquet: ci mise
parecchia cura a scegliere la carta intonata e mise anche un
po’ di velo da
sposa per renderlo più consistente e grazioso, senza coprire
troppo le camelie.
Quando legò il fiocco scelse un colore chiaro e innocente,
che si intonava
magnificamente ai capelli della donna.
Mentre
glielo consegnava, con un sorriso le disse:
“Chissà che oggi non sia la giornata giusta,
signora Iris, che non riesca a
varcare finalmente quel cancello”.
Iris
spalancò gli occhi alle sue parole e lasciò
cadere per terra il portafoglio, con cui stava pagando, i suoi occhi si
riempirono di lacrime, si girò e uscì dal
negozio, lasciando lì fiori e
borsellino.
Mario
rimase immobile, con gli occhi sbarrati e il
mazzo di fiori per aria. Poi si voltò verso gli altri due:
Milena premeva la
mano sulla bocca e i suoi occhi verdi erano spalancati, mentre Ivan,
sorpreso
quanto Mario, non sapendo che dire, provò a rimproverarlo:
“Nonno! Ma…”
Non
finì la frase perché si rese conto di non sapere
cosa dire, così scosse le spalle e raggiunse Viviana, che
brontolava nervosa.
“Quel vecchiaccio ha colpito ancora…”
Mario,
questa volta, non rispose alla provocazione di
Viviana perché veramente non aveva capito cosa era successo.
Lui non l’aveva
fatto apposta, come con il cliente dello smartphone, ma qualcosa doveva
aver
sbagliato, visto la reazione che aveva avuto Iris.
“Io…
Io… non volevo… non…”
cercò di giustificarsi
Mario. Fece il giro del bancone, vi appoggiò sopra il mazzo
e si chinò per
raccogliere il portafoglio di Iris. Lo prese e lo diede a Milena,
dicendo:
“Tienilo lì, se torna a
prenderlo…”
Per tutto il pomeriggio Mario guardò la porta del negozio e, per tutto il pomeriggio, venne deluso ogni volta che il campanello posto in alto suonava avvisando l’entrata di un cliente: Iris non tornò.
***
Quella
sera, dopo la chiusura del negozio e aver
sbirciato i documenti nel portafoglio di Iris, Mario bussò
alla porta di una
casetta gialla appena prima della periferia della città.
“Sì?”
gli chiese l’uomo biondo, ben vestito, che gli
aprì la porta.
“Buonasera”
disse, quasi piccato. “Abita qui Iris Moratti?”
Il
biondo alzò un sopracciglio e lo guardò da capo a
piedi, poi rispose: “È mia suocera, lei chi
è?”
Mario,
nonostante non gli piacesse il tono del genero
di Iris, decise di passarci sopra e sorridere. “Iris sta
bene?”
Lui
scosse le spalle. “Come al solito. Perché la sta
cercando?”
“Sono
Mario, del negozio di fiori. Ha lasciato questi
in negozio” spiegò, consegnandole il portafogli e
il bouquet di camelie.
“Quella
donna non si può lasciarla da sola! Dafne!” La
sua voce non tradiva per niente il fastidio che sentiva e Mario
iniziò a
innervosirsi.
“Sì?”
Una donna sulla quarantina abbondante apparve
sulla soglia e Mario riconobbe i tratti di Iris sul suo viso: doveva
essere la
figlia.
“Il
fiorista dice che tua madre ha dimenticato i fiori
e i soldi in negozio. Te lo dicevo che ha bisogno di una
badante!”
“No,
mi scusi. C’è stato un errore. Iris non ha fatto
niente di…” Mario provò a difendere la
donna, ma il marito di Dafne se ne andò
gesticolando nervoso.
“Ci
scusi lei, mio marito è un po’ nervoso
ultimamente… Grazie per aver restituito le cose di mia
madre. Gliele faccio
avere subito.”
