Anime & Manga > Sakura Gari
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Autore: LetShizueGo    22/08/2009    5 recensioni
Una One-Shot su Sakura Gari, manga di Yuu Watase.
Scena tratta dal capitolo 5 del secondo voulme.
Non è edito in Italia.
[SoumaxMasa]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lovely Hate & Lovely Blood






























Lovely Hate & Lovely Blood

A/N: Dato che non è un manga edito in Italia e che per questo è poco conosciuto, vi sintetizzo la situazione da cui parte questa FF.
La storia inizia quando lo studente Tagami Masataka viene preso a servisio della famiglia Saiki per il periodo della scuola di preparazione prima di fare il test di ammissione per un'importante scuola.
Masataka all'inizio prova molta stima e ammirazione per il figlio di Saiki, Souma e decide di proteggerlo ad ogni costo. Ma una sera, incoraggiato dalla sorella di Suoma, Sakurako, va nella casetta a nord della residenza e in un armadio trova tutte foto di Souma con varie donne e vari uomini, così Souma, che lo aveva seguito, lo stupra.
Matsushita, fratello di Masataka, si trova in grossi guai e Souma, in cambio del corpo di Masataka a tempo indeterminato, si offre di aiutare il fratello e spilla grosse somme di denaro per ripagare i debiti di Matsushita.
Infine Masataka viene a sapere da Souma dell'arresto e dell'esecuzione del fratello, molto più tardi della data effettiva e presso dalla rabbia dice a Souma (che già in precedenza aveva palesato a Masa il volersi suicidare) che avrebbe preferito fosse morto lui.
Il resto non lo dico se a qualcuno venisse la pazza idea di leggere Sakura Gari xD

***

«Voi, vorrei foste morto voi!»
Erano state queste le dure parole di quel ragazzo, che in quel momento sembrava un angelo che piangeva sangue.
Non lo aveva fatto apposta.. o forse si?
Si rendeva conto che stava sbagliando tutto, ma la paura di perdere Masataka lo faceva raggelare, lo paralizzava… e tutti questi sentimenti li doveva tenere dentro, perché ormai Masataka lo odiava, lo schifava, lo voleva addirittura morto.
Ma come altrimenti poteva averlo? Se non l’odio, null’altro li legava. Solo l’odio di Masa poteva farli restare uniti.
La vittima e il rapitore.
Perché non un’illusione?
Apparentemente Masa poteva sembrare la vittima di questo atroce misfatto, ma era Lui a divenir pazzo, a dipendere da ogni singolo istante, da ogni singola sillaba di Masataka.
E’ lui che ogni notte soffre per averlo, perché sa che è odiato per tutto questo…
A lui Masataka non sorride più.
E si richiuse la porta alle spalle pensando che forse gliel’avrebbe dovuto dire prima della morte di Matsushita, ma se questo fosse successo, c’erano il 99% delle possibilità che Masa se ne sarebbe andato no?
Non era stato capace di mantenere la promessa che gli aveva fatto… non era stato capace di difendere il fratello.
Camminava lungo il corridoio, le parole di Masataka che gli rimbombavano nella testa, non riusciva a togliersele di dosso, e nel frattempo ricordava tra malinconia e sensi di colpa tutte le volte che Masa aveva sussurrato il suo nome, così stentato, così implorante.
Com’era crudele.
Si vergognava di se stesso, ma era troppo forte l’attrazione che Masataka esercitava su di lui, e involontariamente perdeva la testa, ogni volta, ogni volta.
Passava davanti a quella stanza chiusa, piena di ricordi e di sangue, passava davanti a quella stanza quando altri ricordi, che erano puliti, senza macchia né odor di sangue e peccato, emersero dalle profondità di quella mente torbida e incomprensibile, quella mente odiata da Souma.
Era sotto quel dannato ciliegio, quando vide per la prima volta Masa, quando lo assunse come studente in casa. Allora Masataka lo adorava.
L’ultima volta che Masa gli sorrise aveva invitato Souma a vedere i fuochi d’artificio sulla riva del fiume.
Prese a camminare più velocemente.
Le parole di Masa sempre più presenti.
E la sua convinzione sempre più pressante.
Appena Tagami arrivò in quella casa, la prima cosa che gli chiese Souma era stata quella di ucciderlo.
Implicitamente ci era riuscito finalmente ad adempiere quell’arduo compito.
Una katana.
La gettò a terra e si rimboccò le maniche della camicia immacolata.
Iniziò a staccare i pannelli che impedivano l’accesso a quella stanza, uno per uno, e ogni volta che li rompeva, schegge e chiodi gli perforavano le mani , facendole sanguinare dolorosamente.
E ogni goccia di sangue cremisi che usciva da quelle mani era una coltellata al suo cuore.
Non reggeva più.
Voleva sparire.
E nonostante tutto era ancora lì, a staccar assi e chiodi dal muro, a sentire il dolore che gli bruciava fuori ribollire e specchiarsi dentro di sé.
Stava scoppiando.

