Lovely Hate & Lovely Blood
A/N: Dato che non
è un manga
edito in Italia e che per questo è poco conosciuto, vi
sintetizzo la
situazione da cui parte questa FF.
La storia inizia quando lo
studente Tagami Masataka viene preso a servisio della famiglia Saiki
per il periodo della scuola di preparazione prima di fare il test di
ammissione per un'importante scuola.
Masataka all'inizio prova molta
stima e ammirazione per il figlio di Saiki, Souma e decide di
proteggerlo ad ogni costo. Ma una sera, incoraggiato dalla sorella di
Suoma, Sakurako, va nella casetta a nord della residenza e in un
armadio trova tutte foto di Souma con varie donne e vari uomini,
così
Souma, che lo aveva seguito, lo stupra.
Matsushita, fratello di
Masataka, si trova in grossi guai e Souma, in cambio del corpo di
Masataka a tempo indeterminato, si offre di aiutare il fratello e
spilla grosse somme di denaro per ripagare i debiti di Matsushita.
Infine
Masataka viene a sapere da Souma dell'arresto e dell'esecuzione del
fratello, molto più tardi della data effettiva e presso
dalla rabbia
dice a Souma (che già in precedenza aveva palesato a Masa il
volersi
suicidare) che avrebbe preferito fosse morto lui.
Il resto non lo dico se a qualcuno venisse la pazza idea di leggere
Sakura Gari xD
***
«Voi, vorrei foste
morto
voi!»
Erano state queste le dure parole di quel ragazzo, che in
quel momento sembrava un angelo che piangeva sangue.
Non lo aveva fatto apposta.. o forse si?
Si rendeva conto che stava sbagliando tutto, ma la paura di
perdere Masataka lo faceva raggelare, lo paralizzava… e
tutti questi sentimenti
li doveva tenere dentro, perché ormai Masataka lo odiava, lo
schifava, lo
voleva addirittura morto.
Ma come altrimenti poteva averlo? Se non l’odio,
null’altro
li legava. Solo l’odio di Masa poteva farli restare uniti.
La vittima e il rapitore.
Perché non un’illusione?
Apparentemente Masa poteva sembrare la vittima di questo
atroce misfatto, ma era Lui a divenir pazzo, a dipendere da ogni
singolo
istante, da ogni singola sillaba di Masataka.
E’ lui che ogni notte soffre per averlo, perché sa
che è
odiato per tutto questo…
A lui Masataka non sorride più.
E si richiuse la porta alle spalle pensando che forse
gliel’avrebbe dovuto dire prima della morte di Matsushita, ma
se questo fosse
successo, c’erano il 99% delle possibilità che
Masa se ne sarebbe andato no?
Non era stato capace di mantenere la promessa che gli aveva
fatto… non era stato capace di difendere il fratello.
Camminava lungo il corridoio, le parole di Masataka che gli
rimbombavano nella testa, non riusciva a togliersele di dosso, e nel
frattempo
ricordava tra malinconia e sensi di colpa tutte le volte che Masa aveva
sussurrato il suo nome, così stentato, così
implorante.
Com’era crudele.
Si vergognava di se stesso, ma era troppo forte l’attrazione
che Masataka esercitava su di lui, e involontariamente perdeva la
testa, ogni
volta, ogni volta.
Passava davanti a quella stanza chiusa, piena di ricordi e
di sangue, passava davanti a quella stanza quando altri ricordi, che
erano
puliti, senza macchia né odor di sangue e peccato, emersero
dalle profondità di
quella mente torbida e incomprensibile, quella mente odiata da Souma.
Era sotto quel dannato ciliegio, quando vide per la prima
volta Masa, quando lo assunse come studente in casa. Allora Masataka lo
adorava.
L’ultima volta che Masa gli sorrise aveva invitato Souma a
vedere i fuochi d’artificio sulla riva del fiume.
Prese a camminare più velocemente.
Le parole di Masa sempre più presenti.
E la sua convinzione sempre più pressante.
Appena Tagami arrivò in quella casa, la prima cosa che gli
chiese Souma era stata quella di ucciderlo.
Implicitamente ci era riuscito finalmente ad adempiere
quell’arduo compito.
Una katana.