La donna sorrise e, dopo essere stato rassicurato sul fatto che Iris stesse meglio, Mario la lasciò sulla porta di casa e tornò verso la sua dimora, molto più sereno e contento del fatto che anche la figlia avesse il nome di un fiore: doveva essere un segno.
***
“Buongiorno…”
Iris
fece capolino nel negozio due giorni dopo,
portando un sorriso imbarazzato e reggendo un vassoio della pasticceria
che
c’era in fondo alla strada.
“Signora
Iris!” la salutò Milena, andandole incontro e
lasciando a metà il lavoro che stava facendo. Si
asciugò le mani sul grembiule
che aveva legato in vita e le sorrise chiedendole come stesse.
“Grazie,
sto bene. Mi spiace per l’altro giorno,
io…”
La sua voce si affievolì un po’, mentre si
guardava intorno.
“Non
si preoccupi, non è successo niente” la
rassicurò
Ivan.
Lei
annuì senza dire niente e gli porse il cabaret di
pasticcini. “Ho pensato di farmi perdonare e vi ho portato un
pensiero…”
“Oh,
ma non doveva… Che gentile!” Milena sorrideva
alla donna, mentre Ivan le prendeva dalle mani il vassoio.
“Volevo
anche ringraziare il signor Mario che è venuto
a casa…” disse ancora Iris, guardandosi intorno,
ma senza vedere la persona per
cui si era presentata in negozio.
“Oh,
mio nonno sta arrivando, vuole accomodarsi e
aspettarlo? Intanto così assaggiamo queste
meraviglie!” Ivan le porse uno
sgabello e sistemò il vassoio sul bancone pulito, quello
vicino alla cassa,
aprendone la carta.
Iris
si sedette ringraziando e i tre iniziarono a
chiacchierare. Fu così che Mario, quando arrivò,
vide Iris sorridente e serena,
seduta sul suo sgabello.
“Signora
Iris!” esclamò quando aprì la porta.
“Nonno!
Vieni a prendere un pasticcino che ci ha
portato la signora Iris” lo invitò Ivan, ma Mario
si avvicinò alla donna seduta
e non degnò nessun altro di attenzione.
“Sono
contento che sia tornata. Vorrei farle le mie
scuse per…”
“No,
no. Sono io che dovrei scusarmi…”
Quando
Ivan tentò di avvicinarsi ai due per parlare
con il nonno, Milena lo tirò per un braccio. “Cosa
c’è?” chiese lui, stranito.
“Lasciali
fare!” sussurrò Milena, indicando con la
testa. Ivan annuì e stette a guardare.
“Mario,
perché non porta la signora Iris a prendere un
tè al bar in fondo alla strada?” propose la
ragazza, pensando che presto
avrebbero avuto clienti e probabilmente lei se ne sarebbe andata per
non
disturbare.
“Oh,
sì, buona idea. Mi farebbe l’onore della sua
compagnia?” le chiese Mario, porgendole il braccio piegato
come a un
ricevimento di gala.
Iris
annuì sorridendo e infilò la mano
nell’incavo del
suo gomito.
Quando
uscirono dalla vetrina, Milena sospirò. “Tuo
nonno è così galante!” disse, con occhi
sognanti. “Chissà com’era bello da
giovane…”
Ivan
prese un pasticcino e disse, prima di addentarlo:
“Dicono tutti che ci assomigliamo”. Milena rise e
lui si voltò a lanciarle
un’occhiataccia. “È vero!”
esclamò.
Ma
la ragazza ridacchiò ancora.
“Forse…” lo
accontentò. Ma lui capì che lo stava assecondando
e arricciò il naso.
“Vorresti
dire che non sono bello?”
“O
magari che non sei galante…”
“E
quand’è che non sarei stato galante?”
sbottò,
infastidito.
“Ma,
non so, c’è solo l’imbarazzo della
scelta… Forse
con Giulia in terza media. O con Anita in seconda superiore. Con
Claudia al
campo da calcio o anche con…”
“Sì,
vabbè ho capito”. Ivan se la prese un
po’ e le
girò le spalle.