 L’acqua scorreva dentro quella vasca.
La stessa vasca dove 10 anni prima aveva assassinato la sua matrigna, la stessa stanza in cui divenne un demone.
E ora stava per finire tutto.
L’acqua che debordava da quell’ ammasso di pietra e cadeva sul pavimento facendo rumore.
Rumore lamentoso e malinconico.
Rumore snervante e rilassante.
Il rumore della fine.


Lama affilata.
Sangue caldo che scorre lento.
Ricordi che riaffiorano nella mente.
Souma ricordava Masataka: il suo profumo, la sua pelle, le sue notti, la sua voce implorante.
Tutte le volte che lo aveva fatto suo, volente o no, tutte le volte che lo aveva baciato, toccato, assaporato.
Ricordava tutto di lui, la sua innocenza e la sua esitazione, la sua trepidanza e la sua riluttanza.
E di tutti quei momenti che per lui erano stati speciali, ora ne rimaneva solo il ricordo…
«…e un odio profondo» sussurrava a se stesso.
Non c’è che dire, avrebbe voluto un finale migliore.

 Disperato non sapeva che fare, se ne stava andando, lo sentiva sempre più distante.
In un impeto di rabbia e dolore, fece quello che si era ripromesso di non fare.
Da dietro lo attirò a sé, tenendolo stretto, una mano sotto l’hakama.
Sentiva i tremiti del suo corpo ogni volta che osava andare oltre la normalità, il corpo ingenuo di Masataka che tremava ed esitava. Sapeva quello che stava succedendo?
Lui si che lo sapeva, lo sapeva bene ciò che stava succedendo, ciò che stava provando e , in quel miscuglio di sentimenti contorti e incoerenti,  continuava a pensare a quanto crudele potesse sembrare.
Non poteva fuggire.
Fuggire.
La paura di perdere Masataka era per lui troppo grande per pensare all’odio che ne sarebbe conseguito.
Slacciava l’ hakama, toglieva il kimono, toccava quella pelle morbida.
E fra discorsi di lussuria e innocenza, di amore, tentazione e filosofia, lui teneva Masataka fra le braccia, con forza, ma lo teneva.
Masataka sudava freddo, poteva sentirlo sulla sua pelle, Masataka chiedeva di fermarsi, ma lui non ascoltava il ribelle, anzi lo legava e lo puniva entrando dentro di lui.
Per quanto crudele potesse apparire in realtà il cuore di Souma piangeva, ma la disperazione imperversava dentro di lui e penetrava nelle sue viscere con intensità maggiore al suo dolore.
E lui si sfogava sul suo caro Masa.
Carezzava il suo torace, baciava le sue labbra, mordeva il suo collo, tutto in un piacevole senso di quieta disperazione.
Bastava che Tagami dicesse il suo nome.
E non gli importava se e quanto l’avesse odiato, a Souma bastava che Tagami Masataka chiamasse il suo nome, che lo guardasse ancora come allora, che gli donasse il suo sorriso.
Ma Tagami Masataka non gli sorrise più.
E la notte sovrastava, Souma e Masa ormai divisi.
Dov’è sparita la notte dei fuochi d’artificio?

 

Gli occhi annebbiati.
Suoi indistinti di voci tremanti.
Il sangue Caldo.
Le fredde mani.
Ormai stava morendo…
…«SOUMA-SAMA!»

 Nonostante tutto distingueva quella voce, metteva a fuoco quel volto terrorizzato. Poteva farcela a trovare le forze. Doveva farcela.
Alzò la testa, lo guardò sorridente. Il suo splendido sorriso malinconico.
«…Masataka, guarda. Così è sufficiente…?»chiese con tono che implorava perdono.

 




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