La gettò a terra e si rimboccò le maniche della
camicia
immacolata.
Iniziò a staccare i pannelli che impedivano
l’accesso a
quella stanza, uno per uno, e ogni volta che li rompeva, schegge e
chiodi gli
perforavano le mani , facendole sanguinare dolorosamente.
E ogni goccia di sangue cremisi che usciva da quelle mani
era una coltellata al suo cuore.
Non reggeva più.
Voleva sparire.
E nonostante tutto era ancora lì, a staccar assi e chiodi
dal muro, a sentire il dolore che gli bruciava fuori ribollire e
specchiarsi
dentro di sé.
Stava scoppiando.
L’acqua
scorreva
dentro quella vasca.
La stessa vasca dove
10 anni prima aveva assassinato la sua matrigna, la stessa stanza in
cui
divenne un demone.
E ora stava per
finire tutto.
L’acqua che debordava
da quell’ ammasso di pietra e cadeva sul pavimento facendo
rumore.
Rumore lamentoso e
malinconico.
Rumore snervante e
rilassante.
Il rumore della fine.
Lama affilata.
Sangue caldo che scorre lento.
Ricordi che riaffiorano nella mente.
Souma ricordava Masataka: il suo profumo, la sua pelle, le
sue notti, la sua voce implorante.
Tutte le volte che lo aveva fatto suo, volente o no, tutte
le volte che lo aveva baciato, toccato, assaporato.
Ricordava tutto di lui, la sua innocenza e la sua
esitazione, la sua trepidanza e la sua riluttanza.
E di tutti quei momenti che per lui erano stati speciali,
ora ne rimaneva solo il ricordo…
«…e un odio profondo» sussurrava a se
stesso.
Non c’è che dire, avrebbe voluto un finale
migliore.
In un impeto di rabbia e dolore, fece quello che si era
ripromesso di non fare.
Da dietro lo attirò a sé, tenendolo stretto, una
mano
sotto l’hakama.
Sentiva i tremiti del suo corpo ogni volta che osava
andare oltre la normalità, il corpo ingenuo di Masataka che
tremava ed esitava.
Sapeva quello che stava succedendo?
Lui si che lo sapeva, lo sapeva bene ciò che stava
succedendo, ciò che stava provando e , in quel miscuglio di
sentimenti contorti
e incoerenti, continuava
a pensare a
quanto crudele potesse sembrare.
Non poteva fuggire.
Fuggire.
La paura di perdere Masataka era per lui troppo grande
per pensare all’odio che ne sarebbe conseguito.
Slacciava l’ hakama, toglieva il kimono, toccava quella
pelle morbida.
E fra discorsi di lussuria e innocenza, di amore,
tentazione e filosofia, lui teneva Masataka fra le braccia, con forza,
ma lo
teneva.
Masataka sudava freddo, poteva sentirlo sulla sua pelle,
Masataka chiedeva di fermarsi, ma lui non ascoltava il ribelle, anzi lo
legava
e lo puniva entrando dentro di lui.
Per quanto crudele potesse apparire in realtà il cuore di
Souma piangeva, ma la disperazione imperversava dentro di lui e
penetrava nelle
sue viscere con intensità maggiore al suo dolore.
E lui si sfogava sul suo caro Masa.
Carezzava il suo torace, baciava le sue labbra, mordeva
il suo collo, tutto in un piacevole senso di quieta disperazione.
Bastava che Tagami dicesse il suo nome.
E non gli importava se e quanto l’avesse odiato, a Souma
bastava che Tagami Masataka chiamasse il suo nome, che lo guardasse
ancora come
allora, che gli donasse il suo sorriso.
Ma Tagami Masataka non gli sorrise più.
E la notte sovrastava, Souma e Masa ormai divisi.
Dov’è sparita la notte dei fuochi
d’artificio?
Gli occhi annebbiati.
Suoi indistinti di
voci tremanti.
Il sangue Caldo.
Le fredde mani.
Ormai stava morendo…
…«SOUMA-SAMA!»
Alzò la testa, lo guardò sorridente. Il suo
splendido
sorriso malinconico.
«…Masataka, guarda. Così è
sufficiente…?»chiese con tono che
implorava perdono.
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