“Dai,
non prendertela!” Ma Milena rise mentre glielo
diceva e Ivan si arrabbiò un po’ di
più. Quando la ragazza lo capì, tornò
seria
e gli si avvicinò. “Ehi…
Dai…”
Quando
capì che lui c’era rimasto male davvero, Milena
si sentì in colpa. “Ok, scusa… non
dovevo esagerare…” Gli mise una mano sulla
spalla, cercando di farlo girare verso di lei e, nonostante la sua
resistenza,
riuscì a guardarlo in viso e notare quanto l’aveva
ferito la sua
affermazione. Il campanello della porta annunciò
un cliente, ma nessuno
dei due alzò il capo verso l’entrata e rimasero a
fissarsi negli occhi.
“Che cazzo sta succedendo qui?” trillò Viviana e tutti e due i ragazzi trasalirono.
***
“Volevo
scusarmi per come sono scappata via…”
iniziò
Iris, quando si sedettero a un tavolino.
“Non
è lei a doversi scusare, Iris, anzi, sono io che
non mi sarei dovuto permettere…” la interruppe
Mario.
“No,
no, assolutamente! Lei non ha fatto niente. Mi ha
anche riportato a casa i fiori e il portafoglio. Lei è stato
gentilissimo!”
“Sa
cosa dovremmo fare? Accettiamo tutti e due le
scuse dell’altro e magari…” Mario prese
fiato e poi fece quella che per lui era
una proposta azzardata: “Potremmo darci del tu?”
Iris
abbassò gli occhi, ma sorrise.
“Volentieri”
disse. Quando la cameriera portò le ordinazioni tutti e due
rimasero zitti, ma
continuarono a guardarsi sorridendo.
Dopo
due tè e tante, tantissime chiacchiere, Mario si
offrì di accompagnarla a casa e Iris accettò.
Quel
pomeriggio fu il primo, il primo in cui Iris
stette fuori di casa per più di tre ore e in cui
chiacchierò con qualcuno che
non avesse conosciuto Franco, suo marito. Qualcuno che non glielo
ricordasse,
che non era triste per la sua scomparsa e la guardava male se tentava
di ridere
per qualcosa di leggero.
Fu il primo di una serie di pomeriggi indimenticabili, fatti di risate, cappuccini, tè e occhiate velate.
***
“Oggi
vorrei comprare delle camelie rosa…” disse un
bel giorno Iris, mentre in negozio osservava Mario fare magie e rendere
anche
una semplice gerbera un regalo prezioso e intimo.
“Oggi
ho proprio delle camelie bellissime, sai?” la
informò Mario, ammiccando. “Vuoi
vederle?” Iris annuì e seguì
l’uomo nel
retrobottega.
Ivan
guardò i due anziani sparire oltre l’uscio e si
affrettò a spiarli dalla porta a vetri: suo nonno
accarezzava i fiori come se
fossero stati il corpo di una bella donna, mentre li mostrava a Iris e
lei era
molto tranquilla, annuiva e sorrideva.
“Mil…”
esclamò, chiamando l’amica per condividere con
lei quel segreto, ma si interruppe quando si ricordò che lei
non lavorava più
lì con loro.
Sospirò
e guardò ancora nel retro: suo nonno Mario e
Iris ora chiacchieravano fitto, come se fossero amici da anni o
addirittura da
secoli. Ivan tornò al suo posto sospirando e riprese in mano
le forbici.
“Cosa
c’è?” La voce di Viviana, dal fondo del
negozio,
gli ricordò di non essere solo.
“Niente,
niente…” Ivan abbassò lo sguardo e la
sua
ragazza fece una smorfia di disprezzo.
“Cercavi
Milena, vero?” Quando il ragazzo non parlò,
si avvicinò a lui. “Rispondimi! Volevi dire a
Milena che la pazza ha deciso di
provare ad andare al cimitero!” La sua voce era dura, ma
almeno sussurrava per
non farsi sentire nel retrobottega. “Perché hai
cercato lei e non me?” Viviana
prese per un braccio Ivan e lo strattonò.
“Perché?”
“Perché
tu sei una stronza, ecco perché! Contenta?” Il
ragazzo sbottò e scappò fuori dal negozio.
“Dov’è
andato Ivan?” Viviana si girò alla voce di
Mario che domandava dove fosse il nipote. Lei scosse le spalle e fece
finta di
niente. “Non lo so”.
Mario guardò la porta del negozio aggrottando la fronte, ma decise di lasciar perdere e si voltò verso Iris. “Vieni, facciamo un bel mazzo e poi ti accompagno”.
***
“Preferisci
andare da sola o vuoi che ti accompagni?”
La voce di Mario per un attimo aveva tentennato quando, davanti al
cimitero in
quel tardo pomeriggio, aveva posto la domanda a Iris.
“Vado
da sola. Oggi è il giorno giusto” rispose la
donna. Le sue mani tremarono, mentre afferravano meglio la base del
mazzo e i
suoi occhi si inumidirono guadando il giardino del riposo eterno, prima
di
voltarsi di nuovo verso Mario in una muta richiesta.
L’uomo
si avvicinò alla donna e le prese una mano, la
baciò e poi posò un fiore essiccato sul suo
palmo. “Ti aspetterò qui, Iris,
prenditi il tempo che ti serve”.
Lei
sgranò gli occhi.
“Cos’è?”
“Un
elleboro. È un fiore simbolo di rinascita, si dona
a qualcuno che ha bisogno di coraggio per affrontare un
cambiamento.”
Gli
occhi di Iris questa volta lacrimarono davvero.
Una piccola, tonda e lucida lacrima lasciò i suoi occhi e
scivolò sul suo viso,
quando lei annuì.
“Grazie.”
Mario
gliela asciugò con un dito e si chinò a darle un
bacio sulla guancia. Quando lei si girò per inoltrarsi nel
cimitero, lui infilò
le mani in tasca e la guardò oltrepassare il cancello e la
seguì con lo sguardo
finché non sparì dalla sua vista.
Pazientemente si preparò ad aspettare.
*
Milena
aveva osservato la scena mentre puliva il
marciapiede davanti al bar dove lavorava da tre mesi,
sospirò quando Iris
riuscì a varcare l’ingresso e sorrise commossa,
riprendendo a lavorare. Non
guardò mai verso la vetrina del negozio di fiori proprio in
fondo alla strada,
dall’altra parte della via, non la guardava da due mesi.
Quando
Viviana l’aveva accusata di aver manipolato
Ivan alle sue spalle, e lui non aveva detto una parola per difenderla,
Milena
aveva capito di provare veramente qualcosa per il ragazzo e che
continuare a
lavorare con lui gomito a gomito non sarebbe stata una buona idea.
Così si era
licenziata; sapeva che il bar dell’angolo cercava da tempo un
aiutante, e lei
non aveva avuto difficoltà a farsi assumere: tutti nella via
la conoscevano e
sapevano che era una brava lavoratrice.
All’inizio
aveva pensato che Ivan sarebbe andato a
cercarla, non perché sperava che lui ricambiasse i suoi
sentimenti, ma proprio
in onore della loro amicizia, ma Ivan non si era mai presentato al bar.
Dopo
le pulizie giornaliere, Milena chiuse il locale,
tirò giù le saracinesche e si
incamminò verso casa. C’era buio, ma lei abitava
vicino e le piaceva tornare a casa a piedi.
“Milena!”
La ragazza si voltò quando si sentì
chiamare: era quasi entrata dal portone di casa.
“Ivan,
che ci fai qui?” gli chiese, perplessa, quando
lo riconobbe.
“Volevo
dirti che oggi Iris è entrata al cimitero.”
Il
sorriso della ragazza illuminò la sera.
“Sì, ho
visto lei e tuo nonno davanti al cancello. Lui è stato
molto…” La ragazza si
interruppe, non volendo raccontare come si era commossa a vedere Mario
che
accarezzava le guance della donna, sapendo che l’ultima volta
aveva portato un
litigio fra di loro.
“È
stato molto galante” concluse per lei il ragazzo,
usando le stesse parole dell’altra volta. Milena si
innervosì quando capì che
lui lo aveva fatto apposta.
“Cosa
vuoi, Ivan?” chiese, un po’ dura.
“Oggi,
dopo averli visti, ho pensato che…”
iniziò lui,
ma la ragazza lo interruppe: “Non pensavo fossi capace di
pensare…”
Ivan
capì che lei era ancora arrabbiata, così le porse
il bouquet che aveva dietro la schiena: tre giacinti viola. Anzi, color
porpora.
Milena
spalancò gli occhi e la sua bocca formò una O
perfetta; Ivan sorrise ma cercò di non sembrare troppo
vittorioso.
“Sono
per me?” chiese lei, ancora stupita. Il ragazzo
riuscì solamente ad annuire con il capo.
“Giacinti
porpora. Tre giacinti porpora.”
“E
perché… Oh!” Quando capì il
significato del mazzo
Milena arrossì.
“Devo
farmi perdonare” spiegò. Indicò il
primo fiore.
“Per non averti difeso con Viviana, quando ti ha accusato di
volerci provare
con me…” Si morse il labbro e indicò il
giacinto di fianco. “Per non essermi
fatto vivo dopo che te ne sei andata e…”
Toccò quello sotto: era il più bello e
il più grande, lo sfilò dal mazzo e si
avvicinò a lei, porgendoglielo. “Per non
averti mai detto quanto tengo a te…”
La
ragazza sorrise e i suoi occhi si colmarono di
felicità. “Ivan…” disse
prendendo il fiore. “E Viviana?”
“Le
ho detto che voglio stare con te.”
“E
se io ti dicessi di no?”
Lui
sbarrò gli occhi. “Non cambia niente. Io volevo
solo che lo sapessi…” rispose, ma
abbassò il braccio che reggeva il mazzo con i
due fiori e si voltò, imbarazzato, consapevole della sua
sconfitta.
“Ivan,
anch’io voglio stare con te!” esclamò
Milena
quando vide che lui stava per andarsene. Il ragazzo si girò
e lei si buttò fra
le sue braccia.
***
“Oggi
esco prima.”
Ivan
alzò la testa dal ricevitore di cassa e guardò il
nonno. “Dove vai?”
“Porto
Iris a cena fuori. Che dici?”
“Mi
sembra un'ottima idea” disse, guardando il bouquet
che stava preparando. “Tulipani?”
Mario
sorrise. “Già...”
“Una
dichiarazione seria, eh?” Mario non disse niente,
ma sorrise ancora. Ivan era contento. Da quando aveva conosciuto Iris
suo nonno
sembrava un’altra persona: era più socievole con i
clienti e non borbottava più
contro chi non apprezzava i fiori. Oh, forse un po’ lo
faceva, sì, ma meno di
prima.
Il
campanello sopra alla porta suonò e il ragazzo si
avviò verso l’entrata per tenere aperto
l’uscio alla ragazza che stava entrando
con il vassoio e i caffè.
“Buongiorno!
Vi ho portato i cappuccini!” Milena entrò
con un sorriso e portando l’aria della primavera.
Posò il vassoio sul bancone
e, mentre Mario si avvicinò al suo cappuccino, Ivan la
trascinò nel
retrobottega per rubarle più di un bacio.
Quando uscirono lei aveva fra i capelli il bocciolo di una rosa rossa dai petali vellutati. Mario la conosceva: era la più raffinata di tutte, un esemplare bellissimo. Sorrise perché sapeva che Ivan era consapevole di ciò che faceva, questa volta.
***
“Dovrai
perdonarmi, ma sono stata da un altro
fiorista, oggi.”
La
voce di Iris lo accolse sulla porta, ma lei era
ancora in camera, quando Mario entrò in casa sua. Nascondeva
dietro la schiena
un mazzo di cinque tulipani, ma rimase di sasso quando lei gli fece
quella
confessione.
“Dove
sei stata?” le chiese, entrando in salotto e
aspettandola.
Iris
abbottonò il golfino di lana rossa mentre faceva
il suo ingresso e gli sorrise, mostrando un piccolo bouquet di tre
fiori: erano
tulipani rossi, proprio come i suoi.
Mario
rimase a bocca aperta: lei aveva comprato dei
tulipani! Quando le mostrò il suo mazzo, Iris rise, rise di
quella risata che
riempiva il cielo, il tempo e il cuore di Mario da un bel po’
di tempo.
“Abbiamo
avuto la stessa idea!” esclamò lei, per
niente turbata e contenta. Iris era cambiata negli ultimi mesi: il suo
sorriso
era radioso e i suoi occhi non erano più costantemente
velati di malinconia o
lacrime, i suoi capelli ora erano sempre acconciati anche se avevano
ancora il
colore della neve, come se lei ci tenesse particolarmente e si facesse
bella
per Mario.
Mario
aveva notato tutte queste cose, e le adorava.
Gli piaceva tenerle la mano quando parlavano e accarezzarle le dita
quando lei
raccontava di qualcosa che la faceva ridere o la inteneriva.
Iris
invece pensava che Mario fosse l’uomo più gentile
del mondo, colui che l’aveva accompagnata nel viaggio
più difficile della sua
vita, che le aveva concesso di essere triste e nostalgica senza mai
farle
pesare quando lo era o quando non lo era. Era semplicemente se stessa.
Sulla
sua spalla lei aveva pianto e riso e, in quel momento,
pensava di essere pronta per stare al suo fianco per
sempre. Una cosa che mai aveva provato, lei che aveva conosciuto solo
un uomo
in tutta la sua vita, voleva andare avanti, voleva vivere.
Si
scambiarono i mazzi ancora ridendo e Mario le
chiese se fosse pronta per uscire.
“Io
sono pronta per molto più di questo.”
Iris
appoggiò il bouquet sulla credenza e si avvicinò
a lui. Le loro labbra si incontrarono in un bacio leggero e delicato.
“Sei
sicura? Io posso…” iniziò a dire lui.
“Mai
stata più sicura di così”. E
così dicendo, chiuse
di nuovo gli occhi.
Mario non ebbe bisogno di altre spiegazioni: si chinò su di lei, le prese il viso fra le mani e baciò il suo Iris, il fiore che racchiudeva tutto l’arcobaleno.
--
-
***Eccomi qui, sono tornata con un'altra OS, questa volta volevo scrivere di due persone 'mature' e non di adolescenti, ma non riuscivo a trovare un'idea per partire e ho chiesto aiuto sul gruppo di Facebook, dove una ragazza è stata veramente gentile a darmi questo prompt:
"Lei è vedova, e va dal fioraio per comprare dei fiori da portare al marito al cimitero, quando scoppia a piangere. Lui fa il fioraio, assiste alla scena e in qualche modo cerca di consolarla."
Io ci ho provato, ma non sono contentissima del risultato, i personaggi avrebbero meritato molto di più, ma non riuscendo a scriverla, alla fine ho deciso di chiuderla e basta, mi dispiace tantissimo (e ho dovuto cmq metterci una coppia giovane, mannaggia!! 😅) spero che non faccia troppo schifo.
ps. il significato dei fiori è così ampio come argomento che alla fine ho scelto un sito e tenuto buono solo quello, scusate, ma non so niente di piante, a casa mia si suicidano anche quelle di plastica 😅